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Un pizzico di senso in più

999881_10200510231172385_1209646050_nNon dirò che quella di dopodomani è la più bella, non c’è ragione, ciascuna delle dodici presentazioni che ho fatto fino ad oggi mi ha lasciato bellezza, amicizia, senso, e so che sarà così anche dopo Castellammare, a Pomigliano d’Arco il 29 giugno, il 17 luglio a Caselle in Pittari, in settembre a Mugnano, a Cosenza, a Ponticelli, a Reggio Emilia e in tutti i posti nel quali sarò invitato a parlare di amore per le cose ben fatte, di rispetto per il lavoro, di cuore artigiano, di voglia di fare bene le cose perché è così che si fa.

No, non voglio fare graduatorie, intendo piuttosto raccontare perché la presentazione organizzata da Clelia Cafiero a Castellammare ha per me un sapore speciale.

Il racconto comincia con Clelia, mia ex studentessa a Unisa, corso di Sociologia dell’Organizzazione, che un giorno di un paio di mesi fa mi scrive su Facebook dicendomi che vorrebbe organizzare una presentazione del mio romanzo nella sua città, che vorrebbe farlo dopo le elezioni, che se io sono d’accordo lei intanto si mette in moto. Immagino che dopodomani, quando la incontrerò, sarà diverso, ma io così, nome e cognome, di Clelia Cafiero non mi ricordo. No, non consideratela una mancanza di riguardo. I miei figli mi mettono in croce, gli amici anche, ma ciò non impedisce io abbia pochissima memoria, che diventa quasi zero quando si tratta di nomi e di facce. Sono un sociologo con il daimon scugnizzo, connettivista per necessità, sensemaker per vocazione, storyteller per passione, sta di fatto che senza la mia innata, notevole capacità di collegare persone, concetti e cose non potrei fare le cose che faccio. In ogni caso a Clelia rispondo che ha avuto una bella idea, che mi fa molto piacere presentare il mio libro a Castellammare e che dunque può procedere.

Il racconto continua con Ida, che dopodomani non ci sarà perché ha da risolvere una questione più importante (a lei va un caloroso in bocca al lupo), AnnaSara, Giuseppina, Palma, Davide, Fiorella, e tante altre/i ragazze/i che hanno scelto di interagire, di venire ad ascoltare il mio racconto, di arricchirlo con i loro.

Il racconto finisce con me che quest’anno, dopo dieci anni, non sto a Unisa con il mio corso di Sociologia dell’Organizzazione. È stata in buona parte una mia scelta, che spero peraltro non irreversibile, e continuo ad essere contento di averla fatta, anche se mi mancano tanto il mio maestro, Salvatore Casillo, i miei amici, cito per tutti Sabato Aliberti e Massimo Dal Forno, e sopratutto le/i mie/i ragazzi, che loro sono il presente dell’università, non solo il futuro, e non certo perché lo dico io, ma perché lo dicono le storie di successo delle più importanti università del mondo. Ecco, le/i ragazzi/e, quelli che come dice Clelia quando sentono che arrivo a Castellammare con Testa, mani e Cuore le dicono “sì, ci veniamo, abbiamo seguito il suo corso” oppure “sì, ci veniamo, anche se non abbiamo seguito il suo corso”.

Ora non aspettatevi che ci siano le folle giovedì pomeriggio a Castellammare, che io non sono mica Leo Buscaglia e loro, le/i ragazze/i, hanno sempre mille cose da fare e mille ragioni per cambiare idea all’ultimo minuto. Ma io non cerco le folle. Me ne basta una/o. E avrò portato un altro mattoncino, dato un altro pizzico di senso ai dieci anni bellissimi che ho trascorso con queste/ ragazze/i.

Grazie Clelia. Con tutto il cuore.   

Il salotto di casa Bonadies

Che la serata sia di quelle giuste te ne accorgi da tanti particolari. Niente traffico sull’autostrada nonostante il venerdì sera, la strada proprio quella giusta imboccata al primo colpo, il posto per parcheggiare la Toyota Aygo a trenta metri da casa Bonadies, la ragazzina che sta rientrando assieme al suo papà e ti dice scala a destra secondo piano, che il padrone di casa te l’ha ripetuto già tre volte e tu tre volte te ne sei dimenticato.
Più vado avanti negli anni e più mi convinco che funziona come dice Weick, nel senso che nei nostri mai finiti tentativi di dare senso a ciò che ci accade istituiamo ambienti più o meno sensati a seconda dell’approccio e della consapevolezza con cui lo viviamo, affrontiamo, condividiamo. Sì, perché Cinzia e io stasera siamo contenti. Molto contenti. Piacevolmente eccitati da questa idea di conversare intorno al lavoro ben fatto, alla bellezza, all’ingegno e all’impegno, a Testa, mani e cuore in questo salotto culturale autodafé, sperando che Canetti perdoni l’innocente oltraggio.
Vincenzo l’avevo conosciuto in una delle mie vite precedenti, anche allora galeotti furono il lavoro, la ricerca, il futuro, e però declinati in maniere e contesti diversi. Questa è invece la prima volta a casa sua, per arrivarci sono passato per Narni, per Antonio, per una presentazione umbra del mio libro che forse si farà e forse no ma che intanto mi ha regalato una serata indimenticabile.
Perché sì, questa volta lo dico senza chiedergli il permesso, non c’entra niente che lui, Borges, sia il mio scrittore preferito, è che la vita è proprio un giardino dai sentieri che si biforcano: Antonio che mi dice che un suo amico di Portici da 7 anni ha messo su a casa sua un salotto culturale e vorrebbe presentare Testa, mani e cuore; l’amico che mi chiama e scopro che si tratta di Vincenzo; Vincenzo che mi racconta di sua figlia Ileana presidente dell’Associazione Blab; Ileana con cui entro in contatto e scopro che è socia di Caracò editore, redattrice di Quarta Parete; l’arrivo a casa Bonadies e la “scoperta” di Irene, sorella di Ileana, ingegnere dei materiali, che il giorno prima è stata premiata a Hub Spa di Giuliano per una sua idea progetto innovativa; la signora Bonadies, la padrona di casa, un lavoro da insegnante un sorriso dolce e gli occhi contenti.
E che dire degli amici che hanno partecipato alla conversazione? Vorrei davvero citarli tutti, e lo farei di certo se solo la memoria non mi avesse da troppo tempo tradito.
Facciamo così, ne cito una per tutti, Antonella, perché con lei ci siamo ritrovati anche sui social network, perché è lei che ha creato il link tra Antonio e Ileana e Vincenzo, ma soprattutto perché assieme a lei l’altra sera, a Portici, è arrivato Antonio, che ha fatto 300 chilometri per essere lì, che lui mi aveva già regalato una bellissima recensione del mio libro ma con la sua presenza mi ha fatto un regalo che se anche vivessi mille anni non me ne dimenticherò.
Sì, anche perché poi Ileana ha avuto l’idea di coinvolgere anche Antonio nella conversazione, ed è stato bellissimo, non solo per le cose che hanno detto, ma per come le amiche e gli amici presenti hanno partecipato, e hanno avuto voglia di interagire, anche dopo, mentre gustavamo le buone cose che erano state preparate per l’occasione.
Naturalmente mi guardo bene dal mettermi qui a fare l’elenco di quello che ci siamo detti, ricordo solo le tre parole che secondo me sono state il filo conduttore della serata:
la prima è lavoro, che anche quando non lo sappiamo è la colonna sonora della nostra vita, contribuisce a darci identità e senso;
la seconda è amicizia, intesa come voglia e capacità di prendersi cura degli altri, di mettersi nei panni degli altri, di guardare se stessi nella faccia dell’altro, come direbbe Lèvinas;
la terza è incontro, in pratica la voglia di condividere idee e progetti, di percorrere pezzi di strada assieme, di non perdere di vista il fatto semplice ma mai banale che, come ci ricorda Donne nella sua meravigliosa poesia, “nessun uomo è un’isola”.
Ecco, questo è tutto. Anzi no, perché ho voglia di dire ancora grazie. Di cuore. A tutte/i. E arrivederci alle prossime puntate. Perché sì, questa storia non finisce mica qui.

BLab

Caro prof. ti scrivo

Igi
Gentile prof. Moretti,
sono una ex studentessa di sociologia che ha seguito il suo corso alla triennale. Ho appena prenotato il suo libro Testa, mani e cuore, perché mi è capitato sotto gli occhi un pezzo di pag. 49 che mi ha colpito tantissimo (Accettare un risultato diverso da quello che ti aspettavi, e magari meritavi, è un pregio, mica un difetto!!), e che ha risposto ad una domanda che mi ponevo da tempo. Una risposta che, in realtà, già conosco, ma faccio difficoltà ad accettare.  Ahimè, non ce la faccio proprio ad aspettare che il libro arrivi e, vorrei, se posso, porle una domanda: secondo lei, come si fa a non smettere di condannarsi ad essere i migliori sapendo che non dipende solo da te, soprattutto quando spesso inciampi in situazioni dove le opportunità erano fittizie, gli strumenti inadatti, le persone sbagliate etc etc, e non te ne sei accorto prima? Qual è l’equilibrio giusto fra la condanna ad essere sempre il numero uno e l’accettazione di un risultato diverso da quello che ti aspettavi/meritavi? (perché a me sembra che i due atteggiamenti confliggano  un poco). Detta così la domanda può sembrare banale, la solita domanda retorica di chi è disilluso. Ma quando ci sei dentro, quando credi nelle cose che fai, è davvero complicato, diventa un grattacapo. Mi riferisco alla mia esperienza personale, ma anche alle esperienze di tanti giovani, come me, che si danno tanto da fare fra laurea, master, lavoretti vari, corsi di tutti i generi, ma non riescono a fare passi in avanti a causa della situazione particolare che stiamo vivendo, e sono costretti ad accontentarsi. Personalmente, mi condanno da una vita ad essere il numero uno e non smetterò mai di farlo. È una condanna insita nel mio nome, che in aramaico significa ‘guerriera’. Anzi, credevo che fosse questo il problema, ma a quanto pare, e fortunatamente, mi sbagliavo. Però, è vero anche che a volte diventa davvero difficile. Grazie.

Prof.
Grazie di avermi scritto. Dammi qualche minuto e ti rispondo.

GI
Va bene, anche dieci, voglio una buona risposta!

Prof.
Buona risposta non lo so, una risposta vera sí, vera nel senso di mia, di risposta in cui credo.

Igi
Ok

Prof.
Allora, la mia risposta è in quattro punti:
1. Avendo seguito il corso sai che sono una persona normale e che, come tutte le persone normali, ho un mare di domande e pochissime risposte.

Igi
Si, mi ricordo.

Prof.
2. Scegliere l’approccio che hai tu, che ha la protagonista del mio racconto, che ho io, ti fa vivere una vita più difficile e non più semplice di quella che vivresti se seguissi altre vie.

Igi
Già. E se l’approccio è dentro non riesci nemmeno a mandarlo via, è come una forza che parte da dentro che però ti fa sbattere testa e muro tante di quelle volte.

Prof.
3. Avere quell’approccio però ti permette di farcela su un livello diverso dagli altri. Le parole chiave sono due: pazienza e lavoro. Molta pazienza. E molto lavoro. E poi bisogna avere anche la capacità di vedere i centimetri che sono intorno a sé, e la determinazione giusta per conquistarli. Per fare un esempio esagerato se anche uno decide di vendere gelati è meglio che non li venda in Italia, ma a Londra, così impara l’inglese, e se conosce l’inglese che li venda a Pechino, cosí impara il cinese. E se per un periodo bisogna lavorare per pochi soldi si può fare solo in cambio di un lavoro importante dal punto di vista professionale, un lavoro che permette cioè di costruire relazioni, di imparare cose e di imparare a fare cose.

4. È questione di tempo, ma se si fa così ogni benedetto o maledetto giorni che si mettono i piedi giù dal letto, al 90% ce la si fa. E se anche coloro per una qualche ragione fanno parte del 10% a vivere così avranno vissuto una vita più ricca, più felice, più degna di essere vissuta. Visto che mi hai scritto, penso che possa valere qualcosa per te il fatto che queste stesse parole le ho dette ieri sera, parlando di me, alle persone che sono venute alla presentazione di Testa, mani e cuore a Portici.

Igi
Il punto è che, come dice lei, poi non tutto dipende da sé, magari fosse così. Se pure uno fa tutto quello che lei suggerisce dove li mettiamo tutti i fulmini e le saette di percorso?? Che si fa, si cambia strada se si vede che una non funziona?

Prof.
Si può anche cambiare strada, ma non l’approccio, altrimenti si perde tutto. Sull’approccio vai dritto, e vedi che ce la fai.

Igi
Per ora la ringrazio, sicuramente la ricontatterò dopo aver letto il libro. E mi faccia sapere dove pubblica la mia lettera e la sua risposta perché vorrei confrontarmi con le altre eventuali risposte!

Un tuffo nel passato

Meglio essere precisi. Il passato del titolo non si riferisce al tempo, la recensione di Carmen Fiano mi è arrivata oggi, ma al libro, dato che oggetto delle riflessioni di Carmen è Bella Napoli. Perché allora il suo commento sta qui? Perché come molti di voi sanno esiste una connessione forte tra Bella Napoli, Testa, Manie  Cuore e La tela e il ciliegio. E perché le riflessioni di Carmen la rendono quanto mai evidente. Ma adesso basta parlare io, leggete piuttosto cosa scrive lei.

Mi scuso per il mio lungo silenzio.  Questi sono degli appunti che ho scritto dopo aver letto il suo libro “mi avvicino ad un libro come ad un viaggio, non cerco mete esotiche o false evasioni dalla realtà ed allora … 
Salgo su un vagone di treno “occupato” da un sindacato in cui non credo più e da dove non vedo l’ora di scendere, passo in un altro vagone dove trovo posto, il mio posto in quella “condizione di possibilità che non toglie ma aggiunge responsabilità tenendomi distante da chi ha preferito “alle vie del lavoro e della partecipazione quelle della ricchezza senza la capacità, del comando senza la responsabilità”.
Faccio sosta in un negozio di musica ed imparo che il miglior modo di imparare è insegnare “e che è importante far si che si ami insegnare agli altri ad amare il proprio lavoro che tu sia un ingegnere o “sistemi carte”.
Ho incontrato “mastri”, quelli che sanno fare una cosa dall’inzio alla fine ed ho incontrato una certa Valeria che mi ha stordita con un pot pourri di lavori legati da un sorriso e dall’ascolto.
Su quel treno c’era anche il signor “costruttività” accompagnato dalla misura attendibile della forza reattiva di cui si ha bisogno nella vita per costruire, ideare, creare e c’era la signora “costanza”, la signora “volontà” e il signor “esperienza non legata al cosa ma al come” erano tutti li su quel treno.
Ci siamo fermati per una sosta ed ho bevuto un caffè “da re, fatto da un re del caffè”.
Il mio viaggio è continuato ed è salito un controllore, un napoletano, ma non uno di “quelli modello cartolina” ma una sorta di ibrido, di apolide che abita a Bologna, uno di quelli che fa viaggiare i treni in sicurezza e ci siamo messi a parlare di meritocrazia “che non esiste o è difficile da valutare” come l’impegno e la capacità di scegliere.
Si sono aggiunti a noi un’insegnante una di quelle che crede nella scuola, che insegna e “non crede solo nei progetti”, era con un gruppo di bambini a cui auguro di non diventare una “massa di ignoranti alfabetizzati. Poi sono saliti altri passeggeri abbiamo chiacchierato un pò , con qualcuno non ero molto d’accordo ma “non si può essere sempre d’accordo, ogni tanto bisogna ribellarsi e far valere i propri diritti” ed esprimere le proprie opinioni.
Eravamo quasi alla meta quando è salito lui il “Maestro”, quello che veramente insegna, trasmette un’etica, dà l’esempio, dà il sapere, che dà la memoria dell’ineguagliabile valore di un mestiere che s’adda arrubbà , è stato lui che mi ha regalato una foglia oro che sto portando a casa come il più bel regalo di questo viaggio e sapete ???????  ho deciso di tornare lì, lì nella bella Napoli.

Bar Luciano

Se sono a Napoli la mia giornata comincia così. Tra le 6.30 e le 7.00. Domenica compresa. Mangio il cornetto, bevo il mio bicchiere d’acqua fresca temperatura fontana, sorseggio il caffè modello cioccolata anche quando come me lo prendi amaro e faccio quattro chiacchiere con Mario, Armando, Giuseppe, a seconda di chi è di turno.
Sì, il bar Luciano è diventato un pezzo della mia vita, me lo sono portato anche, in forma romanzata come tutto il resto, in Testa, Mani e Cuore, nell’ultima storia, quella raccontata dalla nuvola.
Stamane di turno erano il signor Luciano, la signora Teresa, sua moglie, e, alla macchina del caffè, l’ottimo Mario.
Il discorso è finito sulle nuove tazzine da caffè, più strette e alte, che saranno pure da degustazione, come suggerisce  Mario, ma a me inquietano a causa del naso, il mio naturalmente, diciamo così, pronunciato, che se urto sul bordo mi da noia anziché no.
Commenti e sorrisi generali, con la signora Teresa che per farmi sentire a mio agio dice che anche a lei le tazze più strette non piacciono, quando mi viene in mente che sulle tazzine precedenti c’era scritto “Bar Luciano”. Chiedo se ne posso avere una per ricordo. Mi danno la tazzina, il piattino e anche il cucchiaino. Protendo la mano verso il signor Luciano, gliela stringo e gli dico “grazie”. Risponde “E di che, è una cosa che fa piacere anche a noi”.
Saluti e appuntamento a domani, lunedì, che anche a quell’ora per fortuna c’è movimento e si fa fatica a chiacchierare come usiamo fare ogni domenica, giorno di festa.

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Francesca Camera and me

26 agosto 2012
Francesca: Ciao Vincenzo, ho guardato il video che mi hai mandato e lo trovo molto interessante, condivido sulla bacheca dei miei amici? Cari Saluti.
And me: Ciao Francesca. Se lo condividi sulla bacheca dei tuoi amici alla prima occasione ti offro caffè e sfogliatella. Cari saluti anche a te. 😀
Francesca: Ah ah ah. Lo condivido senza nulla in cambio, ma ti ringrazio per la sfogliatella. Fatto. Buona domenica!
And me: Buona domenica anche a te. Comunque la sfogliatella c’è. E anche il caffè, of course.
Francesca: Guarda, io al momento sono in Scozia per vacanza, e se tu mi parli di caffè e sfogliatella …
And me: Ma tornerai, e troverai l’uno e l’altra ad aspettarti.
Francesca: Gentilezza e gratuità, mettiamola così.
And me: Sicuramente, però ormai quello che è detto è detto. E Napoli è comunque una città da conoscere.

11 settembre 2012
Francesca: Tantissimi Auguroni.
And me: Grazie
Francesca: Una data importante ti sei scelto.

26 settembre 2012
Francesca: Gentile Vincenzo, stamattina ho letto per la prima volta il tuo blog e una frase, nella tua presentazione, mi ha colpito particolarmente: Cit.”Una vie en rose? No. E’ che il dolore è una faccenda privata. E i problemi pesano meno se ogni tanto getti lo sguardo oltre i confini della tua parte, quella ricca, del mondo”. Volevo solo ringraziarti per averla scritta. Ciao
And me: grazie Francesca. Di cuore.

5 aprile 2013
Francesca: posso prenotare il tuo libro?
And me: Certamente, nella libreria più vicino casa o sul web. Con la Feltrinelli puoi anche comprare il libro sul sito e chiedere di ritirarlo nella libreria a te più vicina. Grazie di cuore per l’interesse.
Francesca: Tutti i giorni compro un libro alla Feltrinelli della Stazione Centrale.
And me: Stazione centrale a Milano?
Francesca: Si. Appena lo becco, lo compro subito, non vedo l’ora!
And me: Credo che loro non lo abbiano, se fai un pò di casino per farlo arrivare ti sono grato comunque la via più semplice per te è passare dal sito e andarlo a ritirare alla stazione. Mi raccomando, dopo che lo hai letto scrivi qualche riga di commento, unico criterio la sincerità. Grazie ancora.
Francesca: Ma certamente che faro’ casino!!
And me: Grazie grazie grazie.
Francesca: Pensa che una volta ho stretto amicizia con una commessa parlando di un libro e le ho scritto la recensione per poterlo consigliare in libreria. Da Lunedì sono operativa!!
And me: Scelto per voi?
Francesca: Si, si.
And me: Grazie.
Francesca: E di che grazie! Buona Serata.
And me: Anche a te. E tienimi aggiornata. Anzi, se non ti dispiace ci costruisco un post su questa chiacchierata. Se non vuoi essere citata metto nomi inventati.
Francesca: La verità non mi spaventa. Fai pure!!

9 aprile 2013
Francesca: Carissimo Vincenzo.
Finalmente “possiedo” il 41,6 periodico del Testa, Mani e Cuore che mi arriverà alla Feltrinelli della Stazione Centrale fra dieci circa.
Un caro saluto.
And me: Un caro saluto te. Mi piace un sacco questa cosa del 41.6 periodico, immagino sia per l’anticipo che ti hanno fatto pagare. Grande. Adesso il post non te lo leva nessuno.
Francesca: Il caro giovane vecchio Holden diceva che “quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l’autore fosse tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira”. A me ha sempre colpito molto questa storia! Ed oggi questo è possibile grazie alla condivisione. Buona serata.

Epilogo (quello di And me che quello di Francesca, se vuole, lo scrive lei nei commenti)
1. Trovo tutto questo è straordinario. Per me scrivere è bello quasi quanto leggere. E pensarmi come uno scrittore, “modestamente a parte”, come avrebbe detto mio padre, che modestia a parte non gli sembrava abbastanza, mi piace. Però è quando mi connetto con le persone, condivido con loro delle cose profonde, come sabato scorso a Sapri, ieri a Castel San Giorgio, o in questo improbabile carteggio al tempo di internet con Francesca, trovo davvero il senso della mia vita, e della fatica che faccio per tenerla dentro le “nuvole” che mi sono scelto.

2. Ci sono parole che ritornano, parole come condivisione, che Francesca ha usato al termine di questa parte della nostra conversazione e che io avevo usato per raccontare un pò delle cose che con Alessio, Luigi, Carlo, Rossella, Giorgia e tante/i altre/i stiamo facendo alla Bottega Exodus di Cassino. Se ne avete voglia l’articolo potete leggerlo qui.

3. Come mi appena scritto Francesca, sempre a proposito di condivisione, “se lo leggi tutto d’un fiato sembra un racconto” (il post, ndr).

4. Francesca and me non ci siamo mai visti, mai parlati, mai scritti se non nei giorni che vedete segnati qui, ma questo al tempo dei social network davvero non è più un problema. O invece si?

Cip e stracci di lino

No, no, questa volta la “h” non me la sono dimenticata, volevo scrivere proprio cip, non chip. Mentre scrivevo la storia di Duccio, e della sua Ape, ‘o trerrote, che avevo deciso di ambientare a Caselle in Pittari, perché volevo raccontare anche se in forma romanzata un pò delle cose che stanno avvenendo da quelle parti, mi è venuto spontaneo chiamarla in questo modo, Cip, che gli acronimi quasi sempre sono brutti anziché no, ma non in questo caso, che Cip mi fa pensare alla versione made in Italy del cinguettio, del tweet, che magari prima o dopo qualcuno lo inventa cipper  che ci permetterà di postare con 210 caratteri che tanto si sa che noi italiani siamo meno sintetici degli inglesi.
Gli stracci di lino sono invece quelli che venivano usati mille anni fa per fare la carta e che hanno dato a Luigi Nicoletti lo spunto per dare il nome alla sua bella cartolibreria a Sapri.
Perché vi racconto tutto questo? Perché sabato 6 aprile, proprio nella suddetta cartolibreria con Luigi e Giuseppe Jepis Rivello, Antonio e Rossella Torre,  Antonio Pellegrino e Margherita, Cinzia e Angelo e un bel pò di altra bella gente abbiamo presentato Testa, mani e cuore.
E’ stata una serata bella bella, ve ne potete fare un’idea guardando il video, che di certo ci sono un po’ troppo io, lo dico davvero, che Giuseppe, Antonio e Angelo hanno raccontato cose straordinarie anche se poi per amicizia si sono tagliati loro e hanno lasciato me, però non da solo, perché le cose che hanno detto Annamaria e Lorenzo a me hanno riempito il cuore di gioia, perché se uno scrive un romanzo e due persone che non ha mai visto prima ne parlano come ne hanno parlato loro quello che ha scritto il romanzo è veramente felice. Dice ma sono “solo” due. Potrei rispondere che possono diventare due milioni, dico invece che in queste faccende qua anche una sola persona vale come l’umanità intera.

La giornata di ieri l’abbiamo passata invece a Cip, con Giuseppe e Antonio e il resto della band, con le interviste agli artigiani di Cip che poi Giuseppe pubblicherà su Timu e dunque non vi anticipo niente qui, con i progetti per il futuro prossimo venturo, con il pranzo da zì Filomena e la chiacchiere di cibo e di scienza con Mario Pellegrino, il titolare che tu lo vedi e capisci che anche lui tiene la testa dove tiene le mani e le mani dove tiene il cuore.
Comunque adesso tutto tutto non ve lo posso raccontare, piuttosto guardatevi il video che a Cip ci torneremo presto. A proposito, stasera assieme ad Alessio Strazzullo, che ancora sta dispiaciuto che l’influenza lo ha tenuto lontano da Cip e da Sapri,  saremo a Castel San Giorgio, a Villa Calvanese, presenteremo il libro e soprattutto proietteremo  il film di Alessio, La tela e il ciliegio, che se non  l’avete visto ancora non ve lo perdete.

Strettamente personale

Il messaggio che leggete in calce me lo ha mandato mia nipote Sara, 19 anni, un pò di giorni fa. Per ovvie ragioni non l’avevo pubblicato, però un pò mi dispiaceva. Mi dispiaceva per me, perché dalle mie parti si vive soprattutto di soddisfazioni e perché sono un essere umano e mi fa piacere condividere la felicità, che quello basta già il dolore a farti capire che quando arrivi alla “streppegna” sei un uomo solo. E mi dispiaceva per lei, perché secondo me dalle righe che mi ha mandato traspare la verità, la sua verità naturalmente, non la Verità che di questi tempi è meglio lasciarla stare, sì, insomma, quella cosa che chiedo a ciascuna/o di voi quando vi dico di commentare il libro con tutta la sincerità di cui siete capaci. E’ stato Alessio a darmi la soluzione, come fa lui, con quella semplicità che si fa genio, con un semplice e geniale “Vincenzo, facci un post, nessuno può dirci niente se diamo spazio anche ai nostri sentimenti”. Com’è la storia? Sangue e link. La condizione umana al tempo di internet. Perciò eccomi qua. Ladies e gentleman, ecco a voi il commento di Sara Moretti:

Il tuo libro non è solo stupendo (e non lo dico perché sono di parte), zio il tuo libro é vero. La cosa bella é che parli di persone vere, persone che si incontrano tutti i giorni e non é una cosa facile, secondo me. Perché raccontare la storia di persone che hanno lottato e sudato per arrivare a essere quello che sono e che hanno creduto in quello che hanno fatto non é così facile. Quando parli di queste persone devi trasmettere la loro passione, il loro “testa, mani e cuore” e io penso che tu ci sia riuscito, non sono un critico letterario ma semplicemente una lettrice e io da lettrice mi sono emozionata. Queste storie ti motivano, ti “gasano”, come le canzoni dei Linkin Park che sento prima delle partite. Mi hanno fatto venire ancora di più la voglia di farcela, di riuscire. Quindi non ho altro da aggiungere se non grazie.

Così è. Se vi piace

Il 13 marzo era il giorno previsto per l’uscita, e come vedete dalla foto il libro comincia a stare al proprio posto, cioè nelle librerie. Molto adesso dipende da voi, dalla vostra voglia di leggerlo e di decretare il suo successo. Oppure no. Perché si, non è mica obbligatorio che debba piacervi, può darsi di si e può darsi di no, e nessuno può dirvi niente, io meno di chiunque altro. Anzi no, una cosa penso di potervela dire, questa: sia se dopo averlo letto il mio romanzo vi sarà piaciuto sia se non vi sarà piaciuto non tenetevelo per voi questo piacere, o questo dis-piacere. Scrivete due righe, commentate, recensite, dite cosa ne pensate con tutta la sincerità di cui siete capaci, insomma raccontate perché vi è piaciuto, o non vi piaciuto. Se vi ha emozionato o  invece no. Lo so, ora state pensando che faccio così perché sono convinto che il  libro è bello e vi piace. E invece no. E’ vero che lo spero, che sono fiducioso, ma per essere convinto aspetto le vostre interazioni.
Buona lettura.

piazzadeimartiri

Tu chiamale se vuoi, emozioni

‘O saccio. Scusate, “lo so”, che quando parlo tra me e me la lingua mia è quella napoletana va pure bene ma quando parlo tra me e voi invece no.

Dicevo lo so, finisce come ogni volta: certe amiche, e amici, le avviso dieci volte in dieci modi diversi, che diciamoci la verità si scocciano pure anche se mi vogliono bene e non me lo dicono, anche perché ci pensa mio figlio Riccardo a riportarmi nel mondo delle cose normali con il suo “pà, mi hai fatto la palla, me lo hai detto già venti volte, ti ho detto che li avviso i miei amici, però famme sta cuieto”; di certe altre, e altri, mi ricordo il giorno della presentazione, che dico, dieci minuti prima che cominciamo e allora mi do una manata in fronte e finisce con “mannaggia a me che ho dimenticato di avvisare questa, questo e pure questi altri”. Sì, avete letto bene, finisce, perché così come cerco di fare bene le cose che devo fare, così sono consapevole che la perfezione non è di questo mondo, che sono umano, dunque sbaglio. Sì, “sbaglio, dunque sono” mi piace un sacco, secondo me funziona alla grande, a patto però di avere l’approccio giusto, quello che non ti fa accontentare, quello che ti spinge a migliorarti sempre, ad alzare l’asticella, a varcare la soglia del dolore, come avrebbe detto mio padre “a jettà ‘o sang”, a buttare il sangue, pur di fare bene quello che devi fare, l’approccio che ti fa guardare soddisfatto a quello che hai fatto una volta che l’hai fatto, e ad accettare il fatto che non è venuto perfetto, che da qualche parte c’è sicuramente qualcosa che potevi fare meglio.

Ecco, vedete, quando le devo spiegare così le cose me la cavo, il fatto è che invece il libro che presento venerdì della prossima settimana, il 22 marzo, è un romanzo, il mio primo romanzo, e questo mi fa stare teso come una corda di mandolino.

Dico la verità, qualche segnale incoraggiante c’è già, c’è chi mi ha detto “vincenzo, ho riso tanto e ho pianto tanto” e chi mi ha detto “vincenzo, il tuo romanzo è bellissimo, ci stanno sentimenti e idee molto profonde raccontate in maniera molto semplice”, e per me questi sono dei gran bei complimenti, cose dette da persone che stimo molto. Che però sono anche persone che mi conoscono e mi vogliono bene, e questo pure conta.

Comunque dopo domani il libro comincerà a essere nelle librerie, spero che ci sia qualcuno delle persone a cui lo abbiamo mandato che lo recensisca, e allora vedremo che si dice, capirò se ho esagerato oppure no nel buttare il cuore oltre l’ostacolo, perché scrivere un romanzo è una cosa a parte, ma questo voi lo sapete già.

Niente, per ora mi fermo qui, vi allego l’invito, spero che gli amici napoletani mi aiutino a farlo girare tra i loro amici. Come si dice a Napoli, “ ‘o ‘nvitato po’ invità”, l’invitato può invitare, perciò cosa aspettate?

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