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Il gioco dei puntini sospensivi

“Del resto, la ricerca di una identità prima individuale e poi nazionale (o forse il contrario), la ricerca di fini, di scopi, di ideali, finisce per essere il grande tema della vita …….. (1) di questi anni, forse proprio a cominciare dalla vita pubblica. “Chi siamo?”, “Cosa dobbiamo volere?”, “Dove possiamo andare a finire?”, sembra che si stiano chiedendo tutti loro in ogni momento, da …………. (2) al morettino che lucida le scarpe sulla piazza del suo villaggio; e anche tutto il traffico degli intellettuali finisce per avere più una funzione di analisi che non scopi immediatamente politici”.

Di certo lo avrete capito già, il gioco consiste nell’inseriere le parole giuste al posto dei puntini sospensivi. Per aiutarvi vi diremo che la prima parola è un aggettivo e si riferisce a un paese (es. honduregna, equadoriana, svedese, ecc.), che la seconda parola è un cognome, quello del leader di quello stesso paese e che l’anno a cui si riferisce la citazione è il 1959.
Buona partecipazione.

Book-e. Indovina cos’é

by Adriano Parracciani
by Adriano Parracciani

Comincia Adriano Parracciani, così:
E’ un po’ che ci penso e spero di farvelo vedere a breve. Cosa? un book-e. Non è un errore di battitura, si tratta proprio di un book-e che ovviamente è un qualcosa di diverso da un e-book 🙂

Poi arriva Concetta Tigano così:
e-book : libro di carta che si legge su pc
book-e : libro fatto su pc che si legge in carta????

Continua Andrea Lagomarsini, così:
ehehe Adrian… ci intendiamo… eh eh

Poi, ancora su suggerimento di Concetta, lancio io la voce su Facebook così:
E se lanciassimo un concorso? Chi sa cos’è un Book-e che è diverso da un e-book?

Santina Verta interagisce così:
Ahhh per me che ignoro l’inglese (ah l’ideologia antiamericana che tiri ha combinato) potrebbero essere un bouquet ( j’adore !) caduto in una buca!

Dedè Ovvero Adele Gagliardi interviene così:
Forse un book-e è un libro errante?

Adriano Parracciani si diverte così:
Sono curioso di saperlo: dite, dite :-))

Felicia Moscato interviene così:
Sarà forse un book che dall’etere si trasferisce su carta, subendo così un processo inverso rispetto e-book????

A questo punto ho deciso, decido che il concorso si fa davvero, dura tutta l’estate, si vince pizza, sfogliatella e caffé, in tre posti diversi, perché ognuno ha la sua specialità, offerti da me non appena passate da Napoli (se già ci state, meglio ancora). Prima però dovete indovinare.

Enakapata al mare

Sì, con Adriano Parracciani abbiamo deciso di lanciare un altro tormentone.
Lui, che come sapete è molto digitale tecnologicamente avanzato, l’ha chiamato ENAKAPATA SUMMER CONTEST. Io, che con l’età le forze per contestare le devo centellinare, tenuto conto che qui dove il dolce si suona i motivi per contestare di certo non mancano, ho preferito tuffarmi sul più nazional-popolare Enakapata al mare.
Che cos’è, quando e come si gioca e compagnia cantando lo trovate sulla pagina dell’evento su Facebook e sul commento che trovate in fondo (eh sì, per giocare non è obbligatorio essere iscritti a Facebook).
Quello che mi resta da dire qui, e lo faccio con grande piacere, è che l’evento suddetto è promosso, oltre che da questo blog, da Grammi di Storia e si giova del supporto di Sottolineato il libro dei libri e di Caos Ordinato.

SottolineaLotto Atto Secondo

by Adriano Parracciani
by Adriano Parracciani

Che cos’è Sottolinealotto l’ho già raccontato qui e dunque non lo ripeto. Il punto è che nel frattempo il gioco è cresciuto nei numeri, nel logo, quello nuovo lo potete vedere a fianco, sullo sfondo nero Adriano Parracciani scrive di volta le info relative al singolo evento, e soprattutto nelle aspirazioni.
Ecco, mi piacerebbe con questo post portare il mio piccolo mattoncino affinché le nostre aspirazioni diventino realtà. Le mie proposte sono 3:
1. Fare di SottolineaLotto un evento fisso sulla pagina di Sottolineato-Il libro dei libri, sul tipo di Sottolineature Erranti, un’altra bella idea di Adriano.
2. Associare ogni concorrente a un numero della tombola o anche, se vogliamo incentivare a postare più citazioni sul tema del week end, tanti numeri per concorrente per quante citazioni ha  fatto (max 3 o 4) e poi procedere non più con i fogliettini ma con la tombola, seguendo sempre la stessa regola, vince la persona associata all’ultimo numero estratto.
3. Tutti coloro che partecipano si “impegnano” a fare almeno una volta da sponsor del gioco, cioè a regalare un libro (ce ne sono di super belli super economici, ce la faccio persino io).
Aspetto valutazioni, osservazioni, critiche ma anche consensi.

Bella Napoli

by Matteo Arfanotti
by Matteo Arfanotti

No, no, non vi allarmate, non ho deciso di aprire una pizzeria. Innanzitutto perché nell’elenco, infinito quasi come la poesia di Leopardi, di cose che non so fare, c’è anche la pizza e io non mi metto certo a fare il pizzaiuolo se non posso fare la margherita e la marinara più buona di Napoli e dunque del mondo (perché solo la margherita e la marinara? e perché le altre sono pizze? e allora era una pizza anche quella con l’ananas che ho mangiato a Sydney dal mio amico Lucio da Montoro Inferiore, ma fatemi il piacere, è meglio che mi sto zitto perché altrimenti facciamo la fine della discussione sul viaggio). E poi perché se apro la pizzeria non la chiamo certo Bella Napoli, che ce ne sono già 250 mila, ma Pizzeria Enakapata, che fa molto più chic.
La bella Napoli a cui mi riferisco è quella che sta venendo fuori dalle chiacchierate che sto facendo per il mio prossimo libro.
Finora ho intervistato un ingegnere, un restauratore, un ferroviere, e un addetto alla vendita di musica, film e videogiochi, tutti rigorosamente napoletani, e sapete le due parole chiave che accomunano tutte queste belle persone?
Amore e Responsabilità.
L’amore per il proprio lavoro.
La responsabilità di fare bene il proprio lavoro.
Sì, sta venendo fuori proprio una bella Napoli. Una Napoli che non mi fa rimpiangere Tokyo, che anzi ha un qualcosa di più che la rende unica.
Dite che  Napoli non è tutta così? E proprio a me lo venite a dire?  Oggi  è la seconda volta che lo dico: io racconto storie, non faccio rivoluzioni.  Però le storie si prendono cura di noi e dunque io spero che continui così. Se va male, scrivo un bel libro, se va bene, beh, se va bene, mannaggia  quante feste che dovremo fare. Non ci credete al lieto fine? Neanch’io. Però non si può mai sapere. Come dicevano gli antichi, quello che non succede in mille anni succede in un giorno. In ogni caso prometto che vi tengo informati. E’ il minimo che posso fare per voi.

Dialogo finito in (finta) disturbata intorno a Enakapata di Lucia Rosas, Carmela Talamo e Viviana Graniero

by Matteo Arfanotti
by Matteo Arfanotti

L’idea me la suggerisce il commento di Cinzia Massa al dipinto di Matteo Arfanotti: “che invidia … Vincenzo sei proprio sicuro che a casa mia non starebbe meglio? 😀 E’ semplicemente FAVOLOSO!”, cosicché scrivo sulla bacheca di  Facebook. “A sentire Deborah Capasso de Angelis, Viviana Graniero e Cinzia Massa a casa loro The Enakapata Picture by Matteo Arfanotti starebbe alla grande. Sono commosso, ma declino l’offerta. Potrei però organizzare una festa sul terrazzo con visita al dipinto. Che ne dite?”.
E’ Lucia Rosas la prima a cliccare su “mi piace”, poi interviene Carmela Talamo, poi Lucia, poi Carmela, poi … ma che ve lo dico a fare, adesso ve lo scrivo. Io lo trovo un pezzo di teatro, voi fate voi.

Carmela Talamo
Questo quadro starebbe bene ovunque ma visto che si appropinqua il mio compleanno magari…

Lucia Rosas
Eccola, mi hai preceduto nella richiesta! 🙂

Carmela Talamo
Si appropinqua anche il tuo compleanno?

Lucia Rosas
Poco più in là … ma se posso prenotare approfitto!

Carmela Talamo
Siamo troppe e tutte sfacciate senza vergogna … povero Enzo il solito maschio in minoranza, hihihi.

Lucia Rosas
Mali estremi, estremi rimedi. Enzo fonda scuola di scrittura sul mare e tutti insieme ammiriamo il quadro.

Carmela Talamo
Lulù, ma sei di luglio anche tu?

Lucia Rosas
NO, ma piace molto pure a me.

Detto che l’idea della scuola di scrittura sul mare mi piace da impazzire ma è purtroppo  irrealizzabile dato che mi mancano due requisiti fondamentali, i soldi e le competenze, aggiungo che magari possiamo aprire un laboratorio teatrale, e non è detto che non …..

Poi è arrivata Viviana Graniero

Viviana Graniero
Uè uè e poi dite che sono sempre io a fare succedere la disturbata… c’ero prima io!!!!

Lucia Rosas
In coda piccola! e stavolta posso dirlo !!!!

Carmela Talamo
Viviana, ma tu non devi dare retta alla tua amica bergamasca? Jamme bell jà

Lucia Rosas
Eeeeeh ?

Carmela Talamo
Jamme bell ja vuol dire è un’esortazione che possiamo tradurre con “forza sù”

Viviana Graniero
Carme’, agg’ pacienz’… ma io mi sono prenotata che era ancora in “costruzione”… per cui: ARIA!!!! hihihihihi

Lucia Rosas
Quindi mentre voi … parlate entro in salotto lo sfilo e come caccia al ladro … adieu.

Carmela Talamo
Sentite facciamola breve io sò la più grande e, quindi, decido io.

Viviana Graniero
A-me-mi chiamano Viviana Bond (e pure un poco bot e cct), statevi attente!

Lucia Rosas
A me strega. le ragazze di enzo non perdonano!

Carmela Talamo
Vabbuò io già l’ho detto prima che stavo scazzata mò come la mettiamo?

Lucia Rosas
Toglitela. anche se abbai ti faccio pernacchia! PRRRR

Viviana Graniero

Carmé e tirititittì!!! hihihi

Carmela Talamo

Che belli cumpagn ca teng (che belle amiche che ho)

E con questo, Enakapata ha anche la sua compagnia teatrale :-).

SottolineaLotto

SottolineaLotto
SottolineaLotto

Una cosa così la poteva pensare solo il mitico Adriano Parracciani, sostanzialmente una lotteria per decidere chi vince un kit di monete.
Lui l’ha chiamata la lotteria modello Highlander, a me ha ricordato il tressette a perdere, perché ha messo in una scatolina i nomi dei partecipanti e vincerà quello che viene estratto per ultimo. I partecipanti sono Vavier Verdem, Lucio Tamburini, Angela Martinengo, Daniele Riva, Maria Paraggio, Francesco Iandelli, Vincenzo Moretti, Anna Iaccarino, Sara Antiglio.

Telecronaca:
Adriano Parracciani ha girato il panariello- scatolina.
Il primo sfortunato non vincitore ad essere estratto è Daniele Riva. Seguono Anna Iaccarino, Maria Paraggio, Francesco Iandelli, Vavier Verdem, Sara Antiglio, Angela Martinengo.
Rimangono Vincenzo Moretti e Lucio Tamburrini.
Ci sono Carmela Talamo e Maria Paraggio che fanno il tifo per me.
Adriano estrae l’ultimo bigliettino:
Vincenzo Moretti, dunque “The winner is Lucio Tamburini”.

Notizie Brutte: Nessuna.
Notizie Belle: L’esperimento ha segnalato dei limiti, ma nel complesso è più che riuscito, l’idea è assai simpatica, può avere un seguito, e Adriano è bravissimo nel ruolo di banditore.
Notizie Pazze: Su Sottolineato Enakapata è il libro più citato con 19 citazioni e io e Luca siamo al 4 posto tra gli autori più citati (non vi dico prima di chi veniamo perché altrimenti non ho più il coraggio di farmi vedere in giro).

Proposta: io lo chiamerei SottolineaLotto, che ne dici Adriano?

Duca Alfonso Maria di Santagata dei Fornari

Immagino che voi tutte/i conosciate il Duca Alfonso Maria di Santagata dei Fornari. Non lo conoscete? E allora guardatevi il video. Anzi no. Il video guardatelo comunque, che è un pezzo di storia del cinema italiano. Fatto? Bene. Il gioco è semplice. Raccontate a chi vi sarebbe piaciuto o vi piacerebbe fare un pernacchio così, e perché.
Una sola raccomandazione: evitiamo ogni riferimento a chi sto pensando io. Perché vige il divieto di propaganda? No, no, che quello lui fa finta che non esiste, impegnato com’è a occupare televisioni e a far spedire in giro sms. E’ che come sapete sono  scaramantico tendente al superstizioso. E spero che il pernacchio glielo  possiamo fare tutti assieme domani sera. Buona domenica. E non dimenticate di mandare le vostre storie. Vere o immaginarie non importa, basta che siano condite con una dose abbondante di ironia.

Foto in cerca d’autore. I racconti


Carmela Talamo

E’ vero Musa, la vita è bella, maledettamente, terribilmente, immensamente bella anche se te ne accorgi quando la senti che ti sfugge, anche quando stai per buttarla via come ha fatto “nennella” (ricordate?) è bella anche quando è fatta di poco, anche quando è fatta di niente, perchè ti basta un attimo per capirlo, come questo sole che dopo tanta pioggia comincia a scaldarti il viso e poi più giù fino al cuore e poi più in fondo fino all’anima. E’ bella perchè anche quando stai per compiere l’ultimo passo verso il nulla puoi trovare una mano che ti afferra giusto in tempo per i capelli, perchè quello è il primo giorno della tua nuova vita, perchè anche se nulla è cambiato intorno a te, finalmente qualcosa comincia a cambiare “dentro” di te e poi incontri la big band e ti rendi conto che è valsa la pena arrivare fino a qui anche solo per raccontare e ricordare e, magari, aiutando te stessa, aiuti anche gli altri. Si Musa, la vita è decisamente bella.

Daniele Riva
L’infermiera ha detto che passerà più tardi. Con le pastiglie della buona notte. E dormirò ancora e avrò altri di questi sogni chimici che mi sballottano nello spazio e nel tempo e al mattino mi lasciano uno straccio, un otre vuoto. È quello che vogliono, questa è l’igiene mentale che campeggia a grandi lettere bianche e illuminate sul muro della clinica. È strano come certi eufemismi ci lavino la bocca: sono soltanto dei modi per pulirsi la coscienza e non pensarci. Clinica. Ospedale psichiatrico. Manicomio.

Così mi si incastreranno gli eventi della giornata e le allucinazioni prodotte dai medicinali. Chissà come entrerà Vincenzo in questo sogno. Nel pomeriggio è venuto a trovarmi e mi ha portato in dono il suo libro. Ho cominciato a leggerlo. Probabilmente anche il Giappone scivolerà nel sogno con i suoi giardini di ciliegi in fiore e la perfezione tecnologica. Si miscelerà con le brutte facce di questa televisione che non riesco neanche più a guardare: volti litigiosi, veline seminude, gente che parla e apre la bocca come in un acquario, perché io non li sto più neanche a sentire.

Come la notte scorsa: c’era una donna con una foglia di vite tra i capelli serpentini, una Medusa moderna che sproloquiava in una vecchia sala d’aspetto con le panche di legno e un lattiginoso lampadario al neon. Fuori c’era il tram che mi aspettava ed erano gli Anni Cinquanta, Milano – credo fosse Milano, ma poteva essere Torino o Dresda o Buenos Aires – era una grigia periferia di opifici, ormai finita la guerra si pensava a ricostruire. I cani razziavano tra i rifiuti, un gatto pisolava su un muro di cinta. Ovunque reticolati e ciminiere. E d’improvviso, con un salto di tempo e di spazio, il tram divenne un moderno treno rosso e correva accanto a un lago. Volli scendere in una di queste piccole stazioni, mi inoltrai nel paese, dove splendevano gialli i lampioni tra le case e i campanili. I murales mi attirarono in un atelier, dove una donna bellissima dipingeva. Non era vero nulla, lo so: era l’effetto delle medicine. Ma l’Arte, l’Arte quella era vera. Come era vero quell’ometto curvo e cieco che giocava al go. Mi disse di chiamarsi Jorge Luis Borges, si teneva a un bastone e raccontava qualcosa a proposito di labirinti e biblioteche…

Ecco l’infermiera con le pastiglie in un bicchierino di carta bianco. Me le porge. Le inghiotto con un sorso d’acqua. Addio…

La Musa
Eppure, la vita è bella, come dice lieve Benigni in quella sua canzone. E’ bella? E’ quello che noi siamo, quello che diventiamo, quello che avremmo fatto e nn è stato, quello che adesso è, e va bene così. Perchè indietro nn si torna e avanti si deve procedere, finchè morte nn ci separi da lei. Pensieri melanconici, pensieri inquieti, ricordi struggenti; quello spleenetismo che avviluppa le essenze più sensibili. Nel percorso fino ad oggi, il beneficio dell’età adulta, mi ha dato la chiave di volta: ci vuole resilienza. Quella capacità che volge al positivo ogni esperienza forte, spesso traumatizzante; quell’umanità che ti fa apprezzare la compagnia, ma altrettanto la solitudine, perchè di fronte a qualunque bivio, a qualunque alternativa, a qualsivoglia intoppo, in ogni caso siamo soli con noi stessi, tanto vale accomodarsi l’idea. La vita è questo, una scheggia di luce che finisce nella notte, diceva Celine. Allora ho guardato fuori stamattina: due piccoli di merlo pigolavano festosi nel nido fra i rami di un pruno ingemmati; sulla mia rosa rampicante occhieggiano i primi teneri boccioli; il sole, riverberi di luce fra l’ondulare tenue delle foglie di bamboo. Sì, la vita è bella, come cantava lieve Benigni.

Lucia Rosas
Tutto per una promessa. Che strano nome, ma che cos’è un libro. Un discorso smozzicato come solo una chat sa fare quando ti serve. Alla fine il libro è in mano poi sul comodino in ospedale. Un fidato amico che aspetta il tuo tempo. Sono sola, mi godo il silenzio inframezzato dal campanile, dai passi felpati in corridoio dal sole primaverile alla fine di febbraio. debbo aspettare con calma un altro medico e la sua spiegazione. Nulla di grave, un polipo fuori programma mentre mi chiedo perchè l’endometriosi non si ferma e mi rende impossibile non solo programmare la giornata ma anche camminare. E’ un male sottile, subdolo, un filo di edera che ti scivola dentro dall’utero arriva all’intestino alla schiena si annida senza chiedere permesso. Si siede, dorme e quando è il momento si sveglia scoppia come polvere da sparo brucia e ti vorresti scavare le carni per farlo smettere.
Siamo rimasti soli in camera tutto il giorno prima io in attesa e lui che raccontava che esiste una cosa chiamata serendipity e tu annuisci, ci credi e sorridi in attesa che qualcosa di buono succeda.

Deborah Capasso de Angelis
Carmela ce la farà ancora e ancora e ancora.
E ce la farò io con lei, ancora, ancora e ancora. Me lo ripeto spesso perchè solo in questo modo arrivi al controllo successivo e aspetti i risultati. La settimana più lunga in assoluto e poi vai, da sola, perchè è una cosa solo mia. E’ la mia vita e voglio aprire io la busta. Non è stato così terribile come quello di Carmela, me la sono cavata in tempo di record e senza terapia ma, è vero, sorridi di più, ti arrabbi di meno, elimini tanta gente rubarespiro e fai entrare nel tuo mondo tante persone ossigenanti. Ci sono in tanti intorno a te ma le decisioni devi prenderle tu e certe volte avrei fatto vincere “lui” (non voglio nominarlo, non merita di avere un nome). Ho dovuto rimandare nel giardino dei mai nati il mio bambino per “lui”. Mi ha fatto male ma ora sono qui e ci sto proprio bene!

Lucia Rosas
Scrivo di getto breve spaventata senza curarmi degli errori del suono del cellulare mentre quel quadro perfora le tempie poichè rifiuto quel volto accigliato della prozia matilda. Ho deciso di abbandonare il liceo i sogni di gloria dell’università e l’amata pittura. Via dal calore opprimente di milano verso altri lidi. Lascerò in disordine come tutti i giorni come dovessi tornare sapendo di mentire. Libri abiti sgargianti cd e quanto mi lega al mio bozzolo.  Il biglietto sul bordo del tavolino scivola a terra, un refolo di vento lo ha fatto scivolare: fosse così per i pensieri ma no. Lo zaino leggero è pronto solo un paio di jeans e una felpa la kway e la macchina fotografica; tuffo al cuore album e carboncini debbono essere raccolti. Sbatto la porta quasi inciampo sulle scale saluto furtivo alla portinaia e via correre a testa bassa verso la stazione mentre il cuore in petto scoppia come la voglia di urlare libera.
Il treno per la svizzera è puntuale, ovvio, salgo rosso lucido perfetto lunga serpe verso altri lidi. Curva quasi impenna questo cavallo d’acciaio chiudo gli occhi inebetita e sempre tra il dubbio e la certezza che sia la cosa giusta.

Carmela Talamo
E’ vero, mentre sei chiusa in una camera d’ospedale a combattere contro il cancro, tutto assume una dimensione diversa, cambiano le cose, cambiano le persone, le priorità, i pensieri si susseguono così velocemente che tu stessa fai fatica a stare al passo e, inevitabilmente, ti lasci alle spalle la zavorra che hai raccolto per una vita intera.
Io ero praticamente sigillata in camera, completamente sola ed isolata, chiusa ermeticamete dall’esterno con una porta blindata, sorvegliata perennemente da una telecamera (ho avuto anche io il mio Grande Fratello).
Terapia radiometabolica con iodioradio 131 è così che la chiamano, si pratica dopo che ti hanno asportato la tiroide con il suo bel carcinoma, serve a distruggere qualsiasi residuo di tiroide e, quindi, previene il riformarsi del cancro in qualsiasi frammento d’organo superstite. Devi solo ingerire una pillola e diventi radiottiva per un pò di giorni e resti lontana dal mondo finchè non smaltisci le radiazioni. E allora che fai? Pensi  e pensi e pensi… a tua figlia che si è appena affacciata alla vita, a tua madre che invece la sta lentamente abbandonando perchè un’altro signor cancro ha deciso che se la vuole portare via e, infatti, di lì a poco ci riuscirà, e pensi pensi pensi… che se ne esci viva nulla sarà più come prima, ed infatti non lo è, né peggio né meglio ma molto diverso, niente più fronzoli, persone inutili, niente più idiozie, solo quello che conta veramente, solo quello che mi va, niente più cose da fare perchè si deve ma solo perchè ti va, fanculo tutti quelli che non ti servono, se il cancro ha avuto un senso allora la mia anima deve crescere fino a farmi scoppiare di essenza. E poi passano gli anni e tu ce l’hai fatta (forse), si susseguono i dolori e i lutti devastanti e tu ce l’hai fatta ancora. E forse tutto questo aveva un senso, forse il senso era semplicemente portarmi qui adesso, per il momento mi basta e se domani ci sarà dell’altro io … ce la farò ancora, ancora ancora…

Maria Paraggio
Quel tavolino, il libro, l’acqua mi fanno tornare in mente giorni in cui mi sono trovata a riconsiderare la mia vita e le cose importanti che avevo messo da parte per dare priorità ad altro. Ci sono momenti in cui, come un flash ti passano davanti anni ed anni e ti rendi conto di quante occasioni sprecate, quanto tempo non vissuto in pieno ed allora vorresti anche solo un giorno in più per non guardarti indietro ed avere rimpianti. Questo pensavo nella mia camera d’ospedale, con monitor vari, fili, un tavolino girevole, un libro e una bottiglietta d’acqua a farmi compagnia e a ricordarmi l’infelice condizione in cui mi trovavo. Da quei momenti nacquero i seguenti versi:
“Vorrei ritrovare il sentiero perduto
seguendo le tracce
delle mie ambizioni passate
Camminare con il vento in faccia
senza paura, liberata dai lacci delle aspettative di altri
che decidono per te, che scelgono per te, senza parlare
senza ordinare, senza persuadere,
con la scusa di amare.
Quante volte ho ripercorso a ritroso la mia vita.
molti gli errori, tanti gli eventi assistiti come dal balcone.
Dall’angolo più alto assistere impotente al progressivo e
inevitabile annullamento e tutti intorno indaffarati a riportarti
là dove volevi scappare.
Consapevolezza della propria stoltezza
Amara verità che ancora non ha imparato ad accettare la sconfitta”.
(Penombra mattutina, pag 16)
Invece non ho accettato la sconfitta. La vita mi ha dato un’altra opportunità ed altro tempo. Tante le cose lasciate incompiute ed ora portate a termine e parte del merito va al mio caro Prof. Moretti e alla prof. Massa.

Viviana Graniero
Mettiamo insieme il treno sul fiordo e il biglietto per un’imprecisata destinazione e quella che viene fuori è una storia realmente accaduta. A me, per fortuna!
Uno degli ultimi viaggi io e mio marito (che all’epoca lo era da appena una settimana) lo abbiamo fatto in Scandinavia… lo sognavamo da tanto e abbiamo approfittato delle ferie matrimoniali per organizzare un lungo giro, di circa 16 giorni. Prima tappa: la danimarca. Copenhagen. E poi in giro per la costa danese, con i suoi meravigliosi castelli e tutt’intorno un’aria da favola di Andersen.
Seconda tappa: la Norvegia. E qui comincia la storia.
Dopo due giorni meravigliosi a Bergen, un paradiso tra i fiordi del sud, avevamo tutto prenotato per raggiungere Oslo facendo ancora una gita in nave tra i fiordi e poi un tratto in treno. La mattina della partenza pioveva a dirotto, in pieno stile norvegese. Le valigie e la pioggia hanno rallentato la nostra corsa verso il pulman che avrebbe dovuto portarci al paesino dal quale partiva la nave. Tre minuti di ritardo (e dico 3 davvero), il pulman è già partito, lo abbiamo perso. Per i primi 5 minuti ci prende il panico, tutto già pagato e organizzato e adesso che si fa? Come ho detto il panico dura 5 minuti, in fondo siamo alla stazione qualcosa si farà. E così con il nostro inglese di bassissimo livello cerchiamo di spiegare l’accaduto alla biglietteria, speriamo che ci convertano i biglietti della gita in 2 per un treno diretto ad Oslo. Niente da fare, sono biglietti di un tour operator, alla stazione non possono far niente. decidiamo di comprare due biglietti per una tappa intermedia e di lì cambiare per Oslo. E quella che ci era sembrata una sfortunitissima situazione si trasforma in una delle cose più belle che abbia mai visto e vissuto, che ricorderò per sempre. Prendiamo un treno che passa attraverso il paese delle meraviglie e mentre fuori diluvia (e tutto sommato, pensiamo, che cosa avremmo potuto vedere da una nave con quel tempaccio?) noi siamo incollati ai finestrini, incantati da montagne, cascate, fiumi, mari e laghi… un trenino che sembra quello dell’edenlandia per quanto è lento, ma scopriamo che è fatto apposta per farti ammirare il tratto di ferrovia più bello del mondo. Sfoglio la mia inseparabile guida del National geographic e scopro che quel tratto è segnalato, che è imperdibile se sei in Norvegia perché non lo scorderai mai più. Vero. Assolutamente. Ti sembra di essere in un documentario, ad un passo dalla perfezione assoluta. E’ più di un semplice paesaggio, è un mondo apparte… come in un film, come in un romanzo d’avventura. Ridi o ti commuovi, apparentemente senza motivo, non puoi farne a meno… è intenso. Vorresti che la stazione di destinazione non giungesse mai, è come avere a che fare con il “per sempre”, ci credi. Esiste qualcosa di eterno e tu l’hai visto, anzi, ne sei stato parte.
Alla fine arriviamo ad Oslo con il sorriso stampato sul volto e mille emozioni che restano dentro, nel silenzio trovano la loro espressione migliore. Abbiamo scordato completamente di averci rimesso circa 200 euro e la gita in nave e corriamo in albergo a posare le valigie, pronti per il resto dell’avventura, che si concluderà la settimana seguente a Stoccolma, ma che ancora è vividissima nel nostro ricordo.

Santina Verta
Vedi Napoli e poi muori“. Me lo disse il nonno della signora Rosa, di Maiori, che abitava nel mio vicoletto calabro. Napoli, la prima città vista, ero affascinata da tutto, che ricordo elettrico,  “Marò, quanto mi è piaciuta sta città!”. Era, ohi la memoria … era fine terza media, aspetta che conto; estate ’64.
Un insieme di flash nitidi e offuscati dall’eccitazione di una prima uscita da casa, ospite da estranei … timidissima … un solo vestito fatto fare per l’occasione. Tre giorni di curiosità  e quel timore del detto dell’accoglienza … non capivo la morte abbinata alla bellezza, mi impensieriva.
Sarei tornata a Napoli nel ’74, pretendendo di studiare e fare anche la mamma, ma la precarietà economica, sempre quella dannata, mi bloccò al quinto esame di lettere moderne, ma intanto avevo avuto l’impatto  escludente con Milano, ma ora  è  Napoli e la sua bellezza che si impenna!
Due giorni ospite da Amica, per caso parente,  ‘ncoppa o Vomero, mi permettevano di passare gli esami in università e poi gironzolare per scoprire parti della città.
Riecheggiano le parole di mia madre “Statt’accorta, a Napule rubbano“, ma io ho sempre avuto coraggio! Ma, quella volta, invertii numero di tram e finii a san Martino, poi al Cardarelli e ripensandoci, mi vien da ridere, non osavo entrare in un bar e telefonare all’amica Annalisa, né tantomeno entrare per un caffè, le parole della mamma … ma   le ore passavano, così la fatidica telefonata: “Annalì, mi signu persa” e lei invece di spiegarmi … chiamò tutta la famiglia e ridevano  e ridevano. “Io nu ci puzzu penzà“, ero già sotto casa loro!
Altra cosuccia di cui ridiamo quando ci ritroviamo  è stata la sorpresa  di vedere scritto vicino  al suo palazzo “Parco Aldebaran” io vedevo un solo Albero recintato e dissi: “Ma Annalì, a Napuli  chiamate parco un albero! E lei: “dai moviti, u parco so i case“!

Stefania Bertelli

Io partirei dal biglietto del tram. Perché a casa mia i trasporti pubblici occupano un ruolo importante. Mio marito ne è responsabile presso il comune di Venezia e si nutre e ci nutre costantemente dei suoi problemi. Tutti i nostri viaggi sono caratterizzati da tappe presso stazioni di autobus, gite in tram, percorsi in metropolitana…su e giù per le città. Per non parlare dei parcheggi scambiatori, per i quali mio marito ha un’insana venerazione: se li vede è capace di inchiodare l’auto, per andarli a fotografare. Detto questo, non è per fare la vittima, ma anche in uno di momenti più importanti della nostra vita Franco non ha voluto derogare. Il giorno che ho partorito per la prima volta, molto inesperta, non ho riconosciuto i primi segni delle contrazioni; allora, informata mia zia del mio stato, lei ci ha intimato di muoverci velocemente… e così ci siamo avviati verso l’ospedale. Essendo io impossibilitata ad andarci a piedi, mio marito ha rifiutato il suggerimento della zia di chiamare un’idroambulanza ed ha sentenziato: si va in mezzo pubblico!
La sfortuna ha voluto che fosse la domenica della Regata storica, la prima di settembre, una delle feste popolari cittadine, quando il traffico acqueo si paralizza; morale… ho dovuto attendere pazientemente presso l’imbarcadero dei vaporetti l’arrivo del mezzo, quando mi si son rotte le acque, … quando sono arrivata finalmente in ospedale, medico e infermiere mi hanno guardato con gli occhi fuori dalle orbite e mi hanno catapultata in sala parto.
Vorrei aggiungere, a questo proposito che, in questo periodo, stanno costruendo dei vaporetti proprio a Napoli. Mio marito è venuto a definire i lavori ed è tornato con pastiere, sfogliatelle e dolci vari, che i soci della cooperativa gli hanno suggerito.

Foto in cerca d’autore

L’autore da trovare non è quello della foto, che c’è già, è in realtà un’autrice da queste parti assai nota, Lucia Rosas. La foto, con mio grande piacere, me la sono ritrovata sulla bacheca di Facebook qualche giorno fa. Naturalmente ho ringraziato Lucia con i mezzi che sono disponibili da quelle parti e così, chattando chattando, è venuta fuori l’idea, più sua che mia, di provare a raccontare storie a partire dalla foto.
Lucia si è entusiasmata un bel pò, io ho fatto la parte di quello che butta acqua sul fuoco. Questa faccenda delle storie a volte funziona e a volte no -le ho detto-, comunque possiamo provare. Lei ha detto proviamo, ed eccoci qua.
La parola, anzi il post, passa a noi, gli autori. Se abbiamo voglia di farci trovare, of course.

Lucia Rosas
io non sono nota, io approfitto di una amicizia virtuale che, su una piattaforma vituperata rivela invece un’anima e una possibilità di essere ed esserci in modo vitale. io chatto perchè la mia voce è questa, io sono e vivo qui.
avevo scommesso di resistere alla nostalgia di uno schermo spento, di staccarmi dalla tecnologia armata di sms e un libro. è possibile e, paradossalmente ti fa desiderare di sentire il suono di quelle voci, di incontrare quegli altri che frequenti x il piacere di farlo, quando te la senti, quando hai da dire qualcosa di vero e tuo e dove distanze e credo si possono abbattere. ho sempre creduto ai libri come mondi possibili e che incontri le persone nei momenti + impensabili che ti piombano addosso con il loro vissuto, sono libri parlanti sono occasioni che non puoi perdere sono … il resto delle parole arriva durante dopo arriva. sempre.

Questo ce lo metto io
Con Lucia Rosas abbiamo pensato che un tavolino, due bottiglie d’acqua, un libro, una penna, un telecomando e una busta forse sono un pò poco per costruire una storia. Scrivete gli altri elementi, personaggi, soggetti che vorreste nella storia, mandate foto o disegni (purché fatte da voi o in ogni caso non soggette a diritti d’autore). Arrivati a 20 ci fermiamo e cominciamo a scrivere le storie con tutti o anche solo alcuni degli elementi a disposizione. Pronti? Via!

La Musa
Un gatto e un pc.

Vincenzo Moretti
Il Piacere di Matteo Arfanotti

Laura Marchini
Sedie di legno come quelle di una volta… fogli molti, sparsi sul tavolo, un pò di confusione….
e una luce! non sò se un lampadario oppure una luce da tavolo accesa: perchè la luce è importante, apre una “porta”, un pensiero….

Felicia Moscato

Concetta Tigano




Viviana Graniero

Daniele Riva
Un paio di biglietti del tram o della metro, senza specificare la città…

Santina Verta

Una tavola da Go e alcuni proverbi.
Perdi le tue prime 50 partite più in fretta possibile.
• Usa il Go per farti nuovi amici.
• Non seguire i proverbi.


Giappone.
Il gioco si svolge su una tavola di legno chiamata Goban (ban vuol dire tavola in giapponese) su cui è disegnata una griglia di 19×19 linee ortogonali. I due giocatori usano delle pietre bianche e nere che posizionano nelle intersezioni del Goban. Il nome del gioco vuole dire qualcosa come “pietre che si circondano” ed illustra lo svolgersi del gioco: entrambi i giocatori cercano di fare punti circondando territorio (zone vuote del Goban, ogni interesezione è un punto) e pietre avversarie (quando vengono catturate ognuna è un punto).

Le regole del Go sono poche e semplici: quelle fondamentali sono 3(+1) e le rimanenti servono per chiarire alcune situazioni che possono crearsi raramente.
• Inizia sempre nero, si gioca uno per volta e le pietre una volta collocate sul Goban non si spostano.
• Una pietra, od un gruppo di pietre contigue (lungo le linee, non in diagonale), ha tante libertà quante sono le intersezioni vuote adiacenti ad essa. Quando rimane senza libertà la pietra è catturata e viene rimossa dal gioco lasciando spazi vuoti al suo posto. Nell’mmagine la 1° pietra ha 4 libertà, la 2° ne ha 3, la 3° ne ha due. La 4° pietra ha solo una libertà, è in Atari, e se bianco gioca nella posizione segnata dal quadrato la pietra nera verrà catturata e rimossa.

• Ad ogni suo turno un giocatore può giocare una pietra o, se ritiene di non avere nessuna buona mossa da giocare, passare. Se entrambi i giocatori passano consecutivamente la partita è finita, si contano i punti e si determina il vincitore.
• Segnalo in questo breve riassunto come 4° regola quella del Ko senza approfondirla: possono esistere delle situazioni in cui il gioco potrebbe entrare in stallo ed esistono delle regole per impedire quasi tutti questi casi.

Normalmente il Go viene giocato su un Goban di 19×19 intersezioni, ma si gioca anche in Goban più piccoli come 13×13 o 9×9. Questi Goban ‘minori’ vengono usati per partite veloci, per introdurre i principianti al gioco e ‘tanto per giocare in modo diverso’. Una cosa interessante da notare è che nel Go c’è un sistema di graduatoria ‘naturale’: se due giocatori di differente abilità si incontrano il più capace concede all’altro il nero (che incomincia per primo) e, nel caso, pietre di vantaggio. In questo modo si può sempre giocare una partita equilibrata e divertente, mentre in altri giochi il giocatore più forte vince sempre (o almeno dovrebbe)
Buon gioco!

Paola Bonomi

Maria Paraggio
In provincia di Salerno c’è un paese molto suggestivo, Ottati. E’ una galleria d’arte a cielo aperto. Artisti provenienti da ogni dove hanno realizzato murales bellissimi. Sono circa un centinaio. Percorrere le strade del paese è come visitare una galleria d’arte. Ne sono rimasta affascinata. Sulle pareti di antiche costruzioni si possono ammirare delle vere e proprie opere d’arte.

Chi nun tene curàggio nun se cocca cu ’e fémmene belle


Viviana Graniero
Eccomi qui, volevo partecipare già da un po’ e mi sembrava anche di avere un bel po’ di cose da dire e poi, come qualche volta accade, arrivano brutte notizie (e questo periodo mi sembra un incubo, spero solo che finisca quanto prima e ci lasci un po’ in pace) e la tua mente si azzera. Resetta tutto. E poi dopo qualche giorno scopri che in realtà stai rielaborando tutto daccapo, sotto una luce diversa.
Quello che volevo scrivere non lo ricordo più e probabilmente erano una manciata di sciocchezze, però ho molto più chiaro ora cosa sia il coraggio. La forza d’animo, la voglia di lottare fino alla fine, senza perdere il sorriso nemmeno per un momento. Me l’ha insegnato una cara amica, che ha perso la sua battaglia più dura, ma che ha vinto comunque.

La Musa
Mio padre nn era napoletano, ma da buon marinaio cosmopolita, soleva ripetermi: “a lavà ‘a capa a ‘o ciuccio se perde l’acqua e ‘o sapone”. Il ciuccio in questione, manco a doverlo spiegare, ero io [sorrido] essì, lo ammetto, i miei primi 4 anni con la matematica sono stati anni terribili. pomeriggio tipo: mio fratello in salotto a guardare la tv dei ragazzi, mia madre a casa della “generalessa” nostra dirimpettaia e io e papà seduti al tavolo di tek del tinello muniti di fagioli, patate e mele per capire quelle benedette divisioni [sorrido] ah, troppo ho patito prima di afferrare quante volte il divisore stava nel dividendo e per capacitarmi che la divisione ha a che vedere con la sottrazione ma nn è la stessa roba [sorrido] e poi tutti quei minuendi, addendi, sottraendi, prodotti, uff che fatica, che patimenti! lui, papà, era paziente ma inflessibile, finchè nn gli dimostravo di aver capito BENE nn si andava oltre. Una sera slittammo la cena di un paio d’ore; il tavolo era occupato da ogni sorta di orpelli atti a farmi capire le operazioni aritmetiche, che nn si potè apparecchiare per la cena. Il bello è che poi ho fatto il liceo scientifico! 😀

Felicia Moscato
Ricordo ancora quei giorni andati della mia adolescenza …
Allora vivevo in casa della nonna, eravamo in 7 nella stessa casa…
Ogni mattina mi alzavo e correvo in cucina dalla nonna a fare colazione… A quei tempi se non mangiavi in quantità industriale le nonne si preoccupavano. Non gliene importava nulla a mia nonna se erano le 7 del mattino, ti dovevi ingozzare e basta!!! e non si discuteva….ripeteva sempre che “Addò ce sta a sustanza c’è a salut”… io ero nell’età in cui nascevano i primi amori ed ero complessata come non mai per il mio peso “leggermente” abbondante (a sentire mio fratello “er proprj chiatta). ogni qual volta lo facevo presente a tavola (sempre a mia nonna) lei mi rispondeva, come una cantilena, sempre allo stesso modo: A FEMMENA SECCA E COMM NU CAZZON SENZ SACC… e li ero costretta a buttar giù tutto “il pranzo di Natale” che aveva preparato.

Stefania Bertelli
Ci ho pensato a lungo, ma non conosco modi dire analoghi nel mio dialetto. Forse il coraggio non è la prerogativa della mia gente. La mediazione, l’accomodamento, la conciliazione sono probabilmente caratteri che riterrei più appropriati. Le frasi più comuni sono: “spetemo” (aspettiamo), “porta pasiensa”, “cossa ti vol che sia” (per sdrammatizzare).
Mio cognato, che frequenta lo stadio cittadino e segue le disastrose avventure della nostra sinistrata squadra di calcio, assicura che non c’è animosità tra i tifosi, e lì campeggiano sempre festosi cartelloni, con scritto “va ben il calcio, ma xe megio le ombre e i cicheti (bicchieri di vino accompagnati da stuzzichini)”.
Certo i litigi non mancano, ma azioni, che necessitano coraggio, non mi vengono in mente.
Il rischio, per chi non è di Venezia è di confondere il modo bonaccione per docilità, arrendevolezza…e qui c’è la fregatura, perché è latente la presa in giro, la manipolazione, il raggiro. Anche il famigerato saluto “servo vostro” può nascondere lo scherno.

Vincenzo Moretti

Scrivo a Iwano san. Per chiederle se è possibile incontrare il presidente Noyori. Intervistarlo sarebbe molto utile per il mio lavoro di ricerca. E in più potrebbe venirne fuori un bell’articolo.
Ieri sono stato tutto il giorno inquieto. È che questa cosa andava fatta prima. Adesso rischio di perdere un’opportunità importante. E di creare imbarazzo nei miei interlocutori nel caso dovessero opporre un rifiuto. Mi dico che è inutile piangere sul latte versato. E poi stanotte ho sognato mio padre. Procedo.
Dear Iwano san, Thank you very much for your kind attention. I am happy that for my visit to RIKEN it’s all right. In this moment, the materials that I can download from RIKEN’s site are sufficient, but I’ll write you if I’ll need another one. During my visit to RIKEN, I’ll write articles for Il Sole 24 ore, the most important italian economic newspaper, and I would like to interview the President Ryoji Noyori. Do you think is it possible? Thanks again.
I look forward to hearing from you. Yours sincerely.
Aveva ragione papà. Chi nun tene curàggio nun se cocca cu ’e fémmene belle. A fine mese ricevo la conferma della disponibilità di Noyori ad incontrarmi.

Deborah Capasso de Angelis
La mia storia è recentissima e non è una storia tenera come quella di Daniele.
Sono le 17.35 e mio figlio Joseph mi chiede di andare a fare un giretto con gli amici. Dopo pochi minuti sentiamo quelli che credevamo essere fuochi d’artificio. Erano colpi di una semiautomatica seguiti da sirene di ambulanza e  di vetture delle forze dell’ordine.
Mi precipito in terrazza e vedo un carabioniere stendere il nastro per delimitare l’area, capisco all’istante cosa sta succedendo, calzo le scarpe e, con mio marito, corriamo a recuperare Joseph. Sono stati attimi di panico e di estremo sollievo quando lui, ignaro di tutto, mi viene incontro e con sguardo interrogativo mi conforta e mi abbraccia dicendomi di non piangere.
Lo riportiamo a casa e, ormai passato lo spavento, prevale la criminologa che è in me.
Salgo a casa, metto il rossetto e con uno dei miei sorrisi migliori mi avvicino a uno dei poliziotti. Mi presento e riesco a convincerlo a farmi dare una sbirciatina alla scena del crimine, la pasticceria sotto casa mia.
Ho già saputo l’identità della vittima dalle persone interrogate sul posto, era  noto alle forze dell’ordine come un esponente di spicco della camorra locale.
Resto impassibile mentre la scientifica fa il suo lavoro e continuo a carpire informazioni dal poliziotto, la dinamica del fatto, il particolare che i colpi siano stati esplosi al volto sono un chiaro messaggio in codice sul movente del delitto.
Mi vengono fatte domande sull’accaduto ma, purtroppo, non ho informazioni da dare.
Torno a casa, riabbraccio forte mio figlio e rifletto sull’accaduto.
Qualche anno fa sarei stata sconvolta da episodi del genere, la mia preparazione da criminologa è sempre rimasta teorica e, a parte qualche fotografia di autopsie o di scene del crimine, non avevo mai visto niente del genere “dal vivo”. I parenti della vittima da poca distanza osservavano i miei movimenti.
Cosa sono adesso? Ho avuto solo coraggio o mi sono imprudentemente lasciata trasportare dalla mia sete di conoscenza?
Non lo so ancora e so anche che posso fare ben poco per fare in modo che queste cose non accadano.
Quello che so è che queste cose non mi piacciono e che voglio conoscerle ancora di più. Non posso fare granchè ma ho la fortuna di poterlo raccontare alle mie studentesse alla prossima lezione e posso raccontarlo a voi per condividere l’indignazione.

Daniele Riva
La mia bisnonna non l’ho conosciuta: era una donna nata a fine Ottocento e scomparsa sul principio degli Anni Sessanta, prima che io venissi al mondo. Ma diceva una frase che deve essere rimasta impressa a mia madre, visto che spesso me la ripete: “Il tempo non si vede, ma il lavoro sì”. Ovvero, per quanto ognuno di noi ci si applichi, il risultato del suo lavoro – oggetto fisico o intellettuale –  conserva in sé il sudore necessario per ottenerlo o la spremitura di meningi. Pochi giorni prima dello scorso Natale,   aiutavo mia madre a pulire i globi di cristallo dei lampadari del suo salotto, e ancora una volta è uscita quella frase: “Bagaj, ul temp al se véd mea, ma ul laurà sé”. Io, in piedi sulla scala con il secchio, la spugna, il liquido per i vetri, le ho chiesto qualcosa su questa bisnonna sconosciuta. Ebbene, quella frase era la richiesta di non badare al tempo necessario per svolgere un lavoro di ricamo: un impasto di onestà, di orgoglio e, perché no?, di gusto estetico: se qualcosa è fatto con cura, lo si noterà nell’oggetto finito. E naturalmente si sono poi spalancate le cateratte della memoria e il ritratto è stato ampliato:  ricordi di una stalla, di latte appena munto, di fette di salame spesse un dito, di polenta fumante… Poi è arrivato il progresso…

Pazzianno pazzianno, rifletto

di Viviana Graniero
Qualche riflessione personale sull’esperimento che si sta facendo da qualche settimana su questo blog: esplorare, alla maniera degli oulipiani, altri confini della scrittura e del pensiero; mettere in relazione più “teste” appassionate della “parola scritta” facendole interagire su una piattaforma virtuale, annullando gli spazi e le lontananze; una piccola piazza virtuale, fatta di gioco e semiotica.
Ed ecco che, paradossalmente, creare vincoli e restrizioni lessicali, linguistiche, formali, in realtà libera i partecipanti da abitudini letterarie e convenzioni. Nell’ambiziosa aspirazione di creare quello che Calvino chiamava “iperromanzo”, ci si ritrova a partecipare alla stesura di piccole storie scritte a 10, 20, 100 mani, che prendono strade improvvise e inaspettate eppur continuano ad appartenere a tutti. Senza sovrastrutture e costrizioni: perché la prima regola in questi esperimenti è aprirsi a nuove sfide, sfruttando all’ennesima potenza tutte le possibilità che la nostra lingua ci offre, superando i confini di ciò che in letteratura ci è già noto.
Oppure ci si ritrova nella pagina dedicata ai tautogrammi e non cimentarsi in qualche “improbabile” riscrittura diventa impossibile… troppo divertente mettersi in gioco per ricordarsi del pudore o della timidezza. E poi ancora acrostici, giochi a tema e qua e là riflessioni generali e divertenti. Gli aspiranti ludolinguisti lasciano cadere le inibizioni e partono all’attacco. Pronti al gioco, riscoprendo la parte di se stessi capace di osare per il semplice scopo di divertirsi insieme.
Alla fine ci si ritrova parte di un “gruppo”, di una comunità, la cui linfa vitale è lo spirito di avventura linguistica, che ogni partecipante esprime alla propria maniera, portando il proprio e personalissimo contributo. Si diventa ugualmente importanti e necessari e i muri crollano in maniera così evidente che ci si ritrova anche a condividere pensieri profondi, ricordi gioiosi o dolorosi, piccoli frammenti di vita.
Molto potremmo argomentare e riflettere sull’organizzazione dei testi vincolati a regole linguistiche, su quanto aprono la strada alle mille potenzialità della letteratura (sempre per citare ciò che ne dicevano gli oulipiani o i nostri giocatori di casa oplepiani) e alla loro relazione con l’estetica formale; per qualcuno si tratta solo di letteratura minore, di scrittura di serie B. Evidentemente, gli orizzonti inesplorati, per alcuni, sono ancora fantascienza. Qui invece sono una realtà: la libertà è una realtà.

Piccole Storie Crescono | S3-6


2. Bruno Patrì
Nel libro di Luciano De Crescenzo “COSÌ PARLÒ BELLAVISTA”  il Professore Bellavista interviene per difendere gli amici che hanno chiamato “scienziato” lo stesso De Crescenzo:
«Ma lasciateli dire ingegnè» mi dice sorridendo il professor Bellavista stringendomi la mano. «Lasciateli dire. Le vogliono bene ed hanno bisogno di dimostrarglielo. Lei poi tutto sommato ha anche la sua parte di colpa. E già, perché se si fosse limitato a diventare solo geometra, l’avrebbero chiamata ingegnere e sarebbero stati tutti contenti, ma, dal momento che lei ingegnere lo è veramente, un poveretto che vuole dimostrarle stima e simpatia come la deve chiamare? Almeno scienziato.»
Per assurdo questo vale ancora da noi … almeno per le persone di oltre sessant’anni (muratori, manovali, carpentieri, ferraioli, etc.) …. In poche parole … si scrive geometra ma … si legge ingegnere.

Piccole Storie Crescono | S3-5


2. Maria Paraggio
La sveglia suona: è ora di alzarsi. Stamattina visita a Notre-Dame, poi al Louvre e nel pomeriggio Versailles. Non mi sembra vero di trovarmi qui. E’ un viaggio che desideravo fare da anni! Enzo mi segue nel risveglio, si stropiccia gli occhi, si siede in mezzo al letto e dice: “Marì, Parigi sarà pure bella, ma quanto mi manca a tazzulella e cafè che mi prepari tutte le mattine! Il profumo raggiunge la nostra stanza ed è meglio della sveglia!”. Allora mi ricordo che all’ultimo momento, ho infilato nella valigia una macchinetta espresso e una busta di caffè (Ho pensato: non si sa mai). Il ferro da stiro farà da fornellino. Prendo tutto, traffico un pò in bagno e dopo un poco …

3. Viviana Graniero

Esco portandomi dietro un profumino insuperabile… “Ahhhh” Enzo annusa la tazzina di plastica color moka che gli porgo con una faccia beata “Però ‘o croassàn parigino giuro che te lo compro, Marì!”. E dopo venti munuti eccoci immersi nella folla a Boulevard Saint Michel, sulla rive gauche…

Piccole Storie Crescono | S3-4


INCIPIT
No, non è un attacco di napoletanità.

2. Daniele Riva
È un gusto amaro e dolce di nostalgia che mi si insinua nell’anima, nella mente, nel corpo. La pastiera, i babà, le sfogliatelle… E com’è possibile che sento questo aroma di caffè, tale e quale a quello che faceva Assuntina nel suo cucinino al Vomero? Com’è che sento Totò parlare: “Dopo ti spiego, noio volevan, volevon, savuar, noio volevan savuar l’indiriss, ia?”…
La voce viene dal televisore. Mi ero assopito. Dalla finestra dell’hotel vedo svettare in lontananza le guglie bianche del Duomo di Milano.

Piccole Storie Crescono | S3-3


INCIPIT
No, non è un attacco di napoletanità.

2. Viviana Ganiero
E’ che certe volte Carlo è davvero insopportabile con quel suo elogio della milanesità… milanesaggine… ecco… non c’è nemmeno un termine bello da sentire! tzè!
E vabbé, finché dice che “da lui” gli ospedali funzionano meglio ok, che le scuole funzionano meglio ok, che gli autobus sono più frequenti ok, che si rispettano di più le regole ok ok ok e 100 volte ok… ma quando dice che il panettone è meglio della pastiera e nooooooooo questa è guerra! e allora guerra sia… domani sarò a Milano e vedremo!

3. Daniele Riva
– Uei ti, Vincenso… ma se l’è ‘sta storia della napoletanità… Se l’è sta guerra che te voret fa?
– No, Carlo… Ma che hai capito? È solo una questione culturale. Ma che freddo fa oggi qui a Milano. E vedi, quanno so’ partito splendeva un sole tanto…
– Ti va bene che non c’è la scighera, la nebbia. Quella di Vecchioni a San Siro, te capì? Te che sei dell’Inter, poi…
– Vabbuò, andiamo a mangiare. Che ristorante hai scelto? Risotto e cotoletta?
– Ma che risòtt e cutulèta. Andèmm al ristorante giapponese di Piazza Diaz. Sushi e sashimi…

4. Vincenzo Moretti
– Ma quale Sushi e sashimi, Carlé.
– E non chiamarmi Carlé che lo sai che lo odio. Mi chiamo Carlo, figurati se a  97 anni puoi venire tu da Napoli e cambiarmi il nome.
– Uè, porta rispetto, che io tra una settimana ne faccio 100 e se non fai il bravo non ti invito alla festa. Uè uè, Carlé, scusa, Carlo, ha visto quella ragazza, guarda com’è carina, non avrà neanche 70 anni, che dici …

5. Viviana Graniero
Viviana li ha puntati quei due al bar, così affascinanti… lei ha 77 anni, ma ne dimostra almeno 10 di meno. E’ pronta alla conquista… “scusate ragazzi, posso sedermi con voi????”

6. Daniele Riva

“Prego, signorina” – è Carlo a parlare -” lo sa che lei l’è propri giuvina, l’e una tosa. Ma si sieda, cosa le possiamo offrire? Un camparino? Un caffettino? Una cioccolata calda? Un orzo in tazza grande? E ti, Vincenso, smèttela de sbavà… e attento che te bòrlet giò de la cadrega”
“Eh?!”, fa Vincenzo che non ha capito l’ultima frase.”
“Varda che cadi dalla sedia!”

Piccole Storie Crescono | S3-2


INCIPIT
No, non è un attacco di napoletanità.

2. Vincenzo Moretti
In fondo Sofia Loren è la napoletana più internazionale che esista al mondo, la sola che sul pianeta terra può gareggiare con la pizza in quanto a celebrità. E’ che mi piace un sacco l’idea di utilizzare la sua immagine per promuovere la Feltrinelli Express. A proposito, ma voi ci siete già stati? Nooo? E allora correte, cosa aspettate!
Stoooop! No, no e no. Antonio, se lo dici così, i clienti corrono, ma con una mazza in mano. Ma lo vuoi capire che questo è uno spot? Tu sì abituato a Scékspirr. Questo è un esse, pi, o, ti. Spot. Ti dice niente questa parola?

Piccole Storie Crescono S3-1


INCIPIT
No, non è un attacco di napoletanità.

2. Deborah Capasso de Angelis
E’ solo che quando incontri persone così il tuo cervello si aziona in dialetto! Non ci sono parole in italiano per definirle, devi per forza usare un vocabolario ricco di termini “sfiziosi” come il napoletano. Guardate che alcuni termini racchiudono in un solo suono tutta una costellazione di significati che è impossibile tradurre in un’altra lingua.
Si, ci vuole proprio una parola di quelle…..

3. Carmela Talamo
Di quelle tipo “tien a capa pe spartere  ‘e recchie” oppure “staje fore comme a n’antenna” oppure “tu nun si scemo tu si proprie scemo” e ancora “ma chisto addò è asciuto“, “ma tu si proprio nu quequero” ed altre cose del genere “nicchinnella” e penso che se ci fosse zia Tittillona (Carmela all’anagrafe, ma chi se ne ricorda più) saje quante ce ne cunsignasse.

4. Adriano Parracciani
Ufff…ecco che ci ricasco. Meno male che ci pensa Massimo Troisi a tirarmi fuori da questa attacco di magone. “Ancora co sta storia che Napoli nun a da cagna, ancora con il sole, a pizza, il mandolino”. Si, mi sovviene la scena quando Massimo parla con Funnuculi Funniculà che prima gli fa il test di napoletanità, “cantame a palomma” e poi lo uccide perchè non lo passa. No! non è un attacco di napoletanità.

5. Daniele Riva
È proprio quell’essenza che la città ti lascia addosso, il suo dialetto, il suo mare, l’odore che si respira… Sono lontano migliaia di chilometri e mi sorprendo a canticchiare “Napule e’ nu sole amaro… Napule e’ addore ‘e mare…” Come si chiamano? Radici. Inutile negarlo. SOno napoletano fino al midollo e no, non è un attacco di napoletanità. È napoletanità.

6. Santina Verta
“Vedi Napoli e poi muori” me lo disse il nonno della signora Rosa, di Maiori che abitava nel mio vicoletto calabro.Napoli, la prima città vista, ero affascinata da tutto, che ricordo elettrico–  marò, quanto mi è piaciuta sta città!  Era ,ohi la memoria… era fine terza media, aspetta che conto; estate ’64.
Un insieme di flasch nitidi e offuscati dall’eccitazione di una prima uscita da casa, ospite da estranei… timidissima… un solo vestito fatto fare per l’occasione  . 3 giorni  di curiosità  e quel timore del detto dell’accoglienza… non capivo la morte abbinata alla bellezza, mi impensieriva.
Sarei tornata a Napoli nel ’74, pretendendo di studiare e fare anche la mamma ..ma la precarietà economica, sempre quella dannata, mi bloccò al quinto esame di lettere moderne…ma intanto avevo avuto l’impatto  escludente con Milano, ma ora  è  Napoli e la sua bellezza che si impenna!

Due giorni ospite da Amica,per caso parente- ‘coppa o Vomero- mi permettevano di passare gli esami in università e poi gironzolare per scoprire parti della città—  riecheggiano le parole di mia madre” Statt’accorta a Napule rubbano”ma io ho sempre avuto coraggio! Ma , quella volta, invertii numero di tram e finii a san Martino…poi al Cardarelli e ripensandoci , mi vien da ridere, non osavo entrare in un bar e telefonare all’amica Annalisa,ne tantomeno entrare per un caffè, le parole della mamma… ma   le ore passavano, così la fatidica telefonata.._ Annalì mi signu persa” e lei invece di spiegarmi…chiamò tutta la famiglia e ridevano  e ridevano..—Io nu ci puzzu penzà.. ero già sotto casa loro!
Altra cosuccia di cui ridiamo quando ci ritroviamo  è stata la sorpresa  di vedere scritto vicino  il suo palazzo..”.Parco Aldebaran” io vedevo un solo Albero recintato e dissi..Ma Annalì a Napuli  chiamate parco un albero!— e lei -dai moviti… u parco so i case!-

Piccole Storie Crescono | s3


INCIPIT
No, non è un attacco di napoletanità.

2. Deborah Capasso de Angelis
E’ solo che quando incontri persone così il tuo cervello si aziona in dialetto! Non ci sono parole in italiano per definirle, devi per forza usare un vocabolario ricco di termini “sfiziosi” come il napoletano. Guardate che alcuni termini racchiudono in un solo suono tutta una costellazione di significati che è impossibile tradurre in un’altra lingua.
Si, ci vuole proprio una parola di quelle…..

2. Vincenzo Moretti
In fondo Sofia Loren è la napoletana più internazionale che esista al mondo, la sola che sul pianeta terra può gareggiare con la pizza in quanto a celebrità. E’ che mi piace un sacco l’idea di utilizzare la sua immagine per promuovere la Feltrinelli Express. A proposito, ma voi ci siete già stati? Nooo? E allora correte, cosa aspettate!
Stoooop! No, no e no. Antonio, se lo dici così, i clienti corrono, ma con una mazza in mano. Ma lo vuoi capire che questo è uno spot? Tu sì abituato a Scékspirr. Questo è un esse, pi, o, ti. Spot. Ti dice niente questa parola?

2. Viviana Ganiero
E’ che certe volte Carlo è davvero insopportabile con quel suo elogio della milanesità… milanesaggine… ecco… non c’è nemmeno un termine bello da sentire! tzè!
E vabbé, finché dice che “da lui” gli ospedali funzionano meglio ok, che le scuole funzionano meglio ok, che gli autobus sono più frequenti ok, che si rispettano di più le regole ok ok ok e 100 volte ok… ma quando dice che il panettone è meglio della pastiera e nooooooooo questa è guerra! e allora guerra sia… domani sarò a Milano e vedremo!

2. Daniele Riva
È un gusto amaro e dolce di nostalgia che mi si insinua nell’anima, nella mente, nel corpo. La pastiera, i babà, le sfogliatelle… E com’è possibile che sento questo aroma di caffè, tale e quale a quello che faceva Assuntina nel suo cucinino al Vomero? Com’è che sento Totò parlare: “Dopo ti spiego, noio volevan, volevon, savuar, noio volevan savuar l’indiriss, ia?”…
La voce viene dal televisore. Mi ero assopito. Dalla finestra dell’hotel vedo svettare in lontananza le guglie bianche del Duomo di Milano.

2. Maria Paraggio
La sveglia suona: è ora di alzarsi. Stamattina visita a Notre-Dame, poi al Louvre e nel pomeriggio Versailles. Non mi sembra vero di trovarmi qui. E’ un viaggio che desideravo fare da anni! Enzo mi segue nel risveglio, si stropiccia gli occhi, si siede in mezzo al letto e dice: “Marì, Parigi sarà pure bella, ma quanto mi manca a tazzulella e cafè che mi prepari tutte le mattine! Il profumo raggiunge la nostra stanza ed è meglio della sveglia!”. Allora mi ricordo che all’ultimo momento, ho infilato nella valigia una macchinetta espresso e una busta di caffè (Ho pensato: non si sa mai). Il ferro da stiro farà da fornellino. Prendo tutto, traffico un pò in bagno e dopo un poco …

2. Bruno Patrì
Nel libro di Luciano De Crescenzo “COSÌ PARLÒ BELLAVISTA”  il Professore Bellavista interviene per difendere gli amici che hanno chiamato “scienziato” lo stesso De Crescenzo:
«Ma lasciateli dire ingegnè» mi dice sorridendo il professor Bellavista stringendomi la mano. «Lasciateli dire. Le vogliono bene ed hanno bisogno di dimostrarglielo. Lei poi tutto sommato ha anche la sua parte di colpa. E già, perché se si fosse limitato a diventare solo geometra, l’avrebbero chiamata ingegnere e sarebbero stati tutti contenti, ma, dal momento che lei ingegnere lo è veramente, un poveretto che vuole dimostrarle stima e simpatia come la deve chiamare? Almeno scienziato.»
Per assurdo questo vale ancora da noi … almeno per le persone di oltre sessant’anni (muratori, manovali, carpentieri, ferraioli, etc.) …. In poche parole … si scrive geometra ma … si legge ingegnere.

2. Felicia Moscato
Studiare comporta tanti sacrifici e molti anni di duro lavoro….In cinque anni di istituto tecnico ho sgobbato parecchio per arrivare al fatidico 100…Poi un bel giorno mi iscrivo all’università e lo dico a mia nonna e lei tutta felice correre dal suo “Club delle vedove” (le vecchiette che usano la forbice per sforbiciare, ma non la stoffa)  esplodendo in un: A npota mia finalment s’è scritta a u liceo, fra tre ann addventa dottoressa….
AAA CERCASI BUONA ANIMA PER SPIEGARE A NONNA ESUBERANTE L’ORDINE DI ISTRUZIONE…

I ciliegi sono in fiore


Maria Maddalena Fea
Sotto un ramo di ciliegio fiorito
ho riconosciuto il tuo sguardo
farfalle impazzite
hanno ricominciato a volteggiare
dentro di me

Maria Paraggio
Rami di ciliegio fioriti
videro baci infiniti.
I nostri visi felici
del loro profumo inebriati.
Piogge di petali
Cadevano lievi come veli di sposa.

Daniele Riva
Il tempo bello è giunto  – i ciliegi
sono in fiore – discendono leggere
e come veli coprono il terreno
quelle rosee corolle così soffici.

Indovinello: che cos’è omesso?

Lucia Rosas
I ciliegi sono in fiore
nascerebbe anche l’amore
sento quasi un friccicore
accidenti è solo un banale raffreddore.
Scusate la commozione è solo allergia!

Deborah Capasso de Angelis
Era la fine di Aprile ed io ballavo leggera accarezzata dal profumo dei fiori. Alla festa hanami ci andavo ogni sera ed ogni sera la festa era diversa. Canti, danze, fuochi d’artificio, la luna ed i fiori di ciliegio. Festeggiavo la vita in un paese straniero, la mia vita da vagabonda, da cittadina del mondo. Era facile lasciarsi trasportare dalla poesia, passavo le giornate col naso all’insù e contavo ogni fiore, esprimendo desideri.

Rodo


Viviana Graniero
Tragedia in due battute
La scena: In una serra due piante Ericaceae in fiore discutono animatamente.
“Sei sempre la stessa, non butti mai fuori la tua rabbia… somatizzi!
Quando la smetterai? Visto, Azalea non ha mai peli sulla lingua ed è in pace con se stessa… e invece tu??????
“Io Rodo-dendro”
Sipario.

Adriano Parracciani
Io interpreto disse il CDM a cui del vulnus il buco rodeva
sento odor di sconfitta porca escort eva
nemmeno le truffe sappiamo più ordir
se continua cosi a Rodi ci tocca fuggir

Vincenzo Moretti
Io rodo, disse il topo,
io buco, disse il tarlo,
io vedo, disse il falco,
io canto, disse il gallo.
Vi prendo, disse il cane, e così fu. Senza fatica, senza gloria.
Da allora più che i ladri, disprezzò la spia.

Maria Maddalena Fea
Quest’anno, se non vado a Rodi, rodo.

Adriano Parracciani

Mi rodo dentro
perchè sento odor
di ordo d’oro

Titoli in cerca di storie


Della serie ‘O napulitano sicc se fa ma nun more, invece di piangere sul gioco arenato, Piccole Storie Crescono, ve ne propongo un altro, non nel senso di “al posto di” ma nel senso di “insieme a”, che ho chiamato Titoli in cerca di Storie.
Si tratta di scegliere un titolo e di ideare un racconto, una poesia, un disegno, un quadro, un fumetto, una canzone, un video, un proverbio, un quello che ci pare, della dimensione che ci pare, nel tempo che ci pare. Della serie chi fa da se fa per tre e chi vuol fare assieme torna a Piccole Storie Crescono.
Buona partecipazione.

I TITOLI
1. Rodo
2. Il mantra della pastiera
3. I ciliegi sono in fiore

Piccole Storie Crescono | S2-1

enakapata3INCIPIT
Prima notte, una stanza di dodici metri quadrati, freddo, jet lag.

2. Adriano Parracciani

Per capire bene il mio disagio dovreste avermi visto di persona o aver sentito come mi descrisse un amico: “é un napoletano alto quanto quattro nani della favola a cavacecio”.
Esatto, sono proprio così. Questa storia dei nani e della favola mi fa tornare in mente una scena del film Totò Fabrizi e i giovani d’oggi, quando Fabrizi porta Totò, futuro consuocero, a visitare la casa che ha acquisato, con tanti sacrifici, per i futuri sposi. La casa è così piccola che Totò non risparmia la battuta sarcastica:
“E Biancaneve dove la mettiamo? Si perchè i sette nani possono trovare una sistemazione adeguata, ma Biancaneve lei l’avra vista un pezzo di ragazzona, dico, come…”
Ecco io mi sento come Biancaneve: dico, come ci dormo qui dentro?

3. Daniele Riva
Inscatolato. Come una sardina. Il sonno però è abbastanza tranquillo, forse perché sono praticamente imbalsamato. ‘O Faraone Vincenzamon. Il jet-lag comunque si fa sentire e mi sveglio che sono le 5 a.m. Mi disimballo e mi vesto praticamente come una marionetta tanto i movimenti sono condizionati dalla stanza. Come sarà la vita fuori? Mi avventuro con il mio inglese migliorabile e una gran voglia di caffè. Caffè, quello vero, quello fatto con la napoletana…

4. Adriano Parracciani
Macchè, niente da fare. Giro come un a trottola alla ricerca di simil-bar che servano qualcosa di assolutamentre distante da quei brodini che invece la fanno da padrone. Tutto inutile. Guardo nel vuoto come non fossi circondato da migliaia di persone che in maniera innaturale si disperdono senza produrre il chiasso a cui sono abituato. In questa ambientazione, deserta delle classiche scene cittadine italiane, mi appare un miraggio. Un uomo occidentale dai tratti marcatemente mediterranei si avvicina dall’orizzonte spingendo una sorta di carretto. La voce è ancora lontana ma il suono sembra quasi familiare. Quando arriva sotto i dieci metri stento a credere ai miei sensi: “Dotto’ a vulite na bella tazzulella e caffè?”

4. Daniele Riva
Pasquale Capone detto ‘O Giappunese mi racconta la sua storia. Come Colombo è emigrato dalla parte sbagliata del globo: credeva di andare in America e invece si è ritrovato qui, a Tokyo. Stessi grattacieli, lingue e scritture diverse. Ma tanto a lui che gli importa? Non conosce l’inglese e neanche il giapponese… Ma ha imparato quel tanto che basta per vendere il suo caffè. E i giapponesi apprezzano il caffè italiano. Sorseggio il liquido scuro nella tazza e mi sembra di essere in Paradiso, altro che a Tokyo. Posillipo, il Vesuvio..

5. Bruno Patrì
赤オレンジのシチリア。 “Arance, arance rosse di Sicilia ….!”
Quella frase sorprese sia me che Luca. – “Arance rosse di Sicilia … qui … in Giappone.”
Se ne stava tranquillamente seduto su un bidone del Dash dietro ad una bancarella realizzata su una carrozzina per neonati all’inglese.
Appena ci siamo avvicinati, alzò appena lo sguardo, rigirò la sigaretta senza filtro tra le labbra, si alzò in un tempo che mi apparve interminabile e tese la mano.
“Benvenuti in un angolo della Sicilia – qui non c’è l’Etna e nemmeno il vostro Vesuvio, ma ringraziando a Dio abbiamo altri vulcani e i ….. terremoti… sono all’ordine del giorno …. Mi fanno sentire meno la lontananza da casa”.
Noi italiani, anzi noi napoletani la provenienza l’abbiamo scritta … in faccia … non c’è bisogno di passaporto.
“Permettete …… Bruno Patrì ….. siciliano ….”
Stringiamo quella mano callosa e con le dita gialle di nicotina.
Sto per parlare ma lui con un fare … imperioso…. alza la mano : – “Prima assaggiate queste arance, sono di Ramacca, della Piana di Catania, me ne arriva un container ogni settimana, là non sanno cosa farsene ….. le schiacciano con le ruspe …. per tenere alto il prezzo …”

6. Vincenzo Moretti
Mò ci mancava solo Bruno Patrì con la arance di Ramacca.

7. Bruno Patrì
“Scusate, ma a voi ….. in Giappone ….. chi vi ci porta?”
“Caro dottore ….. la storia è lunga …. comunque se non avete fretta …. ve la posso raccontare”.
Si rimise a sedere sul bidone del Dash mentre noi trovammo posto, all’ombra, su un alto gradino a fianco della bancarella.
“ Io sono del ’54, ho sempre lavorato nel giardino (in Sicilia gli agrumeti si chiamano giardini) di mio padre, tre salme di terra, cioè 48 tumuli …. in metri quadrati fanno circa 100.000, cioè 10 ettari, cioè una bella rottura di … cabasisi . Arrivato a 19 anni sono dovuto partire ….. ho fatto il militare a … Cuneo. Un altro ambiente, tanti divertimenti, donne diverse …. con l’aria del continente …. mentre al paese …. se volevi piantare … un chiodo ….. ti dovevi sposare”
Si accese un’altra sigaretta senza filtro, diede due boccate, quattro colpi di tosse, otto soffiate di naso in un fazzoletto grande quanto …. una salma.
“Tornato al paese, dopo quattordici mesi, il lavoro del giardino non mi piaceva più così dissi a mio padre : –  padre…. datemi …. un milione… che in America voglio andar….. –” .
Ulteriore soffiata di naso …. che fece vibrare il gong del vicino tempio.
“Lui mi rispose: – io un milione te lo do …… ma in America ……No! No! No!”

8. Daniele Riva
Pasquale Capone e Bruno Patrì sono i due lati di una stessa moneta, quella dell’italiano che si trova a suo agio ovunque nel mondo e vi porta il suo bagaglio  di umanità e di arte dell’arrangiarsi. Non mi meraviglierei di trovare altri così. Invece, salutato il siciliano, dopo il caffè e la spremuta, entro in un negozietto gestito da giapponesi e mi compero dei biscotti. Speravo ci fosse non dico una massaia di Portici con le sue sfogliatelle, ma almeno un parigino con dei croissant. Esco, metto in bocca un biscotto. È salatissimo, puah!

9. La Musa
Oh, è ‘o vero, salaterrimi! mio fratello me ne portò una confezione, giusto giusto da Tokyo, ne conservo ancora la carta, troppo bellella per buttarla int’a ‘o sicch’ ra’ munnezz. Belli assai da vedersi, dicevo, preparati nello stile del sushi per intenderci, tutti rotolini colorati e disposti sul cabaret a fasce di colore dal più tenue al più carico, alcuni un po’ lucidi, altri impolverati da una sostanza biancastra, impalpabile, che lì per lì sperai fosse zucchero al velo, come si usa da noi ‘ncoppa a’ pastiera e ‘ncoppa ‘e sfogliatelle. Macchè, puah e doppio puah!!! Salaticci e viscidi come un celenterato del Pacifico. Ah, scusate, nn mi sono ancora presentata, song a sorella ‘e Pascalone Capone detto ‘o giapponese, Assunta Capone, per servirvi.

10. Adriano Parraciani

Eccone un’altra. Ma sono a Tokyo o a Piazza Garibaldi? Ammetto che i venditori ambulanti italiani proprio non me li aspettavo in Giappone. Mentre sono li, preso da sentimenti contrastanti per quei connazionali, arrivano fulminee tre Subaru della Polizia Metropolitana. Pasquale cerca inutilmente di confondersi tra i turisti, mentre Bruno Patrì, tentando la fuga, cade scivolando sulle sue stesse arance. Assunta invece, con una prontezza incredibile, mi prende sottobraccio e si stringe affettousa, recitando la parte della moglie impaurita.

11. Daniele Riva
Mi spinge in un negozio dove vendono kimono. Ne esamina qualcuno, con un aria da intenditrice assolutamente fuori luogo. “Dotto’, grazie, grazie assai” dice, e intanto getta occhiate nella strada dove la polizia sta ammanettando Bruno Patrì. “Ma io ve lo ricambio ‘stu favore, dotto’, state sicuro”. Mi mette in mano un foglietto con un numero di telefono. Se vi trovate nei guai, chiamate qui” dice facendomi inquietare in maniera impressionante. “Quassi cosa”… Con la coda dell’occhio vedo che anche Pasquale Capone viene arrestato e un poliziotto viene verso il negozio.

12. La Musa
Mio fratello è nato pazzariell, è stato sempre accussì, povera mamma! ‘Nu piezz ‘e core eh, intendiamoci, ma estroso assaje assaje. Eravamo otto figli e nun c’era pane, allora si doveva andare avanti co’ ‘e sicarett ‘e contrabbando. Mammà teneva ‘o banco a Via San Liborio vicino a Piazza Carità. Di giorno puliva le case dei signori del Vomero e di sera teneva ‘o banco de’ sicarett, mentre io preparavo un piatto di minestra calda per la cena. Poi arrivarono i marucchin, gli albanesi e nn si vendeva più bene, erano più pericolosi loro della polizia. Mammà stev malament, allora Pasquale dicett vicino a me: “Domani è l’ultimo carico che faccio, prendo i soldi e scappo in America, da lì vi aiuterò” E così fece, ma sbagliò qualcosa e si ritrovò in Giappone. E io pure mò sto qua, co’ stu’ dottore ca nun è bbon a recità, Madonna do’ Carmine, c’aggià fa? Mentre i poliziotti giapponesi entrati nel negozio puntano proprio verso noi due, guardo il dottore e con la voce più
suadente che mi sia mai uscita in vita mia, toccandomi la pancia gli dico: “Mimì, questo kimono è perfetto, mi accoglierà per tutti e nove i mesi, comodo, largo, un pò sgargiante come la bambola che mammà teneva ‘ncoppa ao’ liett” e nel mentre, prendo la sua mano fra le mie e lo induco a massaggiarmi la pancia – ” Mo’ damm nu’ vas” gli dico e intanto i poliziotti sembrano aver  cambiato rotta.

13. Daniele Riva
Assunta Capone è una cozza. No, non intendo dire che è brutta. Può piacere. È una cozza perché si avvinghia e non mi molla. Riesco a infilarmi in un taxi e mi faccio condurre all’hotel. Ma… il tassista è Bruno Patrì. “Dottore” mi fa”, non si preoccupi, sono dei servizi segreti: è da quando è arrivato in Giappone che la sorveglio. Mi sono infiltrato nella gang e con l’aiuto della polizia nipponica siamo riusciti a sventare un complotto ordito ai danni della sua persona”. Prosegue: “Lei deve sapere che Assunta e Pasquale Capone sono…

14. La Musa
Ha parlat o’ MiTiLE ignoto! Ma che siamo e siamo, opperbacco! Mio fratello è un santo signurì, ‘a copia ‘e San Gennaro! E io sono qui per evitare che qualche malafemmena giapponesa so’ purtass int’a casa soja! E ci sono altri fatti da contare, altrochè! Dovete sapere, signurì, che quel tale Bruno Patrì ca’ mo’ s’ spacc’ pe’ detectìv è ‘nu malament, un mariuolo come si dice. Scusate, ma quando sono molto arrabbiata, mi parte la calata partenopea. ‘O saje comm’ se ddic’ ao’ paese mio? ‘A gatta quanno nun po’ arrivà a ‘o lardo, dice che fete! Ma torniamo ai fatti che ci coinvolgono. Dicevo, quel mascalzone di Bruno Patrì, ten’ ‘a scusa dei portogalli di Ramacca, tutta commedia è! Quello venne a Tokyo per sfuggire a un regolamento di conti; l’aveva fatta grossa, si arrubbò mezzo patrimonio del boss di Barcellona; no ‘a Barcellona spagnola, Barcellona Pozzo di Gotto, ‘a patria da’ maffia! Manco in America potè riparare, che l’avesser’ accis’ pure là.

15. Daniele Riva
E così Assunta è riuscita a infilarsi anche dentro il taxi. E non so più di chi fidarmi. Patrì ricercato dalla polizia di mezzo mondo e pure dal commissario Montalbano (in effetti, ora che ci penso, non mi ha mostrato nessun tesserino).
E in tutto questo bailamme si sono fatte le dieci e ho appuntamento alle 11 a Yushima, sul Kasuga Dori. Cosa faccio? Chiedo al tassista-latitante-Mitile Ignoto di portarmi là? Oppure dovrei scendere? E ‘sta pazza me la porto dietro come garanzia? Gesummaria, che dilemma!

16. Entropia
La situazione sta diventando insopportabile, anzi meglio: direi quasi noiosa. Mentre Assunta continua a parlare e Bruno Patrì a guidare prendo lo zainetto e lo sistemo tra i miei piedi. Mi curvo facendo finta di cercare qualcosa; in realtà sto indossando i guanti di pelle marroni. Continuo nella finta ricerca di qualcosa per il solo tempo necessario ad avvitare il silenziatore alla Glock calibro 9 parabellum che tengo nella sacca interna. In lontananza sulla destra c’è una grande area di parcheggio. Estraggo la pistola e la punto al fianco destro di Assunta. Sparo due colpi in rapida successione; Bruno non fa  in tempo a chiedersi cosa succeda che la canna ancora calda della mia Glock è attaccata alla sua nuca – Vai lì a destra, nel parcheggio. Fai come dico e tutto andrà per il verso giusto – Bruno esegue l’ordine senza fiatare e si ferma nella parte più isolata, in mezzo ad un paio di Toyota. Per lui basta un colpo solo.

17. Deborah Capasso de Angelis
Sapevo di avere un’altra scelta. C’è sempre un altro modo di risolvere le situazioni ma ho imparato a seguire sempre il mio istinto. Quei due avrebbebbero attirato troppo l’attenzione su di me. Bruno ha gli occhi fissi nel vuoto ed un’espressione crudele, da padrone del mondo.
Lo rimetto seduto al posto di guida senza destare sospetti tra gli automobilisti che si dirigono, veloci, a riprendere le loro automobili. Salgo sul sedile posteriore, ripongo la pistola nello zaino e noto una signora che mi fissa. Abbraccio Assunta. Mi si accascia tra le braccia e fingo di baciarla, è calda. Ripenso alla mia prima volta. Il terrore ed il desiderio, la finzione dell’amore, l’odore dei corpi, i sensi di colpa, l’angoscia del dopo. Manca il respiro, adesso c’è l’alito della morte…

18. Daniele Riva
Sono le 11. Sono a Yushima, sul Kasuga Dori. È l’ora del mio appuntamento. Ecco  l’uomo che mi attende. Indossa come sempre il suo gessato e gli occhialini con la montatura d’oro. Hiroshi Kawasaki, è il potente capo di “Entropia”, una setta segreta affiliata alla Yakuza. Deve darmi il nome del mio prossimo “contatto” da eliminare. Come quando clicchi con il tasto destro su Cestino e poi su “Svuota”. Questo è il mio lavoro. Quel nome che Kawasaki ha scritto su un foglietto che poi ha bruciato nel posacenere è quello di un noto manager giapponese. Sta a Chiba, una cinquantina di km da Tokyo…

19. Bruno Patrì
“Luca …. vieni con me …mi sembra di vedere un nostro connazionale in difficoltà”!
Era un sessantino scarso,  … di età, di peso e di … altezza e stava praticamente litigando con un poliziotto.
Sembrava il Dr. Livingstone in tenuta da viaggio: stivali marrone scuro, sahariana completa di casco coloniale, occhiali da sole Lozza tipo Arisa, zaino dello stesso colore della … divisa e in mano teneva una rullina da venti metri ed un doppio metro.
Mi avvicinai: “Italian ….. I suppose……”
“Supponete bene caro Signore …. Purtroppo io non sono bravo a parlare il cinese e questo cretino qui non solo non capisce il mio cinese ma nemmeno il mio inglese con inflessione catanese e non sa nemmeno dirmi dove posso trovare la Grande Muraglia”.
“Scusate …. ma voi volete parlare cinese con un ….. giapponese?”
“Come …? Un poliziotto giapponese in Cina ?… eh  già oggi ….con la cassa integrazione … con la mobilità …… succede questo ed altro..”
“Ma quale Cina …” – rispondo io – “Qua siamo a Tokio …. In Giappone ….. e per la Grande Muraglia …. mi sa che siete un po’ ……. fuori mano ….”
“In Giappone? Lo sapevo …., l’avevo intuito che qualcosa non andava …. ora capisco … ora vi spiego …… Dunque io ho un cugino che ha un cognato il cui nipote ha un’agenzia di viaggi … vado da lui e gli dico – Michele ho bisogno di un biglietto andata e ritorno per la Cina – E lui mi risponde – Caro Zio …. non ci sono problemi …. ti trovo subito un volo a prezzo stracciato …. chiaramente non è un volo diretto ….. dovrai fare qualche scalo intermedio … allungherai un po’  …. qualche ora in più …”
Tira fuori dalla tasca un enorme fazzoletto …. (dove ho visto un fazzoletto simile?) e si asciuga la fronte imperlata di sudore.
“Dunque …. Dove ero rimasto …. Ahh.  Si … mi imbarco a Catania Fontanarossa, primo scalo Palermo, secondo scalo Napoli, poi Roma, Milano, Vienna, Parigi, Madrid, Barcellona (in Spagna e non Pozzo di Gotto), Tunisi, (passo sopra Catania), Atene, Il Cairo, Gerusalemme, Baghdad, Tashkent, Kuanu Lampur, Hanoi, Tokio,  Baijing” ……. 72 ore di volo … anzi di ….aeroporti”
Comincia a “santiare” nel suo dialetto …… “ Mi sa che sono sceso una fermata prima”
Improvvisamente si batte il palmo della mano in testa rischiando di fraccassarsela: “Che maleducato ….. permettete che mi presenti ….. Bruno Patrì … geometra … di Caltagirone … provincia di Catania”
Io guardo Luca ….. Luca guarda me ed insieme esclamiamo  ad alta voce “Un altro Bruno Patrì siciliano ?”
“He no … egregi signori …. Io sono l’unico Bruno Patrì siciliano, anzi italiano, in tutto il mondo ce n’è solamente un altro ….. ed è francese…. Se non mi credete … guardate su … Facebook”.
“Ma noi poco fa abbiamo incontrato un altro Bruno Patrì, siciliano, di Ramacca, vendeva le arance rosse,  poi è stato arrestato,  poi faceva il tassista e  diceva che era dei servizi segreti”
Ci guardò pensieroso. “ Dunque …. Ramacca, arance, arance rosse, arrestato …….ho capito chi è, l’ho letto quindici giorni fa su “La Sicilia” – edizione di Catania –  Truffa alla Comunità Europea – 300.000 chili di arance rosse  sparite misteriosamente “
Tira di nuovo fuori il fazzoletto e si soffia il naso. Il suono fa vibrare il gong di due tempi più avanti.
“Questo …. signore …. che, a quanto pare, si è appropriato della mia onorata identità ….. trattasi di certo Giuseppe Francesco Bartolomeo Maria Balsamo detto “Cagliostro” …. Ha un enorme agrumeto nella piana di Catania …. Ha usufruito degli aiuti della Comunità Europea per le sue arance … non solo le ha vendute a tre acquirenti diversi ma ha fatto comparire di averle mandate al macero ed invece se le era …. imbarcate a Palermo in trenta bei …. container …. destinazione sconosciuta. Lo cercano tutti: i Carabinieri, la Polizia,la Finanza,  l’Interpol, gli accalappiacani, la suocera ….”.

20. La Musa
Se proprio doveva succedere, avrei preferito morire sotto i colpi di una Luger P08 – al cuore nn si comanda – e invece eccomi qua, in quest’asettico ospitale tokiese tutta fasciata come una mummia egiziana. Oh, Maronna mia, ma p’cchè chill m’ha sparat’ propr’ a mme? Sono intontita, nn ricordo nulla, tranne quei colpi sparati accussì, a bruciapelo. Signurì… SiGNURììì, maronnamia, teng a frev’, signurì, chiamatemi a Pascale ‘o frate mio, ci debbo parlare urgente!

21. Bruno Patrì
“Per lui basta un colpo solo” ……   Poveri illusi … mi hanno dato per morto!
Il proiettile mi ha fatto un buco nel lobo dell’orecchio sinistro … ci metterò un bel  piercing d’oro … me lo farò fare apposta .… con l’oro dei denti fasulli  di Entropia …dopo averglieli stappati uno ad uno……  con le mie mani!  Adesso devo cambiare identità . “Cagliostro” avrà la sua vendetta …. la sua tremenda vendetta!

22. Viviana Graniero
Sarà uno scherzo da ragazzi… mi rivolgerò a Giovanni “taleequale”, il migliore falsario di documenti in circolazione! Domani avrò la mia vendetta e poi finalmente andrò a recuperare la valigetta…
driiiiiiiiiiinnnnnnnnn…
“E’ tutto pronto, cassetta di sicurezza n.23”

23. Daniele Riva
Buongiorno. Sono il “deus ex machina”, l’espediente che permette di portare avanti una storia. “Deus” nel vero senso della parola. Perché questo è il Paradiso, è bello ma spesso ci si annoia, e allora i ragazzi si inventano giochi di ruolo per divertirsi un po’ e passare il tempo. È per questo che non muoiono mai. Dunque. San Bruno, San Vincenzo, Sant’Assunta e San Pasquale si sono inventati questo giochetto ambientato a Tokyo. Ah, vi lascio indovinare chi ha scelto per sé il ruolo di Entropia.