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La pasta al forno di Nunzia

L’ultima volta era stato nel 1968, sì, proprio lui, l’anno cominciato con la primavera di Praga, quello del maggio francese, l’anno dell’arresto di Jimi Hendrix a Stoccolma, quello dell’omicidio di Martin Luther King e di Robert Kennedy, l’anno dell’eccidio di Avola, degli studenti che lanciano uova e ortaggi all’apertura de La Scala a Milano, dell’occupazione del Liceo Mamiani a Roma e di tanto altro ancora.
Accadde a Luglio, al Lido Luise di Castelvolturno, dove il mitico don Raffaele Parola, operaio Italisider e papà di Tonino, uno dei miei amici del cuore al tempo di Secondigliano, ci portava a fare il bagno con la mitica Fiat 850 familiare e all’ora di pranzo tutti a mangiare sotto l’ombrellone le cose buone che aveva preparato la signora Carmilina.
La faccenda mi era tornata in mente un paio di domeniche fa, mentre in spiaggia mangiavo un po’ sconsolato il 147esimo panino dell’anno. E’ stato allora che mia sorella Nunzia mi ha detto “Viciè, la prossima volta che vieni, facciamo la pasta al forno e ce la mangiamo qui, sulla spiaggia, promesso”.
Ora, modestamente a parte, come avrebbe detto nostro padre Pasquale, dovete sapere che se per un Moretti una promessa è un impegno, e in quanto tale va onorato, per mia sorella Nunzia una promessa è un imperativo categorico, nel senso di Kant e nel senso che non puoi accampare scuse, non conta se nel frattempo sei stato malato, ti ha fatto male il callo del piede destro, Banderas ti ha rubato la gallina e sei rimasto senza le uova da fare soda, il macellaio è scappato con la modella svedese in Brasile e ti manca la carne macinata per fare le polpette, e così alle 1.50 p.m. di Venerdì 15 Agosto 2014 sul lido Hawaii Beach di Baia Domizia, un tempo regno della reginetta Patrizia, è comparso lui, Sua Altezza reale ‘O ruoto ‘o furno.
pastaalfornoOra non mi chiamate dispettoso, perché non vi dirò come è finita, un po’ perché è facile immaginarlo e un po’ perché mi vergogno, dato che sul più bello del piacevole e allegro banchetto, quando ogni donna e uomo di buona volontà aveva già deposto le armi, è venuto fuori il guerriero di Secondigliano che è in me e così dopo aver rubato due polpette a volo a volo dal piatto di mio nipote senza che lui se ne accorgesse, e vi assicuro che ci vuole tanta destrezza per riuscirci, mi sono tuffato sul bis come Klaus Dibiasi dalla piattaforma dei 10 metri a Città del Messico quando conquistò la medaglia d’oro alle Olimpiadi.
E visto che ci siamo non vi dico neanche come erano buoni la macedonia di cocomero, prugne e pesca, e il gelato, e il torrone la sera a casa sua, vi dico solo che ho una sorella stupenda che ieri mi ha regalato una giornata meravigliosa. Perché sì, lei ti sgrida, ti cazzea, a volte ti subbissa tanto è irruente, però continua a essere una “ciaciona”, una donna con un cuore grande come ce ne sono pochi al mondo, e questa volta non c’entra la pasta al forno, c’entra l’amore che ha per le persone che ama, c’entra il fatto che su di lei  puoi contare a prescindere, c’entra il coraggio con cui affronta le cose della vita, c’entra l’impegno che mette in tutto quello che fa.
Grazie Nunzia, ti voglio bene un sacco, questo piccolo post è dedicato tutto a te, che sei una parte assai preziosa di questo miscuglio di cose bellissime, complicate, incomprensibili, insopportabili, che è la mia vita.
Un bacione affettuoso.
Il tuo amato fratello vincenzo
ps.
la prossima volta che vengo che ne dici di una bella genovese?

nunzia1

Sono un uomo fortunato. Nuovo episodio.

Felicia Moscato è stata una mia studentessa un po’ di anni fa. Ed è l’autrice della mail che potete leggere qui sotto. Credo non ci sia bisogno di spiegare il titolo del post,  basta leggere e si capisce da sé. Perché vi racconto tutto questo? Perché sono contento, e mi fa piacere condividere la mia contentezza con voi. E perché penso che se poi magari uno ci pensa si rende conto che …

 

Prof, mi sono appena svegliata e dovevo scrivervi di corsa …
Stanotte vi ho sognato … ero a Roma … in vicolo molto antico di Piazza San Pietro, credo perché si vedeva il Papa … per sbaglio son entrata in un negozio antico di un vecchio artigiano di orologi a cucù … trovo voi e … vostro padre …
Vostro padre era arrampicato su una scaletta che cercava delle cose in uno scaffale … io appena l’ho visto vi ho chiamato da parte e vi ho detto che li, in un appartamento vicino, c’era vostro fratello, che voi credevate scomparso. Questo vostro fratello però, non era scomparso ma aveva scritto un libro, bellissimo a mio dire …
Parlava di qualcosa che c’entrava con gente vecchia e nuova. La cosa che mi aveva colpito di più è che nel libro venivano usate le parole meraviglioso, stupefacente, innovatore.
Ecco, ho detto tutto mi pare. Voi come state? Era da tempo che non vi sognavo, dall’epoca dell’uscita di Testa, Mani e Cuore. Fatemi avere vostre notizie.
Felicia

Hanna, le macchine e noi

A coinvolgermi nell’evento ItaliaCampania è stato il Ninja più incredibile che io conosca, Alex Giordano.

Il tema era Le nuvole nel Paese del Sole, Cloud computing, augmented reality e open data, le previsioni dicono: nuvole all’orizzonte nel Paese del sole.

La citazione di Hanna Arendt dalla quale sono partito è stata questa: “discorso e azione sono le modalità in cui gli esseri umani appaiono gli uni agli altri non come oggetti fisici, ma in quanto uomini. Questo apparire, in quanto è distinto dalla mera esistenza corporea, si fonda sull’iniziativa, un’iniziativa da cui nessun essere umano può astenersi senza perdere la sua umanità.

La scaletta che mi ha guidato nei miei 5 minuti è stata questa:
Arendt – Discorso – Azione – Iniziativa – Umanità
Rapporto Uomo Macchina – Replicanti e Robot
Efesto e Pandora – Linux e Artigiani – Capacità di individuare e risolvere problemi
Processi di competizione collaborazione
Rapporto tra il talento (le persone) e l’organizzazione (le strutture)
Il lavoro ben fatto

Le mie fonti sono state:
Vita Activa di Hanna Arendt
L’uomo artigiano di Richard Sennett
Dizionario del Pensiero Organizzativo, The Riken way and EuropeLe vie del lavoro e Bella Napoli del sottoscritto

La mia domanda conclusiva è stata:
Se è vero, come pare sia vero, che le nuvole, i dati disponibili, la realtà aumentata grazie alla tecnologia ci permettono di avere più parole (discorso), di fare più cose (azione), di prendere più iniziative, possiamo affermare, e in che senso, che grazie alle macchine possiamo espremire di più e meglio la nostra umanità?

Mi piacerebbe che fossimo in tanti a rispondere alla domanda. Sì, vorrei scivere assieme a voi il mio primo saggio partecipato. Che dite, me la date una mano?

Fia e Pia

La scoperta di Fia e Pia la debbo a Gaetano, il terzo dei Moretti Brothers, il più bello dei maschi, quello nato negli ultimi giorni dell’anno di grazia 1962 mentre Nunzia non era ancora nata e io e Antonio stavamo facendo una partita di pallone se così si può chiamare la corsa di una decina di ragazzini e l’ansimare bavoso di un mastino napoletano appresso a un pallone in un campo da gioco regolamentare, quello del Secondigliano, porte da 7 metri a distanza di 100, sì insomma proprio quello dove i genitori dei nostri amici, i padroni del cane, facevano da guardiani.
Gaetano combatte con successo da un paio d’anni con la sua salute, il suo è uno di quei combattimenti così tosti che tu non hai bisogno di volergli un mare di bene e anche di più per dire “vaffanculo” alla vita e al senso, che tante volte veramente il senso non ce l’ha, ma tanto lui è indistruttibile, un artigiano straordinario, dal legno al ferro le cose nelle sue mani si trasformano, prendono vita, conquistano bellezza. Succede così anche quando suona, le percussioni, la chitarra, il sound scorre forte nelle sue vene, e persino quando gioca a pallavolo, ma di questo magari vi racconto un’altra volta, che adesso immagino vogliate sapere di Fia e Pia.
E’ accaduto questo agosto, Cinzia diceva delle sue traversie con il ferro, no, non vi preocupate, non si è messa ad aiutare Gaetano anche se penso le piacerebbe, trattasi del ferro che si fa diciamo così desiderare nel suo sangue, e Gaetano ha detto dell’ecografia che aveva da fare la settimana successiva.
E’ una cosa invasiva?, gli ho chiesto, no, non ti preoccupare, mi ha risposto, tutto quello che finisce con fia, ecografia, mammografia, urografia, sul momento non fa male, è quando finisce con pia, gastroscopia, colonscopia, rettoscopia che sono augelli senza zucchero, per la verità gli esempi sono miei che i suoi non me li ricordo e poi lui lo ha detto in un altro modo e ha fatto anche un movimento con la mano che ci ha fatto morire tutti dal ridere, ma qui va bene cosi.
Adesso non fate quell’aria di sufficienza, non è la solita fissazione del sociologo, è che Fia e Pia è una dicotomia che può essere utilizzata in una pluralità di contesti in maniera efficace, è meno manicheo di bene e male, di giusto e sbagliato, lascia aperte più possibilità, insomma la consiglio anche a voi. Sì, quando vi trovate in certe situazioni, all’ufficio postale, al comune, in fabbrica, chietevi se la situazione è Fia o è Pia e poi agite di conseguenza. Scommettiamo che vi troverete bene?

Mettere ‘a varca ‘a currente

Sì, con Beppe D.V. funziona più o meno così: la grande casa che accoglie le nostre sere; il pranzo della domenica, compreso il dolce o il gelato a seconda della voglia, e delle stagioni e poi naturalmente chiacchiere e caffé,  che quelle proprio non possono mancare; la mia telefonata “sotto sotto” che magari “last minute” fa più chic ma io non faccio sconti e perciò va bene così, per chiedergli se va a pranzo al solito posto che magari lo raggiungo, perché magari c’è lo sciopero dei lavoratori dei trasporti e di andare a Roma non se ne parla.
Diciamo che ieri è andata proprio così: mi sono fatto la mia bella salita a piedi, la funicolare centrale era “out” come tutto il resto, ho raggiunto Beppe alla sua bottega e l’ho trovato come se fosse già pronto che la sua weltanschauung semplicemente non prevede che sia proprio pronto quando tu arrivi.
Spaghetti con i lupini per lui, spaghetti con i polpi per me, acqua minerale liscia a temperatura ambiente che quella fredda che ti brucia la lingua non fa per noi, chiacchiere con i vicini di tavolo.
Adesso non mi chiedete come siamo finiti a parlare delle alici fritte che ho mangiato qualche giorno fa con Cinzia ad Arco Felice perché non me lo ricordo. Vi dico piuttosto del suo mare d’azzurro e d’argento, sì, proprio quello che ti può capitare di ammirare se sei bravo e fortunato e ti ritrovi immerso in un mare di alici azzurre, saltellanti, d’argento, e ti batte forte il cuore di fronte a tanta bellezza.
“Vicié, accade soltanto in certe giornate, con una certa corrente, ti devi trovare nel posto giusto nella maniera giusta nel senso che devi stare in pace con ciò che ti circonda, devi aver gettato il ferro, ma sì, l’ancora, in maniera tale da mettere ‘a varca ‘a currente, insomma non è facile ma quando accade è uno spettacolo”.
Adesso non mi chiedete com’è possibile che di fronte a un racconto così bello, che dico, assai più bello che come lo racconto io non è mica la stessa cosa, invece di chiudere gli occhi e viaggiare su un tappeto di alici volanti io abbia chiesto a Beppe “che significa mettere ‘a varca ‘a currente?”. Sì, non me lo chiedete che mi fate sentire male. Ma no, la questione non è la mancanza di animo poetico, diciamo che la voglia di sognare che ho preso dal papà operaio convive con la necessità di rimanere attaccato alla terra, sì, insomma alle cose concrete, che ho preso dalla mamma contadina, e poi aggiungiamo che nella realtà accade come nella poesia di Pablo Neruda, Siam molti, e così finisce che quando cerco in me il poeta trovo il contadino e viceversa. Uffa, insomma è andata così, voi lo volete sapere o no cosa vuol dire ”mettere ‘a varca ‘a currente”?, e allora zitti, e lasciatemi continuare.
“Vicié, quando con la barca ti fermi in un posto non devi gettare subito l’ancora, devi aspettare qualche minuto, sì, insomma, il tempo necessario alla barca per posizionarsi in direzione della corrente”.
E perché?
“Perché a far muovere la barca non è il movimento che vedi in superficie, ma quello che avviene in profondità, e se tu butti l’ancora e la barca poi cambia direzione quella può disincagliarsi, si può allontanare dal posto che hai scelto, puoi ritrovarti ad esempio su un fondale diverso da quello che avevi scelto per pescare un certo tipo di pesce e se stai lì per pescare quel pesce la cosa può essere un problema. Viciè, sono pochi minuti, tu aspetti che si mette nella posizione sua, getti l’ancora, e quella la barca non si muove, la corrente la tira sempre dalla stessa parte. Mò ‘e capito?”
Si. E ho capito anche tante altre cose.
Mettere ‘a varca ‘a currente mi piace. E mi piace anche il movimento provocato da ciò che accade in profondità e non da quello che si vede in superficie.
Eh no, non ci provate, perché mi piace non ve lo dico, in primis perché non è poi così difficile da capire, “in secondis” perché un’altra volta imparate a prendermi in giro per il mio attaccamento alle cose concrete, “in terzis” perché se dico tutto io voi nei vostri commenti cosa scrivete?
Buona partecipazione.

Ciao M.

Accade, certo che accade. Ma quando accade a una persona a cui vuoi bene fa male di più, magari non è giusto ma è umano, di più, viene naturale, ancora di più, “questa è storia”, come diceva lui quando voleva mettere la parola fine alla discussione diventata troppo accesa come certe sere di agosto tra lui, socialista libertario, e noi, comunisti italiani sì ma sempre comunisti, ma sì quelli della serie viene prima l’organizzazione, il partito, e poi le persone, cosa che per lui, uomo profondamente libero, era semplicemente inconcepibile. Intendiamoci, mica che avesse ragione sempre lui, ci mancherebbe altro, è che adesso questo proprio non importa, se proprio ci tenete vi posso dire che a un certo punto ho odiato anche il povero Ignazio Silone e persino il suo meraviglioso Fontamara, sì proprio il romanzo sul quale avevo fatto la tesina al diploma di istituto tecnico e che aveva contribuito a farmi avere il 53/60 più immeritato della storia, soltanto perché lui lo usava ogni volta come emblema dell’illiberalità e del totalitarismo comunista. Accade, certo che accade. Ma quando accade ti salgono le lacrime agli occhi e non se ne vanno neanche se le togli via. Sì, accade che ripensi alle passeggiate tra C. e C.,  a quei 10 chilometri tra andata e ritorno per comprare il giornale e fare un pò di chiacchiere intorno a noi e al mondo. Accade che ripensi a Brescia, a uno dei primi viaggi da fidanzato, al colonnello dei carabinieri che guarda strano ai tuoi 20 anni, ai capelli lunghi e al tuo eskimo innocente  mentre M.,  in quegli anni in prima fila nella lotta al terrorismo, gli spiega con il suo sorriso ironico che sei “nu buono guaglione”.  Ripensi a quella volta che ti ha spiegato che un magistrato non è uno che decide se l’imputato è colpevole o innocente, che per quelle cose lì ci vuole il Padreterno, che  chi fa il suo mestiere decide “semplicemente” se sulla base delle prove che emergono dalle indagini e dal processo l’imputato può essere considerato colpevole o innocente. Sì, ripensi al suo attaccamento al lavoro, alla sua voglia di farlo bene sempre, al suo distacco da ogni forma di fanatismo, al suo rigore, e ti dispace ancora di più. Accade, certo che accade, accade che una persona a cui vuoi bene  e che da pochi giorni è in pensione se ne vada a dormire la sera e non si svegli più. Accade che pensi che non è giusto anche se alla tua età l’hai imparato che in queste faccende qui la giustizia non esiste, accade che pensi che in fondo ci vuole culo a morire così eppure non ti passa, accade che pensi a S. e a M. e ti dici loro stanno molto peggio di te e ti dispiace un sacco ma neanche questo ti basta.  Sì, accade che ci vuole tempo perché ti scenda giù e va bene così, tanto poi il dolore passerà, resterà il ricordo, e questa è davvero storia, proprio come avrebbe detto lui. Ciao M.

Di mamme ce n’è una sola

Anno di grazia 1993. Dicembre.
Ferdinando ha 4 anni.
Si inginocchia davanti al presepe, congiunge le manine e comincia a pregare:
Madonnina mia, tu sei la mamma di tutte le mamme, tu sei la mamma di Gesù, ti prego falla morire.
Mia madre è una strega.

Anno di grazia 2007. Maggio.
Nel giorno della festa della mamma, Luisa, madre di Ferdinando, racconta divertita l’episodio.
Sottolinea orgogliosa che il ragazzo in questione, che ha appena compiuto 18 anni, è letteralmente pazza di lei.

La morale della storia (vera), se ne avete voglia, provate a scriverla voi.