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Avitabile, Cofferati, Geronazzo, Pepicelli, Annibale

enakapata3Enzo Avitabile: Credere nei sogni e nelle probabilità. In questo libro c’è questo. Attraverso il viaggio voi credete nel sogno e nella probabilità dell’incontro. Il che significa dire la verità. Io i miei miti li ho incontrati tutti. Dal primo all’ultimo. Io stasera per rendere omaggio a questo evento e a questo libro io vi voglio far sentire una devozione dialettale nostra antica. L’idea è quella di usare lo strumento lì dove non arriviamo con le parole. La contaminazione è anche questo, lo scambio è anche questo. Sono convinto che tutto questo sia in sintonia con Enakapata, un libro che parla di una città diversa, di una Secondigliano diversa, un cemento che si muove verso il futuro nel rispetto di una storia, di un passato, di una cultura.

Sergio Cofferati: Luca e Vincenzo un po’ di risposte ce le hanno date. Un po’ di reticenza rimane ma è comprensibile,  dato che non è sempre semplice rendere noto il percorso che nella testa di ciascuno di noi inizia e porta a delle conclusioni come sono quelle materiali di un libro che consegna il tuo pensiero agli altri e dunque alla loro lettura, alla loro interpretazione.
Io credo che per stasera possiamo accontentarci, poi la curiosità si risolve attraverso la lettura e, d’altro canto, se avessimo capito tutto i poveri autori sarebbero palesemente danneggiati.
È giusto invece lasciare un robusto fondo di curiosità al lettore se deciderà, come spero, di diventare tale. Poi vedremo tra qualche tempo quale sarà stato il grado di accoglienza (non per contare il numero di copie vendute; guardate, questo è ovviamente importante per loro, ma forse non è la cosa più importante).
Siccome l’editore li ha stimolati a commettere questo atto del quale porteranno poi anche delle conseguenze, vedremo se sarà invogliato a chieder loro di ripetere la stessa esperienza in un altro luogo e magari in un altro modo.
A me piacerebbe molto un approccio rovesciato, che cioè al prossimo giro Luca si occupi dell’argomento che in un modo o nell’altro è connesso al lavoro e che invece al suo povero babbo che avrà, come ha già adesso, un’età nella quale merita un po’ di rispetto, sia dato invece lo spazio per il tempo libero, la possibilità di dare sfogo alle sue curiosità anche senza restare vincolato al necessario aplomb di chi, occupandosi di scienza e interloquendo con persone di cotanto senno come quelle di cui si parla libro, è inevitabilmente portato ad avere.
Dunque, vi ringrazio della vostra presenza e se l’editore è d’accordo appuntamento in qualche luogo al prossimo libro nella formazione che decideranno loro.
Lo dico perché a me il libro è piaciuto molto, vi ho trovato elementi di novità nella forma e nel contenuto che non sono affatto disprezzabili. Mi sentirei, cosa che non faccio molto di frequente quando mi capita di presentare qualche libro, di sollecitare esplicitamente gli autori a riprovarci.
Negli altri casi non dico niente, e tanto basta. Qui invece c’è davvero un elemento di novità che varrebbe la pena di sviluppare, di approfondire, passando ancora per il vivere assieme, per  qualche altro viaggio, per qualche altro pezzo della vita in comune tra padre e figlio.
Poi, perché no, c’è anche un altro fratello, Riccardo, che magari, avendo da quel che mi ricordo un carattere un po’ più irriverente, possa essere nei confronti del padre un po’ meno gentile di quanto non sia stato Luca. Grazie, buona serata e buona lettura.

Renzo Geronazzo: Gli autori affrontano il tema, fondamentale per il nostro futuro, della ricerca scientifica e dell’innovazione con leggerezza e tono disincantato ma, nel contempo, con estremo rigore intellettuale.

Geremia Pepicelli: Ciao Vincenzo, ti scrivo per trasferirti qualche pensiero ed emozioni suscitate dal tuo ultimo lavoro. Tutti noi, in maniera più o meno consapevole, attraverso la lettura siamo alla ricerca di conferme, rassicurazioni, risposte suscitate dal nostro vissuto quotidiano, qualcosa che si agganci alla nostra vita e quanto più questa operazione risulta efficace tanto più la lettura ci restituisce soddisfazione: tutto ciò si è magicamente riproposto nella lettura di “Enakapata”. A cominciare dall’emozione intensa di pensare ad un’esperienza così importante prima vissuta e poi tradotta in un libro insieme ad un figlio; ho una figlia di 21 anni con la quale spesso ci confrontiamo su mille temi ed è stato bellissimo vivere attraverso la vostra esperienza una simile possibilità, fatta di differenze e di sinergie, visioni a confronto e grande affetto. Penso che Luca sia proprio fortunato ad aver recepito attraverso di te il messaggio di apertura che tuo padre ti aveva così teneramente consegnato.
Ogni giorno vivo nella mia Azienda esattamente la stessa frustrazione che hai descritto nel confrontare il sistema di ricerca giapponese con quello che esiste in Italia. Ogni giorno le persone attive, competenti e “per bene” di questo nostro paese si scontrano con qualcosa che sembra sovrannaturale e gli impedisce di creare esattamente le stesse condizioni organizzative che hai trovato al Riken. Sembra tutto impossibile e distante ma tutti noi sapremmo cosa fare se non ci venisse impedito con una pressione invincibile da un potere economico-politico teso al mantenimento di posizioni di potere personale anziché del benessere collettivo, l’imposizione della raccomandazione che schiaccia costantemente la meritocrazia. E se l’Italia sembra culturalmente ed organizzativamente lontana dal Giappone, Napoli lo è almeno altrettanto dalle migliori esperienze italiane. E quindi, attraverso il vostro libro siamo qui ancora una volta a chiederci cosa fare: come la cambiamo la situazione? Tu lo dici e noi lo sentiamo che “si può fare”. Forse una strada semplice e concreta è quella che ci avete suggerito indirettamente nel libro; apriamo gli orizzonti ai nostri ragazzi, diamogli la possibilità di vedere e toccare con mano come è possibile “fare bene”, come si sta bene in una società dove il rispetto degli altri e del  bene comune è un valore fondamentale e che non grava per niente sui singoli. Facciamoli uscire dal torpore stucchevole di una cultura folkloristica che ricopre, con una patina invisibile eppure coriacea, tutta la nostra esistenza, sociale e lavorativa. Forse quando torneranno, se torneranno, avranno qualche strumento in più, sapranno ancor più “cosa fare”. Vincenzo, Luca, un grazie infinito per il vostro lavoro.

Vincenzo Annibale: La prima “orecchia” si trova a pagina 30, l’ultima a pagina 195, la penultima del libro. Avevo adottato il vecchio metodo (piegare le pagine nell’angolino in alto) per segnalare le cose più interesanti. Alla fine sono una ottantina quelle che resteranno per sempre con l’angolo piegato. Tante chicche inserite in un libro che per fortuna ho letto ed ho trovato ricco di notizie, di suggestioni e di riflessioni.
Si racconta anche di un padre e di un figlio, del mantra della pastiera, di treni che fanno i treni, di come la spazzatura prodotta a Tokyo da 35 milioni di persone viene raccolta senza drammi, ma si parla soprattutto di genio e caso che si alleano, di cultura del merito, di funzione sociale della scienza, di rispetto per il lavoro e per chi lavora ad ogni livello, di educazione intesa come cultura, del vedersi riconosciuti i risultati raggiunti, di rispetto delle regole.
Purtroppo non si racconta dell’Italia. Si parla di Giappone visto con gli occhi di un padre ed un figlio curiosi di conoscere e di farci conoscere un altro mondo, una cultura, una civiltà distanti anni luce da noi e non per questioni di chilometri.
L’ultimo appunto di viaggio riguarda ovviamente il ritorno a Napoli e racchiude una frase che da sola spiega la sensazione che si ha leggendo Enakapata: se partire è un po morire, talvolta è vero il contrario.

Annibale, Maxtraetto, Orlando, Ugolini, Pennone, Potecchi, Splendore

enakapata3Vincenzo Annibale: Fino al 10 marzo è una chicca. Avevo deciso di piegare le pagine interessanti per poi commentarle. Fino ad ora ho fatto una novantina di “orecchie”. Dopo il 31 marzo mi mancherà il giappone (è anche un invito al visitarlo insieme a tante altre affascinati cose, che poi dirò tutte insieme). C’è da sperare che socializzi altri viaggi.

Maxtraetto: Il fil-rouge sella serendipità è la vera capata che sconvolge le mie sinapsi da un po’ di tempo. Destino, fato, caso, dharma, coincidenza, occasione, opportunità, parole che all’inizio credevo sinonimi di serendipità. Se non accompagnate da: attenzione, apertura mentale, storia, organizzazione, desiderio, potrebbero esserlo ma la capacità di mettersi continuamente in gioco è l’anello mancante. Con l’umiltà di chi apprezza gli insegnamenti e con la voglia di affrancarsi da pensieri che si ritengono fondamentali. Per me bella la coincidenza dell’arrivo del vostro libro con le riflessioni che stavo facendo intorno a “carpe diem”.
Un abbraccio.
http://solchi.blog.dada.net/

Valerio Orlando: Carissimo Vincenzo, solo per dirti che mi porto il tuo libro (e di tuo figlio!) in giro per Roma e per il mondo. Bello. Bellissimo. Cerco di non leggerlo con gli occhi di chi sa. E mi riesce facilissimo. Ma più che i contenuti e i luoghi che conosco e riconosco, mi godo proprio la scrittura. Quell’insieme di riverberi che rivelandosi o celandosi, raccontano ora l’uomo e ora l’artista. Spero di sentirti presto. Un abbraccio. Valerio

Bruno Ugolini on l’Unità del 6 Aprile 2009

Domenico Pennone: Da non perdere. Il viaggio che tutti vorremmo fare. Portandosi dietro molto passato e tanto vissuto, cercando quello che altrimenti non potremmo nemmeno immaginare. Enakapata, il libro di Vincenzo e Luca Moretti, padre e figlio è tutto questo e tantissimo altro ancora. Un viaggio cosi bello, così avvincente che fatichi a non pensare che sia finto. E invece è tutto vero, raccontato con passione ironia e a tratti anche con un pizzico di sana malinconia.
MetroMagazine

Alessia Potecchi: Cari Vincenzo e Luca, sono contentissima di partecipare alla presentazione del vostro libro a Milano, la mia città, e vi ringrazio molto per avermi invitata. Ho trovato la vostra pubblicazione molto affascinante e nello stesso tempo fresca e originale. Leggendo sembra di compiere il vostro viaggio e ci si trova immersi nella cultura giapponese scoprendo tanti aspetti sociali e culturali che fanno riflettere a confronto con il nostro quotidiano. Trovo che il libro offra diversi spunti di riflessione e sia un’ottima lettura che incuriosisce sempre di più strada facendo…..Tanti tanti complimenti, vi auguro un grosso successo e sono sicura che sarà così! A presto.

Nunziante Splendore: Cosa ha spinto un sociologo napoletano a lasciare per un mese il suo lavoro, le sue abitudini, i suoi affetti più cari per trasferirsi in Giappone ad intervistare, a scoprire, ad annusare, condividere e integrarsi in un mondo completamente diverso dal suo? La risposta in questo libro, Enakapata, scritto da Vincenzo e Luca Moretti, padre e figlio. Già ma cosa vuol dire enakapata e perché? Enakapata è un verso nippo napoletano inventato dagli autori, che vuol dire è una capocciata, una cosa da urlo, uno sballo qualcosa di diverso dall’ordinario, qualcosa che ti fa capire quello che avevi sotto il naso ma non avevi mai riflettuto. Ne esce fuori un diario, il racconto di una vita, un grido di dolore, un grido di conforto e di smarrimento e di ritrovamento, quasi un urlo di speranza verso il futuro. Ho intravisto un doppio livello di lettura in questo libro: il primo come fanno gli scienziati a scoprire l’imponderabile, il secondo livello è solo vivendo intensamente che possiamo realizzarci. Il professore Moretti ci rassicura e ci tranquillizza. Tutto funziona per genio e per caso. L’importante è capire, dare un senso ad un insieme di flussi che ci travolgono, ci invadono ci sfiorano, ci arricchiscono. Un po’ come vivere in un ambiente straniero ostile e completamente diverso dal nostro e dare un senso a ciò. Il libro ci indica due vie la prima razionale la seconda ancora da studiare: imparare l’inglese e scoprire che non è di grandissima utilità per la vita quotidiana giapponese, la seconda aiutarsi con il genius napoletano, il tutto condito con un metodo di lavoro straordinario: 17 ore filate di lavoro come un vero giapponese. Tutto ciò si scopre leggendo Enakapata, storie di strada e di scienza da Secondigliano a Tokyo. Alla fine del libro due domande: la prima: che tipo di diario poteva scrivere un ipotetico scienziato giapponese in missione in un centro di ricerca napoletano; la seconda: Paghiamo per dieci anni una ventina di alte teste giapponesi pensanti e mettiamoli al servizio della ricerca italiana ne uscirà qualcosa di diverso oppure no?