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Draft 27 maggio 2010

1. Tecnologie dit un monde
Tecnologie che riarredono il mondo
Sindrome di Proust
Partizione tra certezza e incertezza

2. Citarsi Addosso
Richard Sennett: Un racconto non è solo un semplice susseguirsi di eventi, ma dà forma al trascorrere del tempo, indica cause, segnala conseguenze possibili.

Karl Weick: Le storie aiutano la comprensione, perché integrano quello che si sa di un evento con quello che è ipotizzato […]; suggeriscono un ordine causale tra eventi che in origine sono percepiti come non interconnessi […]; consentono di parlare di cose assenti e di connetterle con cose presenti a vantaggio del significato […]; sono mnemotecniche che permettono di ricostruire eventi complessi precedenti […]; possono guidare l’azione prima che siano formulate delle routine e possono arricchire le routine quando sono state formulate […]; consentono di costruire un database dell’esperienza da cui è possibile inferire come vanno le cose.

Barry Lopez: Le storie che raccontiamo alla fine si prendono cura di noi. Se ti arrivano delle storie, abbine cura. E impara a regalarle dove ce n’è bisogno. A volte una persona per sopravvivere ha bisogno di una storia più ancora che di cibo. Ecco perché inseriamo queste storie nella memoria gli uni degli altri. E’ il nostro modo di prenderci cura di noi stessi.

3. Le storie
Domenico R.
Milena A.
Valeria G.
Rosanella T.
Piero C.
Fabio M.
Renato D.

4. Dare Valore
Futuro: L’importanza di potersi riconoscere con gli altri sul lungo termine

Lavoro: L’impegno “a prescindere”, il gusto di fare le cose per bene perché è cosi che si fa, l’idea del lavoro come bisogno in sé, come valore, come parte fondamentale delle attività attraverso cui le persone danno senso e significato alle loro vite, soddisfano le loro aspettative di futuro, costruiscono gli orizzonti nei quali coltivano la stima di sé, la dignità, l’autonomia sul piano individuale e su quello sociale.

Rispetto: Sviluppare i saperi e il saper fare che produce rispetto di sé.

Merito: Qualificare il sistema educativo, dare valore al merito, organizzare il talento, sviluppare la capacità di competizione colalborazione, garantire a ciascuno uguali opportunità nell’espressione e nella valorizzazione del proprio talento per tutto l’arco della vita.

5. Social Network del Merito
È l’eccellenza che si fa normalità a fare sistema

6. Questioni di frame
Se le persone definiscono le situazioni come reali, queste avranno conseguenze reali.
Comportati come una persona felice e la felicità arriverà.
Persone e Ambiente.
Enactment.
Centimetro dopo centimetro.

7. Questione Risorse
Risorse finanziarie: In Giappone viene destinato alla ricerca il 3,6 per cento del Pil. L’80 per cento delle risorse provengono dal settore privato, il 63 dall’industria.
In Europa gli investimenti in ricerca e sviluppo rappresentano in media il 2 per cento del Pil, il settore privato contribuisce per una percentuale che si attesta intorno al 55.
In Italia tale percentuale è dell’1,1 per cento, il settore privato contribuisce per il 47,8 per cento.

Risorse relazionali: Salto di qualità nella capacità di cooperazione e di competizione internazionale e nella possibilità capacità di internazionalizzazione del sistema economico, delle strutture di ricerca, delle aziende.
Questioni di innovazione sociale, di percezione pubblica, di ecosistema normativo, di misure fiscali, di trasferimento tecnologico, di proprietà intellettuale, altrettanti fattori portanti per società che intendono essere e non solo definirsi knowledge based.

Risorse organizzative: Quelle necessarie, ad esempio, a sviluppare le capacità di coordinamento delle diverse attività nazionali da parte dell’Unione Europea. E a perseguire strategie di tipo win win (Cina and Africa)

8. Università e imprese
Negli altri paesi l’università rappresenta il punto più alto del processo di emancipazione delle persone, fa sì che il giovane che si laurea si ritrovi al massimo del suo percorso di emancipazione personale, quindi del suo senso di responsabilità; se diventerà o meno un membro della classe dirigente è un altro discorso, ma il riconoscimento sociale dell’università in quanto istituzione è unanime, indiscusso.
Nella società italiana questa percezione positiva non c’è più. In quanto istituzione, l’università italiana versa in uno stato di persistente anomia.
Non mancano certo i docenti di buon livello, che fanno ricerca e didattica, gestiscono migliaia di studenti, ma la condanna a cercare all’estero opportunità che qui non ci sono è uno dei grandi capitoli della questione.
I giovani ricercatori che decidono di lavorare in maniera consapevole nell’università non si ritrovano in uno dei luoghi di eccellenza del riconoscimento sociale ma in uno dei luoghi riconosciuti del precariato. Cosicché molti di quelli più bravi, a ogni livello, se ne vanno, si inverte la scala dei valori, si esce dal circuito internazionale: perché rimanere o, ancor più, venire in un sistema che non ti elegge, non ti abitua all’indipendenza scientifica, non ti consente l’indipendenza personale?

Occorre fare in modo che il sistema universitario recuperi la propria vocazione di istituzione che fornisce agli studenti gli strumenti cognitivi e metodologici, la cassetta degli attrezzi, necessari per intervenire e interagire in una molteplicità di contesti con autonomia e spirito critico. Istituendo ambienti organizzativi in grado di valorizzare le specifiche vocazioni e competenze delle università, delle strutture e degli enti di ricerca, delle imprese. Accentuando fortemente le possibilità – capacità di interazione tra i diversi sistemi. In un contesto, ancora una volta, di tipo win win.

Impossibile? Niente affatto. Come mi ha spiegato Akira Tonomura, l’uomo che Sua Maestà l’Imperatore del Giappone ha dichiarato National Tresure per meriti scientifici.
Riferendosi al Simple Quantum Dynamic Research Group, la struttura che dirige, Tonomura focalizza la propria attenzione proprio intorno ai punti di connessione tra l’università, la ricerca e l’industria in Giappone, con particolare riferimento, com’è ovvio, ai rapporti tra Hitachi e RIKEN. Racconta che il Sqdrg è strutturato in 4 team: il Quantum Phenomena Observation Technology Laboratory, che egli stesso dirige, allocato alla Hitachi; il Digital Materials Laboratory, diretto da Franco Nori, al RIKEN; il Macroscopic Quantum Coherence Laboratory, diretto da Jaw-Shen Tsai, alla Nec; il Quantum Nano-Scale Magnetics Laboratory, diretto da Yoshichika Otani, a metà tra RIKEN e Università di Tokio.
A dirigere i diversi team sono dunque ricercatori e scienziati che provengono da università giapponesi (Otani), dall’industria (Tonomura e Tsai), da università straniere (Nori). Il passo successivo è per Tonomura persino inevitabile: integrazione, cooperazione, internazionalizzazione sono le parole chiave per chi intende emergere nel mondo della scienza e delle tecnologie; a questi livelli una più alta capacità di interconnessione si traduce quasi sempre in un più elevato livello di competitività.
La Nec ha ad esempio tecnologie di altissimo livello, estremamente sofisticate e complesse di cui il Sqdrg ha un gran bisogno per i suoi studi e le sue ricerche, a partire da quelli condotti da Nori e Tsai; il RIKEN ha la metodologia e i cervelli, sa come si fa ricerca. Le tecnologie, la metodologia e i cervelli sono per ragioni diverse e complementari assolutamente fondamentali per raggiungere gli obiettivi. Quelli della Nec e quelli del RIKEN. Di conseguenza, la combinazione tra questi diversi aspetti è di fondamentale importanza tanto per l’una quanto per l’altro .
Semplice. Anzi geniale. Come dimostra il secondo esempio di Tonomura, quello che si riferisce ai processi di integrazione tra Hitachi e RIKEN. Egli sottolinea che nella fisica moderna molte strutture fini e nanomondi sono intrinsecamente connessi, cosicché c’è sempre più bisogno di tecniche e metodologie di ricerca sperimentali. Ancora una volta, l’industria ha la tecnologia; ad esempio, nel caso dell’Hitachi, l’elettromicroscopio da un milione di volt , unico al mondo. Il RIKEN ha la metodologia e i cervelli. Chi riesce a connettere meglio tecnologia, metodologia e cervelli è destinato a raggiungere i risultati migliori, più importanti, nel tempo più breve.

Ce la possiamo cavare dicendo che i giapponesi sono diversi? Anche i Cinesi sono diversi. Ma i cinesi e i giapponesi con le loro diversità competano sui mercati mondiali. E poi ci sono gli Stati Uniti che sono organizzati in maniera diversa. E poi La Germania, la Francia e il Regno Unito. E l’Italia?

9. Talento e Organizzazione
Si può fare? Sì, Si può fare. A patto di adottare scelte concrete e coerenti. Valutando ancora una volta le disponibilità e le buone pratiche.
Ad esempio verificando quali università, quali dipartimenti, quali istituzioni culturali sono disponibili, essendo in condizione di farlo, ad adibire spazi fisici, bene di norma assai prezioso nelle istituzioni scientifiche, a questo scopo.
Definendo in maniera puntuale i profili, scegliendo, sulla base dei curricula, delle application, dei colloqui, i candidati migliori che, avendo superato selezioni competitive, saranno motivati, orientati al risultato, competitivi, in grado di attrarre finanziamenti e di stare sulla scena internazionale.
Troppo elementare? Niente affatto. È per questa via che il 30 per cento della struttura A potrà essere dedicata all’innovazione, che in questo 30 per cento, corrispondente a X metri quadrati, ci saranno Y ricercatori, in larga parte giovani, con le caratteristiche e i profili suddetti , che avranno un salario decente, un budget e dei colleghi con i quali a vario livello interagire e dovranno fare i conti con dei parametri di efficienza, un tempo entro il quale produrre risultati, dei sistemi condivisi di valutazione di tali risultati. È così che sarà possibile attivare programmi internazionali per mettere a disposizione di ricercatori e scienziati ambienti culturali di eccellenza.
Nelle università di tutto il mondo sono tanti i ricercatori che farebbero carte false per venire in Italia per un periodo della loro vita e questo creerebbe un motore naturale per il funzionamento delle istituzioni culturali, porterebbe diversità, innovazione, qualità.
Non basta il fatto, vero, che gli scienziati italiani riescono a farsi onore all’estero. La qualità va organizzata. I talenti vanno coltivati. Altrimenti non si fa sistema. Non si offrono opportunità. Non si promuovono i cervelli che si hanno in casa. Non si cercano quelli che vengono da fuori.
Vanno individuate istituzioni e persone di alta qualità disposte a lavorare duramente in questa direzione. A essere valutate esclusivamente alla luce dei risultati prodotti sulla base di indicatori di riconosciuto livello internazionale.
Sì, si può fare anche in Italia. Si fa già. Al Dulbecco Telethon Institute e all’Istituto Oncologico Europeo, solo per fare due dei possibili esempi. La scommessa è fare in modo che gli esempi diventino sistema. Una scommessa – come abbiamo visto – non facile da vincere. Ma è su questo terreno che si misura il futuro del Paese, che le nuove generazioni giudicheranno le attuali classi dirigenti.

10. Serendipity Lab
Si potrebbe concludere il nostro racconto con la definizione di un possibile, provvisorio elenco di priorità che sottolinei la necessità di:

Investire di più e meglio nella ricerca, definire le risorse e l’attività ordinaria, pianificare il reclutamento, migliorare la capacità di collaborazione e di networking a livello internazionale, attivare processi di collaborazione competizione;

Fare dell’Italia un paese attraente per chi fa ricerca, adottare scelte e definire strategie che puntino ad attrarre l’interesse degli investitori, favorire l’interazione di menti preparate in ambienti socio cognitivi serendipitosi;

Attivare call internazionali allo scopo di portare l’esperienza, il know how, le capabilities degli scienziati più bravi nel nostro paese e di metterle al servizio dei nostri giovani ricercatori, realizzare politiche finalizzate allo scambio di giovani ricercatori, attirare i migliori giovani ricercatori di ogni parte del mondo, quelli che vanno dove ci sono opportunità vere, realtà estremamente qualificate e organizzate, educatori in grado di aiutarli a crescere, a diventare autonomi;

Selezionare i luoghi e le strutture alle quali concretamente affidare la mission di innescare questi circuiti virtuosi, ampliare le opportunità per le istituzioni e le organizzazioni, università e imprese in primo luogo, che intendono dedicarsi all’innovazione.

L’idea è che è possibile se si sceglie di connettere la bellezza, l’intelligenza, la creatività, lo spirito di iniziativa, la capacità di innovazione, il talento, che c’è, con una diversa cultura e modalità di organizzazione e di gestione dell’università e della ricerca scientifica, per sviluppare ambienti socio cognitivi serendipitosi, per attivare processi virtuosi «per genio e per caso» e determinare, in un arco credibile di tempo di 10-15 anni, un nuovo rinascimento.

Naturalmente, anche solo la possibilità che ci siano tanti Serendipity Lab nel nostro futuro è strettamente correlata alla volontà delle istituzioni, delle università, delle parti sociali, di interpretarne la necessità, di accompagnarne la crescita favorendo la propensione a (ri)definire identità, attivare e dare senso agli ambienti nei quali chi fa ricerca opera, a incentivare la voglia di fare rete.

11. Azione e Trasformazione
Azione (orientato allo scopo, locale, immediata, di breve durata)
Trasformazione (globale, si compie nella durata)

La natura del sensemaking

Segnalazione dei casi sospetti di Battered Child Syndrome (BCS) e Sensemaking:
Primo, c’è qualcuno che rivela qualche cosa, entro un flusso continuo di eventi, qualche cosa che ha la forma di una sopresa, di un insieme di nformazioni discrepanti, qualche cosa che non quadra.
Secondo, le informazioni discrepanti sono individuate quando qualcuno riesamina l’esperienza passata. L’atto di osservazione è retrospettivo.
Terzo, vengono formulate ipotesi plausibili (per esempio, i genitori non comprendono la gravità delle lesioni) per spiegare le informazioni e la loro relativa singolarità.
Quarto, la persona che formula le ipotesi le pubblica in un articolo che compare su una rivista e che entra così a far parte del sapere condiviso della comunità medica divenendo disponibile per altri. Questa persona ha creato così un ogetto che non era “fuori” fin dall’inizio, ma che ora è “dentro” e può essere osservato.
Quinto, le ipotesi non generano immediatamente una gusta attenzione diffusa poiché, come notava Westrum, le osservazioni erano nate presso i radiologi, che hanno contatti sociali poco frequenti con i pediatri e con le famiglie dei bambini. Tali contatti sono cruciali nella costruzione e nella percezione di problemi.
Infine, sesto, questo esempio riguarda il sensemaking perché implica aspetti relativi all’identità e alla reputazione. (2).

Gli esperti sovrastimano la probabilità circa il fatto che, se il fenomeno fosse reale, loro ne sarebbero certamente a conoscenza. Westrum definisce ciò “fallacia della centralità: dato che io non conosco questo evento, esso non può esistere” (2).

Quanto più una tecnologia è ritenuta avanzata, tanto più è probabile che le persone non diano credito a quello che non proviene da essa. A causa della fallacia della centralità, migliore è il sistema di informazione, minore è la sua sensibilità agli eventi insoliti (3).

Per Starbuck e Milliken il sensemaking comporta un collocare gli stimoli entro una cornice (4).

Thomas, Clarck e Gioia descrivono il sensemaking come “l’interazione reciproca tra la ricerca d’informazioni, l’atribuzione di significati e l’azione” (5).

Guardare Oltre

4. L’elogio:
All’importanza delle parole, alla necessità di usare le parole giuste e di collocarle nel contesto giusto.
Eduardo De Filippo in Ditegli sempre di si.
Ludwig Wittgenstein e le parole come arnesi.
Teorico non significa astratto. Senza teoria la pratica ad un certo punto si ferma. Suonare a orecchio e/o conoscere la musica.

6. L’organizzazione che apprende come risposta al dilemma talento organizzazione.
Argyris, Schon, Deming, Nonaka e Takeuchi.
L’importanza di leggere i contesti organizzativi, le relazioni tra le persone, dal punto di vista della conoscenza.
L’importanza di riferirsi non solo alle idee e alle credenze ma anche all’azione.
Conoscenza tacita ed esplicita. Teoria Pratica Teoria.
Secondo il filosofo Michael Polanji l’ambito del tacito racchiude ciò che sappiamo più ciò che possiamo dire.

7. Le organizzazioni sono in grado di apprendere in quanto strutture e per questa via modificano i propri modi di essere e di operare.

8. In un’organizzazione che apprende tutti i componenti contribuiscono a ridefinire, arricchire, tradurre in linguaggio le diverse abilità.

9. A differenza di quanto avviene in contesti di apprendimento individuale, nei quali l’individuazione e la correzione dell’errore rimangono esperienza del singolo, l’Apprendimento Organizzativo incide e determina cnseguenze più o meno positive a seconda delle scelte operate, sull’intera struttura.

10. L’individuazione e la correzione di errori che non mettono in discussione gli aspetti chiave della mappa cognitiva usata nell’organizzazione mettono in moto un processo di apprendimento a giro singolo (single loop learning), mentre la scoperta e la correzione di errori che producono un mutamento di tale mappa determinano un processo di apprendimento a giro doppio (double loop learning).

11. Ma cos’è questa crisi?
L’importanza della qualità


Sconfiggere il nemico senza combattere

Per Sun Tzu la massima dimostrazione di abilità di un combattente è quella di sconfiggere il nemico senza combattere (L’arte della guerra).
Nella sua hit parade del combattente egli indica infatti, dal migliore al peggiore:
1. chi sa rendere vani i piani del nemico;
2. chi sa spezzarne le alleanze;
3. chi adotta lo scontro armato;
4. chi ricorre all’assedio delle città nemiche.

E’ l’esemplificazione del non agire (così come la storia dei 3 fratelli medici ricordata da Thomas Cleary nell’introduzione al libro di Sun Tzu), che a noi occidentali racconta di un pensiero e di un mondo, quello cinese, allo stesso tempo affascinante, enigmatico, controverso.

Ma siamo proprio certi che non agire siano le parole giuste per tradurre e dare significato, nella nostra parte di mondo, a wu wei?

Ad assicurare la riuscita non è piuttosto la capacità del contendente di agire a livello del piccolo, quando gli eventi non si sono ancora compiuti, le loro conseguenze non si sono ancora manifestate e dunque il corso delle cose può essere ancora determinato o cambiato con facilità (I Ching; Tao Te Ching)?

1. Metodology

Key Actions
To see | Intuire
To study | Studiare
To apply | Applicare, Mettere in pratica

Il processo di apprendimento ha inizio con un’intuizione, una sollecitazione (film, videoclip, song, ecc.) che ti fa vedere, immaginare, per l’appunto intuire un possibile punto di approdo. Poi occorre studiare. Infine applicare a contesti reali (famiglia, amici, lavoro, svago, studio, affetti, ecc.) ciò che si è studiato.

2. Background | Frame | Theory

Knowing Organization | Apprendimento Organizzativo
Argyris, Schon, Nonaka, Takeuchi, Polanyi

Le organizzazioni sono in grado di apprendere in quanto strutture e per questa via modificano i propri modi di essere e di operare.
Pensare la classe (aula, online, blended) come un’organizzazione che apprende.
In un’organizzazione che apprende tutti i componenti contribuiscono a ridefinire, arricchire, tradurre in linguaggio comune le diverse abilità.
L’individuazione e la correzione di errori che non mettono in discussione gli aspetti chiave della mappa cognitiva usata nell’organizzazione mettono in moto un processo di apprendimento a giro singolo (single loop learning), mentre la scoperta e la correzione di errori che producono un mutamento di tale mappa determinano un processo di apprendimento a giro doppio (double loop learning).
Conoscenza esplicita e tacita. Teoria Pratica Teoria.

Sensemaking
Weick
Pensare la classe come un’organizzazione che da senso e significato alle conoscenze e alle esperienze dei soggetti che la compongono.

Serendipity
Merton

Pensare la classe come un luogo sociocognitivo serendipitoso.

3. Purpose | Aim | Obiettivi | Scopi

La struttura del corso, e la metodologia che ha alle spalle, sono intese a facilitare modalità di apprendimento imperniate sulla elaborazione, definizione, costruzione, connessione di mappe cognitive. Per comprendere, organizzare, comunicare, utilizzare meglio tanto ciò che conosciamo, in maniera esplicita e/o tacita, quanto ciò che apprendiamo.
L’idea è in definitiva che sia possibile resistere alla deriva che porta sempre più gli studenti a pensarsi e ad essere cacciatori di crediti. L’auspicio è che si possa imparare connettendo. E diventare, anche per questa via, soggetti attivi dei processi di apprendimento.

4. Examples | Esempi

Quickly or correctly | Presto o bene
Armando’s Story | L’Armando

Nessuno è perfetto

Nessuno è perfetto

[A qualcuno piace caldo]

L’arzillo Osgood (Joe E. Brown) a Jerry – Dafne (l’impareggiabile Jack Lemmon) nella battuta finale del cult-movie diretto da Billy Wilder, con Tony Curtis e Marylin Monroe

Isaac Vàsquez

A Teotitlàn visitiamo la casa di don Isaac Vàsquez, un maestro tessitore diventato famoso fuori dal Messico per i suoi tappeti, le coperte e l’uso dei coloranti naturali. […]  Osservando don Isaac al lavoro, la vecchia madre che carda la lana, sua moglie, i fratelli, le sorelle, i cugini, i nipoti e i pronipoti, vedendoli tutti all’opera nel cortile, completamente assorbiti nel loro lavoro, mi prende un senso di inquietudine. Sono tutti consapevoli della loro identità, del loro ruolo e del loro destino sulla terra; sono i Vàsquez, la più vecchia e famosa famiglia di tessitori di Teotitlàn del Valle, l’espressione vivente di un’antica e nobile tradizione.

[Diario di Oaxaca, Oliver Sacks, 105]

Sun Tzu

Una volta colte, le opportunità si moltiplicano.

[L’arte della guerra]

Pulp Fiction

Sono il signor Wolf. Risolvo problemi

[Pulp Fiction, regia di Quentin Tarantino]

Winston Wolf (Harvey Keitel) nel momento in cui si presenta a Vincent Vega (John Travolta), Jules Winnfield (Samuel L. Jackson) e Jimmie Dimmick (Quentin Tarantino).

Draft

Sì, per cominciare niente squilli di tromba, basta un abbozzo, qualche idea da confrontare.

Diciamo allora che al principio ci sono sempre domande ritenute fondamentali, almeno per tutti quelli che, come noi, sono cresciuti all’ombra del pensiero greco[1]. Accade alle persone comuni, che fanno a pugni ogni giorno con il desiderio di conquistare un futuro migliore per sé stessi e per i propri figli. Accade ai filosofi, che si ritrovano, millennio dopo millennio, ad interrogarsi su «ciò che vi è», su «ciò che vale», su «chi noi siamo». Accade nei film, come nel primo episodio di Matrix, la trilogia ideata e diretta dai fratelli Wachowski[2], quando l’affascinante Trinity sussurra a Neo «It’s the question that drive us, Neo. It’s the question that brought you here. You know the question, just as I did» e Neo (si) chiede «What is the Matrix?». Accade ai papi, come suggerisce l’aneddoto che vuole che Karol Wojtyla abbia detto, al giornalista che si congratula per la bellezza di «Varcare la soglia della speranza[3]», che il merito è delle domande di Vittorio Messori, dato che senza buone domande non esistono buone risposte. Accade anche ai sociologi dell’organizzazione, ai manager e ai team leader alle prese con la necessità di comprendere «come funzionano le organizzazioni» e «come potrebbero funzionare meglio».

Già. «Come funzionano le organizzazioni?», «come potrebbero funzionare meglio?», «come decidono?», «in che modo collaborano e competono?», «perché  è importante che assumano il miglioramento continuo come denominatore comune della loro cultura e delle loro azioni?», «come fanno in modo che le persone che le compongono siano motivate, partecipino, attivino processi di conferimento di senso e di significato?», «come mettono in comune, scambiano e utilizzano idee, contenuti e informazioni per apprendere, costruire significati, creare conoscenza?».

Si potrebbe partire da qui. Dalla voglia di pensare e di sperimentare metodologie e buone pratiche. Ragionando certo di processi decisionali, di sistemi qualità, di processi di competizione collaborazione, di serendipity,  ma anche di rapporto tra leader e team, di trasmissione di conoscenza di tipo top-down,  di caratteristiche dei testi di studio e di approfondimento, di apprendimento on the job, di diffusione di flussi di conoscenza di tipo  bottom-up, di valorizzazione dei saperi non solo espliciti ma anche taciti dei partecipanti al processo di apprendimento – miglioramento, di processi di comunicazione orizzontali, di rapporto tra nuove tecnologie  e processi di apprendimento, di approccio di tipo connettivo, di verifica continua sul campo di metodologia, didattica, contenuti.

Sun Tzu ha scritto che «una volta colte, le opportunità si moltiplicano[4]». E Winston Wolf (Harvey Keitel), in Pulp Fiction, il film cult di Quentin Tarantino, si presenta a Vincent Vega (John Travolta), Jules Winnfield (Samuel L. Jackson) e Jimmie Dimmick (Quentin Tarantino) con la mitica battuta «Sono il signor Wolf. Risolvo problemi».
Ecco, il sociologo, il manager, il  team leader dalle mai finite connessioni che piace a noi ha più o meno queste caratteristiche: risolve problemi, coglie opportunità, ergo, le moltiplica.
Buona partecipazione.


[1] L’eccezione, non solo significativa ma destinata ad incidere sempre più sul nostro futuro, è data dal pensiero “altro” che ci viene dalla Cina, come spiega mirabilmente Francois Jullien nei suoi libri, per ultimo “Le trasformazioni silenziose”, Raffaello Cortina, 2010

[2] Il riferimento è naturalmente a The Matrix di Andy e Larry Wachowski, con Keanu Reeves, Laurence Fishburne, Carrie-Anne Moss, Hugo Weaving, Monica Bellucci, 2003

[3] Giovanni Paolo II, Messori Vittorio, Varcare la soglia della speranza, Mondadori, 2004

[4] cfr. Sun Tzu, L’Arte della Guerra, Astrolabio Ubaldini

La Cina spacca l’Occidente

PARTE I PECHINO-WASHINGTON COPPIA DI FATTO

John C. HULSMAN – L’Occidente è finito perché l’America vuole allearsi con la Cina
La Grande Recessione evidenzia la rivoluzione geopolitica globale. L’Europa, divisa e decadente, è un museo. Per pagare il conto di Bush, Obama guarda a Pechino e all’area dell’Oceano Indiano. Il futuro è degli Stati nazionali.

Giorgio ARFARAS – Nelle mani dell’Asia
La crisi globale evidenzia i limiti della simbiosi economica sino-americana. Gli Usa devono comprimere i consumi per ridurre il debito interno ed estero. La crescita sarà trainata dai consumatori asiatici, o non sarà.

Fabrizio MARONTA – Chi vince e chi perde
La crisi ridisegna i rapporti di forza globali. Chi ne esce meglio finora è la Cina, seguita dall’India. I più colpiti, nel mondo che conta, sono gli Stati Uniti e alcuni paesi europei. Russia e America Latina in bilico. Il Medio Oriente paga l’austerità.

Sergio ROSSI – Oltre il dollaro
La crisi rivela i limiti dell’‘impero a credito’ e impone di rivedere il sistema dei pagamenti fra nazioni. Alcune idee per sostituire il regime basato sulla moneta statunitense con una moneta internazionale. Il piano Keynes e le proposte cinesi.

Francesco SISCI – Americina
I cinesi possono dare libero sfogo al loro amore per l’America, con cui stanno costruendo un duopolio di fatto. Il vincolo economico reciproco è stato perseguito da Pechino per assurgere a junior partnerdi Washington. Limiti e rischi dell’operazione.

Fabio MINI – Chimerica è una chimera
Un duopolio globale è implausibile. L’avvicinamento fra Cina e America avviene in circostanze non volute, infelici: Pechino resta inferiore e Washington è in declino. Ordine mondiale e ordine delle cose.

Thomas ZHU – L’orgoglio ferito dei cinesi di frontiera
Snobbati dai connazionali dell’interno, osteggiati dalle minoranze locali, gli han del Xinjiang esibiscono con fierezza i loro successi economici. E accusano: Pechino ci ha tradito, per la gioia dei secessionisti.

Jean-Léonard TOUADI – Soccorso giallo: la crisi battezza Cinafrica
Il continente nero è devastato dalle conseguenze della Grande Recessione. La Cina ne profitta per consolidarvi la sua penetrazione economica e geopolitica, con l’appoggio delle élite locali. L’Occidente ha altre priorità.

PARTE II L’OCCIDENTE DIVISO DALLA CRISI

Federico RAMPINI – Noi europei al bivio: o ci uniamo o non contiamo più
La Cina punta al G2 con gli Usa, alle sue condizioni. Le potenze europee, ormai residuali, dovrebbero fondersi in un solo polo. Non saremmo alla pari con i due colossi, ma almeno potremmo partecipare alla partita globale.

Paolo QUERCIA – Ultima chiamata per l’Italia
Tra anniversari malinconici e dogmatismi, rischiamo di perdere di vista opportunità e minacce nel mondo che cambia. Che cosa conta per noi? Estero vicino ed estero rilevante. L’importanza di partire dalle nostre necessità.

Federico FUBINI – Attenti al Fondo
L’Fmi come barometro dei nuovi equilibri. La Cina impone sempre più il suo peso economico, politico e finanziario. India e Brasile pensano in grande, mentre Giappone e Stati Uniti segnano il passo. Chi rischia di più è l’Europa.

Mattia DILETTI – Il ‘realismo magico’ di Obama
L’America non può rinunciare al suo spirito missionario, ma nemmeno concedersi il lusso dell’interventismo ‘umanitario’. Da questa contraddizione scaturisce l’ideologia dell’attuale Casa Bianca. Che cosa resta del sogno americano.

Tomàs F. SUMMERS SANDOVAL JR. – L’America non capisce il suo razzismo
L’elezione di Obama è stata salutata come la fine della questione razziale. Niente di più sbagliato. La razza resta un pilastro della società statunitense e un potente fattore di discriminazione, specialmente in tempo di crisi.

Enrico BELTRAMINI – L’Obama-pensiero tra Reagan e Malcolm X
Il presidente americano ha saputo lanciare al paese un salvagente etico per evitare che sprofondasse nelle sabbie mobili della crisi. Una sapiente miscela di liberalismo politico e conservatorismo morale, solidarietà e responsabilità, Stato e individuo.

Simone NELLA e Alessandro POLITI – Pakistan, i ching e la Bomba
Washington e Pechino condividono alcuni interessi nell’Afpak, a cominciare dalla lotta al jihadismo. Di qui a immaginare una cooperazione sinoamericana molto ne corre. Le ‘linee rosse’ cinesi: no a Balucistan e/o Pashtunistan indipendenti.

PARTE III HAI DETTO ECONOMIA?

Oswald SPENGLER – È la demografia, bellezza’ (a cura di Giorgio ARFARAS)
conversazione con Oswald SPENGLER, editorialista di Asia Times a cura di Giorgio ARFARAS

Rosario AITALA – Il nuovo triangolo delle mafie parla cinese
La crisi globale ha rafforzato il potere delle grandi organizzazioni criminali, che dispongono di denaro in abbondanza. Pechino come hubdi un sistema di traffici che ha i principali mercati in Europa e America. I predatori migliorano le prede.

Carlo STAGNARO – Viva i paradisi fiscali!
La demonizzazione degli ‘uncooperative tax havens’ esprime la competizione fra gli inferni occidentali ad alta fiscalità e alcuni piccoli Stati, ben amministrati, a bassa fiscalità. Il caso delle Isole Cayman e quello del Delaware. La retromarcia di Obama.

Mauro GUERRA e Fabio PANZERA – Lo shadow banking e le quattro isole dell’economia mondiale
La distribuzione di prodotti costituiti ‘impacchettando’ i crediti a bilancio segna la crisi finanziaria in corso. L’incerto futuro delle banche americane e l’emergere dei colossi bancari cinesi. Usa, Cina, Europa e America Latina come poli dell’assetto planetario.

Mauro BUSSANI – Crisi delle regole e regole della crisi
L’improvvidenza del diritto, non la sua mancanza, è alla radice dell’attuale tempesta economico-finanziaria. Le lacune del modello americano e l’illusione mercatista. Cinque criteri e una Corte per ridisegnare il sistema globale.

Marco SAVINA e Rodolfo VISSER – La ballata dei numeri zero
Dalla realtà virtuale alle dure repliche dei fatti: come e perché si è arrivati al disastro che ancora scuote il mondo. Le follie dei manager e i dilemmi di Obama. La chimera del ‘mai più’. Chi ha rotto paga? Non proprio.

Risorse per il sensemaking organizzativo

Inviate i vostri commenti alle citazioni che vi sono state assegnate specificando nome cognome e numeri relativi alle citazioni commentate.

Per genio e per caso, again

Ricordate?
Era più o meno metà ottobre dell’anno di grazia 2005 quando vi abbiamo parlato della fondamentale scoperta delle nuove funzioni del trascrittoma e della capacità possibilità dell’RNA di interagire e modificare il DNA.
Ve ne abbiamo parlato da un particolare punto di vista, quello messo in luce da Robert K. Merton con il suo concetto di serendipity, che si riferisce all’esperienza che consiste nell’osservare un dato imprevisto, anomalo e strategico che fornisce occasione allo sviluppo di una nuova teoria o all’ampliamento di una teoria già esistente (secondo tale teoria, il caso favorisce particolarmente le menti preparate che operano in microambienti che agevolano le interazioni socio cognitive impreviste).

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Intervista a Carninci

Un esempio concreto di ricerca realizzata in ambiente serendipitoso nella conversazione – intervista con Piero Carninci, leader del consorzio di scienziati Fantom 3 che ha scoperto le nuove funzioni del trascrittoma (RNA), pubblicata su Technology Review Italia.

Decisione

Vedi anche
CYERT – MARCH – SIMON

Concetti e parole chiave
Comportamentismo – Garbage can – Incrementalismo – Modello Partecipativo – Modello Politico burocratico – Razionalità limitata – Scelta razionale

Spiegazione
Una decisione può essere assunta in molti modi.
Può essere data dal progetto consapevole di un attore razionale, e in questo caso sarà stata presa sulla base del modello decisionale sinottico; può essere il risultato contingente di un processo condizionato dai limiti soggettivi e oggettivi della razionalità umana e ci si riferirà in questo caso al modello della razionalità limitata; può rappresentare l’esito di mediazioni e accomodamenti tra attori partigiani e dunque riferirsi al modello decisionale incrementale; può essere il prodotto casuale dell’incontro tra problemi, soluzioni, partecipanti e occasioni di scelta e in questo caso ci si riferirà al modello decisionale del garbage can. E poi ancora può essere presa sulla base di scelte classificabili nell’ambito del modello comportamentista, di quello politico – burocratico, di quello partecipativo.
Le differenze che caratterizzano i sette modelli possono riferirsi a seconda dei casi ai soggetti abilitati a decidere, ai criteri principali di scelta, al tipo di razionalità, alle condizioni nelle quali si decide, al significato attribuito alla decisione, al tipo di organizzazione, all’analogia organizzativa proposto, al livello di attuazione della decisione.
Dato questo sfondo, è utile trattare in maniera più specifica ciascun modello.
Scelta razionale
Gli assiomi fondamentali sui quali si regge il modello della decisione razionale sinottica, il cui campo di applicazione per eccellenza è dato dalla teoria della O.S.L., sono nella sostanza due:
il primo afferma che fini già prefissati possono essere raggiunti utilizzando in maniera ottimale i mezzi a disposizione (dato che decidere vuol dire risolvere un problema è fondamentale mettere chi decide in uno stato di informazione perfetta);
il secondo prescrive la necessità che a comandare sia uno solo (ci sia un decisore unitario) dato che l’unità di comando assicura piena coincidenza dell’interesse individuale e collettivo, unifica gli scopi e i criteri valutativi.
Nell’ambito di questo modello la razionalità è intesa come razionalità orientata allo scopo (razionalità sostanziale), le decisioni vengono assunte secondo tecniche di elaborazione organizzate per fasi cronologicamente distinte:
la prima prevede l’identificazione e la gerarchizzazione degli obiettivi e dei valori;
la seconda la padronanza di tutti i mezzi atti a raggiungerli;
la terza la valutazione delle conseguenze connesse a ciascuna alternativa;
l’ultima la scelta dell’opzione che massimizza il risultato raggiungibile.
Razionalità limitata
Il modello decisionale della razionalità limitata si deve a SIMON che sviluppa, intorno alla variabile “decisione”, la tesi, già introdotta da BARNARD, che assegna ai comportamenti delle persone e non ai fini e alle funzioni proprie delle strutture la chiave di lettura fondamentale per comprendere il funzionamento delle organizzazioni.
Gli aspetti fondamentali del modello simoniano possono essere così sintetizzati:
1. sono gli uomini che, attraverso le loro decisioni, determinano il funzionamento delle organizzazioni;
2. per definizione tali decisioni non sono possono essere assunte in condizione di certezza dato che i soggetti agiscono sulla base di criteri di razionalità limitata che non permettono di avere una visione completa tanto delle alternative disponibili quanto delle conseguenze non prevedibili delle loro azioni;
3. le persone adattono costantemente le informazioni e le conoscenze che utilizzano per raggiungere uno scopo, il proprio sistema cognitivo, alle condizioni mutevoli che caratterizzano l’ambiente naturale esterno e ciò fa sì che le decisioni e le scelte che esse assumono non producano, di norma, disastri, nonostante siano assunte sulla base di visioni estremamente semplificate della realtà;
4. è attraverso procedure che consentono di assorbire la sua incertezza e di fare scelte il più possibile programmate, che il soggetto inserito in un contesto organizzato (cioè un sistema di programmazione e di coordinamento delle azioni degli individui finalizzato a rappresentare un modello semplificato della realtà che aiuti a comprenderla e ad affrontare al meglio l’incertezza) è in grado di assumere decisioni, tanto di routine quanto critiche, sulla base di un criterio tendente non alla massimizzazione dei fini ma a un soddisfacimento medio degli obiettivi e la cui prima funzione è identificata nel proprio perpetuarsi;
5. per questa via, l’organizzazione riesce a mantenere una propria unitarietà di decisione, a trovare comunque un accordo su percezioni, valutazioni e scopi, a soddisfare i suoi bisogni, ad adattarsi al proprio ambiente, a sopravvivere.
Comportamentismo
CYERT e MARCH sviluppano ulteriormente il quadro concettuale proposto da SIMON nell’ambito delle grandi imprese multiprodotto che operano in condizioni di incertezza e in mercati imperfetti.
Contestata la tesi propria dell’economia classica secondo la quale gli obiettivi dell’impresa sono dati dagli obiettivi dell’imprenditore (o in ogni caso da obiettivi formatisi in maniera consensuale), essi propongono la loro concezione dell’impresa come coalizione (e subcoalizioni) di individui e definiscono la decisione in quanto esecuzione di una scelta operata, in termini di obiettivi, su una serie di alternative in base alle informazioni disponibili.
Nello schema concettuale di CYERT e MARCH un’organizzazione economica è un sistema razionale flessibile che apprende dalla sua esperienza, può assumere numerosi stati, è soggetta a spinte e urti esterni di disturbo che non possono essere controllati, è condizionata dall’azione di variabili interne che si modificano sulla base di determinate regole di decisione.
Tutto questo fa sì che lo stato del sistema cambi proprio sulla base del combinato disposto dei disturbi esterni e di variabili di decisioni interne (dato uno stato esistente, il nuovo stato si determina a partire da un disturbo esterno e da una decisione) e che le regole di decisione che conducono a uno stato preferito in un determinato momento abbiano maggiori probabilità di essere adottate in futuro.
Incrementalismo
Il modello incrementale si deve a C.E. Lindblom, che imputa al modello sinottico non solo il difetto di trascurare le facoltà cognitive degli attori ma anche quello di adattarsi molto poco al carattere pluralistico dei sistemi democratici.
L’esistenza di regole formali (separazione dei poteri, più livelli di governo, authority, ecc.) e di situazioni di fatto (interessi organizzati, parti sociali, ecc.) fanno sì che nei confini della politica gli attori siano soggetti non solo alla razionalità limitata ma anche e soprattutto a processi di frammentazione, dato che il campo delle decisioni risulta popolato da più protagonisti, tutti di parte, autonomi nelle scelte e nel giudizio, liberi da ogni tipo di coordinamento sovraordinato, ma legati reciprocamente rispetto alla scelta. L’idea è in questo caso che:
si decide assieme;
l’esito della decisione è direttamente connesso alle dinamiche che coinvolgono i diversi attori;
questi ultimi tendono ad adattare i fini ai mezzi disponibili dato che non sono in grado di scegliere i mezzi sulla base di obiettivi dati.
Dato questo sfondo, a giudizio di Lindblom una decisione va misurata sulla base della sua capacità di determinare differenze rispetto allo status quo esistente. A differenze più piccole corrisponde una maggiore facilità di giudizio dei decisori, che procedono per comparazioni successive più che tentare di raggiungere una meta prefissata, mentre la valutazione della decisione dipenderà dall’accordo raggiunto tra i policy makers (coloro che hanno qualche influenza o interesse sulla posta in gioco).
Come appare evidente, nell’ambito del modello incrementale un criterio di giudizio di natura interattiva o politica sostituisce un criterio di tipo tecnico; l’arte dell’arrangiarsi (muddling through) sostituisce il calcolo razionale.
Secondo il suo ideatore, è questo approccio decisionale a garantire i diritti di libertà, a impedire la concentrazione del potere, a consentire in molte circostanze di decidere potendo contare su un miglior livello di informazione e una maggiore razionalità.
Politico – burocratico
L’immagine tipo che contraddistingue i diversi modelli politico burocratici è rappresentata dal gioco politico competitivo – cooperativo che ha come protagonisti molteplici decisori che occupano diverse posizioni gerarchiche.
Affinché ci si possa riferire a tale modello occorre che:
i decisori operino in un contesto di potere condiviso;
l’ambiente sia caratterizzato da incertezza circa ciò che bisogna fare, da necessità di fare qualcosa, da conseguenze cruciali per ogni cosa che viene fatta;
anche il non far niente sia una mossa del gioco;
la comunicazione sia una variabile decisiva;
ciascun partecipante possa e debba fare delle cose a seconda della sua posizione;
il gioco sia fatto di più sottogiochi contemporanei;
ciascuna mossa sia il risultato di compromessi, coalizioni, competizione confusione circa la vera faccia del problema;
ogni giocatore porti con sé il proprio stile di gioco e la sua esperienza.
Nella sostanza, nell’ambito dei modelli politico – burocratici il potere è la vera variabile indipendente; il risultato di una decisione dipende spesso dal potere e dall’abilità di chi la sostiene o si oppone ad essa; attraverso la negoziazione ciascun gioco viene avviato verso la risoluzione (decisione); si decide non in base alla competenza ma all’accesso politico.
Garbage can
Il modello decisionale del garbage can (cestino dei rifiuti) si deve a MARCH e Olsen, i quali conducono una lunga attività di analisi degli aspetti non razionali delle decisioni nelle organizzazioni alla scopo di dimostrare che ciò che appare caotico e casuale possiede una struttura logica nascosta e risponde ad una precisa esigenza funzionale.
Diversamente dai modelli della razionalità limitata ed incrementale, caratterizzati da incertezza, il modello garbage can è contraddistinto da ambiguità e confusione che, in quanto tali, non possono essere ridotte attraverso l’aumento delle informazioni e delle conoscenze disponibili.
Ciò determina secondo gli autori alcune conseguenze importanti:
gli attori non possono guidare razionalmente il processo decisionale, dato che gli scopi e le preferenze non possono essere definiti prima e indipendentemente dal processo stesso, ma prendono forma soltanto durante il corso d’azione nel quale essi si inoltrano (il processo fornisce la base sulla quale gli attori recitano la propria parte);
le attività e i compiti sono necessariamente ambigui e indeterminati;
le procedure e i modi di procedere sono fra loro mutuabili ed equivoci;
i partecipanti e gli attori impegnati nel processo entrano ed escono dalla scena in relazione al livello d’interesse che li lega ai problemi, cosicché anche la partecipazione risulta essere fluida e incostante.
Il fatto che non si tratti di un processo lineare fa sì che nella realtà anche queste variabili più che essere collegate da un ordine di sequenza (si parte da una criticità per arrivare, attraverso la definizione di una specifica procedura da parte degli attori coinvolti nel processo decisionale, a scoprire una soluzione pertinente), si incontrino con una modalità che assomiglia molto a quella del cestino nel quale si trovano ad essere mescolate specie diverse di rifiuti prive di legami tra di loro.
L’idea è insomma che anche nell’ambito del sistema sociale vengano depositate un numero ragguardevole di variabili (soluzioni potenziali, problemi latenti, attori rituali, opportunità, ecc.), che seguono il proprio corso in maniera indipendentemente fino a quando non intervengono fattori contingenti e temporali che favoriscono il loro incontro in un ordine di sequenza non necessariamente lineare e che rappresentano i criteri che regolano le scelte.
In particolare MARCH e Olsen individuano tre principali processi di sequenza decisionale:
nel primo la scelta finale adottata risponde a un problema, non importa se stabilito in partenza o sostituito nel corso del procedimento. Si tratta di un processo statisticamente poco frequente dato che sono poche le decisioni pubbliche che possono essere ricollegate a problemi chiaramente identificabili;
nel secondo la scelta non risponde affatto, o non risponde più, a un problema, che può essere stato perso di vista nel corso del procedimento oppure non essere stato mai evocato. In questo processo, molto più frequente del primo, la scelta si è compiuta proprio grazie al fatto di aver scartato qualunque problema;
nel terzo il problema è scartato, non vi è stata scelta finale, il processo si è arrestato per abbandono.
Partecipativo
Il modello partecipativo (partecipative decision-making) è marcatamente europeo, strettamente connesso al modello della democrazia industriale, muove dall’idea che la partecipazione sia una questione decisiva per le organizzazioni.
La domanda fondamentale alla quale tale modello cerca di rispondere non è “come scegliere” ma “con chi scegliere” e questo lo rendo per molti versi anomalo rispetto a tutti gli altri modelli fin qui analizzati.
Tra i diversi studi che sono stati realizzati a partire dalla fine degli anni 60 e l’inizio degli anni 80 quello di Heller può essere classificato nell’ambito della Teoria della contingenza e si prefigge di mettere in evidenza le connessioni esistenti tra i diversi stili decisionali e tre gruppi di variabili come l’efficienza, l’utilizzo delle abilità e la soddisfazione sul lavoro.

Learning organization

Vedi anche
APPRENDIMENTO ORGANIZZATIVO – GESTIONE DELLA CONOSCENZA AZIENDALE – K.M.

Concetti e parole chiave
Apprendimento continuo – Modello dei gradi tre – Modello del cambiamento culturale – Modello delle dinamiche culturali

Spiegazione
Si definisce LEARNING ORGANIZATION l’organizzazione che si propone di conoscere sé stessa attraverso processi di apprendimento continuo, prima favoriti e poi utilizzati, dei suoi componenti.
L’origine del concetto si deve a Lewin e alla sua teoria del cambiamento sociale secondo la quale il cambiamento é prodotto dal succedersi di tre fasi (scongelamento, cambiamento, ricongelamento) e ogni sistema é il risultato dell’equilibrio tra forze favorevoli e forze contrarie al cambiamento.
Tra i modelli più significativi sviluppati nell’ambito della LEARNING ORGANIZATION è utile ricordare:
1. il modello dei “Grandi Tre” di Kanter, Stein e Jick, secondo i quali il cambiamento è un processo articolato e dinamico che si determina a tre livelli:
1.1. ambientale (laddove agiscono forze macro evolutive che impattano sull’identità organizzativa);
1.2. della singola organizzazione (a questo livello agiscono invece forze micro evolutive che impattano su attività e processi);
1.3. dell’individuo (qui agiscono infine le forze che influiscono sulla distribuzione dei poteri e del controllo);
2. il modello del cambiamento culturale di Pasquale Gagliardi, secondo il quale:
2.1. il cambiamento può avere più forme (apparente, rivoluzionario, incrementalismo culturale);
2.2. è la cultura a creare l’identità organizzativa mentre la strategia organizzativa ha come scopo primario proprio la protezione di tale identità;
2.3. le strategie secondarie possono essere invece strumentali, se hanno come scopo l’adattamento e l’integrazione, o espressive, se perseguono invece stabilità e coerenza dei significati;
3. il modello delle dinamiche culturali che ritiene che:
3.1. valori, assunti, artefatti e simboli sono interdipendenti e collegati da relazioni di reciprocità;
3.2. la cultura è un processo che si articola in più fasi:
3.2.1. quella della manifestazione, che si riferisce ad assunti e valori;
3.2.2. quella della realizzazione, relativa agli artefatti;
3.2.3. quella della simbolizzazione, che attiene ai simboli;
3.2.4. quella dell’interpretazione, nella quale avviene il cambiamento.

Knowledge Management

Vedi anche
APPRENDIMENTO ORGANIZZATIVO – B.P.R. – GESTIONE DELLA CONOSCENZA AZIENDALE – KNOWLEDGE MANAGEMENT SYSTEMS

Concetti e parole chiave
Condivisione della conoscenza – Dato, informazione, conoscenza, saggezza – Filosofia della collaborazione

Spiegazione
Non esiste un’unica e conclusiva definizione di K.M.
In senso lato, il concetto é rintracciabile fin dall’antichità e si riferisce alla preservazione e alla condivisione della conoscenza mentre al tempo della rivoluzione digitale crea spesso aspettative troppo mirabolanti per essere sempre vere: essere connessi con partner, clienti, dipendenti per condividerne le conoscenze; fornire le proprie conoscenze a clienti, partner, dipendenti; disporre di procedure e strumenti per sistematizzare le conoscenze; incorporare le conoscenze nei processi aziendali; rielaborare continuamente le norme aziendali in base alle conoscenze.
Più realisticamente, si può affermare che la non banale consapevolezza del fatto che avere a disposizione delle conoscenze non significa automaticamente saperle usare per i nostri fini, rende semplicemente più importante questo filone di ricerca teorica e applicativa che mira a sviluppare il ciclo della conoscenza all’interno di una comunità di pratica o d’apprendimento tramite strumenti e tecnologie dell’informazione.
In ogni caso, quando nella seconda metà degli anni 80 Karl Wiig enuncia i principi del K.M. molte grandi aziende, soprattutto multinazionali, mostrano subito un forte interesse verso questa teoria che si propone un obiettivo decisamente pragmatico: esplicitare e mettere in comune dati (grezzi), informazione (dati selezionati e organizzati per essere comunicati), conoscenza (informazione rielaborata e applicata alla pratica), saggezza (conoscenza distillata dall’intuizione e dall’esperienza) che ogni componente ha maturato nel corso del suo percorso professionale per migliorare l’efficienza dei gruppi collaborativi (la piramide è la figura geometrica utilizzata per rappresentare il concetto).
I primi investimenti si concentrano soprattutto sullo sviluppo dei mezzi per rendere veloce e semplice l’archiviazione, la descrizione e la comunicazione di dati e informazioni. E’ la cosiddetta prima fase, la first generation, che si riferisce alla mera gestione dell’informazione e tende a ridurre il K.M. alla sua componente strumentale, l’information technology, che é fondamentale ma non ne esaurisce le potenzialità dato che il ciclo della conoscenza non si limita alla trasmissione di dati e informazioni.
La seconda fase del KM (condivisione della conoscenza) si focalizza infatti sulle modalità attraverso le quali le conoscenze professionali di ogni specifico componente dell’organizzazione possono essere messe al servizio di tutta l’azienda e per questa via il KM acquista il carattere di vera e propria filosofia della collaborazione e della condivisione della conoscenza negli ambienti di lavoro.
Dato questo contesto, è utile aggiungere che le linee guida del KM sono domandarsi perché prima ancora di come, conoscere facendo ma anche insegnando ad altri, privilegiare l’azione piuttosto che concetti e piani formalmente ineccepibili, considerare l’errore una componente ineliminabile dell’azione, eliminare la paura perché impedisce di convertire la conoscenza in azione, combattere la competizione, conoscere il contesto, capire come può sostenere i propri progetti, convertire tale conoscenza in azione, comprendere come le aziende leader allocano tempo e risorse. E che i nuovi sistemi di KM si concentrano sull’e-learning, studiano metodi per esplicitare la conoscenza tacita e per la favorire la creatività.

Cognitivismo

Vedi anche
APPRENDIMENTO ORGANIZZATIVO – CYERT – MARCH – SIMON – WEICK

Concetti e parole chiave
Decisione – Mappa cognitiva – Razionalità limitata – Senso e significato

Spiegazione
Si deve a SIMON (1957), CYERT e MARCH (1963), WEICK (1969) l’importanza del cognitivismo negli studi organizzativi.
Più specificatamente si può dire che il cognitivismo fa il proprio ingresso negli studi organizzativi con l’introduzione alla seconda edizione di Administrative Behavior (1957), nella quale SIMON risponde alle argomentazioni e alle critiche seguite alla pubblicazione della prima edizione (nella quale la teoria della scelta razionale era presentata in un’accezione decisamente più ristretta di quella che poi si è affermata) e indica nel concetto di razionalità limitata la chiave per leggere, comprendere, interpretare lo spazio altrimenti inaccessibile esistente tra aspetti razionali e non razionali del comportamento sociale delle organizzazioni.
SIMON sostiene che le organizzazioni vanno definite a partire dal complesso e variegato sistema di comunicazioni e di relazioni che nasce e si stabilisce tra le persone e che fornisce loro informazioni, premesse di decisione, attitudini, obiettivi che a loro volta influenzano le decisioni e le aspettative individuali. Sono proprio le premesse decisionali, l’attività di costruzione mentale di un modello semplificato della realtà, a rappresentare per SIMON l’unità di analisi necessaria a comprendere l’effettivo funzionamento delle organizzazioni.
All’interno di tale contesto la cognizione rappresenta il concetto da impiegare per studiare le relazioni tra razionale e non razionale e può essere definita come un’attività che:
1. é allo stesso tempo da un lato mentale e soggettiva, dall’altro connessa al contesto e alle azioni di altri soggetti;
2. definisce l’organizzazione sulla base di un processo di costruzione di significati e di negoziazione mai finita di obiettivi, aspettative, memorie;
3. attraverso la gestione dell’informazione ne limita l’ambiguità;
4. agisce in maniera retrospettiva rispetto all’azione organizzativa;
5. definisce e stabilizza comportamenti, schemi e routine;
6. permette all’organizzazione di apprendere;
7. è rappresentabile in quanto mappa cognitiva condivisa;
8. si collega direttamente alle teorie relative che, nell’ambito dei cosiddetti approcci morbidi alle organizzazioni, individuano percorsi di accesso alla realtà all’interno dei quali la costruzione intersoggettiva e il conferimento di senso hanno un’importanza decisiva.

Apprendimento organizzativo

Vedi anche
ARGIRYS – GESTIONE DELLA CONOSCENZA AZIENDALE – KNOWLEDGE MANAGEMENT – SCHÖN

Concetti e parole chiave
Cambiamento – Conoscenza – Identità – Informazione

Spiegazione
La fondazione sociologica del concetto di APPRENDIMENTO ORGANIZZATIVO colloca il sapere entro un network di potere e relazioni sociali mediate da artefatti e da intermediari umani e non umani che ne facilitano o ne ostacolano la circolazione.
Più specificatamente, attraverso tale concetto ci si riferisce all’insieme dei processi che consentono di leggere i contesti organizzativi, le relazioni tra persone, organizzazioni e società, e i loro significati, dal punto di vista della conoscenza. Essendo la conoscenza diretta verso un fine, non si riferisce solo alle credenze e al coinvolgimento, ma anche all’azione, e consente perciò di valutare criticamente successi e insuccessi di una data organizzazione, di ridefinirne costantemente azioni ordinarie e indirizzi strategici, di accogliere e valorizzare punti di vista ulteriori rispetto a quelli prevalenti, di sperimentare innovazioni tecniche e organizzative, di collocare gli eventi all’interno di un contesto mentale e dare dunque loro un senso, di sostenere le persone nei loro potenzialmente mai finiti tentativi di crescita culturale e professionale. Il processo decisionale dell’organizzazione viene per questa via modellato su quello individuale mentre l’azione é orientata verso l’obiettivo e tende all’adattamento (quello a breve termine corrisponde alla risoluzione di problemi, quello a lungo termine all’apprendimento).
A partire da questa iniziale formulazione e in linea con gli orientamenti cognitivisti si sviluppa un filone di studi, denominato teoria cognitiva dell’APPRENDIMENTO ORGANIZZATIVO, che situa l’apprendimento in primo luogo nella mente degli individui.
Accanto a una formulazione che ricade principalmente entro una epistemologia positivista compare dunque in anni più recenti una declinazione del concetto in termini di apprendimento sociale, veicolato dalla formulazione di apprendimento come partecipazione competente ad una comunità di pratiche (ancora una volta la declinazione simoniana di cognizione come chiave per studiare gli aspetti razionali e non-razionali della condotta sociale mostra di avere la flessibilità per accentuare di volta in volta gli uni o gli altri.

Ad ARGIRYS e SCHÖN (1974; 1978) si deve la definizione dell’organizzazione come costrutto cognitivo che attraverso l’individuazione e la correzione di errori e anomalie modifica la memoria e la propria mappa concettuale.
Le idee guida fondamentali intorno alle quali essi sviluppano le proprie tesi possono essere così sintetizzate:
1. le organizzazioni sono in grado di apprendere in quanto strutture e per questa via modificano i propri modi di essere e di operare;
2. in un’organizzazione che apprende tutti i componenti contribuiscono a ridefinire, arricchire, tradurre in linguaggio comune le diverse abilità;
3. a differenza di quanto avviene in contesti di apprendimento individuale, nei quali l’individuazione e la correzione dell’errore rimane esperienza del singolo, l’APPRENDIMENTO ORGANIZZATIVO incide e determina conseguenze, più o meno positive a seconda delle scelte operate, sull’intera struttura;
4. l’individuazione e la correzione di errori che non mettono in discussione gli aspetti chiave della mappa cognitiva usata nell’organizzazione mette in moto un processo di apprendimento a giro singolo (single-loop learning), mentre la scoperta e la correzione di errori che producono un mutamento di tale mappa determinano un processo di apprendimento a giro doppio (double-loop learning).
Decisamente importante è anche il contributo teorico di Ikujiro Nonaka e Hirotaka Takeuchi, secondo i quali ciascuna organizzazione è strutturata in comunità di interazione che incarnano altrettanti nodi di elaborazione del sapere.
Con una sintesi estremamente lucida delle due visioni fino ad allora prevalenti (secondo la prima, di tipo top – down, le informazioni sono elaborate dal vertice e fluiscono attraverso direttive ai livelli di volta in volta successivi fino alle linee di produzione che restituiscono informazioni e riavviano il processo; per la seconda, di tipo bottom – up, chi dirige tenta di valorizzare il più possibile le capacità di chi lavora, le conoscenze sono più spesso di tipo tacito, le risorse della base sono fondamentali per raggiungere gli obiettivi) i due studiosi giapponesi strutturano il loro modello attorno all’idea che sono gli individui, e non le organizzazioni, che con la loro capacità di apprendere, adattarsi, creano conoscenza. Per massimizzare i benefici derivanti da tali processi le organizzazioni hanno tutto l’interesse a favorire contesti e processi di sviluppo della creatività e della conoscenza dei singoli.
Il modello organizzativo proposto da Nonaka e Takeuchi è non a caso definito middle-bottom-up e affida al middle management una funzione fondamentale di cerniera tra conoscenza esplicita e strategica del top management e conoscenza tacita caratteristica degli operai di linea: è ai capi intermedi che essi assegnano il compito di gestire il processo di trasformazione della conoscenza, di tenere assieme strategia e innovazione.
Per Nonaka e Takeuchi la conoscenza può essere infatti esplicita o tacita.
La prima (razionale – mentale, sequenziale, digitale – teorica) si riferisce a tutto ciò che è manifestabile attraverso sistemi formali di comunicazione, presenti struttura e contenuti logici e linguistici, è trasmessa per mezzo di libri, manuali, corsi. La seconda (corporea, legata all’esperienza, simultanea, analogica – pratica) è invece il prodotto di intuizioni, nozioni personali, esperienza, cultura e valori morali, viene trasmessa attraverso metafore, analogie, esempi pratici, può essere tecnica (quando si riferisce alla manualità, alle abilità pratiche, alle arti) o cognitiva (quando si riferisce all’elaborazione, a modelli, schemi, paradigmi mentali, alle prospettive che ciascuno crea).
Dato questo contesto, per Nonaka e Takeuchi si crea conoscenza, si sviluppa know how e apprendimento nella misura in cui si riesce da un lato a risolvere problemi specifici sulla base del contesto di riferimento e dall’altro e conseguentemente si riesce a modificarlo. L’organizzazione che apprende deve perciò essere in grado di operare continue conversioni di conoscenza (da esplicita a implicita e viceversa) perché per questa via è possibile creare campi di interazione nell’ambito dei quali si può condividere conoscenza e modelli mentali, socializzare, creare nuova conoscenza.
Per fare un esempio, attraverso metafore e analogie si può creare, sulla base di un processo di conversione che è definito di esteriorizzazione, conoscenza esplicita che genera prodotti, servizi, innovazione, si combina con ulteriore conoscenza esplicita, produce nuova esperienza e dunque nuova conoscenza implicita (in questo caso il processo viene definto di interiorizzazione). È la spirale senza fine che è alla base dell’innovazione contenuta nei nuovi prodotti, della spinta verso la creazione di ulteriore conoscenza.
Naturalmente non si tratta di un processo automatico. Perché esso si avvii c’è bisogno di consistenti motivazioni allo scambio di conoscenza, di leadership ben definite, di obiettivi chiari.
Più specificatamente Nonaka e Takeuchi individuano cinque parole chiave attorno alle quali articolano la loro idea di sviluppo della conoscenza:
1. intenzionalità: gli obiettivi del processo devono essere definiti e condivisi da tutti i partecipanti anche se talvolta una dose di indeterminatezza favorisce lo sviluppo di nuove idee;
2. autonomia: le conoscenze emergono soltanto se chi lavora lo fa in piena autonomia, è capace di cogliere le opportunità che essa offre e la sa gestire;
3. ridondanza: più le informazioni disponibili sono sovrabbondanti più ampie sono le possibilità di gestire positivamente le spinte all’innovazione generate dal processo;
4. caos: la definizione di schemi mentali e processi organizzativi alternativi e più rispondenti ai bisogni richiede “caos creativo” (che nasce spesso da situazioni di crisi);
5. varietà: l’apporto di conoscenze diverse (marketing, tecniche, amministrative, ecc.) è decisivo per individuare risposte efficaci ai dilemmi organizzativi.
In definitiva, il processo di trasformazione e di apprendimento muove dalla persone, coinvolge il gruppo e l’organizzazione, diventa conoscenza (capacità dei dipendenti, sistemi tecnologici, sistemi manageriali, valori, norme) e dunque occasione di vantaggio competitivo, fa sì che ciascuna organizzazione rappresenti un nodo della rete di produzione e scambio di conoscenza, servizi e beni con altre organizzazioni sulla base di un processo che è allo stesso tempo conservativo (dell’identità) e adattivo, cioé capace di di facilitare l’evoluzione delle competenze distintive e ridefinire costantemente il proprio rapporto con l’ambiente.

Economia dei Costi di Transazione

Vedi anche
PFEFFER e SALANCIK – OUCHI – WILLIAMSON

Concetti e parole chiave
Gerarchia e mercato – Logica del Clan

Spiegazione
È il 1937 quando Ronald Coase scrive The Nature of the Firm, l’articolo che nel 1991 gli farà tributare il premio Nobel (per la verità tre anni prima John Commons aveva a propria volta evidenziato come le strategie delle imprese fossero condizionate dalle istituzioni giuridiche), ma solo nel corso degli anni 70 l’ECONOMIA DEI COSTI DI TRANSAZIONE (E.C.T.) nasce e si sviluppa come teoria in grado di interpretare i profondi mutamenti conseguenti alla crisi dell’impresa in quanto funzione della produzione che utilizza al meglio la tecnologia disponibile ed é gestita con l’ausilio di una BUROCRAZIA, alla diffusione dei processi di deverticalizzazione e di decentramento, alla messa in discussione della tecnologia come criterio fondamentale per definire i confini dell’impresa.
È a partire da quegli anni che le grandi imprese, fino ad allora caratterizzate da strutture verticali fortemente integrate, iniziano a trasferire a imprese più piccole quote crescenti di produzione. La trasformazione diventa presto radicale e sarà WILLIAMSON, il maggiore interprete della E.C.T., a definire in maniera inequivocabile i caratteri che connotano la nuova fase, nella quale oggetto di analisi non è più il bene prodotto ma la transazione e conseguentemente l’impresa si trasforma da funzione della produzione a struttura di governo delle variegate forme di contratto (transazioni) che essa può stipulare.
Al tempo dell’E.C.T. l’impresa si trova costantemente di fronte a un bivio: da una parte c’è la strada che la porta a continuare a produrre (Make) al proprio interno; dall’altra quella che la induce a rivolgersi a fornitori esterni dai quali acquistare (Buy) prodotti, servizi, tecnologie, più o meno specifiche.
Molte sono le novità che caratterizzano il nuovo scenario:
1. il mercato non é più un meccanismo autosufficiente;
2. il contesto storico – istituzionale ha un ruolo fondamentale;
3. la dimensione micro (l’atmosfera aziendale, il sapere, l’innovazione, ecc.) e quella macro (il mercato del lavoro, il contesto istituzionali, ecc.) dell’impresa sono parimenti importanti;
4. l’organizzazione non coincide più con la BUROCRAZIA;
5. la tecnologia non é una variabile indipendente;
6. tra economia e sociologia dell’organizzazione si stabiliscono nuovi e profondi rapporti;
7. i comportamenti umani sono determinati non solo dalla razionalità limitata così come é stata definita da SIMON (sebbene gli uomini vogliano comportarsi in modo razionale, nei fatti tale volontà é limitata dai limiti di conoscenza, lungimiranza, abilità tecniche e di tempo a disposizione per agire), ma anche dall’opportunismo, che fa in modo che essi possano perseguire i propri interessi persino con mezzi illeciti come l’inganno e la frode.
Detto che tanto le organizzazioni gerarchiche quanto quelle di mercato sono destinate al fallimento quando non riescono a sostenere i costi (incentivi) necessari a soddisfare le differenziate esigenze (contributi) dei lavoratori, quando non riescono a connettere gli scopi particolari con i fini generali, si può aggiungere che nel nuovo sistema orientato al controllo tanto delle persone e dei soggetti che in essa operano quanto delle transazioni che questi stessi intrattengono con l’esterno (J. Child 1973; R. Cafferata 1984) l’obiettivo centrale per il buon governo dell’impresa diventa quello di ridurre il più possibile i costi di transazione necessari per stipulare e gestire ciascun contratto e di conseguenza assumono una funzione importante le salvaguardie necessarie a evitare che i contratti non siano rispettati o che i loro costi lievitino in conseguenza di valutazioni errate.
Mercato e gerarchia rappresentano in ogni caso i due poli di una retta lungo la quale sono presenti tutte le possibili scelte, per definizione mai definitive e stabili, di un’impresa.
Di norma, quando la tecnologia é generica, le transazioni sono poco frequenti, i costi di salvaguardie sono bassi conviene rivolgersi al mercato e avere un’azienda minima; quando invece la tecnologia é specifica, le transazioni frequenti, i costi di salvaguardia elevati è più conveniente produrre in casa e creare una gerarchia.
Ancora su questo tema è utile ricordare che le organizzazioni gerarchiche riescono molto meglio a determinare condizioni stabili e di relativa certezza nella definizione di un rapporto equilibrato tra incentivi e contributi (hanno più possibilità di influenzare i comportamenti personali e di regolare le prestazioni di lavoro) ma riescono molto peggio a rispondere alle turbolenze ambientali, ad adattarsi in maniera veloce e flessibile ai cambiamenti repentini del contesto (M. Aoki 1991).
Nei fatti è dunque necessario di volta in volta valutare l’influenza delle crisi di mercato (il continuo ricorso a uno stesso fornitore altamente specializzato può incentivare il suo opportunismo mentre la considerazione degli elevati costi che bisogna affrontare per trovare un altro fornitore può consigliare di riportare quelle attività all’interno dell’azienda, anche attraverso il controllo o l’acquisto dell’azienda precedentemente fornitrice) e delle crisi della gerarchia (l’eccessiva verticalizzazione, contrasti sindacali, scarsa innovatività della struttura possono consigliare di rivolgersi al mercato esterno) ed essere capaci di valutare attentamente le possibile soluzioni intermedie tra mercato e gerarchia, come ad esempio joint ventures, franchising, associazione e consorzi temporanei di impresa, ecc.
Castells (19..) parte proprio da quest’ultimo assunto per portare alcune critiche ai principi dell’E.C.T. e per spiegare le ragioni per le quali, a suo avviso, essa non é in grado di spiegare la network enterprise e, più in generale, la Società digitale. Nella Net Economy, questa la sostanza delle sue argomentazioni, la crescente complessità e specializzazione delle tecnologie, assieme alla globalizzazione dei mercati dovrebbe portare ad una crescente verticalizzazione delle imprese. Accade invece il contrario dato che l’aumento dei costi di transazione porta all’estensione della rete di produttori esterni, in modo che i costi vengano ripartiti tra la rete stessa.

Neoistituzionalismo

Vedi anche
CZARNIAWSKA – MEYER e ROWAN – POWELL e DI MAGGIO – SELZNICK – THOMPSON –ZUCKER

Concetti e parole chiave
Campo organizzativo – Isomorfismo – Miti razionali – Popolazioni organizzative

Spiegazione
La scuola neoistituzionalista rappresenta una delle più importanti correnti sociologiche contemporanee. Pur non rinnegando il proprio legame con il pensiero istituzionalista di SELZNICK (la società non può essere considerata un semplice aggregato di soggetti e organizzazioni che agiscono sulla base di criteri di razionalità, seppur limitata, per massimizzare le proprie utilità; occorre spostare la riflessione dalle scelte definite in maniera autonoma dal singolo individuo o dalla singola organizzazione al contesto istituzionale nel quale gli uni e le altre operano), essa sviluppa in maniera del tutto autonoma e originale l’analisi relativa al rapporto tra contesto istituzionale e singola organizzazione.
Infatti con il NEOISTITUZIONALISMO il tema centrale dell’analisi organizzativa non è dato più dalle pressioni esercitate dall’ambiente esterno sull’organizzazione e dai cambiamenti che tale pressione determina sugli scopi originari di quest’ultima, ma dal processo di azione – retroazione che si determina tra organizzazioni (azioni) e istituzioni (norme) e che fa sì che organizzazioni dello stesso tipo siano molto simili tra loro.
Oggetto principale di indagine non sono più le singole organizzazioni ma popolazioni organizzative, l’insieme di unità, soggetti, organizzazioni che operano in un determinato contesto istituzionale.
Le istituzioni diventano il punto vero sul quale puntare l’interesse, dato che le strategie e i criteri di giudizio delle organizzazioni sono largamente imputabili alle pressioni alla conformità esercitate dal contesto istituzionale, ai condizionamenti di ordine materiale e simbolico che le istituzioni esercitano sui comportamenti umani e su quelli delle organizzazioni.
Sono MEYER e ROWAN (1977), con un articolo nel quale propongono il concetto di isomorfismo come chiave per comprendere le ragioni per le quali organizzazioni che operano nell’ambito dello stesso contesto istituzionale sono spinte ad assumere scelte molto simili tra loro ad avviare la stagione del pensiero neoistituzionalista.
L’idea è che per essere giudicate efficienti, massimizzare legittimità, risorse, capacità di sopravvivenza, le organizzazioni devono rispettare criteri di razionalità stabiliti dal contesto istituzionale. Che i processi di isoformismo non sono determinati soltanto dalla tendenza ad uniformarsi all’ambiente esterno ma anche dell’azione dell’ambiente che spinge alla nascita di nuove organizzazioni coerenti con i miti razionali (regole istituzionalizzate, norme, cerimoniali di procedure) da esso stesso prodotti. Che a un nuovo mito che si consolida corrispondono nuove organizzazioni che nascono per rispondere ai bisogni che esso produce e alimenta. Che la strada migliore per gestire il conflitto tra i criteri di razionalità interni e le spinte dell’ambiente è quella di sviluppare due strutture parallele, una formale, coerente con i miti e i cerimoniali, l’altra informale, coerente con l’obiettivo dell’efficienza interna.
A POWELL e DI MAGGIO si deve invece il concetto di campo organizzativo, da essi definito come un’area riconosciuta di vita istituzionale caratterizzata da confini fluidi e indistinti ma con una fitta e stabile rete di comunicazione nell’ambito della quale un insieme estremamente variegato di attori sociali, economici, politici, culturali, contribuisce, in maniera più o meno consapevole, a determinare processi di cambiamento. A loro avviso, la correlazione diretta esistente tra dipendenza dalle risorse esterne, ambiguità e incertezza dell’organizzazione e velocità dei processi di isomorfismo, fa sì che i campi organizzativi siano analogamente tanto più integrati quanto minori sono i modelli alternativi possibili e più elevata è la professionalità di chi vi opera.

Motivazionalismo

Vedi anche
ARGYRIS – BARNARD – HERZBERG – MASLOW – SISTEMA COOPERATIVO

Concetti e parole chiave
Bisogni umani – Contributi e incentivi – Fattori igienici – Soddisfazione nel lavoro –

Spiegazione
Secondo l’uso corrente del termine una persona è motivata quando ha, sente di avere, dentro di sé, una spinta che lo induce a impegnarsi al meglio delle proprie capacità e delle proprie forze nello studio, nel lavoro, nello sport e così via discorrendo. Più tecnicamente, la motivazione può essere definita come una forza interiore che stimola, regola e sostiene determinate azioni e comportamenti e il sistema motivazionale come l’insieme dei bisogni percepiti con varia intensità e delle relazioni esistenti tra tali bisogni e il comportamento dell’individuo.
All’origine delle motivazioni c’è dunque una tensione interiore, un bisogno, che la persona cerca di soddisfare; la soddisfazione del bisogno produce a propria volta la rivalutazione della situazione e favorisce l’insorgenza di bisogni ulteriori secondo una logica circolare che è connaturata e dunque può essere sollecitata, alimentata, ma non indotta dall’esterno.
Per definire quali siano gli elementi che governano la motivazione nell’ambito lavorativo sono state formulate numerose teorie fin da quando, con gli studi di MAYO e del suo gruppo, è apparsa evidente la necessità che il lavoro operaio non fosse considerato soltanto una rotella dell’ingranaggio tayloristico ma una componente coinvolta, compartecipe, motivata, del processo di produzione.
Per ARGIRYS solo lavoratori motivati, che si sentono sostenuti nei loro bisogni di crescita professionale ed umana possono apportare un contributo effettivo alle esigenze di produttività e di efficienza delle organizzazioni.
Per BARNARD le motivazioni che spingono le persone a contribuire al funzionamento delle organizzazioni rappresentano la chiave per comprendere come funziona un’organizzazione e per determinare i processi collaborativi che sono alla base del suo SISTEMA COOPERATIVO.
Per HERZBERG sono i fattori motivazionali (riconoscimento, responsabilità, crescita professionale, ecc.) che, diversamente da quelli igienici, motivano chi lavora, appagano bisogni superiori, rendono più produttivo chi lavora.
Per MASLOW i bisogni umani hanno la priorità rispetto a quelli delle organizzazioni e queste ultime vanno valutate proprio rispetto alla loro capacità di rispondere ai bisogni di autorealizzazione sul lavoro.
Per Salvemini la scala dei bisogni nel contesto lavorativo si articola in bisogni di consumo, di sicurezza, di socialità, di stima, di potere, di realizzazione.
McGragor applica la teoria di MASLOW al management e teorizza che il dirigente si comporta secondo due modalità diverse (Teoria X e Teoria Y) a seconda della sua concezione dell’uomo. Per la teoria X il dirigente affida all’autorità la propria leadership e ritiene che le persone siano indolenti, svogliate, orientate a lavorare il meno possibile. Per la teoria Y affida invece la propria leadership alle relazioni, alla supervisione, agli incentivi positivi perché è convinto che le persone sono responsabili, attive, e ritengono importante sentirsi soddisfatti sul lavoro. Nella sostanza il lavoratore si comporta secondo i dettami della teoria X o Y a seconda della sua possibilità di soddisfare i propri bisogni: quando non riesce a soddisfare quelli di ordine inferiore (i bisogni fisiologici e di sicurezza di MASLOW e i fattori igienici di HERZBERG) tende a comportarsi come descritto dalla teoria X, quando riesce a soddisfare quelli di ordine superiore (i bisogni di appartenenza, stima ed autorealizzazione di MASLOW e i fattori motivanti di HERZBERG) si comporta come descritto dalla teoria Y.
Per Vroom la motivazione é connessa alla valenza (l’importanza che la persona dà al raggiungimento di un obiettivo) e all’aspettativa (le probabilità di conseguire l’obiettivo che la persona ritiene di avere in suo possesso). La valenza può essere sia positiva, quando si vuole qualcosa, che negativa, nel caso contrario; l’aspettattiva può essere soltanto positiva o pari a zero (nei casi in cui la persona ritiene di non avere alcuna probabilità di raggiungere l’obiettivo).
Dato questo schema, la motivazione per Vroom é data dalla moltiplicazione della valenza per l’aspettativa (o dalla moltiplicazione della valenza per l’aspettativa per il valore della ricompensa conseguente al raggiungimento dell’obiettivo).
Le persone che hanno chiaro il rapporto tra ciò che fanno, l’obiettivo che devono raggiungere, il premio che li aspetta in caso di risultato positivo, avranno forti o comunque maggiori motivazioni.

Postfordismo

Vedi anche
FORD – JUST IN TIME – MODELLO GIAPPONESE – PIORE SABEL E ZEITLIN – TAYLOR

Concetti e parole chiave
Fabbrica snella – Integrazione orizzontale – Qualità totale – Sviluppo delle competenze

Spiegazione
Tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli 80 i paesi tecnologicamente più sviluppati sono interessati da un insieme di trasformazioni economiche, istituzionali, sociali, tanto profondo da determinare un vero e proprio passaggio di fase. Dopo lunghi decenni di dominio incontrastato, il modello sociale e produttivo fordista, quello specifico modo di produrre e di regolare la società che tanto peso aveva avuto nelle vicende economiche e istituzionali dei paesi più sviluppati, va in crisi. È una crisi che investe più cose e ambiti, anche molto diversi tra loro per rilevanza, che produce nei diversi paesi esiti anche molto diversi a seconda del ruolo che ciascuno di essi riveste nell’ambito della divisione internazionale del lavoro, degli attori istituzionali coinvolti nel processo regolativi, dei sistemi di welfare vigenti, del ruolo e del peso del sindacato.
Vanno in crisi le strutture organizzate secondo criteri gerarchici (to make) e integrate per via verticale. È pesantemente messo in discussione il modello concertativo di distribuzione della ricchezza definito tra le grandi rappresentanze imprenditoriali e sindacali con la supervisione degli stati nazionali. Vanno in crisi gli stati nazione, si modificano i rapporti di forza tra politica – nazione ed economia mondo, si affermano poteri di livello sovranazionale, si assiste a una sensibile contrazione dell’intervento dello stato nell’economia (in particolare nel settore industriale, come attesta il diffuso processo di privatizzazione avvenuto nelle economie di mercato sviluppate). Mutano le forme e la regolamentazione del lavoro, della sua organizzazione e rappresentanza, c’è un oggettivo ridimensionamento del ruolo contrattuale del sindacato, una crisi della contrattazione collettiva associata a una contemporanea crescita di forme di individualismo contrattuale (in particolare dal versante retributivo). Il posto di lavoro fisso per tutto l’arco della vita diventa sempre più un retaggio del passato, mentre i processi di flessibilità si accentuano sempre di più fino ad assumere sempre più i caratteri della precarietà e dell’insicurezza.
Il cambiamento insomma non si ferma alla fabbrica ma investe il territorio, la società, i rapporti economici, istituzionali, politici, che a livello sociale e territoriale si determinano. Detto che il tramonto del FORDISMO non é riducibile a una mera questione di ordine cronologico (non a caso attività nate recentemente, come i call center o i fast food sono strutturate secondo i principi tayloristici – fordisti), si può aggiungere che a questo cambiamento viene dato un nome, POSTFORDISMO, non a caso abbastanza generale da definire un ambito significativamente più vasto di quello che si riferisce alla modificazione tecnologica e organizzativa dei processi di produzione, tanto da rappresentare un riferimento sia per coloro che guardano ai cambiamenti in atto nella società e nell’economia esaltandone il carattere innovativo e l’apertura di nuovi scenari, sia per coloro che all’opposto mettono decisamente in risalto gli aspetti distruttivi e socialmente disgreganti connessi a tale fase dello sviluppo capitalistico.
Con il POSTFORDISMO si modificano molte cose. E si modificano in maniera profonda.
Mutano profondamente, anche in seguito alla diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione, i sistemi, i linguaggi, le forme di comunicazione attraverso le quali le persone stabiliscono rapporti; si sviluppano forme di accumulazione flessibili, capaci di integrare, di mettere in rete, modi, tempi e luoghi di produzione tra loro molto diversi, dalla fabbrica robotizzata alla cascina Hi Tech, dal distretto industriale ai templi della finanza globale; si determinano processi di rilocalizzazione delle risorse strategiche che portano con sé ulteriori processi di inclusione e ulteriori divari (digital divide); l’impresa diventa sempre più un centro di regolamentazione delle transazioni; i processi di competizione si basano più sulla qualità e sulla personalizzazione dell’offerta (con la conseguente necessità da parte delle imprese di rispondere prontamente e in modo flessibile alla domanda) che sui volumi prodotti; vengono definiti nuovi indici di efficacia nell’analisi dei processi produttivi; c’è un diffuso sviluppo del terziario privato, del lavoro autonomo e parasubordinato; si afferma il modello della corporate governance, nascono l’impresa minimale e l’azienda logo.
Le nuove parole d’ordine diventano massima elasticità (minori tempi morti e immobilizzazioni, maggiore prontezza nella messa in opera di nuove produzioni), integrazione dei sistemi di produzione, riduzione dei capitali immobilizzati in scorte e magazzini, fabbrica snella, qualità totale, mentre l’insieme di saperi e conoscenze, il general intellect, diviene il vero capitale sociale, il fattore strategico di sviluppo economico, sociale e produttivo. Del resto sta proprio qui il principale elemento di novità, nel fatto che la conoscenza, accumulandosi, induce nuova conoscenza come fonte primaria di produttività e di mutamento sociale e dunque ha un impatto molto più forte del passato sui processi produttivi, culturali, amministrativi. Anche se ogni modo di produzione ha comportato l’accumularsi di esperienze e saperi, nella fase attuale vi é una sorta di produzione di conoscenza a mezzo di conoscenza determinata da costanti interazioni produttive, garantite dai sistemi di informazione in generale e dalle particolari nervature comunicative, proprie dei diversi processi produttivi e sociali, che sfruttano tecnologie il cui “core” é costituito da elaborazioni di informazioni che sono, a un tempo, materia prima e prodotto.
Il ruolo essenziale e predominante delle tecnologie dell’informazione nei processi innovativi consiste nello stabilire relazioni sempre più strette tra cultura sociale, conoscenza scientifica, sviluppo dei fattori produttivi.
Il capitale culturale sociale, la capacità collettiva di rielaborazione simbolica, in breve, la capacità del lavoro di elaborare informazioni e generare conoscenza, sono la fonte materiale di produttività. Il legame tra lavoro, produzione di conoscenze, la loro diffusione e socializzazione, la formazione è stretto non tanto nel senso tradizionale dell’apprendere una professione, perfezionarne le tecniche, affinarne le strategie, bensì in quello di una costante e consapevole disponibilità a sovvertire le proprie competenze specifiche e a riciclare le proprie attitudini generiche, in un ricorrente altalenarsi tra occupazione, inoccupazione, formazione. Al rischio, alla flessibilità, alla mobilità che a questa disponibilità conseguono corrispondono sia l’indebolimento dei legami collettivi, sia la costituzione di esperienze reticolari che compongono la costituzione dei soggetti.

Fordismo

Vedi anche
CATENA DI MONTAGGIO – FORD – O. S.L.

Concetti e parole chiave
Consumo di massa – Controllo gerarchico – Meccanizzazione – Parcellizzazione

Spiegazione
Il termine FORDISMO definisce comunemente non solo una specifica modalità di organizzazione del lavoro ma anche un vero e proprio stadio del capitalismo contemporaneo, durato quasi un secolo e caratterizzato da sistemi di produzione basati sui principi della ORGANIZZAZIONE SCIENTIFICA DEL LAVORO, dall’adozione di processi di meccanizzazione spinta del ciclo produttivo (iniziata con l’introduzione della CATENA DI MONTAGGIO), dalla diffusione di modelli di consumo di massa.
L’approccio fordista all’organizzazione della produzione trova la sua prima applicazione nel 1913 all’interno della società automobilistica creata a Detroit da FORD.
I posti di lavoro individuali con mansioni di montaggio dell’intero prodotto vengono sostituiti da una gigantesca linea di montaggio e di assemblaggio lungo la quale ogni lavoratore, ricevendo il semilavorato dal compagno precedente, vi monta un componente, a mezzo rotaie lo passa al compagno successivo, e così via fino al montaggio completo. FORD ottiene così una riduzione media di circa il 40% del tempo di montaggio di ogni pezzo (con punte del 75% raggiunte con l’introduzione dell’energia meccanica e il miglioramento delle altezze delle linee stesse).
Insieme alla predeterminazione dei tempi di lavoro e alla parcellizzazione dei suoi contenuti il terzo aspetto fondamentale del modello fordista è rappresentato dalla struttura gerarchico burocratica che governa l’azienda, mentre un ulteriore elemento di novità è dato dal fatto che con il FORDISMO i lavoratori non sono più soltanto un importante fattore della produzione ma anche i consumatori dei prodotti finali che aziende sempre più avanzate dal punto di vista tecnologico immettono sul mercato.
E’ la combinazione tra la produzione di serie, resa possibile dal progresso tecnico, e il consumo di massa a determinare il successo del FORDISMO, una svolta senza precedenti nella società americana, l’avvento di quegli anni ruggenti che in anticipo di qualche decennio rispetto a quanto avverà in Europa, farà sì che in molte famiglie operaie degli Stati Uniti beni come l’automobile, la radio, gli elettrodomestici diventino di uso comune e che il livello di istruzione di base diventi decisamente più alto di quello di ogni altra parte del mondo cosiddetto avanzato.
Questo straordinario esperimento sul campo darà lo spunto a John Maynard Keynes per formulare negli anni Trenta le sue teorie sulla crescita della domanda come stimolo alla produzione e il mantenimento di buoni livelli di consumo come antidoto alle crisi economiche.
Se il richiamo alla rivoluzione industriale sottolinea un fenomeno storico e un sistema che ha segnato una profonda frattura rispetto alla sostanziale continuità storica delle società agricole, tale da essere paragonato per rilevanza solo alla rivoluzione del neolitico, il FORDISMO mostra gli sviluppi dell’industrializzazione nella sua piena maturazione. Non a caso, nonostante il suo carattere estremamente rigido tanto dal versante produttivo che da quello organizzativo e delle condizioni di lavoro, il modello fordista è stato assolutamente dominante fino agli anni 70, quando la crisi della azienda, i repentini cambiamenti dei contesti ambientali, i mutamenti indotti dall’utilizzo di informatica e robotica determinano la necessità di privilegiare forme organizzative molto più flessibili, all’interno delle quali l’autonomia, l’intercambiabilità, la capacità di decidere di chi lavora diventa un fattore sempre più rilevante per il buon andamento dell’impresa.

Organizzazione Scientifica del Lavoro

Vedi anche
ALIENAZIONE – ANOMIA – BARNARD – CATENA DI MONTAGGIO – FORD – FORDISMO – MAYO – TAYLOR

Concetti e parole chiave
Divisione del lavoro – Gerarchia – Tempi e metodi – Standardizzazione

Spiegazione
Prima ancora di essere una teoria organizzativa, l’O.S.L. rappresenta una vera e propria filosofia del lavoro, che non a caso TAYLOR definisce one best way, con un suo preciso postulato: ogni problema ha sempre e soltanto una sola soluzione ottimale che può essere per l’appunto individuata con l’ausilio del metodo scientifico (è del tutto evidente lo spirito positivista di TAYLOR, la sua illimitata fiducia nella scienza come “chiave” per risolvere piccoli e grandi problemi).
L’O.S.L. nasce come teoria all’inizio del XX secolo, allorquando lo sviluppo del sistema di produzione capitalistico entra in una nuova fase e matura la necessità di avviare un radicale processo di razionalizzazione produttiva.
Tra i punti chiave della O.S.L. vanno ricordati la determinazione scientifica dei metodi di lavoro, della selezione e dell’addestramento dei lavoratori; la definizione dei tempi standard necessari ad effettuare ciascuna singola fase del processo lavorativo (con il taylorismo nasce anche l’ufficio Misurazione dei Tempi e dei Metodi); la ridefinizione dei compiti della direzione e il suo addestramento; la rigida separazione tra attività di programmazione, di esclusiva competenza della direzione, e attività di esecuzione; la parcellizzazione – frantumazione della prestazione lavorativa; l’introduzione della retribuzione a cottimo sulla base di tabelle stabilite a partire dai tempi standard rilevati per l’effettuazione di ciascuna mansione.
Con l’avvento della O.S.L. il modo di lavorare é insomma oggetto di un mutamento radicale. Il lavoro umano e quello delle macchine viene monitorato in tutte le sue fasi e la razionalizzazione dei metodi di lavoro determina un costante riadeguamento dei tempi necessari per portare a termine ogni singola operazione.
Ogni nuova attività viene preceduta da una fase di sperimentazione che coinvolge squadre pilota formate da operai particolare provetti e ha lo scopo di scomporre le singole fasi e movimenti ed eliminare quelle superflue; ricomporre la mansione stabilendo i movimenti da fare e le tecnologie (macchine, attrezzi, utensili) da utilizzare; fissare il tempo teorico di effettuazione di quella determinata fase lavorativa e cercare di migliorarlo; verificare la effettiva possibilità di svolgere quel determinato lavoro in quel determinato tempo; definire le procedure necessarie a fare in modo che altre squadre di operai possano effettuare quel lavoro nei tempi stabiliti sulla base di una applicazione sistematica del procedimento lavorativo già impostato dalla direzione attraverso la sperimentazione. Il processo lavorativo diventa così largamente prevedibile e sempre passibile di ulteriori miglioramenti e il processo di razionalizzazione della fabbrica può ritenersi finalmente realizzato.
Con una teoria così fortemente strutturata passare dalla teoria alla pratica non è affatto agevole (non a caso la vera affermazione su larga scala delle nuove idee si avrà solo col FORDISMO) e lo stesso TAYLOR ne è in vario modo consapevole, come dimostra la sua insistenza sulla necessità che ciascuna azienda si doti di una direzione all’altezza dei nuovi compiti, in grado da un lato di valutare le specifiche capacità di ciascun operaio (gli operai non sono tutti uguali; quelli di prima categoria sono più capaci di svolgere lavori specializzati rispetto a quelli comuni o generici) e di assegnare loro mansioni corrispondenti alle effettive abilità e dall’altro di istaurare buoni rapporti con tutto il personale, gli operai in primo luogo, e di favorire un continuo processo di miglioramento della produttività aziendale (per quanto il processo di disumanizzazione e di ALIENAZIONE del lavoro che ha accompagnato l’affermazione dell’O.S.L. rappresenti un dato di fatto difficilmente confutabile, esso va in qualche modo storicizzato, riferito cioé a quelle che erano le condizioni precedenti; da questa prospettiva, l’idea che TAYLOR sia stato un riformatore piuttosto che uno scientifico sfruttatore del lavoro operaio ha più di una ragione di essere).
Anche nei confronti dei dirigenti l’O.S.L. è assai poco indulgente e ciò dice probabilmente qualcosa di significativo circa lo scarso numero di dirigenti dotati di ottime capacità dirigenziali. Anche per loro il rimedio proposto é dunque quello classico: affidare i compiti di direzione a pochi superselezionati, ottimi dirigenti, restringere l’autonomia decisionale di tutti gli altri, che avranno responsabilità in campi molto ben delimitati e che conoscono bene e saranno obbligati, nel lavoro quotidiano, a rispettare e seguire regole e procedure predeterminate.

Burocrazia

Vedi anche
AMMINISTRAZIONE – BARNARD – CROZIER – ETZIONI – GOULDNER – KELSEN – MERTON – SIMON – WEBER

Concetti e parole chiave
Conseguenze inattese – Gerarchia d’ufficio – Modelli di leadership – Modelli di razionalità – Tipi ideali

Spiegazione
E’ con gli straordinari cambiamenti istituzionali, politici ed economici conseguenti alla rivoluzione francese prima, all’affermazione degli Stati nazionali in Europa, alla nascita e allo sviluppo delle grandi imprese a valle della rivoluzione industriale poi, che si determina storicamente la necessità di una moderna BUROCRAZIA, cioè di un insieme di persone e risorse orientate alla realizzazione di uno scopo collettivo, organizzate sulla base di regole, procedimenti e ruoli, impersonali, imparziali, indipendenti.
È l’affermazione del potere degli uffici, la risposta al bisogno della società (delle sue istituzioni politiche ed econonomiche) di dotarsi di strutture in grado di garantire la gestione della nuova fase.
A cogliere più di ogni altro i signa prognostica, a delineare i caratteri di una società ridisegnata dall’affermazione di forme di legittimazione del potere razionale legale è WEBER, che a partire dall’individuazione delle tre forme di legittimazione del potere (carismatico, tradizionale, razionale legale) definisce la sua teoria razionale della BUROCRAZIA e dà il via a una fase straordinariamente ricca di riflessione teorica, di ricerca, di indagine sul campo intorno alla funzione di quest’ultima in una società moderna.
A WEBER si deve la definizione di principi e modi di funzionamenti che regolano la vita di ogni burocrazia, che egli riferisce alla fedeltà di ufficio, alla competenza disciplinata, alla gerarchia degli uffici, alla preparazione specializzata, alle modalità di gestione e di accesso ai concorsi pubblici, allo sviluppo della carriera, all’attività a tempo pieno, al segreto di ufficio, allo stipendio monetario fisso, al non possesso degli strumenti del proprio lavoro.
In questo contesto è utile in particolare sottolineare che secondo WEBER:
il principio della competenza prescrive che chi detiene un ufficio pubblico, che svolga funzioni amministrative o tecniche non importa, non può operare che nell’ambito di una specifica competenza che da un lato definisce il grado di conoscenza dell’ufficio (dell’impiegato) addetto a un determinato compito e dall’altro autorizza l’ufficio stesso (l’impiegato) a esercitare la funzione per la quale è ritenuto competente;
il principio della gerarchia afferma invece che la struttura di un qualsivoglia apparato burocratico é regolata da una rigida struttura gerarchica, dove i superiori hanno poteri di controllo su chi sta sotto;
il principio della spersonalizzazione evidenzia infine che solo una BUROCRAZIA spersonalizzata, dove vige il segreto di ufficio, offre le necessarie garanzie di imparzialità.
Come già accennato, intorno alle idee di WEBER si sviluppa, nel corso del Novecento e fino a oggi, uno straordinario confronto condotto non solo sul terreno delle idee ma anche attraverso importanti ricerche sulla funzione, l’articolazione, i processi di cambiamento che hanno investito gli apparati burocratici tanto in Europa quanto negli Stati Uniti.
Gli studi sulle conseguenze inattese generate dal complesso sistema burocratico razionale weberiano portano ad esempio a evidenziare come la BUROCRAZIA mostri la tendenza a proteggere sé stessa e il proprio potere; a favorire processi di spersonalizzazione che portano a scaricare verso l’alto ogni responsabilità; a reprimere tutte le azioni che, anziché allo scopo, sono indirizzate ai valori e conseguentemente a favorire processi di secolarizzazione della vita.
In particolare MERTON focalizza la propria attenzione sulle funzioni delle diverse istituzioni sociali, che a suo giudizio possono essere manifeste (quando sono dichiarate e si riferiscono di norma al raggiungimento dello scopo) o latenti (in quanto si riferiscono ai risultati non programmati dall’agire sociale); mette in evidenza che se è vero che la BUROCRAZIA standardizza, riduce lo spreco di tempo e di risorse, è altrettanto vero che non favorisce l’innovazione dato che criticità e problemi tendono ad essere affrontati sempre nello stesso modo; dimostra come anche nelle strutture burocratiche siano diffusi fenomeni e processi di cooptazione (in base ai quali chi già fa parte di un gruppo recluta nuovi componenti sulla base di criteri di scelta di carattere discrezionale).
CROZIER parte invece dall’analisi del sistema burocratico francese (che ritiene attento più alla forma che alla sostanza non solo nel rapporto con gli utenti ma anche nei criteri di organizzazione, reclutamento e controllo dell’apparato stesso) per suggerire che dato che la BUROCRAZIA riconosce come proprio scopo fondamentale quello di assolvere i compiti le stesse competenze finiscono per essere secondarie rispetto allo scopo. A suo avviso insomma la BUROCRAZIA è tutt’altro che un sistema razionale ed efficiente; nella realtà la rigidità, l’incapacità di adattamento, la mancanza di stimoli, l’inefficienza, l’inefficacia (determinate sia da fattori endogeni che da mutamenti del contesto politico sociale ed economico come lo sviluppo tecnologico, la differenziazione e frammentazione della domanda sociale, la dispersione o l’accentramento del potere politico su livelli) ne fanno in molti casi un fattore di freno dell’innovazione sociale.
KELSEN muove a propria volta dalla considerazione che ogni norma produce un’ulteriore norma e dipende da una norma superiore (sino ad arrivare alla norma che ha originato tutte le altre) per evidenziare come la discrezionalità, piuttosto che rappresentare una contraddizione rispetto alle norme, riguarda la loro stessa natura.
A questi esempi di carattere più generali tanti altri ne possono essere aggiunti intono a questioni più specifiche anche se non per questo meno rilevanti.
Per quanto riguarda ad esempio i modelli di leadership, all’elaborazione weberiana (il potere burocratico non può essere né tradizionale né carismatico, ma soltanto razionale; il burocrate non deve essere né amato né temuto, rappresenta la legge, dà ordini conformi ad essa e adatti a raggiungere gli scopi propri dell’organizzazione sulla base dell’autorità che gli deriva dal ruolo) ETZIONI contrappone l’idea che la burocrazia può agire anche in maniera tradizionale (si può fare carriera grazie all’appartenenza a gruppi, lobbies, ecc), che il carisma non nasce solo fuori all’esterno o contro l’istituzione ma anche al suo interno, può coesistere con la gerarchia (chiesa, esercito, impresa, ecc.), può creare conflitto, mentre Biggart sottolinea come esistano forme di capitalismo carismatico.
Per quanto riguarda i modelli di burocrazia dall’ideale weberiano (il tipo ideale di burocrazia non distingue né prevede differenze nella vasta gamma di lavori, professioni, controlli esistenti), si distinguono tra gli altri GOULDNER (parlare di competenza disciplinata come fa WEBER è per molti aspetti un ossimoro dato che la competenza contrasta con la disciplina; occorre passare dal modello unico weberiano a un modello a due variabili fondato sul principio di competenza e sul principio di disciplina), MINTZBERG (bisogna distinguere tra burocrazia professionale, nella quale il controllo avviene sulle modalità della prestazione, e burocrazia meccanica, nella quale il controllo avviene invece sulla formazione iniziale e sui risultati raggiunti), Jacques (esiste una correlazione diretta tra professionalità e contenuti della prestazione lavorativa e lasso di tempo durante il quale chi lavora – dall’operaio di linea, attraverso il caposquadra e il direttore di stabilimento fino al general manager – può assumere decisioni di sua iniziativa; la burocrazia professionale non si riferisce solo alle professioni colte).
Intorno al tema gerarchia di ufficio alle idee weberiane (il burocrate fa parte di una precisa scala gerarchica, riceve direttive dai superiori, se è il caso ne discute con i colleghi di pari grado, trasferisce tali direttive ai sottoposti sulla base delle loro competenze) si possono contrapporre quelle di LAURENCE E LORSCH (nella stessa organizzazione possono coesistere differenti strutture; i reparti di produzione rappresentano di norme aree di tranquillità; la promozione e la vendita sono in una posizione intermedia, ricerca e sviluppo sono invece attività soggette a diffusa turbolenza), degli autori della scuola delle contingenze (non esiste un solo modo ottimale per strutturare le organizzazioni che operano in ambienti che possono essere definiti secondo l’asse tranquillità – turbolenza; a organizzazioni tranquille sono utili gerarchie lunghe, a organizzazioni tubolente gerarchie corte), di Bonazzi (il fatto che nelle organizzazioni burocratiche comandi e controlli seguono sempre una precisa gerarchia non impedisce che le forme che la gerarchia può assumere siano molteplici, a partire dalla possibilità di essere lunghe, cioè articolate su molti livelli, o, viceversa, corte), Martino e Sinatra (le organizzazioni possono tagliare orizzontalmente le divisioni gerarchiche; essere a matrice, flessibili, articolate, polimorfe).
Per quanto riguarda il tema preparazione specializzata l’idea di WEBER (per svolgere un compito in maniera efficiente occorre avere una preparazione specializzata) può essere contraddetta sulla base dell’analisi mertoniana (incapacità addestrata come conseguenza inattesa: il burocrate addestrato per un determinato compito si trova in difficoltà quando le condizioni cambiano, la preparazione tecnica e culturale dunque non è un patrimonio sufficiente per svolgere per sempre un dato lavoro).
Per ciò che si riferisce ai concorsi pubblici il principio weberiano (il burocrate accede all’organizzazione soltanto vincendo un concorso pubblico) è contraddetto dall’analisi di Doeringer e PIORE (sviluppo di forme di mercato interno del lavoro; concorsi e percorsi di carriera che in vario modo privilegiano chi già è dentro l’organizzazione), di Harrison e Bluestone (la flessibilità può essere funzionale, finanziaria, numerica), di Paci (sviluppo di un doppio mercato del lavoro; esistenza di fasce di lavoratori forti e deboli).
Alle idee di Weber sul segreto d’ufficio (totale separazione tra vita pubblica e privata; il burocrate è tenuto all’osservanza del segreto sulle proprie attività) possono essere contrapposti gli argomenti di Prahalad e Hamel (evoluzione del concetto di segreto d’ufficio in seguito allo sviluppo dei media, dell’informatica, di internet; ridefinizione del segreto industriale per la nascita di reti di fornitori ed esperti che prestano i loro servizi anche alla concorrenza), di Poyago e Theotoky (sviluppo di accordi commerciali e produttivi tra aziende concorrenti), di Di Nicola; Ettighoffer; Nohria e Berkley (diffusione del telelavoro e dell’impresa virtuale).
Per ciò che riguarda lo stipendio monetario fisso (il burocrate non può avere altre entrate che il suo stipendio monetario; niente mance, nessuna commistione con il cittadino utente) possono essere segnalate le idee di Whyte sull’istituto della mancia nei servizi pubblici, la constatazione che anche su questo terreno sono intervenuti fattori nuovi come la nascita di burocrazia ibride, la partecipazione agli utili di impresa, la possibilità di diventare piccoli imprenditori dopo un periodo alle dipendenze di aziende più grandi.
In riferimento infine al non possesso degli strumenti di lavoro (per Weber il burocrate usa, essendo garante della loro efficienza, ma non possiede gli strumenti di lavoro), vanno segnalate le idee di Blau circa la tolleranza sempre più diffusa di uso personale di cancelleria, telefono fax, automobile, ecc. e l’estrema difficoltà di tener fede a questo principio al tempo di telefonini, computer portatili e benefits vari.

Serendipity again

1. autoesemplificazione
concetto riflessivo che si applica a un’idea (ipotesi, teoria) che si riferisce al suo stesso contenuto o è esemplificata dalla sua stessa storia.

2. invenzioni multiple indipendenti
risultato dell’azione congiunta della crescita di determinati tipi di conoscenza e dell’adozione delle medesime soluzioni da parte di scienziati e tecnologi innovativi concentrati sugli stessi temi.

3. primo incontro con il termine serendipity
determinato dalla convergenza di almeno quattro interessi: quello sociologico per il fenomeno generico delle conseguenze non intenzionali di azioni intenzionali; quello metodologico per la logica della teorizzazione; quello per la storia e la sociologia della scienza; quello per i neologismi che si rendono necessari per descrivere fenomeni appena scoperti e idee appena emerse.

4. fecondità della ricerca empirica
quando è feconda, la ricerca empirica non solo verifica ipotesi derivate teoricamente ma dà anche origine a nuove ipotesi.

5. il dato fa parte della conoscenza esplicita e implicita del ricercatore
il dato imprevisto, anomalo e strategico non è solo un dato di fatto, ma è almeno in parte anche una costruzione cognitiva, una funzione dell’orientamento teoretico e della conoscenza sia esplicita che tacita dell’osservatore.

6. diffusione della parola serendipity attraverso i dizionari

7. loan words (prestiti linguistici)
esprit de l’escalier (spirito della scala);
scadenfreude (gioia maligna);
chutzpah (sfacciata impudenza, sfrontatezza faccia tosta).

8. integrare la prospettiva psicologica con quella sociologica
il caso favorisce le menti preparate, in particolare quelle che operano in microambienti che agevolano le impreviste interazioni socio cognitive tra esse, e che possono essere descritti come ambienti socio cognitivi serendipitosi.

9. paradigma (Kuhn)
conquiste scientifiche universalmente riconosciute che, per un certo periodo, forniscono un modello di problemi e soluzioni accettabili a coloro che praticano un determinato campo di ricerca.

10. kuhn e serendipity
l’opera principale di Kuhn costituisce un bell’esemplare, in forma schiettamente autoesemplificativa, di modello di serendipity in azione in un microambiente serendipitoso, dato che l’osservazione di un dato imprevisto, anomalo e strategico fornisce l’occasione per identificare un nuovo problema intermedio che, una volta esplorato, porta alla soluzione di un recalcitrante problema basilare.

11. Standard Scientific Article e Oblitared Scientific Serendipities
le differenze individuate da Jean Piaget tra il modo personale di sviluppare i propri pensieri e l’ordine nel quale essi vengono presentati agli altri;
falsificazione scientifica in termini sociologici dello SSA;
il saggio o la monografia scientifica si presentano con aspetto immacolato che poco o nulla lascia intravedere delle intuizioni, delle false partenze, degli errori, delle conclusioni approssimative e dei felici accidenti che ingombrano il lavoro di ricerca;
la documentazione pubblica della scienza non è in grado di fornire gran parte del materiale necessario alla ricostruzione del corso effettivo dello sviluppo scientifico;
discrepanza tra l’effettivo corso di un’indagine scientifica e sua documentazione pubblica.

12. il saggio scientifico è un inganno?
Medawar, Feynman, Hoffmann, Watson e Crick.

13. il viaggio di serendipity da parola arcaica a parola di moda

14. serendipity come concetto psicosociologico sistemico
la ricerca empirica, se feconda, non soltanto verifica ipotesi derivate teoricamente, ma da origine anche a nuove ipotesi. Ciò potrebbe essere definito la componente di serendipity della ricerca, cioè la scoperta, dovuta alla fortuna o alla sagacia, di risultati ai quali non si era pensato.

15. il modello della serendipity
si riferisce all’esperienza, abbastanza comune, che coonsiste nell’osservare un dato imprevisto, anomalo e strategico che fornisce occasione allo sviluppo di una nuova teoria o all’ampliamento di una teoria già esistente.
Ciascuno di tali elementi del modello può venire descritto facilmente. Prima di tutto, il dato è imprevisto. Una ricerca diretta alla verifica di un’ipotesi, dà luogo ad un sotto prodotto fortuito, ad una osservazione inattesa che ha incidenza rispetto a teorie che, all’inizio della ricerca, non erano in questione.
Secondariamente, l’osservazione è anomala, sorprendente, perché sembra incongruente rispetto alla teoria prevalente, o rispetto a fatti già stabiliti. In ambedue i casi, l’apparente incongruenza provoca curiosità; essa stimola il ricercatore a trovare un senso al nuovo dato, a inquadrarlo in un più ampio orizzonte di conoscenze.
In terzo luogo, affermando che il fatto imprevisto deve essere strategico, cioè deve avere implicazioni che incidono sulla teoria generalizzata, ci riferiamo, naturalmente, più che al dato stesso, a ciò che l’osservatore aggiunge al dato.
Com’è ovvio, il dato richiede un osservatore che sia sensibilizzato teoricamente, capace di scoprire l’universale nel particolare. Dopo tutto, gli uomini hanno osservato per secoli fatti “banali” come lapsus linguae o lapsus calami, sviste tipografiche e arnese, ma era necessaria la sensibilità teorica di un Freud per considerare questi fatti come dati strategici, grazie ai quali egli poteva ampliare la sua teoria della repressione e degli atti sintomatici.

16. la serendipity aiuta a comprendere la ricerca scientifica

17. la serendipity come linea di indagine
intervista a Carninci

18. la serendipity come creatrice di opportunità per nuove scoperte scientifiche

Weick

Il sensemaking è considerato un processo fondato sulla costruzione dell’identità, retrospettivo, istitutivo di ambienti sensati, sociale, continuo, centrato su (e da) informazioni selezionate, guidato dalla plausibilità più che dall’accuratezza.

Kunda

Il gruppo dirigente, per così dire, crea il contesto, fornisce la retorica e si riserva il diritto di dire l’ultima parola, ma la maggior parte del lavoro è svolta dai membri stessi, perché è nel loro interesse consolidare continuamente in sé stessi e negli altri l’adesio ne esplicita al ruolo di membro.

Martin

Se ogni contesto culturale è studiato abbastanza in profondità, alcune cose appariranno coerenti, chiare e generatrici di consenso. Al tempo stesso altri aspetti della cultura si fonderanno entro confini subculturali mentre altri elementi ancora appariranno frammentati, in uno stato di perenne flusso, intrisi di confusione, dubbio e paradosso.

Schein

La cultura organizzativa è l’insieme coerente di assunti fondamentali che un dato gruppo ha inventato, scoperto o sviluppato imparando ad affrontare i suoi problemi di adattamento esterno e di integrazione interna, e che hanno funzionato abbastanza bene da poter essere considerati validi, e perciò tali da poter essere insegnati ai nuovi membri come il modo corretto di percepire, pensare e sentire in relazione a quei problemi.

Gli studi sulle differenze che emergono nelle diverse culture organizzative dei diversi paesi del mondo rendono assolutamente evidente che i processi manageriali cambiano a seconda del contesto socio-culturale ed economico della nazionalità dell’impresa. L’abilità di improvvisare e di sentire emotivamente quello che le situazioni dicono sono gli skill più importanti che tutti i manager dovrebbero avere nel proprio bagaglio culturale ed intellettuale.

Hannan e Freeman

E’ difficile stabilire che una strategia razionale per un singolo decisore sia razionale se viene adottata da un largo numero di decisori.

Stinchcombe

Il livello di esperienza organizzativa di una popolazione è il maggiore determinante della loro capacità di formare nuove organizzazioni.

Ouchi

Un clan è un dispositivo di gestione che tiene conto dei sacrifici a breve termine di alcune parti di uno scambio, quando questi sacrifici diventano evidenti, e poi compensa adeguatamente gli individui in modo che venga ripristinato l’equilibrio a lungo termine tra incentivi e contributi di tutte le parti.

Mentre un sistema informativo esplicito deve essere creato e mantenuto intenzionalmente e con un certo costo, un sistema informativo implicito spesso “cresce” come un sottoprodotto naturale dell’interazione sociale. In un clan, l’informazione è contenuta nei riti, nelle storie e nelle cerimonie che trasmettono i valori e le credenze dell’organizzazione. Un esterno non può avere rapidamente accesso alle informazioni che riguardano le norme di decisione utilizzate nell’organizzazione, ma il sistema informativo non richiede un esercito di contabili, di esperti di elaborazione e di dirigenti; semplicemente esso c’è.

Williamson

La classica contrattazione di mercato sarà più efficace quando le risorse non avranno un elevato grado di specificità. La contrattazione di tipo bilaterale comparirà nel mercato non appena le risorse diventeranno semi-specifiche; e, infine, l’organizzazione interna sostituirà il mercato quando le risorse oggetto di scambio saranno altamente specifiche.

Riconoscere che assetti organizzativi alternativi danno luogo a differenti rapporti di scambio implica un modo più ampio di trattare la questione delle transazioni di lavoro rispetto a quanto detta il tradizionale calcolo dell’efficienza. Sistemi organizzativi atti a conseguire una maggiore produttività saranno adottati probabilmente da gruppi che vogliono massimizzare il guadagno pecuniario, ma potrebbero essere modificati o rifiutati da gruppi con valori differenti. Efficienza e clima organizzativo sono intrinsecamente collegati. Le preferenze manifestate per un’atmosfera lavorativa soddisfacente spiegano come gli individui possano rinunciare a incentivi materiali in favore di gratificazioni non pecuniarie.

Miles e Snow

Le organizzazioni minimali sono capaci di spedire rapidamente le risorse in ogni direzione nell’esatto punto in cui sono richieste

Piore, Sabel e Zeitlin

Un esempio spettacolare di tecnologia che riduceva i costi dovuti al cambiamento di produzione fu il telaio di Jacquard, il precursore delle macchine a controllo numerico. Esso fu perfezionato per l’ uso industriale tra il 1800 e il 1820 dai setaioli di Lione, che volevano riconquistare il loro tradizionale dominio nei mercati dei tessuti alla moda contro la crescente concorrenza inglese, tedesca e italiana. Il telaio creava complicati façonnèes e broccati in base alle istruzioni su schede perforate, che sollevavano e abbassavano automaticamente e nella giusta sequenza i fili nell’ ordito. L’ uso delle schede perforate come meccanismo di controllo ridusse sensibilmente il tempo per adattare il telaio ad un nuovo disegno, perché, come nel programma di un moderno computer, era possibile modificare rapidamente le schede […….] I fabbricanti di nastri di Saint’ Etienne adattarono il sistema di programmazione Jacquard al telaio per nastri di tipo Zurigo, creando in questo modo un dispositivo capace di produrre simultaneamente più di venticinque nastri fantasia; i loro tentativi di ricamare i nastri a macchina ottennero un dispositivo simile alla macchina da cucire, che non doveva apparire in forma compiuta se non vent’ anni più tardi.

Touraine

È una grave illusione credere che possano continuare ad esistere le medesime qualità, i medesimi fattori di valorizzazione del lavoro quando cambiano completamente le condizioni del lavoro e, in particolare, le condizioni tecnico-professionali.

Taylor

L’organizzazione scientifica del lavoro consiste fondamentalmente in un certo numero di principi generali di vasta portata, in una ben definita concezione teorica che può venire applicata in varie maniere.

Powell e Di Maggio

Il campo organizzativo è dato da un insieme di organizzazioni che, considerate complessivamente, costituiscono un’area riconosciuta di vita istituzionale: fornitori chiave, consumatori di risorse e prodotti, agenzie di controllo e altre organizzazioni che producono prodotti o servizi simili.

Meyer e Rowan

I prodotti, i servizi, le politiche e i programmi istituzionalizzati funzionano da possenti miti e molte organizzazioni li adottano cerimonialmente: così facendo, le organizzazioni aumentano la loro legittimità e le loro prospettive di sopravvivenza indipendentemente dall’efficacia immediata delle norme di comportamento e delle procedure acquisite.

Selznick

Far funzionare un’organizzazione è un’attività necessaria e specializzata, tale da porre dei problemi che nulla hanno a che fare con i fini (originari) o dichiarati dall’organizzazione stessa e che spesso sono del tutto opposti a questi. Il comportamento di routine del gruppo è tutto dedicato a problemi specifici e fini parziali che hanno importanza solo sotto un profilo interno. D’altra parte dal momento che queste attività consumano la maggior parte del tempo dei membri delle organizzazioni, esse divengono dal punto di vista del comportamento effettivo di essi i veri fini dell’organizzazione, sostituendosi a quelli proclamati tali.

La cooptazione è il processo di assorbimento di nuovi elementi nella leadership o nella struttura che determina la politica di un’organizzazione, come mezzo per allontanare le minacce alla sua stabilità ed alla sua esistenza.

Merton

La ricerca empirica, se feconda, non soltanto verifica ipotesi derivate teoricamente, ma dà anche origine a nuove ipotesi. Ciò potrebbe essere definto la componente di serendipity della ricerca, cioè la scoperta, dovuta alla fortuna o alla sagacia, di risulati ai quali non si era pensato.

Parsons

Un’organizzazione non si limita a operare in un ambiente sociale che impone le condizioni che governano i processi di disposizione e di reperimento [delle risorse], essa è anche parte di un più ampio sistema sociale che è la fonte del significato, della legittimazione e del sostegno di più alto livello che rende possibile la realizzazione degli scopi dell’organizzazione.

Non è esagerato dire che che l’indice singolo più importante della maturità di una scienza è la situazione della sua teoria sistematica.

La teoria deve essere formulata in quello che si si può definire lo schema di riferimento azione.

Il potere è la capacità generalizzata di assicurare l’adempimento di obblighi vincolanti in un sistema di organizzazione collettiva quando gli obblighi siano legittimati con riferimento alla loro relazione con gli scopi della collettività e quando in caso di ostinata opposizione si presuppone che gli impegni saranno fatti rispettare per mezzo di sanzioni.

Crozier

La burocrazia è un’organizzazione che non può correggere il proprio comportamento imparando dai propri errori.

Simon

È possibile derivare una funzione di utilità solo se le scelte sono coerenti e transitive. Esiste oggi una mole considerevole di prove del fatto che le scelte umane spesso non sono coerenti nel modo richiesto per l’esistenza di una funzione di utilità.

Il comportamento razionale esige modelli semplificati che includano gli elementi essenziali del problema senza rifletterne tutta la complessità,

Non vi è ragione di supporre che vi sia un processo di formazione delle decisioni il quale sia o debba essere conforme a tutte le esigenze della scelta razionale.

Ciò che la persona vuole e ama influenza ciò che la persona vede, e ciò che vede influenza ciò che vuole e ama.

Ciascun partecipante continua a partecipare all’organizzazione finchè gli incentivi che gli vengono offerti – misurati in termini di suoi valori e in termini di alternative che gli si offrono – valgano quanto o più dei contributi che gli vien chiesto di dare (con March).

Barnard

Un sistema cooperativo è un complesso di componenti fisiche, biologiche, personali e sociali che si trovano in relazione specifica e sistematica grazie alla cooperazione di due o più persone per almeno un fine definito.

Ciò che è importante non è quello che muovere il masso significa per ciascun uomo personalmente, bensì quello che egli pensa significhi per l’organizzazione nel suo complesso.

Burocrazia

Vedi anche
AMMINISTRAZIONE – BARNARD – CROZIER – ETZIONI – GOULDNER – KELSEN – MERTON – SIMON – WEBER

Concetti e parole chiave
Conseguenze inattese – Gerarchia d’ufficio – Modelli di leadership – Tipi ideali

Spiegazione
E’ con gli straordinari cambiamenti istituzionali, politici ed economici conseguenti alla rivoluzione francese prima, all’affermazione degli Stati nazionali in Europa, alla nascita e allo sviluppo delle grandi imprese a valle della rivoluzione industriale poi, che si determina storicamente la necessità di una moderna BUROCRAZIA, cioè di un insieme di persone e risorse orientate alla realizzazione di uno scopo collettivo, organizzate sulla base di regole, procedimenti e ruoli, impersonali, imparziali, indipendenti.
È l’affermazione del potere degli uffici, la risposta al bisogno della società (delle sue istituzioni politiche ed econonomiche) di dotarsi di strutture in grado di garantire la gestione della nuova fase.
A cogliere più di ogni altro i signa prognostica, a delineare i caratteri di una società ridisegnata dall’affermazione di forme di legittimazione del potere razionale legale è WEBER, che a partire dall’individuazione delle tre forme di legittimazione del potere (carismatico, tradizionale, razionale legale) definisce la sua teoria razionale della BUROCRAZIA e dà il via a una fase straordinariamente ricca di riflessione teorica, di ricerca, di indagine sul campo intorno alla funzione di quest’ultima in una società moderna.
A WEBER si deve la definizione di principi e modi di funzionamenti che regolano la vita di ogni burocrazia, che egli riferisce alla fedeltà di ufficio, alla competenza disciplinata, alla gerarchia degli uffici, alla preparazione specializzata, alle modalità di gestione e di accesso ai concorsi pubblici, allo sviluppo della carriera, all’attività a tempo pieno, al segreto di ufficio, allo stipendio monetario fisso, al non possesso degli strumenti del proprio lavoro.
In questo contesto è utile in particolare sottolineare che secondo WEBER:
il principio della competenza prescrive che chi detiene un ufficio pubblico, che svolga funzioni amministrative o tecniche non importa, non può operare che nell’ambito di una specifica competenza che da un lato definisce il grado di conoscenza dell’ufficio (dell’impiegato) addetto a un determinato compito e dall’altro autorizza l’ufficio stesso (l’impiegato) a esercitare la funzione per la quale è ritenuto competente;
il principio della gerarchia afferma invece che la struttura di un qualsivoglia apparato burocratico é regolata da una rigida struttura gerarchica, dove i superiori hanno poteri di controllo su chi sta sotto;
il principio della spersonalizzazione evidenzia infine che solo una BUROCRAZIA spersonalizzata, dove vige il segreto di ufficio, offre le necessarie garanzie di imparzialità.
Come già accennato, intorno alle idee di WEBER si sviluppa, nel corso del Novecento e fino a oggi, uno straordinario confronto condotto non solo sul terreno delle idee ma anche attraverso importanti ricerche sulla funzione, l’articolazione, i processi di cambiamento che hanno investito gli apparati burocratici tanto in Europa quanto negli Stati Uniti.
Gli studi sulle conseguenze inattese generate dal complesso sistema burocratico razionale weberiano portano ad esempio a evidenziare come la BUROCRAZIA mostri la tendenza a proteggere sé stessa e il proprio potere; a favorire processi di spersonalizzazione che portano a scaricare verso l’alto ogni responsabilità; a reprimere tutte le azioni che, anziché allo scopo, sono indirizzate ai valori e conseguentemente a favorire processi di secolarizzazione della vita.
In particolare MERTON focalizza la propria attenzione sulle funzioni delle diverse istituzioni sociali, che a suo giudizio possono essere manifeste (quando sono dichiarate e si riferiscono di norma al raggiungimento dello scopo) o latenti (in quanto si riferiscono ai risultati non programmati dall’agire sociale); mette in evidenza che se è vero che la BUROCRAZIA standardizza, riduce lo spreco di tempo e di risorse, è altrettanto vero che non favorisce l’innovazione dato che criticità e problemi tendono ad essere affrontati sempre nello stesso modo; dimostra come anche nelle strutture burocratiche siano diffusi fenomeni e processi di cooptazione (in base ai quali chi già fa parte di un gruppo recluta nuovi componenti sulla base di criteri di scelta di carattere discrezionale).
CROZIER parte invece dall’analisi del sistema burocratico francese (che ritiene attento più alla forma che alla sostanza non solo nel rapporto con gli utenti ma anche nei criteri di organizzazione, reclutamento e controllo dell’apparato stesso) per suggerire che dato che la BUROCRAZIA riconosce come proprio scopo fondamentale quello di assolvere i compiti le stesse competenze finiscono per essere secondarie rispetto allo scopo. A suo avviso insomma la BUROCRAZIA è tutt’altro che un sistema razionale ed efficiente; nella realtà la rigidità, l’incapacità di adattamento, la mancanza di stimoli, l’inefficienza, l’inefficacia (determinate sia da fattori endogeni che da mutamenti del contesto politico sociale ed economico come lo sviluppo tecnologico, la differenziazione e frammentazione della domanda sociale, la dispersione o l’accentramento del potere politico su livelli) ne fanno in molti casi un fattore di freno dell’innovazione sociale.
KELSEN muove a propria volta dalla considerazione che ogni norma produce un’ulteriore norma e dipende da una norma superiore (sino ad arrivare alla norma che ha originato tutte le altre) per evidenziare come la discrezionalità, piuttosto che rappresentare una contraddizione rispetto alle norme, riguarda la loro stessa natura.
A questi esempi di carattere più generali tanti altri ne possono essere aggiunti intono a questioni più specifiche anche se non per questo meno rilevanti.
Per quanto riguarda ad esempio i modelli di leadership, all’elaborazione weberiana (il potere burocratico non può essere né tradizionale né carismatico, ma soltanto razionale; il burocrate non deve essere né amato né temuto, rappresenta la legge, dà ordini conformi ad essa e adatti a raggiungere gli scopi propri dell’organizzazione sulla base dell’autorità che gli deriva dal ruolo) ETZIONI contrappone l’idea che la burocrazia può agire anche in maniera tradizionale (si può fare carriera grazie all’appartenenza a gruppi, lobbies, ecc), che il carisma non nasce solo fuori all’esterno o contro l’istituzione ma anche al suo interno, può coesistere con la gerarchia (chiesa, esercito, impresa, ecc.), può creare conflitto, mentre Biggart sottolinea come esistano forme di capitalismo carismatico.
Per quanto riguarda i modelli di burocrazia dall’ideale weberiano (il tipo ideale di burocrazia non distingue né prevede differenze nella vasta gamma di lavori, professioni, controlli esistenti), si distinguono tra gli altri GOULDNER (parlare di competenza disciplinata come fa WEBER è per molti aspetti un ossimoro dato che la competenza contrasta con la disciplina; occorre passare dal modello unico weberiano a un modello a due variabili fondato sul principio di competenza e sul principio di disciplina), MINTZBERG (bisogna distinguere tra burocrazia professionale, nella quale il controllo avviene sulle modalità della prestazione, e burocrazia meccanica, nella quale il controllo avviene invece sulla formazione iniziale e sui risultati raggiunti), Jacques (esiste una correlazione diretta tra professionalità e contenuti della prestazione lavorativa e lasso di tempo durante il quale chi lavora – dall’operaio di linea, attraverso il caposquadra e il direttore di stabilimento fino al general manager – può assumere decisioni di sua iniziativa; la burocrazia professionale non si riferisce solo alle professioni colte).
Intorno al tema gerarchia di ufficio alle idee weberiane (il burocrate fa parte di una precisa scala gerarchica, riceve direttive dai superiori, se è il caso ne discute con i colleghi di pari grado, trasferisce tali direttive ai sottoposti sulla base delle loro competenze) si possono contrapporre quelle di LAURENCE E LORSCH (nella stessa organizzazione possono coesistere differenti strutture; i reparti di produzione rappresentano di norme aree di tranquillità; la promozione e la vendita sono in una posizione intermedia, ricerca e sviluppo sono invece attività soggette a diffusa turbolenza), degli autori della scuola delle contingenze (non esiste un solo modo ottimale per strutturare le organizzazioni che operano in ambienti che possono essere definiti secondo l’asse tranquillità – turbolenza; a organizzazioni tranquille sono utili gerarchie lunghe, a organizzazioni tubolente gerarchie corte), di Bonazzi (il fatto che nelle organizzazioni burocratiche comandi e controlli seguono sempre una precisa gerarchia non impedisce che le forme che la gerarchia può assumere siano molteplici, a partire dalla possibilità di essere lunghe, cioè articolate su molti livelli, o, viceversa, corte), Martino e Sinatra (le organizzazioni possono tagliare orizzontalmente le divisioni gerarchiche; essere a matrice, flessibili, articolate, polimorfe).
Per quanto riguarda il tema preparazione specializzata l’idea di WEBER (per svolgere un compito in maniera efficiente occorre avere una preparazione specializzata) può essere contraddetta sulla base dell’analisi mertoniana (incapacità addestrata come conseguenza inattesa: il burocrate addestrato per un determinato compito si trova in difficoltà quando le condizioni cambiano, la preparazione tecnica e culturale dunque non è un patrimonio sufficiente per svolgere per sempre un dato lavoro).
Per ciò che si riferisce ai concorsi pubblici il principio weberiano (il burocrate accede all’organizzazione soltanto vincendo un concorso pubblico) è contraddetto dall’analisi di Doeringer e PIORE (sviluppo di forme di mercato interno del lavoro; concorsi e percorsi di carriera che in vario modo privilegiano chi già è dentro l’organizzazione), di Harrison e Bluestone (la flessibilità può essere funzionale, finanziaria, numerica), di Paci (sviluppo di un doppio mercato del lavoro; esistenza di fasce di lavoratori forti e deboli).
Alle idee di Weber sul segreto d’ufficio (totale separazione tra vita pubblica e privata; il burocrate è tenuto all’osservanza del segreto sulle proprie attività) possono essere contrapposti gli argomenti di Prahalad e Hamel (evoluzione del concetto di segreto d’ufficio in seguito allo sviluppo dei media, dell’informatica, di internet; ridefinizione del segreto industriale per la nascita di reti di fornitori ed esperti che prestano i loro servizi anche alla concorrenza), di Poyago e Theotoky (sviluppo di accordi commerciali e produttivi tra aziende concorrenti), di Di Nicola; Ettighoffer; Nohria e Berkley (diffusione del telelavoro e dell’impresa virtuale).
Per ciò che riguarda lo stipendio monetario fisso (il burocrate non può avere altre entrate che il suo stipendio monetario; niente mance, nessuna commistione con il cittadino utente) possono essere segnalate le idee di Whyte sull’istituto della mancia nei servizi pubblici, la constatazione che anche su questo terreno sono intervenuti fattori nuovi come la nascita di burocrazia ibride, la partecipazione agli utili di impresa, la possibilità di diventare piccoli imprenditori dopo un periodo alle dipendenze di aziende più grandi.
In riferimento infine al non possesso degli strumenti di lavoro (per Weber il burocrate usa, essendo garante della loro efficienza, ma non possiede gli strumenti di lavoro), vanno segnalate le idee di Blau circa la tolleranza sempre più diffusa di uso personale di cancelleria, telefono fax, automobile, ecc. e l’estrema difficoltà di tener fede a questo principio al tempo di telefonini, computer portatili e benefits vari.

Weber

Se gli uomini non tentassero continuamente l’impossibile, il possibile non verrebbe mai raggiunto.

La burocrazia è tra le strutture sociali più difficili da distruggere.

Ogni conoscenza concettuale della infinita realtà da parte dello spirito umano finito poggia […] sul tacito presupposto che soltanto una parte finita di essa debba formare l’oggetto della considerazione scientifica, e perciò risulterà “essenziale” nel senso di essere “degna di venir conosciuta.

La cultura è una sezione finita dell’infinità priva di senso del divenire del mondo, alla quale è attrbuito senso e significato dal punto di vista dell’uomo.

La democrazia moderna , dovunque diventi democrazia di un grande Stato, diventa democrazia burocratica. E ciò deve essere, poiché la democrazia burocratica sostituisce alle cariche onorifiche e nobiliari il funzionariato pagato.

Per genio e per caso

[…] I due scienziati sono Francis H.C. Crick e James D. Watson, che nel mitico Cavendish Laboratory dell’Università di Cambridge hanno scoperto il modello a doppia elica della struttura molecolare dell’acido desossiribonucleico, conosciuto ai più come DNA.
Jerry Donohue è invece il giovane cristallografo statunitense che per un certo periodo soggiorna al Cavendish e che secondo Watson (La doppia Elica, Garzanti, Milano, 1982) “subito dopo Linus Pauling ne sapeva di più in fatto di legami all’idrogeno di chiunque al mondo”. […]
La cosa interessante è che faccende di questo tipo non rappresentano l’eccezione ma molto spesso la regola, come ha intuito per primo il grande Robert K. Merton (Viaggi e avventure della Serendipity, Il Mulino, Bologna, 2002) al quale si deve il concetto di Serendipity, che “si riferisce all’esperienza, abbastanza comune, che consiste nell’osservare un dato imprevisto, anomalo e strategico, che fornisce occasione allo sviluppo di una nuova teoria o all’ampliamento di una teoria già esistente”.
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Serendipity

Il modello della serendipity si riferisce all’esperienza, abbastanza comune, che consiste nell’osservare un dato imprevisto anomalo e strategico, che fornisce occasione allo sviluppo di una nuova teoria o all’ampliamento di una teoria già esistente.
Ciascuno di tali elementi del modello può venire descritto facilmente.
Prima di tutto, il dato è imprevisto. Una ricerca diretta alla verifica di una ipotesi, dà luogo ad un sottoprodotto fortuito, ad una osservazione inattesa che ha incidenza rispetto a teorie che, all’inizio della ricerca, non erano in questione.
Secondariamente, l’osservazione è anomala, sorprendente, perché sembra incongruente rispetto alla teoria prevalente, o rispetto a fatti già stabiliti. In ambedue i casi, l’apparente incongruenza provoca curiosità; essa stimola il ricercatore a trovare un senso al nuovo dato, a inquadrarlo in un più ampio orizzonte di conoscenze.
In terzo luogo, affermando che il fatto imprevisto deve essere strategico, cioè deve avere implicazioni che incidono sulla teoria generalizzata, ci riferiamo, naturalmente, più che al dato stesso, a ciò che l’osservatore aggiunge al dato. Com’è ovvio, il dato richiede un osservatore che sia sensibilizzato teoricamente, capace di scoprire l’universale nel particolare. Dopotutto, gli uomini hanno osservato per secoli fatti banali come lapsus linguae o lapsus calami, sviste tipografiche e amnesie, ma era necessaria la sensibilità teorica di un Freud per considerare questi fatti come dati strategici, grazie ai quali egli poteva ampliare la sua teoria della repressione e degli atti sintomatici.

Organizzazione

Secondo il dizionario De Mauro della Lingua Italiana (Paravia) il termine ORGANIZZAZIONE ha tra i suoi significati di largo uso:
1. l’organizzare, l’organizzarsi e il loro risultato;
2. il modo in cui é organizzato un lavoro, una struttura, ecc.;
3. una qualsivoglia struttura organizzata per conseguire un fine comune;
4. l’insieme delle persone che operano in una struttura.

Più specificatamente, nel contesto delle scienze sociali, con il termine ORGANIZZAZIONE si usa definire:
1. un qualsivoglia soggetto o ente (istituzione, azienda, associazione, sindacato, partito, fondazione, ecc.), dotato o meno di personalità giuridica, costituito per un qualunque scopo, indipendentemente dal livello territoriale (locale, nazionale, sovranazionale, globale) al quale opera;
2. la maniera in cui un qualunque soggetto o ente avente le caratteristiche delineate al punto precedente é strutturato (gerarchie, formazione delle decisioni, struttura del potere, efficacia, efficienza).

Concorrono a definire l’ambito della Sociologia dell’ORGANIZZAZIONE tanto le teorie prescrittive, quelle che si ripromettono di indicare in che modo un determinato soggetto o ente deve essere organizzato per conseguire al meglio i propri scopi, quanto le teorie interpretative, quelle che forniscono invece strumenti e analisi per comprendere il funzionamento di una qualsivoglia ORGANIZZAZIONE.