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Menna, chi è costui?

Dato che non lo sapete ve lo dico io: Costantino Menna, 27 anni, da Carbonara di Nola, provincia di Napoli. Si è diplomato al liceo scientifico con 100/100, si è laureato in ingegneria con 110 e lode, è PhD student del Dipartimento di Ingegneria Strutturale, ha un cv da paura per la sua età e poi gioca a pallavolo, campionato di prima divisione, ha una fidanzata splendida almeno quanto lui, esce con gli amici, perché insomma non abbiamo aperto la sezione “secchioni”, sì, “secchione” non è la parola giusta, quella giusta è  “impegno” ma su questo sapete già come la penso, basta andare alla voce “fare bene le cose perché è così che si fa”.
Costantino in queste ore sta volando verso la Pennsylvania, destinazione Penn University, su Timu nei prossimi giorni cominceremo a raccontarvi per fare cosa e perché. Sì, perché Costantino ha accettato di raccontarci la sua esperienza lì, di interagire con noi, noi nel senso di me e voi, nel senso di tutti quelli che hanno interesse e voglia di paretecipare a questo blog collettivo a cui spero daremo vita a partire daiprossimi giorni, non appena Cstantino avrà disfatto le valigie e si sarà un attimo ambientato. Sì, spero siate in tanti a partecipare, soprattutto tanti giovani, e tra i giovani i tanti Costantino, nel senso di ragazze e ragazzi normeli, brave/i e preparate/i, che sono in giro per il mondo per conquistarsi un pezzo di futuro. Partecipare è semplice, basta registrarsi su Timu, condividere il metodo che viene proposto, e postare le vostre storie e le vostre opinioni nello spazio commenti. Buona partecipazione.

 

Bella Napoli incontra il Liceo Carducci di Nola

Lettera a una Professoressa Atto Secondo

Alle ragazze e ai ragazzi del Liceo Carducci di Nola l’ho detto ma voi lì non c’eravate e perciò lo ripeto qui: il prossimo numero di “Questione di Senso”, la mia rubrica su Rassegna Sindacale, sarà dedicato a loro, al valore del loro lavoro, all’impegno con il quale hanno letto Bella Napoli, alla bellezza delle storie che hanno raccontato e che potete leggere su Timu. Quello che ci siamo detti non ve lo racconto, perché altrimenti Stefano Iucci mi ammazza, a ragione, non è che posso scrivere su Rassegna una cosa riciclata. Vi dico invece che quello che avevo scritto nel post “Lettera a una professoressa” è più che mai attuale, che raccontare il lavoro nelle scuole è un’idea che vale, che il fatto che le/i ragazze/i raccontino le “loro” storie e acquistino consapevolezza di quanto il lavoro sia importante nelle vite delle persone che hanno intorno, papà, mamma, parenti, amici, rappresenta una piccola grande rivoluzione culturale, che se diventiamo sempre più in tanti a raccontare le “nostre” storie invece di quelle, l’esempio non è a caso, che ci propina la televisione, possiamo pensarci meglio, vivere meglio, costruire un futuro migliore prima di tutto per le generazioni che verranno. Mi fermo qui, anzi no. Questa storia cominciata con Caterina Vesta e il Liceo Novelli di Marcianise e continuata con Mariagiovanna Ferrante e il Liceo Carducci di Nola non è detto debba finire qui. Voi rileggetevi la lettera a una professoressa. Io aspetto la prossima chiamata.

L’albero di casa mia

Nel Facebook World è Piratessa Dei Mari. Come @mica me l’ha suggerita Elisa Vitolo, mia @mica salernitana che a Venezia è diventata mia amica, che lei il libro l’aveva già comprato e letto e allora ne ha comprato una copia per la sua amica, la Piratessa in questione, mi ci ha fatto scrivere una dedica, e gliela ha inviata.
Quando sempre lei, la Piratessa, mi ha scritto per dirmi che il libro le era arrivato le ho chiesto, come faccio con tutte/i che poi è normale che c’è chi lo fa e chi invece no, di scrivere qualche rigo di recensione. Il risultato è quello che potete leggere qui, corredato di mail e di immagine di accompagnamento .

di PIRATESSA DEI MARI
Ciao Vincenzo, come promesso ho scritto un commento sincero una volta finito di leggere Bella Napoli, eccolo qui sotto, ho cercato di essere sintetica, ma per esprimere certi concetti è difficile … ti allego anche la foto che ho scattato il giorno in cui mi è arrivato, grazie per aver scritto Bella Napoli!!

Caro Vincenzo, ho finito di leggere le 225 pagine della nostra Bella Napoli, che come sai, sono giunte a casa mia in un giorno speciale! In Bella Napoli ci sono anch’io, come ti avevo detto prima di leggerlo, ne ho avuto conferma già alla prima pagina.
Anche se ci ho vissuto solo un anno, posso dire che, quello vissuto a Napoli è stato l’anno più bello della mia vita, perché ho udito parole e conosciuto persone che non dimenticherò mai!
Da quando ho lasciato la Campania (quasi 12 anni fa) la mia valigia è sempre stata sul letto, ed è inutile negare che dentro, nella tasca segreta, c’è sempre stata la speranza che tutto potesse cambiare. Ma purtroppo, quella speranza è rimasta sempre chiusa in quella tasca segreta, perché si sa, sono una sognatrice.
Vincé (scusa la confidenza dell’accento) se ti dico:”CASA” Sinceramente cosa pensi, cosa ti viene in mente? Non posso indovinare la tua risposta, perché non ti conosco bene, ma posso dire la mia: ”CASA è un posto, dov’è custodito il segreto che rende speciali alcune persone”.
Quel che è certo, è che vi sono CASE e case, ed è proprio quando la casa è un disastro che è difficile trovare la spinta giusta, quella che ci da il coraggio e la forza di “fare bene quello che facciamo!”.
Purtroppo,se nasci nella “casa” disastrata pure sognare è difficile, è quando intorno a te ci sono muri di gomma, qualsiasi cosa si faccia o si dica per migliorare la condizione, se perde sulo ‘o suonno e ‘a fantasia!
Nel tuo libro ho letto di persone che convivono con mille disagi, che hanno vissuto disavventure “forti”, con le quali ho convissuto anch’io.
Nessuno può scegliere in quale famiglia venire al mondo, tanto meno in quale città, e per fortuna io sono nata a Napoli! :-)
Penso che nell’ultima frase della prefazione di Bella Napoli, ci sia rinchiuso tutto un mondo fatto di sogni e speranze, che vivono nel cuore di tutti quelli che fanno di Napoli una BELLA NAPOLI: ”Essere felice a Napoli!”
Personalmente, penso che la felicità non esiste, o meglio, che sia una parola che illude soprattutto quelli che la cercano assiduamente, pensando chissà cosa sia o in che luogo si nasconda.
Di sicuro non è felice chi deve andarsene dalla propria città, in cerca di una vita migliore, che poi migliore non è, diciamoci la verità! Poi, anche se la vita un giorno decide di regalarti la possibilità di ritornare, quando ritorni ti rendi conto che tutto è cambiato, che tutti sono cambiati, gli amici, la famiglia, i nomi delle strade, quel negozio non c’è più, mentre tu pensi di essere sempre lo stesso, ma forse sei cambiato anche tu, insomma, ci si sente come un albero senza più radici.
La mia storia di passione con Napoli è cominciata appena l’ho vista, mi innamorai subito di lei, ma forse la storia è iniziata ancor prima che nascessi. Nemmeno quando ci innamoriamo scegliamo o sappiamo di chi, quel che è certo è che amare non è facile, perché non si può amare solo quando fa comodo o quando è facile!
E amare Napoli non è certo facile, così dicono, perché a munnezza, a camorra, ‘e quartieri malamente.
Napoli per me è allo stesso tempo:”Le perle davanti ai porci” e “La città più bella del mondo”.
Non saprei come altro definirla.
Quando nel tuo libro dici: ”Napoli non è solo Gomorra e munnezza!”, sarà pure una frase banale, come dici tu ma, peccato siano così pochi quelli che lo pensano!
Vincè (scusa sempre l’accento che mi scappa) sinceramente, pensi che se tuo padre non fosse stato un lavoratore onesto e tua madre un’artista nel friggere il pesce con l’acqua, tu avresti scritto lo stesso Bella Napoli?
Non so se sono riuscita a spiegarmi bene, ma come dico sempre, tra le righe si legge molto più di quello che c’è scritto.
La Bella Napoli c’è, vive nel cuore delle persone che hai raccontato nel tuo libro, e in quelle che ancora non hai conosciuto, che sono nell’ombra, nascoste nella vita di tutti i giorni.
Queste 12 storie sono come una speranza sempre accesa, come foglie di uno stesso albero, vite legate da uno stesso filo, che pure se il vento ha portato via lontano forse non ha mai spezzato!
Continua ad innaffiare l’albero Vincè, vedrai che di foglie buone ce ne saranno ancora!!
Grazie per l’attenzione.

Mi chiamo Giuliano Galletti

Gentile Moretti,
non ci conosciamo: mi chiamo Giuliano Galletti e insegno al liceo scientifico di Conegliano – il che sicuramente le permetterà già di inquadrare la situazione. Effettivamente Igino, con cui lavoro in questa scuola, quando vuole sa essere davvero convincente. È così che ho incontrato (o per meglio dire mi è stato letteralmente cacciato in mano) il suo Bella Napoli: storie di lavoro, di passione e di rispetto. Lo considero una vera fortuna: è stata una lettura sorprendente, viva, ricca di riflessioni.
Prima di tutto per la scelta di dar voce a persone comuni e a situazioni di vita comune. Considerando come nell’ormai ripugnante discorso pubblico si parli continuamente “gente comune”, e regolarmente a questa unità indifferenziata si attribuiscono arbitrariamente, volta per volta le idee, i gusti, i modi di pensare che fanno più comodo, sentir parlare delle concrete persone è un vero sollievo. Si respira, nel suo lavoro, la vita reale, le quotidiane riflessioni che ognuno si trova a dover fare su sé stesso e il mondo che lo circonda, le difficoltà del vivere e del lavorare come sono e non come si immaginano.
In particolare, mi è piaciuta la scelta comune di impostare ogni intervento come una storia. Diceva da qualche parte nel libro (cito a memoria, adesso non l’ho sottomano) che a suo avviso poteva benissimo essere catalogato più tra la letteratura che tra la sociologia… a me questo aspetto è risultato evidente subito: nel momento in cui qualcuno mi racconta la sua storia, non la sta riconducendo a uno schema interpretativo generale: è già molto essere riuscito a darsi qualche spiegazione del proprio caso particolare, aver saputo seguire un sentiero riconoscibile.
E in questo percorso si devono risolvere problemi particolari, che – a sentirli raccontare da fuori – sono davvero imprevedibili: dal modo migliore di preparare un caffè espresso alla costruzione di una macchina che sappia distinguere da sola le monete, da come risolvere in fretta un problema parlandone al telefono alla difficoltà di mandare avanti un treno… si può dire che ognuna di queste storie coinvolge le situazioni in cui ci troviamo ogni giorno e ce le mostra così come sono. E ognuno di questi problemi coinvolge l’intelligenza, la sensibilità, la disponibilità, l’applicazione, e tutto l’insieme di valori su cui una vita si regge: solo che è la vita di ogni giorno, e questi concetti astratti devono tradursi in azioni concrete.
Insomma: l’incontro col suo libro mi è parsa un’occasione fortunata – probabilmente in condizioni normali non l’avrei mai visto in libreria (piccolo editore di un’altra regione, reparto che di solito non frequento) e se proprio l’avessi incontrato, il titolo e una rapida occhiata alla quarta di copertina mi avrebbero forse fatto concludere che non mi interessava particolarmente…
Sono certo di aver lasciato fuori da questo veloce discorso molti temi importanti, ma non mi sembra il caso di dilungarmi ancora; sarebbe bello se in qualche modo si potesse utilizzare nella scuola la sua esperienza – forse qualche mio collega gliene avrà già accennato; nel frattempo la saluto con la più grande cordialità.
Giuliano Galletti

Tra sogno e realtà

Foto di Gennaro Cibelli

Credetemi, questa volta è più difficile delle altre. No, non perché è stato meglio o peggio, quando hai passione per ciò che fai, quando riesci a viverlo fino in fondo, che non è che ti tocca sempre, a sera dallo zaino finisci per tirare fuori sempre le medesime, meravigliose, cose: l’unicità delle emozioni, la molteplicità delle esperienze, lo stupore di quelle facce fino a qualche ora prima sconosciute e che adesso vorresti ti fossero svelate come per incanto, occhio per occhio, ruga per ruga.
No, se questa volta è più difficile è perché questa volta sullo stesso palcoscenico, Castel San Giorgio, sono andate in scena più opere, diciamo almeno tre, ché se ci mettessimo di buzzo buono ne troveremmo di certo anche qualche altra: Bella Napoli, Le vie del lavoro, La storia dei luoghi come alternativa al degrado, con tutto quanto questo significa dal versante del numero dei protagonisti, della quantità di cose da raccontare, del rischio di scrivere un libro invece di un post, che poi non è detto sia una cattiva idea ma non è questo il momento e il posto giusto.
Insomma per farla breve non potendo scrivere di tutto, che poi magari è anche bello godersi le interviste video che pubblicheremo prima di quanto non vi aspettiate, mi limito per adesso a segnalare due cose, anzi tre:
la prima è che sono d’accordo con il mio amico Francesco Di Pace, se ci si mette assieme realizzare un sogno è meno difficile; propongo anzi, sono certo che a Francesco farà piacere, di adottare una frase di Ernesto Che Guevara, che più o meno diceva così: quando si sogna da soli è sogno, quando si sogna in due ha inizio la realtà;
la seconda è che anche senza citarle tutte, per le ragioni già dette e perché il risultato assomiglierebbe troppo a un elenco telefonico, di tre persone non posso fare a meno di dire, mi sentirei male, e di questi tempi è meglio evitare: la prima è Gennaro Cibelli, un uomo con una disponibilità d’altri tempi, dalle 11.00 am di ieri mattina alle 10 pm di ieri sera non ci ha lasciato un momento soli, ci ha guidato, ci ha portati, ci ha organizzati, ci ha messo in condizione di lavorare al meglio, abbandonando completamente per un giorno il suo negozio, il tutto senza essere mai invadente, semplicemente risolvendo i problemi prima che diventassero tali; la seconda e la terza sono Alessio Strazzullo e Cinzia Massa, che in vario modo mi accompagnano in questo viaggio, che se chiedete a loro vi diranno che sono insopportabile e questa cosa qui vi prometto che la metterò a posto anche perché è vera, ma voglio dire che senza di loro non avrei nessuna possibilità di veder trasformate le mie e le loro idee in fatti;
la terza l’ho già detta ieri sera, ma ieri sera mica c’eravata tutti i 172o e dunque la ripeto qua: mi piacerebbe che tra qualche tempo il viaggiatore che arrivasse a Castel San Giorgio trovasse all’ingresso della cittadina questo cartello: “Benvenuti a Castel San San Giorgio, dove chiunque fa una cosa, qualunque cosa sia, cerca di farla bene”. Sì, come avrebbe detto il grande Hans George Gadamar ci vorrà tanta pazienza e altrettanto lavoro, ma secondo me si può fare, Castel San Giorgio non è una metropoli, le persone si conoscono tutte o quasi, c’è una cultura antica dell’eccellenza anche nei lavori più modesti, c’è una voglia di emergere e di affermarsi molto diffusa. Bisogna dare a tutto questo un senso generale, bisogna farlo a partire dalla cultura, dai diritti, dai ragazzi, dalle scuole, facendo noi adulti un passo verso di loro, dando loro fiducia, incitandoli ad eccellere certo non solo nello studio ma anche nelle cose che piacciono a loro, non in quelle che piacciano a noi, a quelle ci arriveranno più avanti, quando si saranno abituati a fare bene le cose che piace loro fare.
Dite che la faccenda è molto più complicata? Rispondo certamente, ma io qui sto scrivendo un post, non un trattato. Aggiungo però che come diceva Confucio una marcia di 10 mila chilometri comincia con il primo passo, e che se si decide di partire io ci sto. Voi dite che è un sogno? N’ata vota? Ve l’ho detto, da soli è un sogno, se siamo in due è già cominciata la realtà.

Caro Vincenzo ti scrivo

Foto Storiche Liceo Carducci
Foto Storiche Liceo Carducci

Vi ricordate la mia Lettera a una professoressa? Mariagiovanna Ferrante ha risposto. Stasera passo per la Feltrinelli, prendo 25 copie di Bella Napoli e domani partiranno per Nola, destinazione  Liceo Classico Giosué Carducci. Posso dire che sono contento? Che già mi emoziono al pensiero di queste ragazze e questi ragazzi che leggeranno il mio libro, e poi ne parleranno con me, e poi magari scriveranno anche loro una storia di lavoro, di passione e di rispetto? Non sono contento, sono felice, oltre naturalmente che grato a Giovanna, alle/ai suoi colleghe/i, al dirigente scolastico Francesco Sepe, alle ragazze e ai ragazzi della V° C che hanno pensato potesse essere interessante fare questo percorso con le loro insegnanti. Basta, mi fermo qui, che domani a Castel San Giorgio sarà un’altra bella giornata ed è meglio non emozionarsi troppo. Sì, io me ne vado, ma voi non vi perdete il racconto di Mariagiovanna.

di Mariagiovanna Ferrante

In questo nuovo anno scolastico iniziato, per noi precari, decisamente in ritardo, mi sono ritrovata a gestire anche l’insegnamento di Geostoria, una sorta di “crasi” tra Storia e Geografia che, purtroppo, rischia di diventare né carne né pesce, complice il fatto che anche i testi in circolazione non sono poi così soddisfacenti, essendo a loro volta vittima di una riduzione degli argomenti sempre più impietosa, secondo quanto stabilito dai nuovi programmi, il tutto in contraddizione con gli obiettivi che vengono indicati dallo stesso ministero. Insomma una confusione, che dico, una tristezza. Giorno dopo giorno cerchiamo perciò di integrare la lezione con notizie più interessanti rispetto alla striminzita trattazione delle singole unità didattiche, di operare collegamenti tra le due discipline “accorpate,” di lavorare su entrambe contemporaneamente per cercare di facilitare tanto l’apprendimento quanto l’insegnamento.
E l’educazione civica? Non che prima chissà quanto ce ne fosse, ma è evidente che non adesso sembra non esserci più spazio, stritolata com’è in sole tre ore settimanali tra due discipline che non è poi così facile insegnare, visto che l’apprendimento mnemonico lascia il tempo che trova.
Proprio così, è stato proprio pensando alla triste sorte dell’educazione civica che ho riflettuto sul fatto che educazione civica è anche attenzione verso la società e verso il territorio a cui apparteniamo, rispetto per e persone, per la legalità e le regole, dignità del lavoro e di chi lavora. È vero, mi sono detta, anche se in troppi se ne dimenticano, l’esplicito riferimento al lavoro nell’art. 1 della nostra Costituzione non è per stato messo lì tanto per caso, ed è cosi che si è fatto strada nella mia mente il libro di Vincenzo Moretti, Bella Napoli.
Dato che, leggendolo, emergono, intorno alle persone e al loro lavoro, temi che vanno dal microcosmo dell’esperienza personale al macrocosmo dei problemi sociali, mi sono detta: “Perché no?”, e così ho esposto la mia idea prima alla coordinatrice di classe, la collega Maria Carolina Campone, e poi al Dirigente Scolastico Francesco Sepe, subito dopo.
Qual è l’idea? Quella di far leggere le storie raccontate da Vincenzo ai miei studenti di Quinta e invitare l’autore a discuterne con loro, in un giorno di lezione. Sono stata invitata a presentare la proposta in consiglio di classe, cosa che ho fatto, non senza aver fatto prima un “passaggio” con i ragazzi, sondando il terreno per verificare se la cosa destava il loro interesse.
Come è finita? È finita che avendo incontrato positive aperture da parte di tutti, dirigente, colleghi, studenti, consiglio di classe e avuta la conferma che l’iniziativa poteva partire ho telefonato al “Prof.”, chiedendogli di procurarmi le copie necessarie.
Dove ci porterà tutto questo? Non lo so. Dentro di me sono però molto fiduciosa. Prometto che vi tengo aggiornati.

Con le note e con le mani

Gennaro Cibelli, straordinario organizzatore dell’evento del 28 ottobre prossimo, nel quale presenteremo Bella Napoli e sentiremo testimonianze di lavoro e di passione, mi ha inviato le due foto che vedete sotto con il suo commento, che come potete immaginare sono felice di pubblicare. Lascio perciò la parola a lui, non prima però di avervi fatto notare che anche il grande Richard Sennett, ne L’uomo artigiano, iniste molto sul rapporto tra la musica e il saper fare e chissà che tutto questo non ci suggerisca qualcosa. Buona lettura.

RICORDI DI RAGAZZINO
di Gennaro Cibelli 

Il fabbro aveva la sua officina in via rescigno gran bravo artigiano.
Fin da bambino osservavo il suo lavoro lavorava il ferro battendolo con martelli sull’ incudine il ferro era reso incandescente sulla forgia che era una fucina sotto questa forgia c’era un mantice che soffiava aria e veniva azionata con una manovella il materiale che prendeva fuoco era il carbon cok io ero solito girare questa manovella.
Il ciclista aveva bottega poco lontano dal fabbro e non si contano le volte che mi aggiustava la bici, bucature maggiormente e noi tutti assistevamo all’aggiustatura i ragazzi eravamo tanti.
L’imbianchino era anche il proprietario della casa dove abitavo nei pressi questo aveva il deposito degli attrezzi e del materiale era uno che con maestria utilizzava i colori primari per realizzare tante tinte di nuance diverse.
Tutto questo avveniva in un raggio ristretto non piu di 100 metri da casa, insomma il “profumo” del lavoro e della passione non potevi proprio fare a meno di respirarlo.

Nelle foto Nasti Mario fabbro, Francesco Corvino ciclista (meccanico bici),  Enrico Spisso imbianchino, il mio insegnante di educazione fisica alle scuole medie Francesco Di Pace.

Qui Bella Napoli, a voi Bella Castel San Giorgio

Debbo la scoperta di Castel San Giorgio a Sabato Aliberti, a Gennaro Cibelli e a Francesco Di Pace, e vi assicuro che si sta rilevando più entusiasmante della scoperta di Tlön, Uqbar, Orbis Tertius che pure, grazie al genio di Jorge luis Borges, ha incantato la mia fantasia. Giorno dopo giorno, guidato da Gennaro, sto scoprendo la cultura del lavoro che contraddistingue questa cittadina in provincia di Salerno, la passione la quale le persone cercano di fare bene le cose che fanno, l’entusiasmo con cui intere famiglie condividono questa passione e questo approccio.
Stamane Genna Cibelli mi ha fatto l’ennesimo regalo, mi ha chiamato al telefono e mi ha fatto parlare con Antonio Zambrano, ebanista, il signore che vedete nella foto, che mi ha raccontato che ha cominciato a lavorare a 16 anni, che a 17 e mezzo già era autonomo, che oggi ha 89 anni, e mi ha detto che sarebbe onorato di avermi nella sua bottega.
Detto che l’onore è non una ma mille volte mio, aggiungo che mercoledì 26 ottobre sarò emozionato come un bambino quando lo consocerò, perché lui il venerdì successivo, il 28, alla presentazione di Bella Napoli ci sarà, ma ha detto che dirà al massimo una parola, perché si emoziona.
Sì, sono contento, questa di Castel San Giorgio è un’altra tappa importante sulle vie del lavoro, perché le storie di lavoro, di passione e di rispetto di Napoli diventeranno il pretesto per raccontare le storie di lavoro, di passione e di rispetto di Castel San Giorgio, perché questo è quello che cerco, perché a furia di parlarne e di raocntarne prima o dopo ci riusicremo a portare il nostro piccolo mattoncino per riportare il lavoro, la cultura del lavoro, al centro della storia di qeusto paese. Per intanto godetevi i link che vi ho incollato sotto da facebook,  sono solo alcuni dei testimoni che saranno presenti il 28 sera alla Confraternita dell’Immacolata. Ve lo devo dire?, e che ve lo dico a fare, se siete da quelle parti non mancate. E se non potete non vi preoccupate, Alesiso, Cinzia and me ci stiamo organizzando per fare in modo che da tutta Italia si possa partecipare all’evento. Per adesso cliccate sulla pagina dell’evento e non perdetevi nemmeno un post, naturalmente solo se vi piace.

Storie di lavoro, di passione e di rispetto

Lettera a una professoressa

1. Come ho scritto nella pagina dei ringraziamenti, che nelle mie intenzioni, nei miei libri, è sempre una pagina importante, Irene Gonzalez è connessa in molti modi a Bella Napoli. Ci ha lavorato, nel senso che ha trascritto tutte le interviste. Lo ha aiutato a crescere, nel senso che mi ha dato una mano a capire cosa volevo fare e come lo dovevo fare, a organizzare le storie, a non tradirne la complessità e le differenze. Lo ha incoraggiato, con quei suoi commenti live, via mail, via social network della serie «è troppo forte questa ragazza», «voglio diventare come questa maestra», «mamma mia che vita questo ingegnere». Ecco, ieri sera le connessioni tra Irene e Bella Napoli si sono ulteriormente ampliate, espanse, quello che mi frullava nella testa da un po’ di giorni si è come messo al suo posto e così mi sono deciso a scrivere questo post, che vi assicuro non è stato facile farlo e poi vi spiego perché.

2. Francesco, Caterina, Santina, Stefania, Concetta, Mariagiovanna invece non ci sono nella pagina dei ringraziamenti eppure anche loro c’entrano con questo post.
Francesco è Francesco Alì, dirigente della Cgil calabrese, giovedì 20 ottobre sarò assieme a lui e a Gherardo Colombo a Reggio Calabria, in un liceo, per l’avvio di un progetto sull’educazione alla legalità, una gran bella iniziativa, certo che vi tengo informati; ieri mattina Francesco mi ha detto che a seguire ci sarà una discussione sul libro di Gherardo Colombo, mi è sembrata una gran bella idea, la testa è tornata lì, dove la sera poi mi ha portato Irene.

3. Caterina (Vesta), Concetta (Tigano), Mariagiovanna (Ferrante), Santina (Verta), Stefania (Bertelli) per molte/i di voi sono nomi e volti noti, nella vita analogica così come in quella digitale (perché sì, ha ragione Adriano Parracciani, reale e virtuale ormai portano fuori strada), se stanno qui come rappresentanti di tante/i altre/i nomi e volti che tutti non posso citarli perché altrimenti viene fuori l’enciclopedia è perché sono legate in molti modi a quello che da un po’ di tempo mi frulla nella testa, perché sono legate alla scuola, ai ragazzi, al mondo dell’educazione, un mondo che nella mia piccola vita ha avuto sempre un posto grande.

4. Diciamo che è stata Caterina a dare l’accelerata. Mi chiama a metà luglio, mi chiede 40 copie di Bella Napoli e se le posso fare avere 1 euro di sconto a copia, è per le mie ragazze – mi fa – è una cosa simbolica, un’attenzione importante. Le dico entusiasta che quell’euro, come le pizze di Peppeniello, passano a due, 8 euro a copia invece di 10, ci metto anche io 80 euro ma per una soddisfazione così ne vale la pena. Vado alla Feltrinelli, le compro, quando alla cassa mi chiedono la Carta Più faccio mente locale che con i punti metà del mio investimento è recuperato, sono una persona normale con normali problemi economici che sono diventati un po’ meno normali da quando è separata e perciò sono contento, i libri partiranno il giorno dopo via corriere.
Il 24 settembre è il gran giorno, alle 10 Cinzia, Alessio and me siamo a scuola, scopro che a ogni studentessa che ha letto il libro è stato chiesto di scrivere un commento della storia che più l’ha colpita, un commento generale al libro e soprattutto il racconto di una storia di lavoro, in famiglia, tra gli amici o i conoscenti di cui sono orgogliose.

5. Il risultato di tutto questo lo conoscerete tra poco non appena la mitica Cirlene, l’unica delle Gonzalez Sister che ancora per qualche settimana è a Napoli, avrà finito di trascrivere in formato digitale tutto il malloppo fotocopiato, ma confesso che dal 24 settembre ogni tanto penso “adesso dico a Santina di aiutarmi ad organizzare la stessa cosa a Varese”, e poi mi dico “lascia perdere che già l’hai impegnata per la Bottega Ahref e per le iniziative sulla legalità”, e poi penso “adesso lo dico a Stefania” e poi mi dico “lascia perdere che ha appena organizzato quella bella presentazione del libro e non è che puoi stare a crearle problemi a così breve distanza”, e poi penso “adesso lo dico a Concetta” e poi mi dico “lascia perdere che la presentazione del libro e la Bottega Ahref già bastano e avanzano”, e poi penso “adesso lo dico a Mariagiovanna” e poi mi dico “lascia perdere che lei già la vita la deve prendere a morsi per riconquistare ogni anno il suo posto di lavoro”, e potrei continuare ancora ma credo basti così che adesso è venuto il momento di dire perché per me tutto questo è difficile.

6. Lo vogliamo chiamare conflitto di interessi?, ma sì, chiamiamolo così, in fondo di questo si tratta. Chiedere a delle/dei prof., amiche e amici oppure no, perché la mia proposta è aperta a tutte/i, di valutare la possibilità di avviare un percorso tipo quello realizzato da Caterina a partire da Bella Napoli non è proprio il massimo dell’imparzialità. Detto questo credo però di poter aggiungere almeno due cose a mio favore: uno, questo non è il primo libro che scrivo mentre è la prima volta che mi viene un’idea così e per favore non dite che Bella Napoli per me è più importante di Rione Sanità, di Enakapata o di Uno, doje, tre e quattro perché mi arrabbio; due, con i diritti di autore per coprire le spese che affronto per spostarmi a Varese piuttosto che a Venezia o in qualunque altro posto dovrebbero essere vendute ogni volta 200 copie del volume per non rimetterci dal punto di vista economico. Quello che voglio dire insomma è che a muovermi non sono né i soldi né la fissazione, piuttosto è l’argomento, e francamente credo che questo sia sufficiente a spostare l’ago della bussola.

7. Certo che Napoli c’entra con Bella Napoli, ma il tema centrale del libro è il lavoro, la passione delle persone per ciò che fanno, la loro vocazione a farlo bene a prescindere. Chi ha letto il libro lo sa che il lavoro è il filo conduttore delle mie molte vite, quella da figlio, da dirigente della Cgil, da prof. di sociologia dell’organizzazione, da presidente di Smile, da responsabile di società, culture e innovazione alla Fondazione Di Vittorio, da blogger, da scrittore. E con Bella Napoli quel filo conduttore, la cultura che esso ha alle spalle, non è più soltanto quella “cosa che fai con gioia, come se avessi il fuoco nel cuore e il diavolo in corpo”, come diceva Josephine Baker, è anche una possibilità per i i ragazzi, per i più giovani, per l’Italia, e questo dà senso alla mia vita.
Quando ho parlato alle ragazze di Marcianise dello spot nel quale Kate Moss dice “perché io valgo” e poi ho aggiunto “vi auguro con tutto il cuore che voi possiate dire invece: lavoro, perché io valgo” nell’applauso che si è propagato nella sala non c’era nulla di scontato; ecco, è questo ciò che cerco, non l’applauso, che comunque fa sempre piacere, la consapevole emozione che lo genera, la riflessione che lo segue, e in questa ricerca parto da ciò che più amo e conosco, il lavoro e Napoli, per intraprendere il mio viaggio in giro per l’Italia. Un viaggio che farò con Alessio sulle vie del lavoro, ma di questo vi parlerò tra qualche giorno, un viaggio che vorrei fare con voi nelle scuole, se qualcuna/o di voi ne avrà la voglia e la possibilità, ne condividerà il senso.

Questo è tutto, tanto, troppo. Come dice il mio amico Daniele Riva, resto in ascolto.

Bella Napoli, Marcianise, Caserta

* Grazie di cuore a Caterina Vesta, alle/i ragazze/i che hanno partecipato all’incontro, a Umberto Riccio, Alessio Strazzullo, Cinzia Massa 🙂
** Per quanto mi voglia bene, e me ne voglio, non sono ancora arrivato al culto della personalità e dunque mi sarebbe piaciuto molto pubblicare gli interventi e le domande delle ragazze, ma molto di loro sono minorenni e la cosa avrebbe comportato un surplus di burocrazia non indifferente. Il montaggio di Alessio Strazzullo ha cercato di limitare i danni e per il resto “noi speriamo che ce la caviamo”.

Una giornata particolare

5.30 a.m.
Inutile stare ancora a rigirarsi da una parte e dall’altra, la nottata è stata partcolarmente  travagliata, prima o dopo ci riuscirò a non farci più caso, tanto vale fare le cose con calma, ma sì, persino con lentezza, l’appuntamento con Alessio e Cinzia è alle 8.15 a Campi Flegrei, non c’è fretta.

6.20 a.m.
Denti, doccia, una botta ma proprio solo una botta con il phone, i capelli super corti sono mitici, jeans, maglietta e scarpe, le scale che mi portano giù fino al corso, il bar, cornetto pasta sfoglia crema e amarena e poi la madre di tutti i caffé, come ogni mattina, chiacchiere cortesi con il barista, due minuti al tavolino giusto il tempo di una partita a dama con l’i-phone, funicolare in salita, scale sempre scale fortissimamente scale, perché sì, abito in un posto meraviglioso ma solo fino a quando gli dei dellle gambe continueranno a vegliare su di me, e sono a casa again.

7.05 a.m.
Denti, via la maglietta, messa su la camicia e anche la giacca, 6 copie di Rione Sanità e una di Bella Napoli nello zaino e si parte, prima tappa La Feltrinelli Express della Stazione Centrale, compro altre 6 copie di Rione Sanità, 5 le porterà Cinzia, la sera abbiamo una presentazione a Marcianise e speriamo di venderne un pò. Sì, non ve l’ho detto ancora, ma i nostri amici Caterina Vesta, Umberto Riccio, Vera Tartaglione, con l’associazione Amici del Libro, in occasione della Festa dei Lettori hanno organizzato per la mattina un incontro con le studentesse (ci sarà anche uno studente uno, Michele) dell’ISISS G.B. Novelli di Marcianise, per il primo pomeriggio la lettura recitate da alcune pagine di Pinocchio a cura della compagnia teatrale Personae, a seguire la presentazione di Rione Sanità in collaborazione con l’Associazione Progreditur e la Pro Loco Marcianisana.

8.19 a.m.
Arrivo a Campi Flegrei con qualche minuto di ritardo, ma per una volta la colpa non è della metropolitana. È che alla Feltrinelli Express ho perso tempo per la mia carta di credito che si è smagnetizzata, io che mi sono innervosito un bel po’ al pensiero di cominciare la settimana in banca, sì mi sono sentito molto vicino ad Angelo M., uno dei protagonisti di Bella Napoli, quasi mi venivano i brufoli sulle braccia per il disappunto. Della serie anche gli impicci non vengono da soli mi sono dimenticato di tirare fuori la mia tessere Feltrinelli e mi sono perso anche lo sconto, anzi no, perché la cassiera, molto gentile, dopo aver chiesto le autorizzazioni del caso ha annullato l’operazione di pagamento precedente e mi ha fatto pagare di nuovo caricandomi i punti sulla carta. Ora voi direte “mamma mia come sei pignolo” e invece no, è che mi da molto fastidio fare tardi e sto spiegando perché è successo. Infatti Alessio ci ha provato a farmi notare il ritardo, sperava di rifarsi delle mezzora di ritardo che fa lui, e invece no, anche perché Cinzia non era ancora arrivata. In realtà abbiamo fatto in tempo a farcela una bella risata, lui che protestava perché non è vero che fa tardi anzi è molto preciso, ma è durata neanche un minuto, il tempo che la Toyota Aygo di qualunque colore purché fosse nera ha voltato l’angolo e siamo saliti.

9.10 a.m., minuto più minuto meno
Siamo a Marcianise, bisogna scegliere il bar per fare colazione. “Ecco fermiamoci qui”, “no-oo, troppo modello discoteca”; “proviamo qui”, “non c’è posto per parcheggiare”; “ecco, guarda quello sulla sinistra”, “è chiuso”, “questo ha il caffè Passalacqua, non voglio sapere niente, ci fermiamo qui”, “va bene va bene, tanto bisogna fare sempre come dici tu”. Azz., sempre come dico io, lasciamo perdere va, che è meglio. Entriamo, e alla macchina del caffè c’è il mio amico F., ci siamo conosciuti più di 25 anni fa al Bar Mexico, alla Ferrovia, incredibile. Abbracci, strette di mano, “che ci fai qua”, “che ci fai tu”, “due cornetti, due caffè e una spremuta di arancia”. Sì, Alessio non ha voluto niente da mangiare, “ho già fatto colazione”, “anche io – gli dico”, “si ma tu sei un caso a parte”. Cinzia un po’ mangia, un po’ ridacchia, un po’ sorseggia il caffè.

9.50 a.m.
Siamo a scuola, a riceverci Caterina Vesta, la prof . mia amica che ideato e diretto l’iniziativa a scuola. Alessio si è portato macchina fotografica – cinepresa, cavalletto, varie ed eventuali, l’evento merita, e poi secondo lui per imparare a fare bene una cosa la devi fare, non la puoi solo studiare. Dite che ha ragione?, lo penso anche io, Cinzia poi su queste cose qua è capace di parlare giornate intere, ma oggi siamo qui per Bella Napoli e perciò non tergiversiamo.
Caterina ci presenta la Preside (sì, dirigente scolastico non mi piace, sa troppo di impresa, e la scuola per me non è un’impresa, e per voi?), a lei tra qualche minuto toccherà introdurre la discussione e lo farà con parole e concetti non banali, tenendo insieme il valore della lettura, il valore della cultura e il valore del lavoro.
Nel frattempo l’aula si è riempita di ragazze, le sedie non bastano, mi prende un’emozione forte, il vantaggio dell’età è che si riesce a gestirla, in parte, poi ci pensa Caterina a mettermi a mio agio, a ritornare sul percorso che ci ha portato i ragazzi, lei, mi, qui ora: la lettura di Bella Napoli durante le vacanze estive, la discussione in classe, la ricerca degli articoli della Costituzione che parla del lavoro, a partire dall’Art. 1., l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, una delle domande non a caso riguarderà questo punto e la poco coerenza tra quello che c’è scritto nella Costituzione e la realtà, l’indicazione di scegliere una delle storie che compongono il libro e di riassumerla, poi di commentare il libro nel suo complesso, infine di cercare in famiglia, tra gli amici, i conoscenti, storie di persone che si sono particolarmente distinte per il loro attaccamento al lavoro, e di fare tutto questo cercando di tirare fuori ciò che ciascuna di loro veramente pensa.
Propongo di soffermarci ancora su questo percorso e di farlo con un esempio, quello di Luisa B., classe quarta, che ha scelto di riassumere la storia di Emma F., ha scritto il suo commento, ha scritto la domanda che mi voleva fare e soprattutto ha scritto una pagina e mezza di foglio protocollo su Domenico B., suo padre, sul suo rapporto con il lavoro. Un pezzetto piccolo ve lo voglio far leggere, quello dove Luisa scrive “Mio padre ha cominciato a lavorare molto piccolo, essendo nato negli anni 70, dove le famiglie in genere erano molto numerose e i soldi non bastavano per sfamare tutti. Infatti lui è il penultimo di nove figli, mio nonno e mia nonna già facevano molti sacrifici lavorando nei campi. Posso dire che a causa di queste condizioni ha fatto moti sforzi per gestire al meglio sia il lavoro che la scuola, perché non è che lavorando ha abbandonato gli studi, questo no. Comunque ha lavorato fin da quando aveva 11 anni, la mattina andava a scuola e il pomeriggio a lavorare nei campi. In seguito ha trovato altri lavori, facendo un po’ di tutto, come il meccanico, ha fatto il tabacco, ma solo per poco tempo, perché già allora c’era molta difficoltà a trovare un lavoro stabile”.
Mi fermo qui, anzi no, perché vi devo dire ancora tre cose: la prima è che la storia di Luisa, come tutte le altre, prima o dopo le pubblicherò su questo blog; la seconda è che questa storia non l’ho scelta per un motivo particolare, più bella, più appassionante, più qualcosa, ma soltanto perché è la prima del fascicolo fotocopiato che custodisco gelosamente a casa mia; la terza è che come molti di voi sanno un lavoro del genere ha un valore culturale e pedagogico enorme, permette a queste ragazze che sono investite ogni giorno da storie di veline e compagnia bella, anzi brutta, di riflettere sulla fatica, sull’impegno, sulle persone che hanno intorno, sui sacrifici che sono necessari perché loro possano vivere con decoro, avere una vita migliore di quella avuta dai genitori, avere più opportunità, poter studiare invece che lavorare a 11 anni. Una volta il mio amico Luca De Biase ha scrritto che ci sono insegnati che sono degli eroi, io dico degli eroi normali, non aggiungo altro, Caterina è mia amica, il peggio che posso fare è mettermi qui a farle mille complimenti.

0.10 p.m.
Sto mettendo la firma e scrivendo qualche parola sulle copie del libro delle ragazze. Sono stravolto dalla fatica e dall’emozione, Cinzia, Caterina e Alessio mi prenderanno in giro per tutto il resto della giornata, ma va bene così.

6.10 p.m.
In parte mi sento in colpa e in parte no. Mi sento in colpa perché la lettura di Pinocchio non sono riuscito a seguirla come meritava, un po’ il caldo, un po’ la mia difficoltà a ritrovare concentrazione, un po’ una zanzara che a un certo punto ha cominciato a mangiarmi le caviglie. Io lo so come ci si sente quando una fa una cosa a cui tiene e intorno non vede l’attenzione necessaria, chiedo scusa agli amici della Compagnia Personae, giuro che non l’ho fatto apposta. Non mi sento in colpa perché caldo faceva caldo davvero, perché la zanzara è stata veramente una carogna, perché sono un essere umano consapevole che da lì a due ore avrebbe dovuto presentare un libro mentre le cosa che desiderava fare di più era tornarsene a casa e dormire.
Comunque adesso tutto questo è alle nostre spalle, siamo nella sede dell’Associazione Progreditur, di fronte a noi l’attesa delle persone è più per la partita del Napoli che per il libro, il presidente dell’Associazione ci saluta con grande cortesia e disponibilità, ma sarei falso se non dicessi che le condizioni per scoraggiarsi erano di gran lunga maggiori di quelle incoraggianti. E invece no, faccio un cenno di intesa con Cinzia, Caterina ancora una volta ci aiuta con la sua introduzione, poi ormai abbiamo il format che abbiamo lanciato a Sorrento, Cinzia racconta il libro, lei ci ha lavorato da pazzi ed è giusto che sia al centro della ribalta, io leggo qualche pagina, anche se stasera dico anche qualche cosa per introdurre la lettura.
Eccolì là, Ernesto Albenese e Padre Antonio Loffredo, la cooperativa La Paranza e La Sanitansamble, Elena Guidotti Della Valle e Vincenzo Pirozzi, Le Catacombe di San Gennaro e il Cimitero delle Fontanelle, la chiesa di Santa Maria La Sanità e il palazzo dello Spagnolo che si materializzano davanti ai nostri occhi, Cinzia ce li fa vedere, ce li fa toccare, a un certo punto quando dice “venite a visitarle le Catacombe, sono bellissime” una persona dalla sale le risponde orgoglioso “già fatto, io ci sono stato”. Sì, è stato un successone, abbiamo venduto quasi tutte le copie del libro che avevamo con noi, mi hanno chiesto anche 2 copie di Bella Napoli, peccato che non ce le avevo, però ho detto a Caterina che gliele faccio avere, poi magari mi aiuta lei.

8.50 p.m
Sono a casa. Il viaggio di ritorno è stato sereno, gioioso, divertente, a parte Alessio che fremeva perché aveva appuntamento per la partita del Napoli. Accendo il mio Mac, clicco su facebook, 10 studentesse si Caterina mi hanno chiesto l’amicizia, sono contento, penso “certo che sono davvero una persona fortunata” ma questo ve l’ho raccontato già, stanotte ho dormito una bellezza. Dite che è la stanchezza? Non sono d’accordo, penso di più perché ero troppo contento.

La Napolitudine di Antonio Volpe

Sorrento, 6 Agosto 2011

Cari amici,
ho raccolto ieri nei commenti del dopo-serata molti giudizi positivi. Napolitudine era nata, come tante altre nostre iniziative – che definisco in senso buono “provocazioni culturali” – come una scommessa: portare libri ed autori in piazza, in mezzo ai vicoli di Sorrento, fuori dalle aule, dalle biblioteche, era davvero un azzardo.
Voi, Vincenzo, Cinzia e i tanti altri Autori della rassegna, avete accettato la sfida, vi siete messi in gioco con noi, vi siete lanciati con noi nel vuoto “senza rete” ed il pubblico ha gradito: ha applaudito la vostra sincerità, ha simpatizzato per la vostra humanitas che avete trasmesso tramite le parole ed il sorriso.
Le storie che ci avete raccontato erano “straordinarie” perchè erano storie di persone comuni; oggi la TV ci mostra del sud Italia e di Napoli in particolare solo storie di persone” eccezionali”, in senso positivo o in quello negativo (l’eroe sportivo o il boss della camporra) dimenticando il 99% fatto di persone “normali”. Come recita il sottotitolo di “Bella Napoli”, ci avete fatto conoscere le “storie di lavoro, di passione e di rispetto” di chi ogni mattina non si veste da supereroe ma da artigiano, insegnante, operaio, scienziato, barista, perito chimico e così via. Di chi con la propria normalità mantiene accesa la speranza e rende meno evanescente la possibilità di cambiare. Persino quando non lo sa”.
Ecco, ieri sera il pubblico ha apprezzato questo messaggio e si è creato quel feeling che costituisce il segreto del successo di una iniziativa come questa. Aii tanti amici che seguono la nostra rassegna letteraria consiglio la lettura di questi due libri (Rione Sanità e Bella Napoli) che sono in vendita presso la Bottega d’arte di Luciano Russo in Via Tasso; invitiamo poi i giovani a leggere questi libri perchè vi troveranno tanti modelli di vita, tanti percorsi esistenziali, tante storie di “ordinario coraggio e di straordinaria umanità”, altro che gossip di veline, calciatori o imprese criminali di gente senza valori.
Grazie Vincenzo, grazie Cinzia, per averci ricordato che esiste un’altra Napoli, un’altra Italia!
A Presto rivederci!
Antonio

Quando vendi un libro

foto di Adriano ParraccianiOggi, 26 luglio, anno di grazia 2011, ore 6.30 p.m..
Il treno A.V. ci ha portato a Napoli, Stazione Centrale, con circa 20 minuti di ritardo, ma con i chiari di luna di questi giorni causa incendio a Roma Tiburtina Cinzia and me ci sentiamo come se fossimo arrivati in perfetto orario, anzi meglio.
Uno sguardo alla tabella dei treni in arrivo per capire a che ora arrivama Francesco, il figlio di Cinzia, ed entriamo alla Feltrinelli Express dove Francesco, il direttore, sta parlando con una ragazza che chiede un consiglio su un libro di Camilleri da regalare alla madre.
Per la serie “è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che io mi faccia i fatti miei” dico alla ragazza “Il re di Girgenti. Fidati, è un libro straordinario”. La ragazza mi guarda, accenna un sorriso tra il divertito e il grato, e mi dice “mi fido, vada per Il re di Girgenti”, mentre Francesco il direttore con il suo “Buonasera prufessò” un pò mi saluta, un pò mi sfotte, un pò si prende il tempo necessario per verificare se il libro c’è.
Il libro ci sta, ma non si trova, in un posto dove passano migliaia di persone al giorno può accadere per tante ragioni che un libro sia difficile da trovare, ad esempio perché un lettore interessato l’ha preso dallo scaffale dei romanzi e leggendo leggendo la quarta di copertina e magari anche un pò del primo caitolo l’ha lasciato sullo scaffale delle guida da viaggio. Naturalmente tempo qualche minuto e il libro sarebbe venuto fuori, soprattutto se non ci fossi stato io da quelle parti.
Cosa c’entro io? C’entro, c’entro, perché ho approfittato del buoco temporale che si è creato e ho detto alla ragazza “se proprio non si trova il libro di Camilleri può comprare il mio libro, Bella Napoli, che pure è molto bello anche se non come quello del grande crittore siciliano”.
Come è andata a finere l’avrete intuito già: la ragazza ha comprato Bella Napoli, le ho scritto anche una dedica per la madre, e sono stato contento come una Pasqua.
A proposito, non vi ho detto ancora che quando leggerete Rione Sanità vedrete che l’ultimo capitolo comincia così:
“Il re di Girgenti è uno stupendo romanzo di Andrea Camilleri, uno di quei libri così belli ma così belli che a un certo punto ti dimentichi che lui è Camilleri e tu invece no e pensi “ma perché non l’ho scritto io?”.
Debbo la sua scoperta alla mia amica Concetta Tigano che me lo ha regalato ai primi di aprile appena arrivato a Catania per la presentazione del mio libro Bella Napoli.
E non vi ho detto neanche che quando sono tornato a casa sulla mia pagina Facebook ho trovato questa citazione postata sempre da lei, la mia amica Concetta: Quando vendi ad un uomo un libro, non gli vendi 12 once di carta, un pò di inchiostro e della colla, gli vendi un’intera nuova vita. (Christopher Morley)”.
No no, non scherzate, se non credete a me ci sta Cinzia come testimone, Concetta con Cinzia and me alla stazione non c’era. Dite che è soltanto una coincidenza? Rispondo può darsi, ma aggiungo che personalmente alle coincidenze credo poco. E voi?

Come una cosa normale

Angelo M., sì, proprio lui, uno dei protagonosti delle storie di Bella Napoli, nel corso della presentazione a Sorrento nell’ambito della rassegna Napolitudine, ha aggiunto un nuovo piccolo grande capitolo alla sua storia, raccontando che all’inizio della sua avventura in inghilterra, nell’azienda leader mondiale delle “vending machines” lui e i suoi colleghi ingegneri napoletani fosseri definiti “mozzarella cheese”, senza razzismo per carità, giusto un pò di presa in giro, quanto basta per evidenziare che loro erano si colleghi, ma in fondo colleghi di serie A2 se non proprio di serie B, e di come invece qualche tempo dopo, grazie allo sviluppo del prodotto reso possibile dal lavoro di Angelo e del suo team, un giorno solo apparentemente uguale agli altri il responsabile del team inglese cancellò quello che aveva scritto alla lavagna e chiese ad Angelo di illustrare il processo che li aveva portati a raggiungere quei risultati senza precedenti.
Questioni di lavoro, di dignità, di rispetto. Questioni di riscatto, come ha detto ieri sera Cinzia mentre parlavamo di Rione Sanità, della presentazione di stasera a Villaggio Coppola, di questo nostro tentativo di raccontare Napoli attraverso le persone normali, persone che non amano definirsi eroi, persone come quelle che partecipano alle iniziaive di CleaNap e scrivono su un pezzo di lenzuolo “noi non siamo angeli, siamo solo gente stanca di questa schifezza”.
Sì, con Cinzia ce lo siamo detti ancora ieri sera, ammesso e non concesso che ce la faremo, ce la faremo grazie alle persone normali, quelle che concretamente e metaforicamente puliscono l’uscio della proprio casa perché sanno che solo così la loro città sarà pulita. Persone come Angelo, come Vittoria, come Salvatore, come Gina. In fondo se Cinzia and me continuiamo ad andare in giro raccontando le loro storie è un po’ perché ci speriamo e un po’ perché mentre speriamo ci piace portare il nostro piccolissimo mattoncino alla costruzione di una Napoli migliore, la Napoli che si riscatta puntando sulla cultura e sul lavoro, ogni giorno, in maniera semplice, come una cosa normale. Ci vediamo domani, che vi racconto stasera come è andata.

Il Genio dei Napoletani

di Marcelle Padovani
traduzione di Irene Gonzalez

Napoli continua a sedurre l’immaginario eurpeo. Questa città di 963.000 abitanti, che custodisce gelosamente lo statuto di “capitale della cultura italiana” è oggi devastata dal problema di rifiuti. Tonnellate e tonnellate di sacchetti della spazzatura invadono ciclicamente le sue strade, i ratti sono i re delle vie e la camorra ingrassa con i rifiuti (gestendone trasporto e smaltimento).

Ma Napoli è anche altro: un luogo estremo, che la rende la più grande e affascinante città del Mare Nostrum, il Mediterraneo, l’ultimo bastione dell’Occidente di fronte al Maghreb e all’Oriente. Un luogo estremo che genera senza sosta esperienze estreme. Alcune sono al limite con la disperazione (come nel caso del movimento assolutamente nuovo “Pizza no pizzo”, la pizza senza la percentuale che reclama la mafia locale).

Altre sono particolarmente significative da un punto di vista sociologico. E’ il caso di quelle che riguardano il problema del lavoro.

Si parla molto nel mondo occidentale, e con ragione, di lavoro “precario”, ma a Napoli, il lavoro, precario lo è stato sempre, sempre a inventare, a costruire, a difendere, a organizzare…Lo testimonia un libro appassionante, “Bella Napoli”, firmato Vincenzo Moretti e edito da Ediesse. Il suo sottotitolo dice tutto: “Storie di lavoro, di passione e di rispetto”.

Si tratta di una serie di racconti in prima persona di vite che girano quasi ossessivamente attorno al lavoro, dalla maestra di scuola all’artigiano, all’operaio, al barman, passando per lo scienziato. Sono racconti di persone che non si sono mai arrese, che hanno oltrepassato con fatica e ostinazione l’inefficienza, l’indifferenza e la superficialità della pubblica amministrazione. Degli eroi dei nostri giorni, la cui storia potrebbe sorprendere quelli che non conoscono altro che la Napoli dei mandolini, dei pini, del Vesuvio e della pizza, ma che in realtà testimoniano lo straordinario laboratorio creativo che questa città è e resta – che si tratti di trasmissione dei saperi, che si tratti di ricette di sopravvivenza, che si tratti di scoprire nuove strade verso la modernità.

Napoli è dimora di una città appasionante, sorprendente per la sua ricchezza e la sua creatività, che è candidata a capitale mondiale della cultura nel 2019. Nonostante i ratti e i rifiuti. Grazie alla genialità dei Napoletani.

Qui trovate l’articolo di Marcelle Padovani

Ciò che va quasi bene … non va bene

E’ stato il prof. Francesco Di Pace, nel corso della presentazione a Siano di Bella Napoli, a ricordare il motto che fa da titolo a questo post e a spiegare che era era scritto sulle porte delle Botteghe degli artigiani Michelangioleschi del legno e del ferro.
Su Facebook potete leggere la sua nota dove è pubblicata anche questa bellissima fotografia, e dove il nostro caro Prof. ricorda questa parte della discussione, che comunque riporto anche nel commento sottostante con le considerazioni e gli interventi che la nota stessa ha suscitato.
Da parte mia intendo sottolineare la bellezza di questo modo di dire, Ciò che va quasi bene … non va bene, e lo straordinario approccio al miglioramento continuo che esso sottende.
Sì, mi piacerebbe molto che la prima discussione vera su questo blog avvenisse attorno a questo tema, dunque aspetto i vostri commenti, le vostre riflessioni, i vostri interventi.
Buona partecipazione.

Bottega dell' arte: falegnameria a Castel San Giorgio
Bottega dell' arte: falegnameria a Castel San Giorgio

Fravécature

Mercoledì scorso a Siano la presentazione di Bella Napoli ha avuto inizio così. Poi sono accadute tante altre cose belle, che anche quelle poi prima o poi ve le racconto, ma voi intanto godetevi questa bellissima poesia recitata da Luigi. A proposito, alla fine Luigi mi ha detto che se avesse avuto un professore come me la scuola non l’avrebbe lasciata. Lui l’ha detto sinceramente, e sarei vigliacco a non ammettere che mi ha fatto anche piacere, ma la verità è che quando si è ragazzi non sempre si capisce fino in fondo il valore delle cose, e poi, come diceva il maestro Alberto Manzi, non è mai troppo tardi. Per favore ce lo dite voi a Luigi che fa ancora in tempo che se glielo dico io sempre io solito prof. rompi b.?
Buona visione.

Santa Maria Verta

Incredibile ma vero, Santa Maria è il suo vero nome di battesimo, quando me lo ha detto persino Santina m’è sembrato un nome normale, me lo sono immaginato come un argine, come l’eroico tentativo di non rimanere schiacciata sotto cotanto peso, pensate, una bambina e poi una donna e poi un’insegnante e poi una moglie, una mamma e una nonna che si chiama Santa Maria Verta, mica una cosa da poco in un Paese come il nostro, roba che al confronto Peppe ‘a Lenta, Totonno tre palle e Gennaro topolino e persino Shrek e Rita Pavone, come siamo stati battezzati io e Cinzia dai ragazzini del Rione Sanità, sono bazzecole, quisquiglie, pinzillacchere.
Del resto quando hai a che fare con Santina il confine tra il credibile e l’incredibile è molto labile, è come vendere 100 copie di Bella Napoli a Varese e farla sembrare la cosa più normale del mondo e non dite che non c’entra niente perché le 100 copie a Varese lei le ha vendute veramente. Ecco, direi che lei riesce a fare cose che tu diresti che non si possono fare, per la verità anche quando ti porta in giro con la sua automobile, ma questo è un altro discorso, che magari sono io che sto diventando paranoico quando sto in auto.
Sì, qui io intendo parlare della sua prorompente ospitalità. Della pastiera e della parmigiana di melenzane. Dell’amicizia che non è solo il suo modo di prendersi cura di te ma il modo in cui anche le sue amiche e i suoi amici si prendono cura di te. Del divano, al quale prima o dedicherò il post più bello della mia vita. Delle chiacchiere senza se e senza ma, perché lei, come te, è come quelle radio sempre accese che qualcosa ti dicono sempre. Dei ricordi e delle radici e del clan dei calabresi che se stai ancora un giorno assieme a lei ti convinci che Varese è stata fondata da loro, anzi no dai cosentini, anzi no da quelli di Cittadella che tanto lì intorno trovi paesini di 5 mila anime che almeno mille arrivano proprio da lì. Di Gigi che sta sempre lì che tu lo vedi proprio di fianco a lei e ti viene voglia di salutarlo, di Venere che non è il pianeta ma la figlia perchè anche lei e Gigi in fatto di nomi non è che si siano fatti mancare niente, dei nipoti che te li vedi zompettiare intorno anche se non li hai visti mai. Della cena e del suo vorrei invitare anche il tuo amico Enzo Galietti e la moglie che dici posso farlo?, ma certo che puoi farlo, al massimo ti dice di no. Delle lacrime, delle risate, e persino delle scale che continua a salire e a scendere, su e giù, cento volte al giorno, mentre ti spiega che lei le scale non le può proprio fare.
Sì, Santina Verta è tutto questo, è anche di più, molto di più. Santina è l’emozione che cammina, è il rispetto che si è conquistata con il suo lavoro e la sua umanità, è la voglia di emancipazione di una ragazza di Calabria che le sue rughe se l’è guadagnate tutte, una a una, con passione, impegno, coraggio, amore.
Grazie Santina, è una gioia averti come amica.

Spostare il limite

© foto di romano magrone
© foto di romano magrone

Il bellissimo post di Luca De Biase sul prossimo futuro di Nòva, bellissimo per tante cose ma prima di tutto per lo spirito, l’approccio, la tensione che lo anima, sì, come diceva Totò “signori si nasce” e il mio amico Luca, modestamente, “lo nacque”, finisce così:
“Che succederà poi? Nella vita ci si adatta, si fa quello che è possibile. Ma il limite del possibile può essere spostato. E, nel nostro tempo, ce n’è molto bisogno”.

L’ultimo racconto di Bella Napoli, quello di Beppe D.V., artigiano, finisce così:
Qualsiasi cosa si faccia, ritorno agli insegnamenti di mio padre e mia madre in questo senso qua, va fatta bene, sempre con la consapevolezza dei propri limiti, sempre con quella determinazione e quella voglia di spingere che sono necessarie per superarlo in avanti, il limite. Sì, perché il limite si sposta con noi, non è fisso. Il segreto in fondo è tutto qui: vivere con questo senso del limite e con questa necessità, questa urgenza, di spostarlo in avanti, anche se “avanti” è anch’esso solo una parola, un modo di dire. Non vorrei sembrare esagerato, ma io in questa storia del limite e del suo spostamento ci vedo il senso della vita di un uomo. La vita di un uomo nel divenire.

Forse non c’entra niente, forse sono io che continuo a cercare connessioni anche dove non ci sono, o forse invece c’entra, forse non è un caso che tutti e due, il giornalista e il restauratore, amano parole come “bottega”, “artigiano”. Sì, io dico che c’entra, ma anche se non c’entra mi è piaciuto raccontarlo.

Ciao Eduardo !

di Giovanni de Rosa

Giovedì sera 2 giugno, Festa  della Repubblica, su invito di Santina un’amica insegnante , ho partecipato  alla presentazione di un libro, fatta dall’autore stesso.  Te ne parlo con una nota in FB, perché sono certo che comunque lo avrei fatto a voce, se avessimo potuto incontrarci: spesso infatti abbiamo parlato di libri nei nostri pochi ma intensi incontri. E ricordo bene il piacere che spesso provavamo nello  scoprire interessi comuni , condivisione di giudizi e valutazioni su di un libro o sull’autore . Ricordi gli ultimi libri che ci siamo scambiati ? E’ stato in occasione  degli  auguri di Natale 2010: tu mi hai regalato “Preferisco il Paradiso” di Pippo Corigliano ed io ti ho regalato “Ogni cosa alla sua stagione “ di Enzo Bianchi.  Di quei momenti porterò sempre nel cuore la luce che ti illuminava, mentre parlavi di Enzo Bianchi  e mi raccontavi del piacere che avevi provato nel leggere  un’altra sua opera  , “il pane di ieri “, ma soprattutto  non dimenticherò mai come ti brillavano gli occhi mentre, scorrendo qualche pagina di “ Ogni cosa alla sua stagione” , posavi lo sguardo sul titolo di qualche capitolo: ”i giorni del presepe” , “i giorni della memoria”, “la cella sempre con me”, ecc… Ti piacque molto la mia scelta , perché per  te come per me, personaggi come Enzo Bianchi, sono stati sempre fari , stelle ad orientarci lungo il cammino !
Edu, mi sono dilungato e sono andato fuori tema:  non è infatti  del Priore di Bose e dei suoi scritti che oggi  voglio parlarti , ma di un altro autore, lontano da lui per cultura, per stile e scelte di vita, ma  vicinissimo a lui  per  l’attenzione agli uomini, al loro lavoro, alle loro storie, alle loro sofferenze .
Il libro ha come titolo “ Bella Napoli. Storie di lavoro, di passione e di rispetto”, l’autore è Vincenzo Moretti napoletano  e sociologo, che insegna  sociologia dell’organizzazione  nell’Università di Salerno.
La mia amica lo conosce bene, io molto meno ( pur avendo scoperto di avere a Salerno amici comuni ) ma mi è bastato sentire il titolo del libro e il fatto che Moretti insegnasse a Salerno per attrarmi fatalmente: quella serata non me la sarei mai persa. “Bella Napoli” è una raccolta di 12 racconti o, meglio,  12 “avventure di terroni” . Biografie vere , di persone che l’autore ha conosciuto e intervistato personalmente, 12 biografie belle e che fanno più ” bella” Napoli  , pur nelle sue mille contraddizioni.  Moretti nell’arco di poco meno di due ore volate via come il tempo , brevissimo ,che io e te abbiamo passato insieme, ci ha offerto, anzi affrescato  qualcuna  di quelle 12 vite, e l’ha fatto con l’amore di una madre che racconta i sacrifici, l’onestà , la generosità e anche qualche tic dei figli, e lo ha fatto con la profondità  narrativa di un sociologo, che è anche un affascinante comunicatore e un bravo narratore. Tra le storie che ha scelto per presentarci il suo libro c’è quella di “ Antonio M. “di Secondigliano, ferroviere .  E’ stato un  caso ?
Edu , io non credo al caso, come te preferisco pensare alla Provvidenza. Comunque quella sera non mi sono perso una parola della narrazione del prof Moretti, non mi è sfuggita neppure la più banale  sfumatura e così mentre il prof. pronunciava  “Antonio”, le mie orecchie sentivano “Eduardo”e io ( benché non ti abbia mai visto in abiti da lavoro) oltre le sue parole, vedevo te fiero ed finemente autoironico, con in testa il tuo bel  “berretto rosso” .
La  storia di Antonio, mi ricorda un po’ la tua storia. Te ne leggo qualche riga, in particolare quella che riguarda il suo trasferimento a Bologna , ti piacerà: Io l’ho letta e riletta … mi sembra  di leggervi cose che tu mi hai raccontato. Ascolta: “… per me è stato normale fare i concorsi e però allo stesso tempo partire per cominciare a lavorare, magari in attesa di lavori migliori, per crearmi un’autonomia economica, per sentirmi libero, avere un mio spazio,una mia casa, dei miei rapporti. E poiché questo non era possibile, allora come oggi, a Napoli, diciamo che mi sono dato la libertà di scegliere Bologna perché è una città che mi sembrava  – ritengo ancora oggi  di aver fatto la scelta giusta – potesse rispondere alle esigenze che avevo, sia perché non era molto grande, sia, soprattutto, perché aveva nel suo dna , e ancora per certi aspetti le è rimasta ,la cultura della solidarietà, della collaborazione, insomma la cultura dell’altro.
Ricordo che anch’io all’inizio mi stupivo che non ci fossero carte o comunque cose lasciate in mezzo alla strada o nei cestini o nei carrelli della spesa, ma quello che davvero ti colpiva era proprio il concetto dell’altro, il concetto del  vivere sociale, il rispetto del lavoro e di chi lavora che, come dicevo, ancora oggi c’è, anche se negli ultimi anni si sta perdendo. Per fare un esempio, quando ho iniziato a lavorare in ferrovia, giù nel meridione c’era ancora una cultura per cui il più giovane magari portava la borsa al capotreno, c’era questa forma di sudditanza che invece a Bologna non è mai esistita. A Bologna la discriminante era tra chi aveva cultura , un’etica del lavoro, e chi non ce l’aveva. Anche le persone che facevano i lavori più umili erano rispettate, avevano  l’orgoglio di sentirsi lavoratori e la consapevolezza di essere rispettati”.

Eduardo, ti ricordi quando mi parlavi della tentazione che hai avuto da giovane di chiedere un trasferimento al sud ? Ascoltando il racconto di Antonio mi sono ricordato delle motivazioni che ti fecero desistere,motivazioni che si riconducono tutte agli stessi valori di laboriosità, dignità, rispetto per gli altri, di cui parla Antonio. Ti ricordi  della pena con cui mi parlavi di un tuo collega e caro amico che, proprio  a causa di un trasferimento e delle prevaricazioni  che subiva da un  suo diretto superiore, si ammalò di depressione ?  Eduardo sono questi sprazzi di conversazione che abbiamo avuto nei rari e preziosi incontri che tu mi hai donato  ad aver fissato nel mio animo i tuoi lineamenti morali, prima che quelli fisici,  in modo indelebile.
Ti ho annoiato ? Spero proprio di no, sono anzi convinto che sarebbe piaciuto anche a te, da ex ferroviere , da salernitano orgoglioso della sua origine e da uomo ricco di valori e rispetto per gli altri, partecipare a quella “presentazione” . Ma soprattutto spero che non ti sia annoiato, perché abbiamo ancora tante cose da dirci, ed io ho ancora tante cose da imparare da te, dalla tua vita trasparente e sobria ( sicuramente influenzata anche dall’esperienza giovanile che abbiamo avuto), dai valori che hai incarnato e che oggi vivono nella tua bella famiglia.
Ciao Edu, ti scriverò ancora pensandoti con affetto, tu però vigila anche su di me, come farai con la tua famiglia.

P.S. Eduardo ci ha lasciati per tornare alla Casa del Padre, domenica 29 maggio u.s.

Mille chilometri al giorno

Adesso non ditemi che “metto ‘o pepe ‘nculo a zoccola”, come diceva Pascalino ‘o Riccio, o se preferite ma spero proprio di no “cospargo il sale sulla ferita”, ma ieri sera è stato l’ultimo pensiero che ho fatto prima del solitario incontro con Morfeo, “Venti chilometri al giorno, Polvere e sole, Andata e ritorno, Venti chilometri al giorno, Per poi sentirti dire che, Non mi vuoi più vedere“, beato lui, venti chilometri al giorno.

Adesso non ditemi che non sapete che lui è Nicola Arigliano che mi incazzo davvero, a meno che non siate nati dopo il 1990 che mi incazzo soltanto ma senza il davvero. Perché beato lui invece me lo potete dire, direi che me lo dovete chiedere perché altrimenti il post finisce qui. Ecco la risposta:
giovedì 26 maggio: trento, festival dell’economia, amartya sen, nobel 1998, lezione su “i confini della libertà economica”, tema del festival;
venerdì 27 maggio: napoli
sabato 28 maggio: napoli, festival dell’economia di trento, il sommerso e l’economia da svelare;
lunedì 30 maggio: roma, fondazione giuseppe di vittorio;
martedì 31 maggio: roma, fondazione giuseppe di vittorio;
mercoledì 1 giugno: varese, presentazione bella napoli;
giovedì 2 giugno: varese, presentazione bella napoli;
venerdì 3 giugno: porto venere, la spezia, presentazione uno, doje, tre e quattro;
sabato 4 giugno: sarzana, la spezia, e finalmente napoli.

Adesso non ditemi che non sapete fare il conto perché non è difficile, circa 6 mila km in 9 giorni, e soprattutto non ditemi che sono tutte cose che mi fa piacere fare perché non mi fa solo piacere, sono  felice di farle, considero un vero privilegio tutto questo, sono grato dal più profondo del cuore a Marilena, Santina, Giancarlo, Michele e tutta l’Ahref Foundation, sono emozionato per sen e per le amiche e gli amici che potrò finalmente rivedere, sono contento delle chiacchiere che faremo la sera con Andrea e Laura con annesso pancione, sono contento anche per le persone che compreranno e leggeranno Bella Napoli, insomma sono nato con la camicia come vi ho detto già altre volte, eppure ciò non toglie nulla al fatto che mi toccherà fare tanti chilometri e come sapete io e i chilometri stiamo scompagni da parecchio tempo anche se alle signore di piazza Enakapata non piace che io lo dica.

Adesso non ditemi che state pensando questo adesso ricomincia che non ci penso proprio, sul punto quello che dovevamo dire lo abbiamo detto, qui in piazza Enakapata e su Uno, doje, tre e quattro, il mio indimenticabile librodiariodivitaediviaggio con Viviana Graniero, Daniele Riva e Carmela Talamo, è soltanto che a me “mi” piace troppo e quindi la citazione galeotta la ricordo qui:
Senza uscire dalla porta di casa puoi conoscere il mondo, senza guardare dalla finestra puoi scorgere il Tao del cielo. Più si va lontano, meno si conosce. Per questo il saggio senza viaggiare conosce, senza vedere nomina, senza agire compie.
Ecco, l’ho fatto, e ho anche sospirato, sì, un ahhhhh lungo lungo lungo, poi però mi sono ricordato della telefonata di Giancarlo e poi del messaggio che mi ha mandato Michele, com’è che mi ha scritto?, sì, una cosa tipo “qui ho messo sotto le cuoche per i canederli in attesa del tuo arrivo”.

Adesso non ditemi “Vicié, senza uscire dalla porta niente canederli”, perché senza uscire dalla porte niente Sen, niente Marilena, niente Giancarlo, niente di niente, cioè tutto. No no, non mandatemi dove state pensando di mandarmi, sto solo scherzando, davvero, di più: ‘o giuro ‘ncoppa all’ossa ‘e zì palluottolo.

La Bella Napoli di Gianni Tomo

Bella Napoli, una raccolta di storie di gente comune che con la propria “normalità” mantiene accesa la speranza di un cambiamento.
Questo è il commento con il quale la casa editrice propone il libro di Moretti sul proprio sito web e non si poteva cogliere migliore momento storico per l’uscita di questo nuovo lavoro dell’autore, un sociologo sempre più affermato tra le letture che ritroviamo tra quelle che potremmo definire “dotte” e scientifiche piuttosto che, come egli stesso pur ambirebbe, tra romanzi e qualcosa per i momenti più “leggeri”.
Eppure il libro di Moretti riesce a coniugare con indiscussa gradevolezza ed esperienza i due momenti: la riflessione più attenta alle dinamiche sociale e di contesto che affliggono la nostra città, così come allo spaccato umano dei vari protagonisti, con il coinvolgimento del lettore alla vivacità delle loro storie.
Diventano quindi naturali le riflessioni su quali dinamiche possano mai determinare situazioni e motivazioni per le quali tanti napoletani all’estero riescono ad incidere nel tessuto organizzativo cosa che invece, qui a Napoli, altri napoletani altrettanto intraprendenti, non riescono a fare.
Ma la città è unica e di tutti, accomunandosi in una unica immagine con classe dirigente e popolo, determinandone una ingiusta confusione che male si concilia con gli attori delle varie storie, con la loro volontà di inventarsi sempre qualcosa di nuovo oppure di riuscire ad incidere anche nei lavori di quella routine che spesso determina svogliatezza sintomo di trascuratezza e poi di abbandono sempre più frequentemente abbinata all’immagine della città.
Tante le storie di voler rifuggire da quelle facili attrattive esercitate dagli ambienti malavitosi che certamente ben poco hanno a che spartire con la maggioranza dei napoletani accomunati nella medesima immagine; storie dalle quali un insegnante, un barista o uno scienziato che, senza essere “marziani” e “straordinari”, tutti i giorni vincono la personale sfida di normalità e di riuscire nel proprio ruolo e che nulla hanno a che fare con criminalità e spazzatura sempre più facile etichetta di una città e di tutti i suoi abitanti.

Lettera su Bella Napoli

Ciao Vincenzo,
non so se ti ricordi di me perché è passato un po’ di tempo dalla piacevolissima discussione fatta insieme ai nostri ragazzi al bar di Piazza Vanvitelli.
Ti scrivo perché, reduce dalla lettura del tuo ultimo lavoro, volevo trasmetterti la mia gratitudine per le emozioni e le idee che ha catalizzato.
Le emozioni, per le magnifiche storie di persone che sento più che mai vicine e che so non essere delle eccezioni. Si sono inserite in un momento della mia vita in cui, tra mille dubbi e lacerazioni, sto chiedendo alla mia azienda di rimandarmi a Napoli dopo ventisette anni qui a Berlino. So per certo che tra le mille difficoltà che ciò potrà comportare ci sono almeno due buoni motivi per farlo, avvicinarmi ai miei due figli e ritrovare le dodici (cento, mille) persone di Bella Napoli.
Le idee. Qui la faccenda si complica. Sai quella sensazione che si prova quando senti di essere vicino a qualcosa, qualche concetto, ma non riesci ad esprimerlo in maniera chiara. Emergono frammenti da organizzare in un disegno.
Le singolarità che Napoli riesce ad esprimere sono enormi; alcune persone, nel fare quello che fanno, nel lavoro come nella vita, ci mettono quel qualcosa in più che gli viene dall’essere nate e vissute li. Un mix incredibile di fantasia, passione, capacità, spirito di sopravvivenza e amore. Ma tutto ciò nasce dal caos, dal disordine e produce effetti mediamente bassi lasciati nel contesto che li ha generati, talvolta eccellenti se inseriti in un contesto organizzato.
In altri paesi e culture prima si definisce l’obiettivo, poi se ne fa un progetto, si organizzano i processi e poi si chiamano le persone che meglio si attagliano ai rispettivi ruoli. Quindi tutti si sentono a proprio agio, danno il meglio e faticano meno. Ma chi nasce in questa organizzazione delle vita non ha nessuna necessità di sviluppare capacità in più. Questo concetto è un po’ la trasposizione sociologica dei quanto espresso ne “il caso e la necessità” di J. Monod per la biologia. E quindi? Non so di preciso … Ma se provassimo a fregare il meccanismo?
Una volta nel mio lavoro mi è capitato di “fregare il Sistema” per riuscire a realizzare un progetto che altrimenti mi sarebbe stato negato. Non mi sarebbe venuto dietro nessuno se fosse stato esplicito; ho dovuto agire nei meandri dell’organizzazione per creare una cosa in sordina e poi dare la visibilità una volta che la cosa ha avuto successo. Se non avessi fatto in quesot modo l’nvidia, la prevalenza dell’interesse personale rispetto a quello del team, chiusura mentale, ne avrebbero impedito la realizzazione così come successo mille altre volte in mille altre realtà.
La cosa fu paradossale ma estremamente educativa; forse si potrebbe cercare di fare lo stesso, ma a Napoli i Sistemi da fregare sono almeno due: il Sistema sociale e quello politico-malavitoso.
Per il primo bisognerebbe lasciare che le singolarità continuino a svilupparsi per effetto del processo naturale ed ambientale della città, per poi inserirle in un meccanismo virtuoso di interazione con altre culture, con un progetto di sviluppo organizzato ma non palese: una sorta di incubatore interculturale che si aggreghi intorno alle nostre singolarità (pensa gente che viene a Napoli da ogni parte del mondo per creare cose e fatti nuovi). Mi viene in mente quello che fa la natura con i sistemi, agendo in modo da massimizzare l’entropia. L’uomo con la sua opera agisce mettendo ordine, quindi abbassando l’entropia, ma è solo questione di tempo e la natura si impone creando disordine, quindi aumento di entropia. Se i nostri concittadini li trapiantiamo altrove, in un sistema organizzato, tempo una generazione e diventano come gli altri. Se li lasciamo “fermentare” nello stesso brodo culturale  che li ha generati e li mettiamo a contatto con altri magari si sviluppano bacini di eccellenza. Bisogna ragionarci ma non è impossibile.
Per il secondo non saprei come fare ma bisognerebbe evitare che politica e malavita si accorgano che Napoli ed i napoletani possono cambiare la realtà delle cose e creare sviluppo altrimenti è fatale che il tutto viene bloccato. D’altra parte sono consapevole che il potere economico è esattamente in quelle mani e quindi ogni cosa passa da li. Ma continua a venirmi in mente la mia esperienza di prima: io i soldi me li sono fatti dare dall’azienda ma non si sono accorti di cosa stavo facendo fino in fondo; dopo, a cosa fatta, sapessi in quanti sono stati pronti a prendersene merito.
I soldi, anche se non molti, sono certo che circolano e tra fondi della comunità e quelli di investitori privati potrebbero essere sufficienti a lanciare il “modello fantasma ad entropia massima”, per provarne l’efficacia o quanto meno la possibilità.
Mi scuso per le mie farneticazioni ma te le ho trasferite tal quali mi sono venute in mente leggendo il libro e ti ringrazio ancora molto per ciò che rappresenta questo tuo lavoro.
Un abbraccio.
Federico P.

La Bella Napoli di Irma Saccone

Gentile Professore,
sono quella signora dai capelli bianchi che lei incontrò alla libreria Feltrinelli di piazza dei martiri, con cui scambiò poche parole e a cui diede in omaggio il suo libro “Bella Napoli” chiedendo semplicemente che venisse letto. L’ho letto con attenzione e la prima espressione che mi è venuta alle labbra è stata: “Finalmente una boccata d’aria pura”. Sì, perchè leggere di Napoli, attraverso storie di lotte e conquiste personali di giovani napoletani, restituisce quel senso di orgoglio di appartenenza a questa nostra terra napoletana di cui si evidenziano spesso e soltanto- purtroppo spesso a ragione- i tanti aspetti negativi. E mi vado dicendo che questo libro dovrebbe circolare sopratutto fra i giovani per lo più delusi dalle poche o assenti aspettative di lavoro. Certamente ne trarrebbero motivo d’incoraggiamento, di ottimismo. Ed io mi adopererò, per quanto mi sarà possibile, di proporre la lettura del suo libro a giovani e ad adulti: a proposito mi è capitato di parlarne con la prof. M. S., che insegna anch’ella alla Università di Salerno. Siamo amiche e -i casi strani della vita- si metterà a contatto con lei, sempre a proposito del libro, che io le avevo mostrato in un incontro a casa mia.
Ora mi permetto di suggerirle quanto già suo figlio Luca benevolmente gli fa notare: raccontare, narrare in prima persona.La sua nota introduttiva “benvenuti a Bella Napoli” è stata, per me, una delle più belle pagine del  libro, comprese la prefazione e la postfazione, e per la forma e per il contenuto. Non mi dilungo oltre, sono solo un’accanita lettrice. Con tanti auguri.
Irma Saccone

La Bella Napoli di Concetta Tigano

Ho finito di leggere Bella Napoli già da un po’, volevo pensarci, molte belle cose sono già state dette e le condivido tutte, è un libro diverso da quelli che ho letto finora, questa raccolta di storie mi è piaciuta molto.
Le esperienze di lavoro raccontate con il cuore in mano, in prima persona, con amore, hanno, secondo me, un filo che le unisce, anzi due.
In ogni storia ci sono due costanti: l’intelligenza dei protagonisti ,unita al carattere, e una persona che riconosce potenzialità e che aiuta a volare alto.
A questo proposito, mi chiedo se oggi, con i test di ingresso universitari “selvaggi”, alcuni talenti sarebbero emersi.
Il famoso “diritto allo studio” mi sembra calpestato,  i ragazzi hanno tempi tutti strampalati, adesso più che mai, può capitare  di capire tardi qual è la propria strada, e di persone , anzi e di maestri, ce ne sono sempre meno, pochi fanno “squadra”, anzi molti si circondano di imbecilli per non sfigurare, con quel poco che hanno.
Un’altra cosa che è piaciuta è la finta locazione delle storie, è vero, sono tutte persone di Napoli e dintorni, ma  gente così, per fortuna,  è dappertutto, è la parte migliore del nostro paese, mal rappresentata purtroppo.
I protagonisti, che sembrano seduti lì a raccontarti, testimoniano che si può, che è possibile, che bisogna lottare e credere in quello che si fa, in ogni storia c’è passione, impegno, ma quello che mi ha colpito c’è gioia e mai disperazione.
Non c’entra granchè, ma voglio raccontarlo qui lo stesso,  sabato ero in macchina con mia madre, avevo messo un CD intitolato Bella Napoli, non è un caso, mia madre canticchia qualche strofa e poi mi dice “Un popolo capace di scrivere e cantare queste canzoni così belle, non se lo merita di essere sfruttato e derubato dalla camorra”.
Ho pensato “ Ci giurerei! A Vincenzo piacerebbe intervistarla!”

Bella Napoli, bei napoletani

Dichiaro due conflitti di interesse e una minaccia. E’ meglio dichiararlo subito, bisognerà pure distinguersi da omini e omuncoli che popolano il Belpaese.
Uno. Stefano Iucci, l’autore dell’articolo che potete leggere qualche riga più sotto, è mio amico.
Due. E’ anche il vice presidente della Ediesse, che come sapete è la casa editrice del mio cuore.
Una. l’articolo glielo ho praticamente estorto, lui mi aveva chiesto 8 mila battute per un articolo sul lavoro da pubblicare sul numero speciale di Rassegna in uscita per il Primo Maggio, io dopo aver cercato di dirgli di no (è un periodo che non capisco niente tanto sono le cose che sono in cantiere) ho ceduto in cambio di 2 mila battute su Bella Napoli. Adesso poi le conto, che non sono certo che siano proprio 2 mila, ma comunque le ha scritte, e secondo me sono belle.
Dichiarato quello che dovevo dichiarare posso dire che sono straordinariamente grato a Stefano che mi ha costretto a scrivere questo articolo che si intitola Elogio dell’uomo artigiano e mi piace anche un sacco (non dite che non sta a me dirlo perché non ho detto che è bello ma soltanto che a me piace)? Posso aggiungere che mi sarei pentito amaramente di non non aver accettato la sua proposta per manifesto ottundimento della ragione derivante da overstress? Che  considero davvero un onore il fatto di essere uno degli autori del numero speciale del Primo Maggio della rivista della mia cara Cgil? Io l’ho detto, se ci riuscite provate voi a cancellarlo. Non prima però di aver letto il commento di Stefano a Bella Napoli.
Buona lettura.

Bella Napoli, bei napoletani
di Stefano Iucci

Che Napoli sia bella credo che nessuno dotato di senno potrebbe negarlo.
Napoli è bella non solo per il Golfo, i vicoli e i musei. Napoli è bella per tanta gente comune – tanti giovani anche – che a fari spenti si prende la briga di condurre una vita onesta e umanamente produttiva in una città in cui farlo non è sempre così semplice e che, anzi, una certa retorica stantia ma mai completamente esaurita definisce bella proprio in quanto maledetta, impossibile, feroce eccetera eccetera.
Francesco, Emma, Angelo, Giovanna (cito i primi nomi che compaiono nell’indice) sono solo una parte di questo esercito di volonterosi che coltiva la dignità del proprio lavoro, l’umiltà strenue e mai sottomessa di svolgere con dignità il compito che il destino, le circostanze e il talento (generalmente tutti e tre ben mescolati) hanno assegnato loro.
E la raccontano, questa loro vita, a Vincenzo Moretti che nel suo Bella Napoli, Storie di lavoro, di passione e di rispetto (Ediesse 2011) fa un po’ come i rabdomanti: cerca, esplora e alla fine trova (perché i veri ricercatori trovano sempre…), proponendo una “retorica” (intesa nell’accezione classica) di segno opposto. Quella dell’artigiano, di chi fa le “cose perbene perché è così che si deve fare”, come scrive lo stesso autore.
Sembra poco ma è tutto. Non supereroi, dunque, ma artigiani: un’indicazione precisa per i giovani e la loro voglia di giocarsi a carte scoperte il proprio futuro.

Aeroporto Bella Napoli

di Giuseppe Giordano

Gli aeroporti sembrano tutti uguali, sia quando li attraversi di corsa, sia quando ti soffermi a guardare le vetrine esagerate di luci che non appartengono alla città e ricche di souvenir che poco o nulla hanno a che vedere con la memoria del viaggio.
Sì che il mio viaggio non era ancora cominciato e mi sono ritrovato a Capodichino in uno strano percorso, costretto ad attraversare un incrocio di negozi a scaffale aperto, mentre cercavo di raggiungere il varco d’imbarco.
Quasi a venirti incontro e a cercare di trattenerti, prima di lasciarti andare, partire.
Ma il negozio che non ricordavo, che ha attirato la mia attenzione più per la voglia che avevo di entrarci da un po’, che per la sorpresa di trovarlo dietro l’ultima “chicane”, è quello della ben nota libreria, la F., che anche quando è un negozio, chissà perché, è sempre al femminile.
Ci volevo andare da un po’, perché avevo proprio voglia di cercarlo lì e di trovarlo lì, sapevo anche in quale scaffale, quel libro.
Supero la barriera magnetica e cerco con lo sguardo lo scaffale indiziato… vabbè, dovrei svoltare subito a destra e andare dritto a prenderlo quel libro. Ma come si fa? Si sa che non è possibile. Bisogna entrare, fare un giro largo… poi, quasi prima di uscire di nuovo davanti alla barriera, come colpito da improvvisa illuminazione, è a sinistra che devi voltarti per raggiungere lo scaffale e quel libro.
Ma i libri su Napoli devono per forza avere la copertina rossa? Mah!
Ne trovo due copie, ne prendo una, mai a caso, anche se apparentemente identiche. Ci avete mai fatto caso che i lettori sembrano possedere un metodo infallibile per individuare la propria copia sugli scaffali delle librerie?
Mi dirigo alla cassa.
Ed è qui che accade quello che volevo annotare. Il vero souvenir della mia città che ancora non ho lasciato.
Poggio il libro sul banco (dotato di smagnetizzatore) e qui, la cassiera con visibile soddisfazione, afferra il libro, se lo guarda, poi mi guarda tutta contenta:
– Questo libro l’ha scritto un mio amico.
– Veramente, l’ha scritto un MIO amico, le rispondo-
NO, quello il figlio lavora con noi… è un nostro collega, lo conosciamo bene.
– SI, quello il padre è un mio collega… lo conosco pure io!
Quasi una gara a chi conoscesse di più l’Autore… in un attimo, in due battute, tra lo stupore degli italiani “stranieri” in fila.
E poi l’ultima parola che le concedo. Ad alta voce, rivolta all’altra commessa:
Terèeeee, è il libro di Vincenzo…..
Me ne vado. Stranamente soddisfatto.
Così pensavo, succede solo nella mia città. Il viaggio comincia.

La Bella Napoli di Antonio Ventre

Si chiama Antonio Ventre, vive a Bologna, stamattina ho trovato la sua lettera nella cassettà delle lettere all’università. Stasera gli ho telefonato, l’ho ringraziato, gli ho chiesto se potevo pubblicarla. Mi ha dato il permesso, mi ha ribadito del suo piacere a leggere cose belle di Napoli, mi ha parlato di una Associazione Reginella fondata a Bologna dai napoletani. E’ la seconda volta che lodico in due giorni, ma davvero si vive anche di soddisfazioni. Grazie di cuore signor Antonio.

Sillabario Catanese (Cronaca di due giorni annunciati)

Preludio
Venerdì 8 aprile 2011. Aeroporto di Catania Fontanarossa, 6.57 p.m. Ho appena fatto il check-in, imbarco previsto ore 8.50 p.m., partenza prevista ore 9.15 p.m., arrivo previsto a Napoli Capodichino alle ore 10.15 p.m..
Gli occhiali sono di nuovo al loro posto, cioè sul naso (sì, la mia vita non sarebbe la stessa senza il Principe Antonio de Curtis), poi vi racconto come e dove li ho ritrovati.
Tentenno un pò, poi decido di cominciare. Sì, ho tanta voglia di raccontare i miei due giorni e un pò a Catania, anche se le cose sono tante, troppe per finire tutte in una sera. Tra una cosa e l’altra finirò domenica mattina, ma questo adesso non posso saperlo ancora. Stamattina ho pensato di scrivere un alfabeto in C, ma non la C di Catania, la C di Concetta, che non è la stessa C, anche se Catania è molto bella. Scrivo la premessa e la voce Catania, carico la foto, pubblico su Facebook, avvertendo dei lavori in corso. In fondo l’alfabeto è bello anche perché si può leggere una voce per volta.
Sabato 9 aprile 2011. Scrivo un altro po’ di voci, ho un mare di cose da fare ma questa cosa qui la sento, mi piace, mi sforzo di trovare il tempo per pensarci. La sera pubblico la nuova versione.
Domenica 10 aprile 2011. Daniele Riva ha scritto un commento affettuoso e incoraggiante, gli amici di sempre si fanno vivi qua e là, Concetta aggiunge un commento che fa più bello e più ricco il mio racconto. Decido di evitare questa cosa “political correct” ma che appesantisce l’esistenza di amica/o, il genere umano è uno solo, ci stanno maschi e femmine, e per questa volta va bene così. Decido anche che il post non si chiama più Alfabeto in C ma Sillabario Catanese e che Concetta non sta più in testa, come avevo pensato fino ad ora, ma in coda. No, non è perché è diventata meno importante, all’incontrario. Diciamo che funziona come a teatro, il protagonista principale arriva alla fine. Buona lettura.

Al Tubo
Nessun errore, si chiama così la trattoria pizzeria dove siamo stati la prima sera e poi anche la seconda. Non che si mangiasse in maniera indimenticabile, dati i prezzi ultra popolari sarebbe stato un miracolo, però almeno ho evitato la pizza. Sì, perché Concetta era partita sparata lei e la pizza, ma su questo punto sono stato irremovibile, il napoletano che mangia la pizza a Aci Castello non lo faccio – le ho detto -, tu naturalmente mangi quello che ti pare, io insalata e un piatto di pasta. È finita pasta con le vongole lei, insalata e pasta al nero di seppia io, indimenticabile no ma buona si. Quello che è stato invece indimenticabile, sì, insomma, quello che mi ha fatto chiederle di tornare la sera dopo anche se ero letteralmente a pezzi per la stanchezza, è stato il tavolino che affacciava sul mare, il Castello arrampicato su uno scoglio in alto, i faraglioni di pietra lavica che nonostante la sera senza luna erano un incanto, le chiacchiere senza tempo con Concetta ma di questo vi dico in fondo perché altrimenti in fondo che ci arrivate a fare.

Assenti
Papà avrebbe detto che ci sono stati una assenta e un assento, perché per lui tutto ciò che era femminile avrebbe dovuto finire con la “a”, tutto quello che era maschile con la “o”, ma questo in parte ve l’ho raccontato già. Diciamo allora che “l’assenta” era giustificata, il lavoro è lavoro sempre, anche quando ti fa dire “mannaggia proprio quel giorno doveva capitare”, invece per quanto riguarda “l’assento” avrei qualche dubbio in più, anzi lo avrei avuto quando ero confuciano perché adesso che studio per diventare taoista certe domande provo a non farmele più. Quello che voglio dire è che mi sono mancati tanto, ma non mancati perché mi sia mancato qualcosa, mancati perché si sarebbe aggiunto qualcosa, ma naturalmente non mancherà occasione.

Catania
La città è decisamente bella, forse ci ero già stato e forse no, non me lo ricordo, ma in fondo cosa importa, la sua bellezza è a prescindere da me e da tutti quelli che l’hanno visitata e la visiteranno. Ciò detto, sia Concetta che Rosanna ci hanno anche provato a parlarmi di ponti, piazze, lava, palazzi e tutto il resto, ma io ho resistito bene, nella mia vita ci sono già troppi anfiteatri, scavi, lave, bifore, trifore, mosaici, archi, ponti, palazzi etcevesa etcevesa etcevesa. A me piace la città in quanto città, capire come vive, come funziona, come è organizzata; mi piace guardare le persone, cosa fanno, come si vestono, come si muovono, come pensano. Risultato finale? Due giorni e un pò non bastano neanche per un risultato parziale. Diciamo che mi sono piaciuti i giovani, tanti, le università, il senso di una città viva, in movimento. Non mi sono piaciuti il traffico, l’inquinamento acustico, le troppe macchine per una città che in fondo, almeno se consideriamo il centro centro, è ‘nu muorzo. Lo so che non lo volete sentire, ma io ve lo dico lo stesso che basterebbe eliminare l’automobile e la televisione e questo nostro mondo diventerebbe di colpo più vivibile, da molti punti di vista. Ah, dimenticavo, mi sono piaciute da impazzire le facciate scure dei palazzi, sì, quelle fatte con la polvere di pietra lavica.

Etna
Giuro che quando ho visto questo vulcano così grande, così montagna, così pieno di neve, nonostante un sole caldo che sembrava estate, ho pensato “non è giusto che il Vesuvio sia più famoso”. Concetta mi ha spiegato che le ultime bocche di fuoco che si sono aperte lo hanno reso un pò più montagna e un pò meno vulcano, ma per me non è una questione di forme, è questione di come ti sovrasta, di come ti si presenta, di come ti dice guarda che io sono io.

Feltrinelli Libri e Musica
Alla voce Feltrinelli avrei un elenco lungo lungo lungo di persone, napoletane e catanesi, da ringraziare, ma non perché sono stati gentili e disponibili, perché gli amici sono amici e anche quelli che non erano ancora amici con il mestiere che fanno la gentilezza e la disponibilità ce l’hanno tra gli accessori di base. Il mio grazie, di cuore, è innanzitutto per il fatto di essermi sentito come a casa e un po’ anche per il fatto che mi hanno trattato come uno scrittore vero, si, uno di quelli che a volte sono bravi, altre volte no, ma comunque vendono talmente tante copie dei loro libri da poterci vivere, beati loro, senza dover fare altro. Non volendo fare un elenco che poi rischi sempre di dimenticare qualcuno e ti dispiaci tu e si dispiacciono loro, ringrazio per tutti Sonia Patania, la responsabile degli eventi. È stato davvero un piacere. Alla prossima.

Granita
Non è che non ne avessi mangiate di granite buone, a Sorrento, ad Amalfi, a Palermo, a Trapani o a Messina. Ma a Santa Maria non fanno la granita, fanno la crema di granita, la madre di tutte le granite, l’archetipo della granita, il tao della granita, e poi la fanno alla mandorla, all’ananas, al limone, al pistacchio no che quelli freschi non ci sono ancora, insomma una granita da pazzi, roba da 110 e lode, anzi no, la lode no perché fanno anche la granita di cioccolata e anche se è vero che i ragazzi la mangiavano estasiati, la granita di cioccolata per me è un non sense, un ossimoro, una cosa senza “capa” né coda, più o meno come il governo italiano per intenderci. No, mi dispiace, 110, ma senza lode.

Interventi e Domande
Sì, ci sono stati anche interventi e domande, e poi anche sorrisi e dediche e persino richieste di amicizia su Facebook, tutte cose che mi piacciono un sacco e per le quali sono grato a tutti i presenti, uno a uno, nessuno escluso. Non potendo fare diversamente, altrimenti finiamo come con la lettera di Tommasino in Natale in Casa Cupiello, ne ricordo anche qui uno per tutti, l’intervento del prof. amico di Concetta – sì, vi dovete rassegnare, Concetta c’entra sempre, persino quando non la nomino-, che ha detto che la discussione gli era piaciuta e soprattutto che gli piaceva l’idea che si moltiplicassero i libri di questo tipo, che si creasse una vera e propria letteratura, ve lo assicuro, proprio così ha detto, sul lavoro e sulle persone che cercano di farlo bene, che stanno a Catania, a Napoli e in ogni parte d’Italia. Nei prossimi giorni lo contatto, è proprio la cosa che vorrei fare io, magari potrebbe darmi una mano.

Lavoro
Il lavoro come i racconti di lavoro che compongono Bella Napoli ma anche come lavoro che ho dovuto fare nei mie giorni catanesi sia dal vivo che via telefono, skype, posta elettronica. Sì, ormai la mia vita funziona così, il lavoro in qualche modo c’è sempre e devo dire che è molto faticoso, ma mi piace assaje.

Libro
Non è stata una sorpresa in assoluto, è stata una sorpresa perché non ti ci abitui mai, la verità è che ogni volta che qualcuno parla del tuo libro scopri cose nuove, ti dici “mannaggia ma perché non ci ho pensato io, perché non l’ho scritto come lo sta dicendo lui”. A Nino Amante e Andrea Micciché va la mia sincera gratitudine per aver presentato Bella Napoli con leggerezza, complicità, ricchezza.

Occhiali
Li avevo persi e poi li ho ritrovati. Erano occhiali da vista, niente di che, roba da cinquanta euro al massimo, soldi che non ti fa piacere spenderli così ma comunque non è che ti cambiano la vita. Quello che mi scocciava era riandare dall’ottico, portargli le lenti rotte, sì, quelle di riserva che apposta non le butto, andare a ritirare i nuovi occhiali due giorni dopo e così via discorrendo.
Lì ho cercati nell’albergo dove ho dormito la prima notte, niente, alla Feltrinelli, neppure, alla trattoria di Santa Maria della Scala neanche a parlarne però in compenso abbiamo mangiato della pasta con le vongole che poteva andare davanti a un re, nell’automobile di Concetta avevamo già guardato un paio di volte, niente, eppure mentre stavo per risalire in macchina per andare all’aeroporto ci ho riguardato, ma non più con gli occhi, con la mente sgombra, serena, insomma con il cuore, e li ho visti là dove non si potevano vedere, a fianco alla staffa del sediolino davanti, nella parte interna, il fodero leggermente ma giusto un briciolo più chiaro del ferro. Li ho presi e ho pensato adesso voglio vedere cosa dicono Cinzia, Viviana, Carmela, Deborah e tutte quante le altre che mi hanno massacrato per la mia teoria dell’albero. Quegli occhiali in quel posto lì non si potevano vedere, eppure io li ho visti, quasi come un piccolo principe. Un’altra volta imparano a non prendermi sul serio.

Portiere
Il portiere è quello dell’albergo dove ho dormito la prima notte, l’ho visto lavorare 20 ore di seguito, gli ho chiesto perché, mi ha detto “turno lungo così domani non vengo e mi posso dedicare alla mia attività di promotore di turismo culturale in Sicilia, ho preso la laurea, vorrei migliorare”. Abbiamo chiacchierato ancora, mi ha chiesto del libro e poi se fossi scrittore, gli ho risposto che scrittore è una parola grossa, lui mi ha detto “vero, volevo sapere se è con i libri che ti guadagni da vivere”, gli ho risposto di no, mi ha detto che sarebbe passato alla presentazione, l’ha fatto, assieme alla fidanzata e a un amico. Quando torno a Catania conto di intervistarlo, ma non perché è venuto alla presentazione, anche se una persona che dice una cosa senza essere obbligato a dirla e la fa senza essere obbligata a farla è una persona che mi piace, ma per la storia delle venti ore di lavoro di fila perché il giorno dopo deve fare altro per migliorare. Per me fino a prova contraria un posto a Bella Catania non glielo leva nessuno.

Radio Zammù
Concettina mi ha spiegato che Zammù deriva dalla parola araba Zammut, Anice, e che a Catania la usano per indicare la Sambuca. Ora sarà che a papà la sambuca gli piaceva tanto, a volte troppo, ma purtroppo adesso la cosa non mi dà più fastidio e poi nessuno è perfetto, sarà che nelle giornate fredde fredde fredde pure a me piace prendere il caffè corretto con un goccia ma proprio una goccia di sambuca, a me questo fatto che la radio dell’università di Catania si chiamasse così già mi piaceva un sacco, poi quando ho visto il bellissimo convento dei benedettini che ospita la facoltà di lingue, credo, ho conosciuto la redazione, abbiamo fatto questi 5 minuti di intervista a tutta birra, mi è piaciuto tutto ancora di più. Sì, alla radio do il massimo dei voti, anche se sono tre giorni che gli ho chiesto il file mp3 con la registrazione e neanche mi hanno risposto. L’ho appena detto, nessuno è perfetto.

Rosanna
Io allora avevo 18 anni, lei 17, ma Rosanna è stata una persona straordinariamente importante nella mia vita. Pensate che mi sono iscritto all’università a Salerno e non a Napoli perché nel frattempo ci eravamo lasciati e io ero così dispiaciuto che non ce la facevo più a andare in giro per la mia città, a rivedere le strade nelle quali avevamo passeggiato, i luoghi nei quali eravamo stati e così via cantando. L’ho rivista a Catania quasi 40 anni e molte vite dopo e per me è stata un’emozione grande anche se forse sono successe troppe cose, forse c’è stato troppo poco tempo, soprattutto per colpa dei miei mille impicci, perché potessimo parlare di noi adesso invece che delle nostre storie, forse semplicemente siamo persone troppo diverse da allora o troppo diverse da come ci eravamo pensati, non lo so, quello che so è che un post non è il posto migliore per pensieri così e perciò salto una casella e vado a quella successiva.

Santa Maria della Scala
Giuro che se riesco a convincere “l’Assenta”, che non è mica facile, e il posto rimane com’è, che neanche questo è detto, Santa Maria della Scala diventerà il mio buen retiro, il posto dove ritirarmi per pensare, scrivere, passeggiare. Non è che ci si può stare tutto l’anno, per carità, ma da giugno a settembre c’è tutto, il mare, Catania a 10 minuti, una costa splendida da un alto, una bellissima spiaggia dall’altro, la signora che fa le granite e cucina saraghi e vongole da Dio, insomma di tutto e di più a portata delle mie possibilità, perché certo che lo so che ad averci i dané, come dicono dalle parti di Daniele Riva, si trova anche di meglio, ma per me Santa Maria della Scala va benissimo, anche se poi mi aiutate a vendere 200 mila copie di Bella Napoli il discorso cambia. Facciamo così, rileggete piano l’ultima frase e quando arrivate a “vendere 200 mila copie” aggiungete, come faceva papà, “passasse l’angelo e dicesse Ammenn”, mi raccomando, con due “m” e due “n”, proprio come faceva lui, che chissà che se lo facciamo tutti assieme questa volta …

Sedie
Le sedie in questione sono quelle vuote, sì proprio quelle che vedete nella foto in prima fila. Certo che lo so che lo fate per timidezza, per discrezione, per quello che vi pare, ma noi che stiamo dall’altra parte del tavolo non vi dobbiamo né interrogare né fucilare, quindi non rischiate niente a sedervi davanti e ci evitate questa angoscia delle sedie vuote, che vi assicuro che l’occhio va sempre là, deve fare ogni volta uno sforzo per saltare la barriera, e non è giusto, che miseria. Facciamo così, io la prossima volta mi porto una guantiera con le sfogliatelle e le offro a chi si siede davanti, però voi nel frattempo fateci l’abitudine, che quelli quando gli scrittori arrivano da Milano mica possono portarvi le sfogliatelle.

Under 18
Concetta mi ha detto che hanno 16-17 anni, un ragazzo e una ragazza suoi ex studenti. Il ragazzo lo avevo incontrato a Napoli qualche mese fa quando era venuto in gita scolastica e io avevo inseguito Concetta e il loro autobus tra Mergellina e Posillipo, ma questa è un’altra storia. Sempre Concettina mi ha ricordato – chi mi conosce lo sa, la parola ricordo nel mio vocabolario è sbiadita assai, quasi non si vede più -, che era rimasto colpito da quella frase di Che Guevara che gli avevo citato, forse perché aveva una maglietta addosso con il Che, non ricordo, una cosa tipo “quando si sogna da soli è sogno, quando si sogna in due è realtà”. La ragazza era la prima volta che la vedevo, forse. Mi hanno avvicinato alla fine della presentazione con il libro in mano chiedendomi una dedica. Mi è venuto spontaneo dire “ma no, siete dei ragazzi, ce la fate a spendere questi soldi?, lasciate stare, ve lo regalo io”, lui mi ha detto, credo, “non si preoccupi”, lei quasi si è offesa. Ho scritto con gioia le due dediche, li ho ringraziati tanto anche se non abbastanza, ho pensato che sono una persona veramente fortunata, ho chiesto anche a loro di scrivere qualche riga di commento al libro dopo che lo avranno letto, mamma mia quanto desidero che lo facciano davvero.

Concetta
Mi dispiace per Lucio Battisti, che già l’avevo maltrattato troppo da giovane perché lui era di destra e io quelli di destra non li ascoltavo a prescindere, giuro, ho fatto anche questo, non ne sono orgoglioso of course, semplicemente penso che anche questo abbia avuto un senso importante nella mia vita. Comunque stavo dicendo che mi dispiace per Battisti ma io lo so cosa dico se dico che ho una donna per amico. Sì, con Concetta sono stato come sto con Salvatore che anche se voi non lo conoscete ve lo dico io che quando ci sto assieme sono felice senza dover fare o dire niente. Guardate che è difficile, molto difficile, perché non è che non fai o non dici niente, è che non lo devi fare o dire, e tu lo senti che non lo devi fare o dire e allora quello che fai o dici viene fuori da dentro in maniera naturale, segue il suo corso, prende la sua strada, senza incontrare resistenza. Io con Concetta nei miei due giorni e un po’ catanesi sono stato così e vi assicuro che così è bello, bello assaje.
Vedete, questa cosa qui per me è così importante che per lungo tempo l’ho cercata anche nell’amore, fino a quando non mi sono fatto l’idea che nell’amore non la posso trovare, naturalmente vale per me non per tutti, diciamo che io non sono il tipo adatto. In “Piccolo trattato delle grandi virtù” André Comte Sponville scrive che “Amare con purezza è consentire la distanza”, in altre parole amare senza possesso, con mitezza, diciamo che io ho altre qualità, forse, ma la distanza nell’amore non la consento, io la distanza la travolgo, me la mangio, e mi sto convincendo che aveva ragione mio padre, chi nasce tondo non può morire quadrato, perciò tanto vale accettarsi.
Ora non ditemi che invece di parlare di Concetta sto parlando di me, perché io sto parlando di lei, di questa “amico” meravigliosa con la quale ho trascorso due giorni come sul molo di Procida, quando mentre Salvatore fa le sue mille cose io guardo le navi che entrano ed escono dal porto e sono felice. Certo che lo so che in questi miei giorni catanesi sono stato io a fare mille cose, ma le ho potute fare come guardando le navi grazie a Concetta. Sì, a Catania ho vissuto due giorni e un po’ straordinariamente belli con la mia amico Concetta. Abbiamo chiacchierato, ci siamo raccontati, mi ha rassicurato quando mi prendevano gli attacchi d’ansia della serie “mamma mia qua finisce che alla presentazione non viene nessuno”, lei sempre lì con quel suo fare dolce, discreto, come quando alla radio non si è voluta sedere di fianco a me ma indietro in fondo, nonostante i ripetuti inviti della giovane conduttrice, neanche fossimo stati in televisione e qualcuno avesse potuto scoprirla troppo protagonista.
Insomma spero si sia capito, è troppo bello avere Concetta per amico, non devi neanche dire troppe cose per ringraziarla, basta grazie Concettì, di tutto, di cuore, ti aspetto a Napoli, ma se per caso non vieni non pensare di esserti liberata di me, perché ritorno io a Catania.
Un abbraccione forte Cuncé.
vincenzo

Cronaca di due giorni annunciati
di Concetta Tigano

Mercoledì 6 aprile
Ore 15,40, aeroporto di Catania, vedo Vincenzo sul marciapiede, zona arrivi , sale in macchina, saluti, sorrisi, ma subito il suo fisico da “fagiolino”, come dice lui, mal si adatta alla mia macchina tondetta e cicciottella che pare, come la banca, costruita intorno a me.
Andiamo verso il centro e mentre io indico “a destra questo, a sinistra quest’altro” vedo con la coda dell’occhio che non segue ciò che dico io ma ha lo sguardo fisso sul paraurti posteriore della macchina davanti a noi, si nota un certo desiderio di estroflettere almeno una decina di tentacoli, tipo polpo Paul, per tenersi in tutte le maniglie interne ed esterne della mia Suzuki rossa.
Appena arrivati, lasciamo l’odiata auto, scambio di regalini, tanti i suoi, pochi i miei! Si va a piedi!!!!
In albergo Vincenzo attacca discorso con il portiere, lo invita alla presentazione del libro, e meno male che non conosce il direttore, la segretaria e il posteggiatore che altrimenti alla Feltrinelli facevamo “La festa di S.Agata 2!”
La serata si conclude ad Acicastello, Stefania Bertelli ricorderà.

Giovedì 7 aprile
Ore 9,30, l’itinerario è questo: albergo – radio Zammù – Feltrinelli – radio Zammù. Vado? No, corro!
Ad un tratto sento “Cuncè, si’ peggio ‘e Cinzia!”, contemporaneamente squilla il suo telefonino, si materializza Cinzia! Bellissimo, tempismo perfetto! :-)))))) Vincenzo subito le propone il mio nome come co-pilota per un improbabile Rally cittadino…!
Poi si va a S. Maria la Scala, giro turistico-gastronomico, anche qui Stefania ricorderà.
Di pomeriggio lo lascio con amici suoi, mi saluta dicendo “Concettì, se alle sei meno dieci non ti vedo in Feltrinelli…io mi suicido!” Che ansia!!! Con questa minaccia macabra sul collo, vado a casa, faccio tutto di corsa, alle sei meno dieci sono alla Feltrinelli ma, mannaggia a me, ho dimenticato la macchina fotografica!!!!
Vincenzo passeggia nervosamente…io seduta, apparentemente calma!!!
Comincia ad arrivare gente, la saletta si riempie, Vincenzo racconterà che li ho portati quasi tutti io…non è vero!
Si comincia. Va tutto a meraviglia!! Si sente nell’aria che la serata funziona, che tutti sono interessati, che questa proposta piace!!!! Sono davvero contenta!!!

Venerdì 8 aprile
Ore 8, cinque noiosissime ore a scuola e poi, dopo impegni e riunioni varie con Vincenzo, torniamo a S. Maria la Scala, mi ha detto di aver perso gli occhiali, e vuole vedere se per caso sono rimasti lì, andiamo con l’alibi degli occhiali, ma io lo so, è la granita assaggiata il giorno prima che vuole!!!!
Disastro!!!! Alla Timpa avevano finito le granite, anzi no, c’era rimasta solo quella al cioccolato, praticamente una non-granita! “Signo,’ se non ci fate una granita al limone, io mi suicido!” …e daglie!!!! Questa frase ha avuto un potere di convinzione notevole, certo è che la signo’ in questione, immaginandosi Vincenzo steso lungo lungo (è proprio il caso di dirlo!!!) a terra con un coltello da cucina in corpo, si impressiona e dopo due chiacchiere ed una passeggiata ci fa trovare la granita pronta!!!!!
In macchina (sig!), manovra per uscire dal posteggio, Vincenzo apre lo sportello e con gli occhi del Tao vede gli occhiali, e lì mi sono sciroppata tutta la tiritera del vedere e non vedere, ma già la sapete anche voi …!!!!
Ore 18,00 siamo all’Aeroporto, bilancio? positivo! Il libro ha avuto la sua vetrina, e abbiamo trascorso due giorni molto gradevoli.
Fine-corsa, si! Ma certo non fine-amicizia!!!!!!!

il segnalibro fatto preparare da Concettina (live è molto più bello)
il segnalibro fatto preparare da Concettina (live è molto più bello)

 

Network Bella Napoli

Quella quasi tutta la mia vita funziona così, anche se adesso sarebbe troppo lungo spiegarlo qui. Comunque alle 5.30 di stamattina mi sono svegliato con questo tarlo in testa: che fare affinché Bella Napoli arrivi ai napoletani che non si nascondono la gravità e la profondità dei problemi che attanagliano la loro città e che però non ci stanno ad essere rappresentati solo dalla monnezza, che c’è, dalla camorra, che c’è, dalla classe dirigente, che non c’è, e così via discorrendo. Come ho scritto nel libro, non mi interessa affermare che Napoli non è solo camorra, Gomorra o monnezza, lo trovo ovvio, banale, equivoco. Ho voluto invece prospettare una condizione di possibilità, di riscatto, e ho voluto farlo raccontando di napoletani normali che danno valore al lavoro, che sentono la responsabilità di fare le cose per bene, che mettono amore, passione, interesse in quello che fanno. Sì, è questo il messaggio che vorrei fare arrivare ai napoletani e anche agli italiani che non si accontentano dei cliché, neanche quelli modello pizza e mandolino.

Ciò detto debbo però confessare che il tarlo delle 5.30, di per sé, non mi ha portato da nessuna parte. Poi però ho dato 5 copie del libro a Beppe che le metterà in bella vista in bottega e magari qualcuno si incuriosice e ne compra una copia, poi ho incrociato su Facebook Rosa Cennamo ed è nata la storia che ho raccontato qui, finché a un certo punto il tarlo è diventato un’idea: la vendita porta a porta, come si faceva quando ero giovane, la domenica, con l’Unità, che poi era anche un modo per parlare con le persone, per sentire gli umori, per ascoltare le richieste e le critiche ma è meglio che lasciamo perdere altrimenti mi metto a piangere.
Vi state chiedendo insomma cosa ho in mente di fare? Ve lo riassumo per punti, così faccio prima e sono più preciso, perché per me è una cosa seria e importante. Facciamo così, metto prima il cosa vorrei fare, poi il come vorrei farlo e infine il perché, secondo me, dovreste farlo:

Cosa

1. Vorrei creare su tutto il territorio nazionale, nelle grandi così come nelle piccole città una rete di amici che mi aiutino concretamente a far leggere, conoscere, comprare Bella Napoli.

Come
1. Chi è interessato mi fa una richiesta di 3 o 5 copie (in casi eccezionali si può valutare una richiesta di 10 copie, anche per la ragione che potete leggere al punto successivo).
2. Io pago le copie in una Feltrinelli qui a Napoli, e voi le andate a ritirare  nella Feltrinelli più vicina a voi (è un servizio che offrono da tempo; è vero che dal punto di vista economico non ci guadagnate niente ma naturalmente non vi viene chiesto neanche di spendere niente).
3. Voi ritirate le copie, se le vendete mi mandate i soldi (anche in questo caso senza costi per voi, e con un minimo dispendio di tempo) se non le vendete me le restituite (ci incontriamo, vi mando io un corriere, ecc., comunque sarà mia cura torvare la soluzione senza impicciarvi troppo).

Perché
1. Per partecipare a un progetto che vorrei continuasse, generasse ulteriori contenuti e iniziative, producesse nuove idee. Un progetto con al centro le persone e il loro lavoro. L’idea  è in definitiva  quella di partire da Bella Napoli per arrivare a Bella Italia, insomma quella di raccontare l’Italia attraverso il lavoro.

2. Per contribuire a costruire dal basso una rete che poi possiamo tutti utilizzare alla pari per altri progetti e iniziative.

3. Per amicizia e affetto nei miei confronti. Come  Salvatore Veca, “non mi piace l’ospitalità opportunistica o quella sciatta, sbracata. Mi piace l’attenzione. E la cura, discreta, nel ricevere, nella cerchia della philia, ha una sua naturale bellezza”.

Ciò detto, aggiungo alcune altre considerazioni che nella prima edizione di questo post non ho scritto perché mi sembrava un pò scontato:

1. Se la mia proposta esperimento dovesse funzionare, come spero,  sul piano pratico per me questo significherà investire tempo e soldi, due risorse assai scarse e dunque preziose in questa fase della mia vita.  La mia insomma non è una proposta commerciale. A Napoli il libro è stato recensito molto bene e va alla grande, ho ragionevoli motivi di ritenere che nelle prossime settimane la sua visibilità aumenterà di molto anche a livello nazionale in termini di recensioni, presentazioni, presenza nelle librerie e vi assicuro che per un libro delle sue dimensioni va più che bene così.

2. Come ho scritto nel mio libro, penso che “la grandezza, le speranze e le opportunità di una nazione, la nostra più delle altre, sono strettamente legate al rispetto che essa ha, e mostra, per il lavoro e per chi lavora, a ogni livello. Se l’Italia non ha più una visione condivisa del proprio futuro, se è diventato un paese di poche speranze e con scarse opportunità, in primo luogo per le generazioni più giovani, quelle che più delle altre avrebbero invece bisogno di proiettare l’ombra lunga del futuro sul presente, è esattamente perché alle vie del lavoro e della partecipazione ha preferito quelle della ricchezza senza capacità, del comando senza responsabilità, dell’arrivismo senza regole, della notorietà senza merito.
Mio padre lo avrebbe detto a modo suo, con il vocabolario di un operaio che aveva conseguito la licenza di quinta elementare con l’avvento della seconda guerra mondiale, ma state certi che lo avrebbe detto che non ci vuole un arco di scienza per comprendere che se non si ridà valore, dignità e considerazione sociale al lavoro e a chi lavora non si va da nessuna parte”.
Ecco, l’idea che mi sono fatto è che raccontare il lavoro può essere una buona maniera per  contribuire a ridare senso e identità al nostro Paese e per questo, l’ho annunciato nel corso della presentazione a Napoli, sto cercando di trovare le risorse per portare avanti questo progetto.

3. Da solo non ce la faccio, non ce la posso fare. Molte/i di voi hanno delle belle teste, dei bei cuori, dei bei rapporti umani, in minima parte li ho potuti verificare da vicino, per la maggior parte lo capisco dalle belle cose che scrivete sulla piazza di Enakapata. A me questa storia del Network Bella Napoli è sembrato un modo stirngere ancora più rapporti e ancora di più i rapporti, un modo per cominciare un viaggio, per incontrare esperienze, avendo un’occasione concreta senza la quale a volte, preso dalle mille cose che faccio, non riesco a dare la necessaria priorità.

4. Penso di avere l’età giusta per cominciare questo viaggio, non vado di fretta, dare mi piace come ricevere e imparare più di insegnare, ma ho bisogo del vostro aiuto. Naturalmente le cose si possono fare anche in altra maniera (presentazioni, incontri, ecc.) ma il mio istinto mi dice che questa cosa dei libri da vendere crea una selezione, determina un legame. Naturalmente posso sbagliarmi e dunque continuo a restare in ascolto. Come fare per dirmi cosa ne pensate, con la sincerità necessaria, lo sapete.
Grazie a tutte/i voi a prescindere.

Piazzetta Augusteo

Questa storia qui comincia a piazzetta Augusteo. Funicolare centrale. Ore 5.35 p.m. Sono di ritorno da Roma e ho nello zaino, assieme all’immancabile Mac, 6-7 libri di varia umanità, che tradotto in soldoni vuol dire che non ce la faccio più a camminare con tutto quel peso addosso.

Scendere o non scendere, questo è il (mio) problema. No, che avete capito, io con la funicolare da piazzetta Augusteo, in pratica via Roma, ma sì, proprio la vecchia via Toledo, devo salire per andare a casa mia, al Petraio. Scendere o non scendere si riferisce al dopo.

Alle 5.40 la funicolare va. Io mi dico “scendo”. Tra i denti. Non abbastanza tra i denti. La signora a fianco mi dice “questa sale”. Sorrido. Le faccio cenno, con la testa, di sì. Aggiungo, a parole, che scendo si riferisce al dopo, “dovrei comprare qualcosa da mangiare”. Lei non sorride. Mi dice “già, ogni tanto tocca anche a voi”. Per fortuna scoppiamo a ridere tutti e due. Ancora qualche chiacchiera e poi scendo. Dalla funicolare. Poi salgo verso casa.
Arrivo. Metto giù Mac e libri senza togliere neanche il cappello. Se lo faccio è la fine, dopo il cappello sarebbe il turno delle scarpe e poi, complice una piroetta degna di maggior fortuna, dell’impermeabile. A quel punto non mi smuoverebbero più neanche le cannonate. E allora addio cena.

Mi ricordo che ho promesso di dare una copia di Bella Napoli al mio vicino. Gliela porto. E scendo. Questa volta proprio nel senso che scendo. La pioggia ha concesso una tregua. Telefono a Cinzia. Scendere al corso a fare la spesa o passo anche per la Feltrinelli, questo è adesso il problema. Lei prima si sintonizza sul mio canale stanchezza e mi suggerisce di fare le spesa e tornarmene a ca. Poi cambia canale. Sul secondo trasmettono “fai le cose che vuoi fare” e così mi dà la spinta decisiva. Scendo ancora. Direzione Piazza dei Martiri. Procedo veloce ma il pensiero del panino con la mortadella è più veloce ancora. Mi dico “Vicié, oggi hai mangiato solo qualche pasticcino, se non metti qualcosa nello stomaco non ci arrivi neanche alla Feltrinelli”. Entro nella prima salumeria sulla sinistra.
Entro. Al banco un pakistano che parla un perfetto italiano. Gli dico del panino, piccolo, mortadella e provola abbondante. E lui va.

Passano un paio di minuti ed entra una signora, mi dirà poi che ha 68 anni, in pigiama, con uno scialle ampio sulle spalle, che si siede sulla seggiola di fianco alla cassa.

La signora chiede, in napoletano, se il figlio è uscito. L’uomo che mi sta facendo il panino risponde, in impeccabile napoletano, che è andato a fare un servizio e tornerà tra mezzora.

Poco dopo entra un altro signore pakistano per comprare del latte. La signora gli chiede se ha chiesto alla moglie cos’è il biscuit. L’uomo non risponde, la signora gli da un colpo affettuso con il giornale sul braccio e mi chiede se lo so io. Un pò mi preoccupo, anzi no, mi diverto tanto. Io non lo so, ma lo associo a Beppe, esco fuori e lo chiamo. Beppe mi spiega che è un tipo di porcelllana pregiato perchè, spero di aver capito bene, viene cotto due volte.
Entro e lo dico alla signora, che è felice, mi dice che sua nonna, che è morta 48 (quarantotto) anni fa diceva a lei che era una bambola di biscuit e che lei adesso lo ripete alla nipote, ma non aveva mai saputo cosa significasse.

Sorrido, pago 3.50 per il panino e appena esco ne faccio fuori quasi un terzo con un morso (era davvero piccolo però).

Arrivo alla Feltrinelli e il mio amico Gianni, il direttore, mi dice che stanno presentando il libro di Remo Bodei. Mi catapulto. Il tema è l’ira. Il titolo della collana sui 7 vizi capitali che la casa editrice Il Mulino ha affidato al mitico filosofo.
Lo ascolto come ogni volta rapito dalla sua cultura e dalla sua mitezza. Ci svela che persino lui viene preso dall’ira e ci fa anche un pò sorridere quando racconta della multa che si è letteralmente mangiato quando lo hanno multato per la seconda volta per lo stesso divieto di sosta.
Lo invidio quando racconta che se n’è andato negli Stati Uniti quando nell’università italiana sono stati introdotti i crediti e lo hanno cominciato a criticare per i suoi programmi di troppe pagine.

Finisce tutto troppo presto per il piacere e la cultura,  quasi troppo tardi per la spesa.
Il quasi lo tolgo quasi subito, il tempo che 4-5 assidui frequentatori delle presentazioni, di quelli un pò encomiabili e un pò incredibili che mettono assieme Bodei e me, mi avvicinano e mi cominciano a parlare di Bella Napoli e della presentazione di 2 settimane prima.

Sono una ventina di minuti, naturalmente gratificanti per me, ma alle 8.10 p.m. posso mettere una croce sulla mia spesa al supermercato. Da vecchio scugnizzo napoletano non mi scoraggio, decido che dopo il panino mortadella e provola me ne vado da Leopoldo e mi sparo due zeppole di san Giuseppe. Arrivo da Leopoldo e le zeppole sono finite, cioè due ci sono, ma mignon.

L’istinto mi dice di andarmene indignato, la ragione di comprarle prima che me le portino via. Siamo o non siamo discendenti di Voltaire? Prendo, pago, mangio. Alle 20.40 riprendo la funicolare centrale. Non lo so se è stata la cultura o il panino piccolo mortadella e provola abbondante insieme alle 2 zeppoline. Sta di fatto che sono tornato sazio. Vabbé non esageriamo, diciamo contento.

Passione

Dico la verità, non so neanche io da dove cominciare. Vabbè,  comincio da quello che avrei dovuto dirgli e non gli ho detto: Mister Turturro, in questo libro c’è il soggetto per Passione 2. Sì, perché dopo quella per la musica, bisogna che lei racconti la passione dei napoletani per  il lavoro.
Ecco, è questo che avrei dovuto dire, in inglese, invece di impapocchiare un pò di confuse parole in italiano che se non era per Francesco neanche la foto riuscivo a farmi. Il fatto è che “questo” mi è venuto in mente il mattino dopo intorno alle 7.00 mentre io me ne andavo a Fisciano per fare gli esami e Mr. Turturro immagino dormisse beatamente da qualche bella parte.
Adesso che mi sono confidato non mettetevi però a fare i sapientoni, perchè volevo vedere voi in due minuti, mentre almeno altre  20 persone  lo salutavano, lo abbracciavano, gli parlavano addosso, cosa avreste fatto al posto mio. E poi anche se non sembra io sono un timido a cui non piace dare fastidio al prossimo, specialmente quando il prossimo è venuto là per fare una cosa sua e a te neanche ti conosce. E poi e poi la vita ormai me l’ha insegnato che se facevo tutto per bene magari non succedeva nulla e invece così non succede niente.
A parte gli scherzi, talvolta ancora mi sorprende il fatto che persino in questi giochi qua – perché davvero alla mia età o lo hai capito che è un gioco o è meglio che, come diceva Mauro P. detto ‘a moviola a causa della parlata oltremodo lenta e strascicata, è meglio che ti togli le targhe e te ne vai allo scasso – l’idea di non esser riuscito a fare una cosa come andava fatta mi disturba assai; si, sono stato disturbato per tutto il viaggio che poi ci hanno pensato gli studenti a disturbarmi con il loro livello di (im)preparazione, ma questo ve lo racconto magari un’altra volta.

Tornando alla passione con la P maiuscola, mi piace ricordare quella che abbiamo trovato mercoledì sera all’Associazione Minerva di Giugliano, dove siamo stati invitati a presentare Uno, doje, tre e quattro. Una passione per la lettura, per il discorso, per il confronto, per l’amicizia, che ci ha coinvolto tutti e ci ha permesso di trascorrere una magnifica serata. Sì, all’Associazione Minerva ho trovato un pezzo di quella Bella Napoli che piace tanto a me. Grazie di cuore.

Mercoledì 16 febbraio 2011

Va bene lo ammetto, ci ho messo un pò di tempo, ma infine eccomi qua. Anche la “prima” di Bella Napoli è andata, con il suo carico di adrenalina e le sue incredibili sensazioni.
Com’è la frase che Morpheus dice a Niobe in Matrix Reloaded? “Esistono alcune cose a questo mondo, capitano Niobe, che non cambieranno mai. Altre invece cambiano.”? Esatto.
Tra le cose che non cambieranno mai ci sono la mia ansia, l’emozione, infine la meraviglia nel riscoprirmi a pensare a tutte le persone che sono disposte a fare delle cose per me, a essere mie complici, a sfidare il tempo (quello che si misura con i minuti secondi non con i centimetri cubi di pioggia, che tanto quella non manca mai) e le troppe cose da fare pur di non farmi mancare amicizia e affetto.

Non starò qui a fare l’elenco che non basterebbe un post solo per quello, dirò per tutte/i di Cristina e di Serena, che a chi c’era non ho bisogno di dire niente e a chi non c’era dico leggete la prefazione e la postfazione al libro e capirete che non esagero, di Luca che come suo nonno prende il lavoro “’e faccia” e i suoi 28 anni ha voluto festeggiarli con me, di Irene che parte domani per la Spagna e come i fiori tornerà a maggio e pure a maggio nuje stamme ‘cca, e di Nando che ha il difetto di essere uno juventino e il pregio di essere un Santoro, per la precisione il maggiore dei Santoro post Luigi, con tutto il carico di ironia, disponibilità, affetto, rigore che la casata richiede.

Sì, lo confermo, in contesti e con persone almeno in parte diverse, mi è capitato lo stesso sia con Uno, doje, tre e quattro, la fantastica avventura che sto vivendo con Viviana Graniero, Daniele Riva e Carmela Talamo, che con Enakapata, che come ho detto l’altra sera è destinato ad avere per sempre un posto a parte nel mio cuore per tutto quello che significa per me.
Che cosa cambia, dunque? Dal punto di vista delle principali non molto. Diciamo che cambiano alcune subordinate e magari una coordinata.
Per esempio ad appena 10 giorni dalla sua uscita in Campania mi sembra evidente che l’interesse dei media per Bella Napoli, per ora a livello regionale, speriamo più avanti anche a livello nazionale, è molto più alto di quello registrato per gli altri libri. Direi che una cosa così non accadeva dall’uscita de La casa dei diritti, ma allora c’era la prefazione di un Sergio Cofferati all’apice del suo prestigio a fare oggettivamente da traino.

Ecco, in questi giorni ho pensato che propria la possibilità che Bella Napoli travalichi i confini abituali dei miei libri in termini di pubblico richiede uno sforzo maggiore da parte mia di tenere il libro nella dimensione in cui l’ho pensato. Sia chiaro: non sto dicendo che così sarà e neanche che me lo auguro o che lavoro perché ciò avvenga, che quello lo faccio ogni volta, ci mancherebbe altro, sto dicendo che questa volta ho delle sensazioni diverse, avverto più forte questa possibilità che, per tutta una serie di ragioni, matura “sponte sua”.

Per farla breve, che questo post da diventando un romanzo, dico che sinceramente a me è piaciuta molto l’insistenza di Cristina Zagaria sul fatto delle storie normali di 12 napoletani al lavoro, nel senso che la chiave della normalità è secondo me essenziale per comprendere la natura più intima e profonda dei miei 12 racconti.
La mia non è un’inchiesta, nè sono andato a caccia di “eroi” che in mezzo al marasma generale si distinguono per la loro capacità, per il loro rigore, per la loro determinazione a fare le cose per bene perché è così che si fa. No, senza falsa modestia, credo di aver fatto di più perché ho cercato di racocntare persone normali che normalmente fanno quello che devono fare. Questioni di archetipi, insomma, perché se c’è, sta qui secondo me la possibilità di un futuro diverso per Napoli, nelle tantissime persone che ogni giorno fanno normalmente il loro dovere. È questa la forza di Bella Napoli. Come continua a ripetermi Emma, una delle protagoniste dei miei racconti, “noi non siamo “modelli” da perseguire, siamo persone normali con normali difetti, che tantissime volte hanno pensato di non farcela e che tante volte ce l’hanno fatta lo stesso e qualche volta non ce l’hanno fatta, perché non è che obbligatorio farcela, in particolare in una città come Napoli”.

Ecco, io penso che Emma abbia ragione, l’ho pensato dall’inizio, ho eliminato cognomi e possibili riferimenti anche per questo, perché come dicevo non scommetto sugli eroi ma sulle persone normali e sulla possibilità che presto o tardi siano loro, le persone normali, i protagonisti del futuro di questa città.
È per questo che a mio avviso ha un senso l’idea, che ho anticipato a chi c’era mercoledì, di continuare a raccontare Bella Napoli, di trovare il modo di raccontarne mille e poi 10 mila di napoletani che naturalmente, ogni mattina, si alzano e cercano di fare bene quello che devono fare perché in questo modo danno un senso alla loro vita.

Non lo so quando sarà, ma qualcosa mi dice che presto o tardi sarà. Sì, perché come ho scritto concludendo l’introduzione al volume, “questa è una città che non ti regala niente, neanche la sua bellezza straordinaria, unica, anche quella te la devi faticare, a meno che non ti accontenti delle cartoline. Ma tanto noi ci siamo abituati. E quando vinceremo lo scudetto della civiltà vedrete cosa saremo capaci di fare, altro che Maradona è meglio ‘e Pelé”.

La giacca

Certo che lo so che solo gli “over non ve lo dico quanto” si ricorderanno che è una bellissima canzone di Claudio Lolli, che poi magari uno di questi giorni ve la faccio sentire su Facebook, ma tanto la giacca del titolo non è quella lì, ma la giacca che avrei voluto comprare per la presentazione di Bella Napoli  di mercoledì.
Sì, avrei voglia di una giacca nuova, ma per me è sempre un problema trovarla con i saldi, non tanto per i 197 cm di altezza, ma per le braccia troppo lunghe, ci vorrebbe una drop 8, ma questi non le fanno quasi più le drop 8, a meno che non decidi di andare in un negozio specializzato e sei disponibile a spendere una cifra esagerata.
No, io non sono disponibile, e non solo per un fatto economico anche se pure quello conta, ma perchè poi in fondo con le giacche non ci prendo molto, bisogna abbinarla con i pantaloni e le scarpe giuste, insomma è una complicazione, diciamo che amo di più vestire “casual”, oppure scombinato, come diceva Luigi Santoro, sì, proprio lui, il mio amico – maestro – fratello maggiore a cui è dedicato Bella Napoli.
Talmente che mi metteva in croce per il mio modo di vestire che la storia della prima volta che sono arrivato a casa sua con il mio esckimo innocente, la barba e i capelli lunghi se la ricordano ancora sia Gianna, la moglie, che Nando, Massimo e Fabrizio, i figli. Sì, diciamo che  mella storia della famiglia Santoro rimarrò incaccellabile per due cose, per quanto ero brutto, di più, cavernicolo, conciato in quel modo e per la mia interpretazione de “Il vestito di Rossini”, sì, guardo caso proprio quello che nel ritornello fa “aveva solo un vestito da festa, se lo metteva alle grandi occassioni, ma poi gli dissero domani ai padroni, gliala faremo faremo pagar”.
Dite che vi devo far sentire anche questa su Facebook? Sarà fatto. Però voi se vivete o passate dalle parti di Napoli mercoledì 16 febbraio non dimenticate di venire alla Feltrineli Libri e Musica di Piazza dei Martiri. Secondo me ne vale la pena, poi vedete voi.

Trica trica e vene pesante

Come quasi tutti i proverbi, napoletani e non, anhe questo del titolo viene utilizzato in molti modi, uno dei più grandi filosofi del novecento, Pasquale Moretti, come lo chiama mio fratello Antonio da quando nostro padre non sta più da queste parti, lo utilizzava come minaccia, anzi no, come avvertimento, perchè papà non minacciava, quando diceva una cosa la faceva, e devo riconoscere che in vario modo l’abbiamo ereditata tutti questa brutta abitudine.
La faccenda funzionava così. Tu facevi una cosa che lui riteneva sbagliata, e lui ti diceva di non farla più. Tu la rifacevi, e lui che anche se gli avessi spiegato cos’era il libero arbitrio ti avrebbe risposto che fino a quando stavamo in quella casa comandava lui, ti diceva “guagliò, attenzione, trica trica e vene pesante”. Era il codice rosso in salsa nostrana, da quel pnto in poi sapevi che prima o poi, continuando così, le avresti prese di brutto. Non si poteva scappare, dovevi decidere le priorità, se era meglio fare e pagare il conto o era meglio rinunciare. E ognuno di noi naturalmente decideva di volta in volta. Per me ad esempio funzionava più o meno così: occupazione della scuola? fare e abbuscare; concerti rock (dai 14 ai 18 anni, che non è che fosse un tiranno il mio papà)? Idem come sopra. Brutto  voto a scuola? Studiare di più e migliorare al più prestp perchè altrimenti erano dolori di quelli seri, seri seri.
Ora voi vedetela come vi pare, ma io spesso penso che se mi sono innamorato del processo decisionale a tal punto da propinarlo ai miei studenti del corso di sociologia dell’organizzazione e soprattutto se ho imparato bene l’importanza dell’asse libertà di scelta, valutazione di vantaggi e svantaggi, assunzione delle responsabilità conseguenti, disponibilità a godere dei vantaggi e a pagare i prezzi delle scelte che si fanno lo devo molto anche a lui, al nostro grande filosofo con la quinta elementare.
Adesso voi non ci crederete, o forse si, perchè in fondo accade lo stesso anche a voi, tutto questo mi è tornato in mente pensando alle traversie che stanno accompagnando Bella Napoli, che sarebbe dovuto uscire il 26 gennaio, poi il 3 febbraio, e invece ancora non si vede in giro. Ora, dato che in questo periodo non è che mi gira proprio per il verso giusto, niente di che, è che sono proprio io che vado a tre, che batto in testa, come dice un mio amico meccanico, mi stavo facendo prendere dal nervosismo quando mi sono detto, “Viciè, nun ce pensa’, trica trica e vene pesante, vedrai che Bella Napoli sarà un successone”. Sarà la potenza di papà, ma mi sono messo a ridere e mi è passato tutto. Intanto stasera me ne vado a Piano di Sorrento assieme a Viviana, Cinzia e Francesco presentare Uno, doje, tre e quattro, che quello un successone lo è già.

Mi arrendo

Sì, diciamo anche che lo faccio con piacere, ma la verità è che mi arrendo.

Avevo pensato di dedicare un nuovo blog e un progetto a Bella Napoli, ma non ce la faccio a portarlo avanti, almeno per ora. Sto talmente impicciato che faccio fatica anche solo ad aprirle le pagine di tutte le cose che dovrei aggiornare e così non funziona, bisogna introdurre dei correttivi.

Comincio dalla cosa che in questo momento mi fa male di più, chiudo il blog dedicato a Bella Napoli, in maniera tale che ricordo a me stesso che la faccenda è seria e non ammette repliche.

Di Bella Napoli naturalmente continueremo a parlare qui, come del resto già facciamo per Uno, doje, tre e quattro, e anche questo in fondo non è detto sia un male.

Per quanto riguarda il nuovo progetto, quello che avevo chiamato Bella Napoli, Italia, per adesso si ferma, poi si vedrà.

Questo è tutto, per ora. Domani però vi racconto cosa ho provato vedendo il libro finalmente in libreria.