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Mille chilometri al giorno

Adesso non ditemi che “metto ‘o pepe ‘nculo a zoccola”, come diceva Pascalino ‘o Riccio, o se preferite ma spero proprio di no “cospargo il sale sulla ferita”, ma ieri sera è stato l’ultimo pensiero che ho fatto prima del solitario incontro con Morfeo, “Venti chilometri al giorno, Polvere e sole, Andata e ritorno, Venti chilometri al giorno, Per poi sentirti dire che, Non mi vuoi più vedere“, beato lui, venti chilometri al giorno.

Adesso non ditemi che non sapete che lui è Nicola Arigliano che mi incazzo davvero, a meno che non siate nati dopo il 1990 che mi incazzo soltanto ma senza il davvero. Perché beato lui invece me lo potete dire, direi che me lo dovete chiedere perché altrimenti il post finisce qui. Ecco la risposta:
giovedì 26 maggio: trento, festival dell’economia, amartya sen, nobel 1998, lezione su “i confini della libertà economica”, tema del festival;
venerdì 27 maggio: napoli
sabato 28 maggio: napoli, festival dell’economia di trento, il sommerso e l’economia da svelare;
lunedì 30 maggio: roma, fondazione giuseppe di vittorio;
martedì 31 maggio: roma, fondazione giuseppe di vittorio;
mercoledì 1 giugno: varese, presentazione bella napoli;
giovedì 2 giugno: varese, presentazione bella napoli;
venerdì 3 giugno: porto venere, la spezia, presentazione uno, doje, tre e quattro;
sabato 4 giugno: sarzana, la spezia, e finalmente napoli.

Adesso non ditemi che non sapete fare il conto perché non è difficile, circa 6 mila km in 9 giorni, e soprattutto non ditemi che sono tutte cose che mi fa piacere fare perché non mi fa solo piacere, sono  felice di farle, considero un vero privilegio tutto questo, sono grato dal più profondo del cuore a Marilena, Santina, Giancarlo, Michele e tutta l’Ahref Foundation, sono emozionato per sen e per le amiche e gli amici che potrò finalmente rivedere, sono contento delle chiacchiere che faremo la sera con Andrea e Laura con annesso pancione, sono contento anche per le persone che compreranno e leggeranno Bella Napoli, insomma sono nato con la camicia come vi ho detto già altre volte, eppure ciò non toglie nulla al fatto che mi toccherà fare tanti chilometri e come sapete io e i chilometri stiamo scompagni da parecchio tempo anche se alle signore di piazza Enakapata non piace che io lo dica.

Adesso non ditemi che state pensando questo adesso ricomincia che non ci penso proprio, sul punto quello che dovevamo dire lo abbiamo detto, qui in piazza Enakapata e su Uno, doje, tre e quattro, il mio indimenticabile librodiariodivitaediviaggio con Viviana Graniero, Daniele Riva e Carmela Talamo, è soltanto che a me “mi” piace troppo e quindi la citazione galeotta la ricordo qui:
Senza uscire dalla porta di casa puoi conoscere il mondo, senza guardare dalla finestra puoi scorgere il Tao del cielo. Più si va lontano, meno si conosce. Per questo il saggio senza viaggiare conosce, senza vedere nomina, senza agire compie.
Ecco, l’ho fatto, e ho anche sospirato, sì, un ahhhhh lungo lungo lungo, poi però mi sono ricordato della telefonata di Giancarlo e poi del messaggio che mi ha mandato Michele, com’è che mi ha scritto?, sì, una cosa tipo “qui ho messo sotto le cuoche per i canederli in attesa del tuo arrivo”.

Adesso non ditemi “Vicié, senza uscire dalla porta niente canederli”, perché senza uscire dalla porte niente Sen, niente Marilena, niente Giancarlo, niente di niente, cioè tutto. No no, non mandatemi dove state pensando di mandarmi, sto solo scherzando, davvero, di più: ‘o giuro ‘ncoppa all’ossa ‘e zì palluottolo.

Uno, doje, tre e quattro e Antonio Gravina

Eccomi, sono emozionato mentre scrivo, perché è la prima volta, ho aspettato molto prima di farlo, ma volevo prima finire uno, doje, tre e quattro, per poter dire la mia, … sul libro intendo … e poi è solo una opinione … ecco, già parlo come loro quattro, che comunque sono contagiosi, sono belli, profondi e sinceri nelle cose che dicono (scrivono).
La mia recensione sarà comunque rivolta a delle persone che ho avuto il piacere di conoscere live, e che sono state ben descritte nelle loro conversazioni a quattro su FB prima e nel Libro poi…però …e non vuole essere una critica …ho notato in tutto il libro e in ognuno degli autori una certa vena pessimistica nell’ affrontare le questioni.   “sociali”, una sconfitta nella quotidianità delle Vite, che sembrano aver lasciato la speranza alla nostalgia…..mi sono emozionato e ho sorriso molte volte durante la lettura che ho fatto durare circa 20 giorni ( volutamente ….perché me lo volevo gustare un poco per volta…come si fa con un buon caffè).
Ho notato una Grande propensione alla Cultura, Tecnologia, Ricerca, Specializzazione, Arte …le magnifiche Poesie raccontate da Daniele, insomma Gran Classe..però @/amici miei più convinzione che non ci possiamo fermare davanti a niente, soprattutto quando c’ è un valore delle risorse così Alto come ho visto nelle persone che hanno scritto questo libro.
Io, per chi non mi conosce sono una persona che impara molto dalla lettura e mette in pratica i consigli che ne escono fuori. Voi mi  avete dato la spinta verso la Strada che sto percorrendo e oggi vado ancora più veloce e convinto,….complimenti per l’ idea, non vi fermate, non vi fate fermare e soprattutto vi consiglio un libro: uno, doje tre e quattro.

Uno, doje, tre e quattro e Mariagiovanna Ferrante

Uno, doje tre e quattro. Cominciamo, o, meglio, continuiamo a parlarne.
Perché ho comprato il libro? In tutta onestà, perché sono amica di Viviana e perché Vincenzo è simpatico assaje.
Ma quando ho iniziato a leggerlo, mi sono resa conto di aver fatto una cosa buona e giusta.
Mi è capitato, in passato, di recensire qualche libro in occasione di presentazioni promosse dalla Pro Loco cittadina. Una recensione comporta un’analisi della struttura testuale, dello stile, dei rapporti con opere dello stesso autore e via dicendo: un lavoro di tecnica, oltre che di interpretazione del messaggio veicolato dal testo, condotto un po’ “da fuori”.
Scrivendo di questo libro, invece, ho la sensazione di “essere dentro”, di inserirmi in una conversazione che è tuttora in corso.
Una bella conversazione iniziata da quattro persone, che hanno spalancato le loro vite a noi lettori, creando un flusso di energia multiforme e policroma e mettendola a nostra disposizione.
Uno, doje tre e quattro non è un romanzo, non è un saggio, non è un trattato. È una “torta” fatta di una serie di tranches de vie in cui non si può evitare, almeno una volta su quattro, di rispecchiarsi.
Daniele, Viviana, Vincenzo, Carmela, “sono” quattro punti di vista che si moltiplicano nei nostri punti di vista, da cui partiranno altri punti di vista. In un caleidoscopio di opinioni, così come accade nella piazza di Enakapata.
Le unità tematiche in cui si struttura il testo potrebbero tranquillamente essere lette “in ordine sparso”: da internet, ai problemi di Napoli, a quelli nazionali, passando per il senso della poesia. Come ogni conversazione che si rispetti, l’argomento di discussione può essere uno qualunque, e da un qualunque pretesto può partire per inanellarne altri. I nostri @mici potrebbero essere letti così, come ci viene, senza seguire necessariamente l’ordine progressivo delle pagine. Ogni volta, si apre una nuova finestra, con un nuovo link, in cui possiamo taggarci(sentendoci coinvolti), o possiamo limitarci a navigare, in un mondo che poi tanto virtuale non è.
E loro ci guidano nella navigazione, ognuno con il suo stile e con il proprio essere protagonista di questa avventura.
“Loro”, gli autori, non ci lasciano indifferenti. Neanche un po’.
Non ho potuto fare a meno di innamorarmi dello spirito di Daniele, poeta anche quando parla di munnezza.
Ho avuto conferma della grande personalità di Vincenzo, commovente nei suoi ritratti di famiglia, ma mai dimentico della sua innata ironia.
Carmela è sanguigna e passionale, e il suo temperamento traspare anche dalle virgole quando si racconta a proposito del mondo virtuale, o quando affronta la tematica legata al modno giovanile.
Viviana…attraverso la scrittura completa il quadro- già abbastanza chiaro- della sua indole giocosa, ma profonda. Ed è grandiosa nella sua abilità in fatto di tautogrammi.
Tutti e quattro vivono la scrittura come una straordinaria esperienza di trasmissione di sé e di crescita e lo sanno comunicare.
Facendo comprendere come sia possibile trasformare una piattaforma virtuale in un’esperienza di vita reale, concreta, in cui non ci si “tagga”, ma ci si tocca, fino ad abbracciarsi.
Così, alla fine della lettura, questi @mici diventano amici, e resta una gran voglia di continuare a parlare con loro.

Uno, doje, tre e quattro e Maria Silvestri

Quando qualche anno fa un amico mi inviò un sms dicendomi: “Sei su Facebook”, mi incazzai come una belva! No, non c’ero e non mi faceva piacere sapere di esserci.
Non avevo capito, dal momento che non vedevo un punto interrogativo, che la sua era una semplice domanda. Fino ad allora ero stata molto scettica e, diciamolo pure, un po’ prevenuta verso ogni forma di “socializzazione virtuale”, per intenderci non mi piacevano le persone “pc dipendenti”. Per me, allergica perfino alle segreterie telefoniche, era assolutamente impensabile avere un @mico o navigare in una chat. Eppure la curiosità di capire il successo e la popolarità di questo nuovo mondo era talmente grande da spingermi ad entrare nel “social network più in voga del momento”, fino a farmi ricredere …. (Toccare o Taggare questo era il vero problema!!!!!). Ed ecco che, nella piazza virtuale incontro Vincenzo, @mico di un mio @mico, ed Enakapata , che insieme agli altri @mici man mano arricchiscono il mio patrimonio di conoscenze in rete.
Ora voi mi direte: che c’azzecca tutto questo con il fatto se ti è piaciuto o non ti è piaciuto Uno, doje, tre e quattro?
C’azzecca, c’azzecca.
“Galeotto fu il libro e chi lo scrisse”, è proprio il caso di dirlo. Leggere le storie di questi quattro @mici che si raccontano nelle pagine di un blog, per me è stato come vedere il film della mia vita fino ad oggi. In tantissime occasioni mi sono ritrovata.
Anche a me è venuta la Nostalgia Canaglia, accompagnata anche dalla lacrimuccia, quando Vincenzo cita una frase del padre “è ’nguaiato tutta ‘a grammatica”, o quando Carmela dice “… ho cercato di colmare il vuoto lasciato dall’assenza con l’unico spazio che ho a disposizione: i ricordi”.
Sono andata Dove ti porta il Tifo insieme a Viviana cantando: ”Maradona è meglio ‘e Pele’, ci hanno fatto ‘o mazzo tanto pe’ ll’avè”. Che anno il 1987!, il Napoli vinceva il 1° scudetto ed io venivo a conoscenza di aspettare il mio 1° (ed unico) figlio.
Ho condiviso il suggerimento di Daniele “penso che sia un modello esportabile anche a Napoli” in Monnezza di un altro Mondo.
Insomma, a me Uno, doje, tre e quattro mi è piaciuto assaje, e non so se dire grazie al libro che mi ha permesso anche stringere la mano e guardare negli occhi Viviana, Carmela Vincenzo e Daniele o dire grazie a Viviana Carmela Vincenzo e Daniele che mi hanno appassionato con il loro libro.
Ah, dimenticavo: la mia copia è battezzata, comunicata e autografata personalmente dagli autori.

Uno, doje, tre e quattro e Grace

“Scrivo perchè io sono quello che scrivo e scrivo quello che sono”.
“Dite che se il libro è bello lo dovete decidere voi? Assolutamente vero. Ma solo dopo che lo abbiamo deciso noi, perchè un libro che non è bello prima di tutto per chi lo scrive è un libro senza speranze. Di più, non è neanche un libro, è carta stampata”.

Io, lettrice, ho deciso. Il libro è bello. Sono di parte lo ammetto, perchè Vincenzo e Daniele sono miei @mici di Facebook e non mi perdo una riga dei loro blog, ma che importa, non faccio recensioni di professione io, quindi scriverò quello che mi pare. Il libro mi piace. Punto.
Quattro persone si sono conosciute su un social network e hanno fatto un esperimento da cui viene fuori la passione semplice per la vita.
Passione semplice per la vita di quattro persone semplici e dirette, ecco cos’è Uno, doje, tre e quattro.
Carmela “la carnale”, non me ne vogliano gli altri tre moschettieri, ma è la mia preferita, non c’è pagina scritta da lei in cui non abbia ritrovato qualcosa di me.
Daniele “il nordico”, il poeta dall’animo gentile che connessione dopo connessione senza saperlo mi ha convinta a prestare più attenzione alla poesia.
Vincenzo “il leggero” e i suoi ricordi d’infanzia, il suo modo di porsi domande e darsi subito le risposte, da solo, quando e se le trova.
Viviana “la vivace”, con lei mi sono proprio divertita, da non perdere il suo tautogramma Poveri Piccioncini ovvero Romeo e Giulietta in P, pippipurrà!
Nessuno di loro dice cose veramente nuove, nessuno di loro fa grandi rivelazioni esistenziali, semplicemente si raccontano. Ed è impossibile non ritrovare in ciascuno di loro qualcosa che ci appartiene e che ci accomuna.
E’ un libro che tutti i web-scettici dovrebbero leggere, magari i detrattori della rete comincerebbero a pensare che fra chi passa un po’ del proprio tempo on line, c’è anche chi lo fa non perchè è sfigato, frustrato e insoddisfatto della propria vita, ma perchè la propria vita vuole arricchirla e che una volta spento il pc si ritrova con un bagaglio di esperienze ben più vasto e una visione del mondo ben più “reale” di quanto si possa immaginare.
Se poi qualcuno si chiede come sia possibile allacciare rapporti umani con persone così distanti e irreali la risposta la fornisce Daniele: “Non siamo noi stessi i nostri pensieri? Non siamo anime che si sfiorano? Si d’accordo, guardarsi, sfiorarsi, toccarsi, stringersi le mani, darsi una pacca sulla spalla sono cose che non si possono fare attraveso il computer.
Ma le anime … quelle si che si abbracciano.

Venga a prendere uno, doje, tre e quattro caffé da noi

Adesso non dite che non dobbiamo vederci più per festeggiare un compleanno anche se la bella pensata l’abbiamo fatta proprio settimana scorsa quando ci siamo incontrati per festeggiare Viviana.
Dato che le colpe dei presenti non possono ricadere sugli assenti dico subito che eravamo Viviana, Francesco, Cinzia and me e aggiungo subito dopo che a un certo punto la conversazione è finita su Uno, doje, tre e quattro, a voler essere precisi il titolo delle chiachciere è diventato “come possiamo fare per far conoscere il libro, farlo leggere, ergo comprarlo”.
Ora, anche se lo so che non ce n’è bisogno, voglio precisare che questa “ossessione” di vendere il libro ci viene innanzitutto dalla voglia di far conoscere il nostro lavoro, di comunicare le nostre emozioni e riflessioni, di far girare le nostre piccole grandi idee, di incontrare vecchi e nuovi amici, e poi anche almeno un pò dalla voglia di ripagare la fiducia e l’investimento da parte dell’editore, che insomma la nostra “ossessione” non ha davvero niente a che fare con il verbo “guadagnare”.
Fatta la precisazione, aggiungo che a un certo punto, non ricordo davvero né come e né perché, è venuta fuori l’idea delle presentazioni in salotto, sì, proprio il salotto di casa vostra, una cosa tipo “venga a prendere il caffé da noi” che ci sono anche i nostri amici autori di Uno, doje, tre e quattro che vengono a presentare il loro libro.
Cosa dov(r)e(s)te fare per organizzare una cosa del genere è presto detto:
1. avere il piacere di passare un pomeriggio con noi (se  assieme al caffé c’è anche qualche pasticcino siamo contenti noi e sono contenti i vostri amici, ma anche  se c’è solo il caffé noi veniamo lo stesso);
2. avere casa in un raggio massimo di 100 km da Napoli, roba che per la sera possiamo tornarcene a dormire alle nostre, di case, che stiamo più comodi e non spendiamo soldi;
3. avere 10-12 amici (naturalmente se c’è qualcuno di più è anche meglio) disposti a partecipare alla conversazione.
I libri li portiamo noi, naturalmente  senza alcun obbligo di comprarli da parte di alcuni. Lo vogliamo dire che confidiamo sulla nsotra sperimentata capacità di presentatori, e diciamolo. E aggiungiamo anche che chi lo compra oltre alla dedica e alla firma “live” di Viviana, Carmela and me avrà anche quella “in differita” di Daniele, che oltre a presidiare la parte nordica dell’Italia parteciperà,  si vedrà  se e come di volta in volta, grazie alle ampie possibilità offerte dai nuovi media digitali.
That’s all, folks. I mezzi per commentare, proporre, far girare, prenotare e tutti gli altri “are” che volete non ci mancano.  Siete dispensati dagli insulti. Il presente post vale anche come ringraziamento.

Uno, doje, tre e quattro e Adele Gagliardi

Partiamo dal fatto che per me i libri non possono essere brutti, forse perchè non ho mai saputo scrivere neanche un biglietto di auguri e quindi tutto ciò che è scritto per me vale, fosse anche il biglietto del tram.
Uno, doje tre e quattro è stato bello perchè scritto da amici.
Perchè tranne il primo ed ultimo capitolo,gli altri li potevi leggere nell’ordine che preferivi, ed infatti “viaggiatori immobili” l’ho letto in una condizione bellissima,in barca cullata dalle onde ed ho potuto viaggiare con tutti voi, ho visitato attraverso le parole paesi che non avrei voluto vedere e mi sono riempita delle vostre emozioni.
Perchè la cosa che più ho apprezzato sono stati gli scritti di Viviana e Carmela, meno male che c’erano loro tra Enzo e Daniele, altrimenti sarebbe stata dura la lettura, infatti è stato piacevole trovarle dopo gli scritti maschili un poco troppo pressanti (per me s’intende), per questo motivo ho trovato il libro molto ben bilanciato e molto piacevole.
Perchè è in un formato da tenere sempre nello zaino e poter leggere durante le attese dal medico piuttosto che aspettando l’uscita da scuola di mia figlia.
Perchè vi voglio bene e apprezzo il vostro lavoro.

Uno, doje, tre e quattro e Romina Pericotti

Con la nostra piccola Alice, di appena due mesi, non abbiamo molto tempo da dedicare alla lettura …
La curiosità, tuttavia, era tanta, così come l’emozione di sapere che, finalmente, il talento di Carmela sarebbe venuto fuori!
E’ un libro capace di arrivare al cuore di chiunque, a tratti comico a tratti commovente! Interessante riguardo tutti gli argomenti trattati ed estremamente intenso quando vengono fuori le più profonde emozioni di ognuno!
Apettiamo il prossimo con ansia … Complimenti a Vincenzo, Viviana e Daniele ma soprattutto a Carmela.

Pensavo fosse un tango

di Mariagiovanna Ferrante

Mi aveva telefonato, proprio due giorni fa.
All’inizio, leggere  il suo nome sul display mi aveva turbato: erano mesi che non ci sentivamo e quella chiamata inaspettata destabilizzava il mio equilibrio, così faticosamente conquistato e comunque poco stabile.Quando ho risposto, non ha perso tempo in frasi di circostanza: mi ha invitato a cena, a casa sua. Aveva voglia di parlarmi.La nostra storia era iniziata tre anni prima: ci eravamo incontrati in una milonga– uno di quei posti dove si balla il tango- e ci eravamo riconosciuti al primo sguardo. Eh sì, perché tra principianti ci si riconosce…

Il principiante in genere fa “tappezzeria”: è ancora insicuro, ha soggezione dei “bravi” e non vorrebbe mai sentirsi esposto al ludibrio dei maghi del boleo. Si vedeva che entrambi vivevamo la stessa sindrome: i nostri occhi cadevano sui piedi dei ballerini in pista, avidi di apprendere i segreti di quella danza così affascinante ma così piena di segreti, per noi che non osavamo staccare le spalle dalle protettive pareti del locale.Quando decidemmo di concedere una pausa al nostro studio, e di guardarci intorno, ci vedemmo.Proprio allora capimmo che non ci saremmo sentiti in difficoltà, se avessimo provato a mettere in pratica quanto appreso fino a quel momento.

Quella sera ballammo il nostro primo tango insieme. Seppi che si intitolava Oblivion, noto fra i tangueri: un pezzo struggente, sensuale, sulle cui note i nostri passi, per quanto incerti, sembrarono subito guidati da una forza irresistibile.

Immediata sincronia nel respiro. Perfetto incastro di corpi. Percepii nettamente il battito del suo cuore, che sembrava appoggiato al mio.
Mani, piedi, gambe, visi. Intorno il mondo girava. Noi eravamo lì, in una terra senza nome dove contava solo la nostra presenza. Dove il tempo pulsava.
Un sogno durato tre, forse quattro minuti, che avrei voluto protrarre all’infinito.

La fine del pezzo fu per noi il risveglio, e la realtà. Una realtà in cui ora esistevano due anime e due corpi, nel cui destino era l’inizio di un cammino lungo il medesimo tratto di strada.
Dopo quel primo incontro, seguirono settimane in cui la serata in milonga era un evento: secondo un tacito appuntamento, ci trovavamo nei locali che frequentavano i nostri compagni di corso e non perdevamo nessuna occasione di contatto. E ogni volta la magia di quel primo tango si ripeteva.

L’esigenza di rivederci divenne sempre più urgente e così ci scambiammo i numeri di telefono.
Così iniziò la nostra storia.
Il solo parlare di noi, della nostra vita, rendeva più forte la sensazione che stessimo vivendo qualcosa di speciale. Ci rendeva ancora più uniti quella crescente passione per il tango, che ci incuriosiva e ci portava in giro per l’Italia e in Europa a conoscere nuovi modi di interpretare i messaggi della danza. Non avevamo nessuna ambizione. Cioè: nessuno di noi aveva la benché minima intenzione di partecipare ai campionati o di diventare insegnante di tango. Ci stavamo amando e anche in quel modo consolidavamo il nostro crescere insieme.
Anche quando facevamo l’amore, sentivamo lo stesso: il corpo era il veicolo di una danza interiore, che si manifestava in gesti istintivi, improvvisati. Un tango, anche quello.

Dopo un anno e mezzo, l’inaspettato. Il bolero.
Una relazione clandestina, con qualcuno che aveva già una sua storia, e dei figli.  Il tango cedeva il passo a qualcosa di più turbolento, di più…violento, e io mi dovetti piegare alla necessità dell’abbandono. Tornò il vuoto e tornò il silenzio, intorno a me.
Per diverso tempo, ho vissuto come se fossi in una stanza piena di ovatta, muovendomi come alla ricerca di un oggetto prezioso irrimediabilmente smarrito. Poi, lentamente, ho ripreso il mio cammino solitario e da allora la mia vita non è cambiata.
Sveglia al mattino presto, ufficio, qualche happy hour, qualche film. Nessuna relazione.

Il tango? Non più.
Almeno fino a ieri.
Quando ho bussato al campanello di casa sua, i pensieri che avevano accompagnato lo squillo del telefono erano ancora lì. Sapevo, però, che nel corso della serata avrei avuto tutte le risposte che cercavo.
È venuta ad aprire quasi subito. Era bellissima: l’abito rosso che indossava si appoggiava sui fianchi e ondeggiava ad ogni suo movimento. Mi sembrava più pallida del solito, ma non ho voluto dirle niente, pensando piuttosto che fosse stanca.
Ovviamente conosco casa sua, e l’ho seguita con sicurezza in cucina. Non aveva ancora apparecchiato la tavola, ma aveva già bevuto. Del vino rosso. “Non bere da quel bicchiere, eh? È solo mio!”, mi ha detto, con un sorriso. Le ho risposto che mai e poi mai avrei osato contraddirla.

Le ho dato una mano a disporre piatti e bicchieri, riscoprendo, nella consuetudine di quei gesti, un’intimità che credo di non aver mai dimenticato.Devo ammettere di ricordare ben poco della cena, in sé. Abbiamo mangiato delle fette di arrosto, forse di maiale, e delle patate, forse al rosmarino. E abbiamo bevuto. O meglio: io ho bevuto, perché ho riempito il mio calice almeno un paio di volte. Lei, invece, avvicinava le labbra al suo bicchiere con lentezza, come se volesse rimandare il più possibile il momento in cui avrebbe dovuto riempirlo.

Mi ha raccontato la sua vita negli ultimi mesi. Lui, quello sposato, quello per cui mi aveva lasciato, era tornato dalla moglie. Anzi, non l’aveva mai lasciata. Eppure, sentiva di non odiarlo, perché era stato, per lei, un completamento. Prima che io potessi farle qualunque domanda, mi ha detto che non ero io quello incompleto, rispetto all’altro. Lo era lei. Da me aveva ricevuto il calore che aveva risvegliato il suo desiderio di amare. Un desiderio sopito da tempo, che lei aveva cercato di colmare con storie di letto prive di sostanza. Prive di amore. Ero arrivato io e l’avevo portata sul “tappeto volante”. Così amava chiamare quella sensazione di leggerezza e di benessere che solo un amore può regalare e mi diceva spesso che era bello guidare il tappeto in due, ma era altrettanto bello lasciarsi guidare, affidarsi. E lei si era affidata a me.
Ma l’altro l’aveva sconvolta, e l’aveva portata lungo le rapide di un fiume senza diga.

Impossibile frenare l’impeto della passione. I tamburi del bolero contro il bandoneòn del tango. Adesso sentiva un gran senso di vuoto, come se qualcuno, o qualcosa, avesse estirpato dalle sue budella tutto il bello di cui si era riempita negli ultimi anni.
Cosa ci facevo io lì? Aveva voglia di ballare con me.
Ha sorseggiato il suo rosso, fino a vuotare il bicchiere. Con la stessa lentezza misurata, si è alzata e ha acceso lo stereo. Si è avvicinata a me e mi ha teso la mano, facendomi alzare. Quando ci siamo trovati uno di fronte all’altra, ha chiuso gli occhi, nello stesso momento in cui partiva il “nostro” tango, Oblivion. L’ho stretta nell’abbraccio che ci era familiare, riconoscendo la morbidezza del suo corpo, il profumo dei suoi capelli, il battito del suo cuore. Era ancora lei, presente con la sua prepotente dolcezza. Non ho sentito il bisogno di virtuosismi: eravamo lì, nella nostra non-dimensione, nel nostro ritrovarci. No, non c’era nessun vuoto in lei, lo sentivo. Quello di cui aveva bisogno era ricominciare a sentire se stessa, come avevo fatto io quando se n’era andata. Quelle note…erano la nostra storia.

Avrei voluto abbandonarmi al pianto che non mi ero mai concesso, ma non era quello il momento. Quel tango ci stava dicendo che due corpi mettono in comunicazione due anime ed entrambi-lo sentivo-potevamo ricominciare a camminare. Insieme.
Dopo un paio di minuti, però, ho sentito che qualcosa in lei stava cambiando. La sentivo meno leggera, quasi affaticata. Il suo cuore ha iniziato a seguire un ritmo diverso dal solito.
Le ho chiesto cosa avesse.
“Va tutto bene, stai tranquillo”.
Ma mi ha mentito.
Sono sicuro di aver urlato il suo nome, quando il suo corpo si è abbandonato sul mio.
Signor Commissario, aveva deciso di morire tra le mie braccia.
Pensavo fosse un tango. Era il suo addio.

Uno, doje, tre e quattro e Maria Paraggio

Caro professore ho letto il libro e ne sono rimasta entusiasta. La prima cosa che mi è venuta in mente è stata quello di paragonare il vostro libro ai sonetti di corrispondenza che i poeti del Dolce Stil Novo si scambiavano, esprimendo la loro concordia spirituale. Mi è sembrato di vedere tutti e quattro voi autori sulla navicella descritta da Dante nel suo celebre sonetto:

“Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento,
e messi in un vasel ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio,
sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse ‘l disio. …”

Una concordia di intenti nel talento che genera il desiderio di incontrarsi, con la possibilità di scambiare idee, conoscenze, sensazioni, emozioni. Ognuno con il suo carico di esperienze, ricordi, passioni ma nella consapevolezza di far parte di una comunità nuova, non legata più ad un territorio ma al mondo intero, grazie ad internet. E’ come se ci fosse un cerchio magico che vi lega insieme provocando una suggestione unica e, credo, generando in chi ancora non si è accostato alle grandi potenzialità di internet, di cominciare il proprio viaggio nella rete e di trovare amici virtuali ma leali e reali come voi vi proponete.
Grazie a voi tutti per questa bell’immagine di un mondo dai più visto come dannoso.

Eravamo quattro amici al blog

di Rosaria Della Ventura

Se nella canzone di Gino Paoli si voleva cambiare il mondo seduti al bar tra un caffè e una coca-cola, parlando di anarchia, libertà e quant’altro, Viviana, Vincenzo, Daniele e Carmela non hanno assolutamente questa pretesa, seduti al blog di ENAKAPATA. Se non quella speranza di scalfire un modo di vedere le cose  fatto di luoghi comuni, di facili e gratuiti cinismi.

Metti poi che qualcuno tra di loro non ha mai incontrato personalmente gli altri tre e che tre di loro sono di Napoli e provincia, mentre un altro di Lecco. Loro non sono “Quattro”, sono “Uno, doje, tre e quattro”, e si incontrano sul blog per raccontare e raccontarsi, leggere e leggersi, ascoltare e ascoltarsi, ognuno con il suo bagaglio di esperienze, considerazioni, idee, emozioni, tenuto stretto tra le dita che scorrono sulla tastiera del computer.

“Un intreccio che risplenderà delle differenze (età, politica, studi, concezione religiosa, collocazione geografica ecc..)” così scrive Daniele Riva accogliendo la proposta di Vincenzo Moretti, all’inizio dell’avventura, e così chiude nel resoconto alla fine dell’ epistolario virtuale, divenuto un i-book, un interactive book.

Mentre leggi cosa dice Vincenzo, ti chiedi cosa risponderà Daniele, immagini cosa scriverà Viviana, ti sorprende cosa dice Carmela. Dice. È un libro che dice, che scava in ricordi personali fatti di cenoni natalizi e “lotte coi capitoni”, che racconta delle proprie radici, della passione per il calcio, del problema perché solo a Napoli l’immondizia è un problema che fa voltare e rivoltare i cittadini, della bellezza del viaggio, della fuga dei cervelli, della precarietà del lavoro, dell’incapacità dell’Italia di trasformare i giovani in risorsa sociale. Questo e tanto altro, in un prosa diretta, senza intoppi retorici. Questo e tanto altro disposto in un crescendo di confidenzialità e compartecipazione che si avvertono nel susseguirsi degli interventi. Dal racconto alla confessione, con lo stesso calore, con la stessa schiettezza di parole appena sfornate da discussioni dinanzi un camino, su un comodo divano.

Il filo che collega la fitta varietà di tematiche del libro è evidente: il piacere di scrivere, di confrontarsi, di scambiarsi impressioni, di chiacchierare, del sano inciucio. Il tutto su pagine di un blog. E il proposito credo (oserei anche sfida) sia proprio quello di evidenziare e ricordare le enormi possibilità e la potenzialità della rete, dei blog, come luoghi sinergici di idee, dove a condividere non ci sono solo foto, dove si può essere @mici e diventare amici, dove ci si può “toccare” oltre che taggare. Possibilità resa tangibile proprio attraverso la pubblicazione del libro.

Si, è vero. Nulla potrebbe sostituirsi a una bella chiacchierata, come dire, “in carne e ossa”, e che a volte si ha l’impressione (magari per menti più tradizionaliste) che il linguaggio e la terminologia virtuale abbiano attinto un po’ troppo dal linguaggio “umano, familiare”, passando da “Aggiungi ai contatti” di MSN a “Aggiungi agli amici” di Facebook. Punto primo, ogni tanto ci vuole qualcuno che ci ricorda che web non è solo Facebook, ma un mondo che, se usato bene diviene una risorsa. Si sa, in tutte le cose ci sono pro e contro, basta non fossilizzarsi sui contro e tentare di essere artefici di nuovi pro! Punto secondo: ben venga che un blog possa sentirsi piazza, se piazza vengono chiamati luoghi asettici in centri commerciali, con tavolini in plastica e finte fontane frequentate da famiglie con generazioni al completo, quando fuori c’è il sole.

Insomma, una festa a sorpresa alla scrittura, attraverso una riflessione meta-virtuale.

I quattro amici sono rimasti assieme al blog fino alla fine, “sono passati dal bere coca-cola al bere vino e poi whisky”, dal parlare di calcio a parlare della gioia di scrivere.  Ed ora sono ancora di più … uno, doje, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci….

 

 

Uno, doje, tre e quattro e Stefania Bertelli

Un inno alla contemporaneità “Uno, doje, tre e quattro”: un racconto polifonico di storie individuali. Un linguaggio nuovo, che si è avvalso di strumenti di comunicazione attuali, ma che rimanda a emozioni antiche, tradizionali. Mi è piaciuto il libro, perché riflette la cultura del presente, senza indulgere a falsi modernismi. Gli autori narrano di se stessi, della loro vita, delle loro impressioni, delle loro paure, delle loro emozioni, senza tediare, anzi legandoti al testo, per permetterti di confrontare le tue esperienze con le loro. Una scrittura sincera per una lettura appagante.

Uno, doje, tre e quattro Arfizziamoci tutti

Matteo Arfanotti ha scritto su Facebook:
Allora… visto che sento lo spirito natalizio… 😀 mandatemi la vostra copia di Uno, doje, tre e quattro che ve la arfizzo 🙂 se vi fidate! 😀
Io già glielo ho detto che la mia copia la invio. E voi?

Questo Matteo Arfanotti l'ha fatto per Lucia Rosas

Uno, doje, tre e quatto ‘a Natale me l’accatto

Si gioca da stasera a domenica sera.
Scopo del gioco è trovare lo slogan per lanciare la campagna natalizia per Uno, doje, tre e quattro.
Si vince una copia del libro autografata (sì, siamo stati previdenti, ne abbiamo alcune firmate quando Daniele è venuto a Napoli :-)))
Sono ammessi tutti i dialetti oltre naturalmente alla lingua italiana.
Noi autori possiamo giocare ma naturalmente non partecipiamo alla gara, anche perché siamo i giudici :-)))
Il mio è quello che ho pubblicato sulla pagina di Facebook.
Pronti? Via!

Uno, doje, tre e quatto | ‘A Natale me l’accatto
Quatto, cinche, sei e sette | N’ato ‘o metto dint’a cazetta
vincenzo moretti


Uno, doje, tre e quattro e Concetta Tigano

Mi sento un po’ sola …
Ieri sera ho finito di leggere “Uno doje tre e quattro”, è stato bello sentirsi parte di questa allegra compagnia, siete riusciti a creare un’atmosfera coinvolgente, sembra davvero di stare seduti a chiacchierare insieme.
Mi è piaciuto tanto, l’impostazione degli interventi personali è una bella trovata.
In tante cose mi sono ritrovata, ma la cosa che traspare di più è il rispetto reciproco delle diverse opinioni, è questo forse il messaggio più forte e più bello, confrontarsi, conoscersi e accettarsi.
E aggiungo ancora che il capitolo sulla nostalgia è stato commovente, siete stati coraggiosi nel raccontare cose così … direi intime, riuscendo a commuovere anche chi legge.
Ho digerito anch’io con difficoltà l’intervento di Daniele sulla Lega, e vorrei dire che le amministrazioni su al Nord forse funzionano “a prescindere” dalla lega.
Ma il top sta nel capitolo dedicato alla conoscenza ed accettazione dell’altro, questo è stato, secondo me, il motore che ha fatto partire questa avventura.
Geniale Vincenzo che l’ha intuito, bravi tutti voi che l’avete realizzato!!!!

Uno, doje, tre e quattro e Giacomo Tranchese

Ciao Viviana,
Ho appena finito di leggere ”Uno doje tre e quattro” e, per prima cosa, ti devo confessare che erano decenni che non aprivo un libro per leggerlo.
L’ho aperto immaginando di dover leggere un una storia inventata, un giallo o chi sa che cosa, ma dopo un momento di sbandamento, mi sono incuriosito ed appassionato per leggere e per capire come uno stesso argomento veniva trattato da persone diverse, quattro amici, con un linguaggio ed una forma per me comprensibile.
Ritengo che se per voi l’obiettivo, oltre a quello di far conoscere come si possa scrivere un libro in gruppo, era anche quello di far arrivare al lettore le vostre idee, i vostri sentimenti, un vostro modo di analizzare i problemi e di indicare anche una vostra soluzione, con me ci siete riusciti. E’ stato un piacere conoscervi ed è stato per me un motivo di riflessione e di arricchimento.
Grazie.

Uno, doje, tre e quattro e Maria Cristina Famiglietti

Parlare di un libro è una delle cose che più amo fare, seconda solo al piacere divino di immergermi nella lettura, ogni volta col brivido e l’emozione che l’inizio di una nuova avventura mi regala. Leggo, scrivo e parlo per lavoro. Ma ciò che mi spinge a farlo è la passione, il mio primo ed unico motore! Questo libro non mi capita per caso tra le mani, mentre mi aggiro-cacciatrice- tra gli scaffali di una libreria; questo libro mi viene prima raccontato e poi consegnato, da due persone speciali: Adriano Parracciani e Vincenzo Moretti. Ho conosciuto entrambi tramite internet, all’interno di un contenitore sociale potentissimo, qual è Facebook. Prima Adriano, poi Vincenzo mi hanno incuriosita sul ‘fenomeno’ Enakapata, che oramai tutti conoscete, e che per spora magistrale porta al simpaticissimo. Uno, doje, tre e quattro, un non formale ammasso di pagine, ma una delle trovate più efficaci per togliere un po’ di polvere dall’idea classica di romanzo (che pure mai si può prescindere, ma anzi modificare in milioni di modi diversi). Gli autori di questo libro sono quattro, due uomini e due donne che hanno condiviso pensieri, ricordi, emozioni attraverso un blog prima, ed un libro dopo. Il titolo, parlante lingua partenopea, parla di loro, dei nostri quattro moschettieri del web, eroi del quotidiano affabilatori per caso e per passione. Nessuna storia fantastica, nessuno stravolgimento poetico. Solo racconti di vita, veri frammenti di una virtualità multimediale che può, e vuole, farsi portatrice di valori: l’amicizia, la famiglia, le radici, il piacere di stare insieme ma soprattutto l’esigenza di condividere. In mo mondo troppo veloce, che scorre ai ritmi parossistici di musiche non sempre intonate, i nostri quattro autori ci regalano una visione diversa delle realtà virtuali, spiegandoci come anche dagli schermi luminosi di un pc, possano nascere e vincere scommesse creative di notevole prestigio, non fosse altro per l’impegno che è stato messo per realizzare questo progetto e per la grande costanza, passione con la quale questo libro vuole farsi strada in un panorama composito e inflazionatissimo come quello editoriale contemporaneo. Passione, una parola con la quale ho iniziato e con la quale voglio concludere queste mie righe. Non è possibile prescindere l’atto creativo da questo sentimento. Non saremmo nulla, senza una spinta interiore che ci porta fuori dalle nostre vite chiuse, aprendo le porte su un mondo pieno di persone che sono pronte ad ascoltare la nostra voce.
Buona lettura!

Uno, doje, tre e quattro e Cinzia Massa

Ho letto il libro, l’ho assaporato nelle sue innumerevoli sfaccettature, ne ho seguito i racconti e di volta in volta mi sono sentita Carmela, Daniele, Viviana, Vincenzo.
Sì perché attraverso la lettura di Uno, doje, tre e quattro, ti senti catapultata in un salotto , comodamente seduta tra 4 amici. E li ascolti, e rifletti, mentre i discorsi ti conducono su temi diversi. Come l’amicizia, quella reale e quella virtuale, quella in cui ci si vede e ci si tocca, e quella che attraverso il taggarsi ti regala emozioni, conoscenza, ti solleva e ti consola. Come i ricordi, quelli che ci segnano, quelli che non si staccano, quelli dolorosi ma anche ricchi di gioia, cibo, profumi e gite in compagnia. E mentre ci si perde tra i giochi con le parole, la lettura ti conduce alla regole, all’ordine e al disordine delle nostre città, della nostra Italia. Si parla di nord e sud e ti accorgi che il cambiar una vocale al passo manzoniano “quel ramo del lago di Como” diviene “quel ramo del lago di Cuma” l’unica differenza resta il pensarsi diversi e lasciare che così vadano le cose. Si poteva non parlare di lavoro? No. Ecco il lavoro con la L maiuscola, quello di uomini che fanno “le cose per bene perché è così che si fa”, e si parla di merito e di talento, della ricerca che in Italia non c’è e dei giovani che vanno via. E poi ancora sono le radici a farci sentire parte di un pezzo della vita degli autori, quelle radici che ci ancorano alla terra, alla famiglia, agli amori e alla storia.
E mentre le parole scorrono, ti senti scardinare i pensieri, fuoriescono suggestioni, pulsioni e, perché non dirlo, a volte anche una lacrima, di commozione, di riso, perché Uno, doje, tre e quattro è l’anima di ciascuno di noi, che ride e piange, scalpita, si arrabbia e poi si placa, in una parola vive.

E io ringrazio il gatto

Opera di Matteo Arfanotti
Opera di Matteo Arfanotti

Antonio, Gaetano e Nunzia se lo ricorderanno certamente, credo anche nostra madre, ogni qualvolta si discuteva di chi comandava a casa nostra, andava a finire sempre con papà che ci ricordava che quando ci stava lui comandava lui, su tutto e su tutti, e sul punto non era prevista discussione, in sua assenza comandava mamma, poi il comando passava a me, il più grande dei figli, poi ad Antonio, poi a Gaetano e poi a Nunzia, che diventata ben presto tignosa, domandava immancabilmente “scusa pà, ma io su chi comando?” al che papà, che non poteva venir meno alla catena dinastica del comando e non voleva far dispiacere a Nunziatina sua, rispondeva immancabilmente “tu comandi al gatto”, Janis, che l’avevo portato io da Salerno e con il mio amico Umberto avevavamo pensato di chiamarlo così in omaggio a Janis Joplin pensando che fosse femmina e invece era maschio, ma lasciamo stare che quello non è stato l’unico incidente in cui è incappato il povero micio.

Ieri sera, quando ho visto tutti questi splendidi ringraziamenti post presentazione napoletana, mi sono chiesto “e mò?, sono arrivato ultimo, e adesso io a chi ringrazio, a tutti quelli che hanno ringraziato a me?” ed ecco che mi è tornata in mente la storia del gatto, per fortuna non ho bisogno di ricordare, ormai per me non è più possibile, le lampadinelle quando vogliono si accendono da sole, e allora mi sono detto “ma sì, io ringrazio il gatto”.

Il gatto dalle mille facce e dai mille pensieri, una specie di gatto con gli stivali però con tanti nomi, tanti caratteri, soprattutto tanta voglia di contribuire a un’avventura che avrà tanto più senso quanto più la vivremo assieme, un’avventura che sono convinto riserverà a ciascuno di noi delle belle sorprese. Una mi è capitata stamattina, ma questo ve lo racconto un’altra volta. Per adesso volevo solamente ringraziare il gatto,  e adesso che l’ho fatto posso tornare a lavorare che almeno fino alla fine della settimana prossima sto messo in croce. Comunque è una croce che mi sono scelto, dunque niente lamenti. Com’è la canzone dei sette nani? Andiam, andiam, andiamo a lavorar? Appunto.

Uno, doje, tre, quattro e Santina Verta

“Il viaggio  è un ritorno a sé stessi, dopo l’incontro con l’altro, ma non un  cerchio, forse una spirale da cui partire per altri incontri” ( R. Regni)

Leggo  e mi ricarico di quell’intensità  del viaggiare dentro le percezioni che intessono il racconto corale di Carmela, Daniele, Vincenzo e Viviana  e lo vivificano di una linfa che scorre da loro a noi  e viceversa.
Questo intrecciarsi di pensieri, idee, proposte, sensazioni si snoda  come un mosaico caleidoscopico, a volte ombreggiato da perplessità pensose e divergenti, oppure illuminato dal piacere dello scoprirsi, dalla correttezza del gioco, dal non soverchiare l’altro, lasciandolo respirare le sue brume e le sue spire ariose.
Questo credere possibile il gioco del conoscersi senza frapposizioni preconcette è alla base  di una concezione dei rapporti umani  improntati alla sincerità, al rispetto, alla conoscenza non di maniera.
Sento una forza captante in questo intreccio relazionale capace di far incrociare sguardi differenti intorno alla realtà, mai edulcorata.
I quattro
riescono ad intersecare i loro pensieri  anche quando sono solidificati da abitudini e stili formativi differenti, c’è una capacità di rendere vivo il limite e di andare oltre.
Anche le inevitabili percezioni  divergenti legate all’età, alla differenza di genere, alla frequentazione di panorami diversi, al modo di credere possibile il cambiamento, all’avvitamento sulle proprie certezze  o incertezze, al modo di appassionarsi alle vicende altrui, all’intuito, alla fantasia, alla passione  trovano un comune denominatore intitolato: rispetto per ogni forma di vita –  reciprocità a riconoscere le diversità – speranza nel futuro.
Credo che non si stancheremo mai di viaggiare con questi scopritore di senso, poiché, in fondo, desideriamo tutti  poter tornare alla nostra incrollabile fede verso l’essere umano.
Ma perché poi si viaggia tanto per tornare sempre a sé ?
Il viaggio è anche un gioco, un gioco serio, in cui prende consistenza la nostra libertà interiore e la nostra voglia di andare verso l’altro per scoprire le meravigliose simmetricità.
Ogni viaggio è luogo di scoperta e, a volte, di dolorose prove, è così somigliante ai riverberi di vita… è solo un cammino fatto di relazioni e di incontri.
Ma mentre le relazioni sono numerose e non lasciano il segno, gli incontri “veri” sono pochi e, quando arrivano, catturano, entrano dentro, fin nel profondo e  lasciano sempre una traccia.
Felice di avervi incontrato in Enakapata, “in questo viaggio che ci  somiglia tanto”, mi sento a casa!

Uno, doje, tre e quattro: un Tunnel aperto

di Adriano Parracciani

Adriano Parracciani
Adriano Parracciani

Come si fa a recensire un libro dove il tuo nome appare più volte qua e là come testimonianza di riconoscimento e stima.
Come si fa a recensire un libro dove i tuoi progetti e le tue iniziative sono più volte citate ad esempio, raccontate come fonte di valore e di cambiamento.
Come si fa? Semplice, non si fa.
Lascio quindi a voi fare i complimenti o meno, dire se vi piace o meno, se è scritto bene o meno, fare la sinossi o raccontare le parti in cui vi siete immedesimati, quelle che vi hanno emozionato, quelle in cui non vi trovate in sintonia.
Io dirò altro e soprattutto dirò degli autori, della banda dei quattro.
Già, il libro in realtà è un prodotto del loro cambiamento. Si perché con questa esperienza loro sono cambiati anzi, stanno cambiando. E’ un’esperienza da innovatori nel senso che hanno portato il nuovo in loro stessi, lo hanno assoribito e, tramite questo libro, lo hanno restituito al mondo, così come fa la terra quando di notte restituisce il calore al cielo.
Per farlo hanno dovuto affrontare e superare un certo numero di sfide; intime, personali; chi più chi meno. Hanno vinto chi l’introversione, chi l’insicurezza, chi la diffidenza, chi l’ansia, chi tutto questo insieme.
Chissà se e quanto Carmela, Daniele, Vincenzo e Viviana si rendano conto che questa loro esperienza li sta trasformando in rivoluzionari, nel senso di essere partecipi della rivoluzione in atto, in coloro che stanno cambiando il mondo, anche magari inconsapevolmente. Si stanno trasformando in webpersone (e questa la capitere meglio leggendo il libro), aperte, connesse, contaminate. Forse lo diventeranno, forse no, forse lo sono già, forse smetteranno di esserlo.
Io che parlo spesso del concetto di Tunnel tra il mondo analogico ed il mondo digitale del Web, so riconoscerne uno quando lo vedo e questo libro ne è un esempio.
La banda dei quattro ha saputo crearne uno ed ha imparato ad attraversarlo. Questa è la vera essenza di Uno, doje, tre e quattro, essere ulteriore testimonianza che la rivoluzione della “wikinomics” è in atto, essere portatore del messaggio che non l’unione ma la connessione collaborativa fa la forza. Individui, non massa; collaborazione competitiva; remixaggio, abbattimento degli stereotipi; questa è la rivoluzione del web. Non so dire quanto andrà avanti e come; gli Umanosauri sono già al lavoro contro le Webpersone, per la restaurazione, cercando di chiudere i “Tunnel” o prendendone possesso.
Uno, doje, tre e quattro è un Tunnel aperto, non resta che percorrerlo .

Uno, doje, tre e quattro

Uno. Grazie.
Grazie a Carmela, Daniele, Viviana, i miei compagni di viaggio. E’ stato un piacere immenso condividere questa esperienza con loro, nonostante io non possa nascondere la gioia di sapere che da oggi il libro sta dove deve stare, nelle librerie, ancora non mi sono abituato a fare a meno dei loro avvisi modello “carmela 11 è pronto”, “ho pubblicato daniele 7”, “viviana 9 è online”. Si, tutto questo mi manca, ma oggi niente tristezze, solo grazie ancora. E’ stato veramente un onore.

Doje. Grazie.
Grazie ai 551 (4 siamo noi) che prima ancora di vedere il libro si sono iscritti alla pagina su Facebook. Certo molti sono nostri @mici e amici, ma molti no, e comunque gli uni e gli altri ci hanno voluto testimoniare fiducia e affetto, e non ci era affatto dovuto.

Tre. Grazie.
Grazie a tutte/i quelle/i che ancora si iscriveranno alla pagina, che leggeranno e commenteranno il libro, che ne scriveranno una recensione, che gli dedicheranno una foto, un quadro, una poesia o quello che gli pare.
Lettori che diventano autori, per me è qualcosa di più di una scommessa, è una possibilità, e spero siate davvero in molte/i a coglierla.

Quattro. Grazie.
Grazie a quelle/i di Piazza Enakapata, siete tante/i, vi sento incredibilmente vicine/i (vado per i 56 e un pò mi fa effetto il fatto che molte/i di voi non le/i ho mai viste/i), e di questo vi sono semplicemente, sinceramente, grato.

Buona lettura.