[…] Luca un po’ si diverte e un po’ fa la faccia modello «pà, questa già l’hai raccontata 1387 volte». Comincio a parlare di zio Peppino, fratello di mamma, operaio alla Richard Ginori, naturalmente comunista, grande appassionato di musica lirica, di parole crociate e di Totò.
Sia chiaro. Quando dico grande appassionato voglio dire grande appassionato. Nel senso che alla terza nota era in grado di dirti di quale opera si trattava, chi aveva scritto il libretto, in che anno era stata musicata, dove era stata rappresentata la prima volta, quali erano stati gli interpreti maggiori; nel senso che partecipava e non di rado vinceva ai concorsi de «La Settimana Enigmistica»; nel senso che poteva ripetere pressoché a memoria le scene principali di tutti i film di Totò. Roba da Lascia o Raddoppia, per intenderci.
Zio Peppino non si era mai sposato e già questa, in famiglie come la nostra, in anni nei quali «essersi sistemato» equivaleva a dire aver trovato un lavoro e aver messo su una famiglia, era una stranezza. Ma la cosa ancora più strana era che proprio lui, il comunista eccetera eccetera, si era arruolato volontario. Come gli era venuto in mente? Cosa c’entrava lui con la guerra d’Etiopia? Io e i miei fratelli a zio Peppino abbiamo voluto come si dice un bene dell’anima, ma la confidenza per domandargli perché, quella no, non l’abbiamo mai avuta. Così quando zio Peppino approda al Pantheon degli uomini semplici la domanda se ne va con lui. Almeno così ho pensato per circa vent’anni. Fino a che una mia cugina, non ricordo se in occasione di un battesimo, un matrimonio o un funerale, non dice che le sorelle di casa Picano, sei in tutto, proprio come quelle della gatta Cenerentola, si sono potute sposare solo grazie a zio Peppino.
In che senso? – le chiedo. Nel senso che i nostri nonni erano talmente poveri che le figlie, nonostante fossero tra le più belle del paese, non avendo nulla che potesse anche lontanamente assomigliare a un corredo o a una dote, non si maritavano.
Fu così che zio Peppino partì per l’Africa e con i soldi guadagnati fece il corredo alle sei sorelle. Ora non sosterrò che Luca si è commosso, lui che quando gli ho detto che se mi succede qualcosa gli toccherà prendersi cura di me mi ha risposto «già il verbo è sbagliato, quello giusto non è curare, ma terminare», ma sono certo che la storia gli è piaciuta. In fondo fa lo sprucido per darsi un tono. Anche se in effetti la cosa gli riesce molto bene. […]
Archivi tag: Cofferati
Ciuccio ’e fuoco
Me lo disse papà che ero ancora bambino. La chiamavano «Ciuccio ’e fuoco» per quella sua innata tendenza ad attaccar briga, per quel suo carattere ribelle, per quello che una donna poteva ribellarsi ai suoi tempi. Io però la ricordo soprattutto per il suo affetto. Per l’uovo di papera a zabaione con “una” goccia di marsala che mi preparava quando passavo per casa sua prima di andare a scuola alla Masseria Cardone, (sarà stato l’uovo, lo zucchero o il marsala a “gocce”, ma i miei professori delle medie si sono ricordati per un pezzo della mia, chiamiamola così, “vivacità”). O per la visita del 5 aprile, giorno di san Vincenzo, quando affrontava un viaggio a piedi di quasi 3 km, lei sempre più anziana e claudicante, io sempre più vicino al traguardo dei 18 anni, per portarmi in regalo un pacco di biscotti, perché il “Santo va rispettato” e perché, come quasi tutti i miei coetanei primogeniti, portavo il nome del nonno.
Era famosa anche per i suoi modi di dire, quelli ufficiali, come «’e sfuttute vann ’mParavìso», e quelli fatti in casa, come «’e figlie quanno se fanno gross addeventano parient laschi» o, rivolto a Davide, figlio di mio fratello Gaetano, che non vedeva da tempo «ah, tu sì nù Moretti, bravo, crescete e moltiplicatevi».
Un esempio puro di comicità il «Pascà, mò è murì solo tu» con il quale abbracciò piangendo mio padre il giorno della morte dell’amata sorella Maria, che le valse il gesto prosaicamente scaramantico di papà e il secondo e definitivo soprannome di «Highlander» (ne resterà una sola). Per non parlare delle visite domenicali al cimitero con regolare sediolina pieghevole nel corso delle quali prendeva in giro fino all’irrisione e oltre il marito morto che l’aveva tormentata per una vita intera.
Lei era fatta così. Prendere o lasciare. C’è che nella mia vita è stata una persona importante. E mi piace ricordarla qui.
p.s.
Se avete letto il libro lo sapete già, lei è, era, Zia Concetta.
Penitenti, Monini
Monica Penitenti: Ho conosciuto VIncenzo, ho visto Luca quando era piccolino una volta, adoravo nonno Moretti e ho goduto della generosa ospitalità della casa di Cellole più d’una volta quando ero poco più che una bimba. Eppure non è stato il ritrovare nel libro quei personaggi, quei luoghi o alcuni dei figuri di Secondigliano che pure incontrai, a farmi amare il vostro libro. Ho amato la tenera ipocondria, carattere di famiglia, il bisogno di un cibo conosciuto, bisogno tale da eleggere il posto “delle ragazze” a casa giapponese, l’approccio al rigore nipponico, l’interesse per la ricerca che insieme ad altre molte cose mi hanno fatto bere le pagine velocemente e lievemente. Ancora l’andamento iniziatico del viaggio di un figlio che ritrova (lo ritrova?) un padre dalle molteplici apprensioni di padre partenopeo fino al midollo…
Enakapata mi ha divertito, interessato e ispirato. Grazie per aver fatto di quel viaggio a due, un viaggio per molti di noi. Il fascino e le contraddizioni del Giappone, partendo dal citato libro di Fosco Maraini, arrivando ai classici di Tanizaki, per approdare all’estrema Yoshimoto, passando per Murakami esercitano su di me suggestioni durature. Il punto di vista partenopeo del mondo nipponico mi mancava: resterà con me altrettanto a lungo.
Barbara Monini: Caro Luca, sono Barbara (Waschimps in realtà), cara amica di Carmine Rubino e Rita Palena.
Quando vi hanno incontrati a Bologna mi hanno riportato questa meraviglia, con tanto di dedica … e mi si è appicciato il cervello. Lo hanno fatto apposta, perchè mi occupo da anni di Giappone, è una passione di vita e di lavoro. Sono molte le cose che vorrei dirvi, ma non credo che basterebbe postarle sul blog … faccio prima ad annotare il libro ad ogni pagina.
Ma soprattutto questo progetto può e deve continuare, ed ampliarsi, e sarei molto felice di potervi essere utile.
Ti aggiungo che sono di Napoli e in partenza a luglio di nuovo per Tokyo dove inauguriamo una mostra stupenda all’Istituto di Cultura. Fatemi sapere voi in quale modo eterico o spaziotemporale possiamo entrare in contatto.
Un abbraccio forte, Barbara.
Ruggiero, Cati, Stazi, De Luca
Antonio Jr Ruggiero: Cartoni animati cruenti, pesce crudo da mangiare e il Karate di Bruce Lee (che, tra l’altro, era di origini cinesi): gli stereotipi nostrani sulla terra del sol levante sono più o meno questi; come accade da altre latitudini, quando, pensando a noi italiani, parlano di pizza, spaghetti e mafia e la cosa non ci fa tanto piacere. Il libro “Enakapata – da Secondigliano a Tokio”, scritto a quattro mani dagli autori partenopei Vincenzo e Luca Moretti, racchiude in sé tanti significati, tra questi, anche l’intento di approfondire nel migliore dei modi la conoscenza di una cultura tanto lontana e tanto etichettata dagli occidentali. […]
Leggi su Futura l’intero articolo di Antonio Jr Ruggiero
Sergio Cati: Enakapata è un libro che si legge con grande piacevolezza e che mi ha ricordato i miei viaggi a Osaka.
Danilo Stazi: Caro Enzo, sono in aereo, riparto per l’India mentre leggo, interessato e onorato, il vostro libro. Ci sentiamo presto.
Valentina De Luca: Ho letto il vostro libro che mi sembra vi somigli molto: è serio e divertente, fuori dalle righe. Soprattutto interessante la capacità di mettersi a nudo, cosa che nessuno fa più, terrorizzati come siamo dalla possibilità di scoprire il fianco.
Titti and me
L’arbitro aveva dato il fischio di inizio già da qualche minuto (a proposito, abbiamo avuto ragione io – quando una squadra supera le semifinali pareggiando al 93° poi vince la coppa – e Mou – Manchester sicuro finalista ma la coppa è della vincente tra Chelsea e Barcellona – ) quando ho scritto a Titti Cimmino via Facebook “mi mandi qualche riga su enakapata?, naturalmente quando finisci di leggerlo. e se ne hai voglia. un saluto affettuoso. a prescindere”.
Dopo pochi minuti la risposta, che ho letto solo stamattina nonostante sia riuscito a perdermi la diretta del primo gol del Barca.
“Ciao Vincenzo, a prescindere, ti avrei scritto qualche riga. E sarà fatto.
E’ un NonDiario … la prima “capata” è stata la foto sulla prima di copertina: è stato come sfondarmi l’immaginazione … uno stare al di quà di quelle vetrate che mi spingeva di là.. e il desiderio è stato di affacciarmi sul Centro Direzionale … poi, sforzandomi e forzando l’immaginazione a farsi reale, ho visto che al di là c’era un altro mondo … un Altrove .. .quell’Oriente che stiamo lasciando nella corsa affannosa (verso dove cosa?) e nella razionalità dei conteggi (di link e denaro e di popolarità) fatti di somme (mentre dovremmo sottrarre) senza accorgerci che al tavolo c’è Chi a tempo debito “farà Banco”.
E per serendipity ho trovato in quel nonDiario qualcosa che non riesco ancora a decifrare ma che “mi chiama” … continuo il mio “viaggio” tra le vostre pagine … Un diario fatto di pagine scritte talvolta a distanza di molti mesi. Pagine che come calamita mi costringono ad entrare in ogni periodo, ogni parola … forse a voler cercare il “sistema organizzativo”, forse a voler ostinatamente scoprire ciò che invece viene da sè … per serendipitty.
ti scriverò presto. un caro saluto a te.
Titti
Cosa aggiungere ancora?
Che già così mi sembra bello e incredibile. Così come mi sembra incredibile che persone che ancora non ho conosciuto “realmente” siano così gentili e disponibili. Persone come Titti. O come Giorgio Fontana. Che ha pensato e organizzato la presentazione di Enakapata a Torino. Di Giorgio vi racconterò presto. Per adesso grazie di cuore Titti.
Gnerre, Potecchi, Pirone, Casillo
Edmondo Gnerre: Complice l’essere fresco di un viaggio a Tokyo, la lettura di Enakapata è stata estremamente interessante. L’ho acquistato dopo la presentazione fatta a Benevento e l’ho letto tutto d’un fiato in poche ore: prima a Milano durante l’attesa per il rientro a Napoli (con due ore di ritardo), poi al mare, sulla spiaggia di Paestum. Ho apprezzato soprattutto la freschezza del linguaggio e l’acuta osservazione del Giappone, che è davvero un altro pianeta!
Alessia Potecchi: Ho trovato Enakapata interessante, fresco e originale. Non soltanto per i contenuti ma anche per la stesura grafica di diario incrociato e alternato, dove si intersecano molto bene le diverse esperienze dei due autori durante il viaggio in Giappone: quella di Vincenzo, incentrata sul discorso professionale e quindi legata alla ricerca, e quella di Luca, che ci fa immergere nella storia e nella cultura nipponica con una descrizione di storie e luoghi visti con gli occhi da ragazzo.
Un diario giapponese che riesce a fondere originalità ed intelligenza, situazioni e personaggi creando pagine che attirano, coinvolgono, stupiscono, fanno vivere in prima persona il viaggio dei protagonisti.
Nel titolo, originalissimo, è racchiuso gran parte del significato di questa pubblicazione: “Enakapata” una parola nippo-napoletana, inventata dagli autori, che vuol dire “una capocciata”, una cosa da urlo, che stupisce e che è fuori dall’ordinario. Proprio partendo dal titolo vorrei analizzare alcuni aspetti che ho trovato belli ed interessanti.
Come dicevo, lo stupore che accompagna questo viaggio è di due tipi:
il primo, di carattere scientifico e tecnologico, ci permette di conoscere la realtà di questo super-centro di ricerca, il Riken, dove si è a contatto con gli strumenti e macchinari giusti per fare ricerca con una quantità di risorse e una qualità di risultati impensabili qui da noi in Italia. Lascia davvero a bocca aperta l’organizzazione giapponese in materia di ricerca: rispettare le regole, privilegiare la qualità, l’autonomia, la capacità di assumersi delle responsabilità importanti e premiare il merito ad ogni livello della scala gerarchica, insieme al confronto, al gioco di squadra di chi ha la capacità di collaborare ed interagire con altri team. Una realtà che ci stupisce e che dà una grande lezione al nostro paese ma anche all’Europa per quanto riguarda le risorse e gli investimenti dedicati alla ricerca. Incredibili le interviste fatte da Vincenzo per i contenuti, la descrizione di scenari lontani anni luce da noi e dalle possibilità così poco incoraggianti date ai nostri giovani ricercatori che, pur essendo spesso molto bravi, sono costretti a cercare lavoro all’estero. Segnalo inoltre la storia della Serendipity cioè dell’importanza del dato imprevisto e anomalo che diventa strategico nel progresso scientifico, proprio come racconta Carninci in una delle interviste.
Poi c’è l’altro tipo di viaggio, la “capocciata” di Luca che va alla scoperta delle meraviglie e delle curiosità della cultura giapponese. E ancora una volta lo stupore, il fatto straordinario, ci fa vivere la storia del Giappone anche qui con i suoi aspetti e le sue realtà così distanti dai nostri luoghi a dal nostro quotidiano. Belle e intelligenti le descrizioni della vita in Giappone, dei suoi monumenti e tesori ricchi di arte e storia millenaria. Ma anche molto coinvolgenti e divertenti gli aspetti che riguardano i negozi, lo shopping e la cucina giapponese.
Trovo poi che nel libro ci sia molto, anzi moltissimo, di Vincenzo, della sua storia personale, della sua esperienza professionale e del suo impegno nel sindacato.
Trovo che questo aspetto sia molto bello; quando in un libro come questo, che descrive un viaggio, emerge così bene e così forte la storia di chi scrive vuol dire che il lavoro è un lavoro ben fatto, fatto e scritto con il cuore, come tutto quello che Vincenzo fa. Ne esce uno spaccato di vita e storia personale dove c’è un grande amore per le proprie origini e per la propria terra. La sua Secondigliano che porta sempre con sè. E poi la sua famiglia, molto commovente quando parla di suo padre e dei suoi insegnamenti. Viene poi fuori il Vincenzo sindacalista che ha a cuore il lavoro e la condizione dei lavoratori proprio a partire dalla realtà della sua terra. Ci viene qui in mente, visto che Vincenzo dirige un’importante sezione della Fondazione Di Vittorio, proprio Giuseppe Di Vittorio e il suo insegnamento. Nella sua lunga militanza e nel suo impegno che lo hanno portato ai vertici del sindacato non ha mai dimenticato, nei suoi scritti e nella sua azione, la sua terra del Sud dov’è nato e cresciuto e non ha mai dimenticato la sua gente, l’ha sempre portata con sè. Accanto a questo aspetto ho ritrovato poi nel libro l’ironia bellissima di Vincenzo, la sua semplicità e modestia e poi una caratteristica importante che ci accomuna: il tifo sfrenato per l’Inter.
Questo è quello che io ho colto in questo libro, viaggiando con gli autori pagina dopo pagina.
Francesco Pirone: Un diario di viaggio doppio, nel senso che il libro, scritto a quattro mani, alterna le pagine dei diari di viaggio dei due autori, padre e figlio, che vivono insieme. I diari iniziano dal difficile quartiere di Secondigliano a Napoli, per poi svilupparsi attraverso il racconto dell’esperienza di viaggio in Giappone che per Vincenzo, il padre, è l’occasione per raccogliere materiali per uno studio sociologico sull’organizzazione di un centro di ricerca d’eccellenza mondiale – il Riken – dove lavora il premio Nobel per la chimica Ryoji Noyori. Per Luca, il figlio, invece, è l’occasione per approfondire il suo interesse per la cultura giapponese e per supportare, moralmente e soprattutto praticamente, il padre nella sua impresa. La redazione del diario diventa l’occasione, attraverso il tipico sguardo comparativo dei viaggiatori, per riflettere e mettere a confronto la terra di partenza – Napoli e l’Italia – con quella d’arrivo – Tokyo e il Giappone. Ma il libro offre di più. Propone un doppio sguardo, parallelo, che è indicativo non solo di un diverso interesse verso la cultura nipponica, ma forse anche di una diversa sensibilità generazionale: da una parte il figlio che, da cultore della civiltà nipponica, si sofferma sulle tradizioni e sulle pratiche di vita contemporanee che osserva nei diversi ambienti di Tokyo; dall’altra parte, il padre che, da ricercatore sociale, osserva il Giappone soprattutto attraverso il filtro della sua ricerca sull’organizzazione dei centri di ricerca d’eccellenza e sul ruolo che in essi ha la serendipity. Nel racconto, tuttavia, emergono le personalità dei due autori, la loro umanità e il loro modo di approcciare il viaggio e il confronto, non sempre facile, con la propria e le altre culture, in una narrazione della vita quotidiana dove si evidenzia chiaramente la centralità di internet, sia per le pratiche di lavoro, sia per la cura dei rapporti personali.
on Quaderni d’altri tempi
Antonio Casillo: Un racconto di parallelismi. Un diario di viaggio e lavoro. Di leggerezza e contenuto. L’Italia e il Giappone, Secondigliano e Tokio. Padre e figlio, l’integrazione e la sorpresa. Sparta e Atene, ma anche l’essere ed il poter essere. La ricerca e la scoperta serendipitosa. Collaborazione e competizione.
Enakapata è un continuo incitare al nesso. Alla ricerca dell’insight, del collegamento illuminante, che si svela senza mai preavviso, ma solo a chi lo cerca con caparbietà e lucidità. Con intraprendenza, ma con organizzazione.
Chi nun tene curaggio …
Bologna, 23 Aprile 2009
Come molte delle cose che mi accadono anche questa comincia un pò per genio e molto per caso.
Nel corso dell’ultimo anno Sergio l’ho incrociato più volte e sulle “principali” l’ho trovato tranquillo, per certi versi persino rilassato. Forse Bologna la rossa e fetale non lo ha amato come merita. Forse è stato lui che non ha saputo farsi amare di più. Ma in fondo io devo soltanto chiedergli se gli va di presentare il libro.
Ne parlo con Angelo Lana. Mi dice che l’idea non gli dispiace. Mi dico che è difficile che mi ricapiti la fortuna di un editore così. Chiedo il numero alla mitica Magda. Chiamo. Gli dico che ho scritto assieme a mio figlio Luca un libro che racocnta la nostra esperienza in Giappone. Gli chiedo se ha voglia e tempo di presentarlo. Mi dice subito si. Aggiunge che le Librerie Coop gli sembrano il posto giusto.
Metto in moto la macchina. Fila tutto liscio. Fino ad una settimana prima della presentazione. Quando mi viene in mente che lui è il Sindaco di Bologna. Che per quanto il libro sia bello io e Luca a Bologna non siamo certo delle celebrità. Che se non viene nessuno alla presentazione faccio una pessima figura.
Scatta il Piano Plus. Coinvolgere mio fratello Antonio, che a Bologna vive da più di 30 anni. Torturare la mia amica Roberta Della Sala, che a Bologna ci è arrivata da un anno per la laurea magistrale dopo la laurea triennale a Salerno. Chiedere aiuto a tutti gli amici reali e virtuali che in qualche modo hanno o hanno avuto a che fare con Bologna. Una per tutti. Cristina Zagaria. Che prima di approdare a la Repubblica Napoli ha lavorato alla redazione di Bologna. Per aiutarmi invia mail e mette annunci su Facebook. Mi sembra incredibile e invece è vero.
Nel treno verso Bologna continuo a ripetermi che funzionerà, ma il fatto che me lo ripeta non serve certo a tranquillizzarmi. Sento Cinzia. Lei e Luca sono già in albergo. Li raggiungiamo. Mettiamo via i bagagli. Andiamo a fare un giro in centro. Incontro Roberta. Poi Alessandro Pecoraro di Oltregomorra, con il quale conto come Fondazione Di Vittorio di organizzare una serie di iniziative sul tema legalità, lavoro, diritti. Parliamo di un sacco di cose. Ma io penso sempre alla stessa cosa.
Piove. Facciamo un giro. Non piove. Ancora un giro. Piove ancora. Meglio andare in libreria.
Non c’è ancora nessuno per la presentazione, ma manca ancora mezzora. Cinzia e Roberta chiacchierano. Io vado avanti e indietro come un carcerato.
Mi maledico e poi mi maledico ancora. Mi ripeto che le presentazioni dei libri le devono fare gli scrittori veri, quelli che loro arrivano, fanno i tipi “sostenuti”, firmano autografi, trovano tutti là che pendono dalle loro labbra, non come me che a momenti devo preparare anche il tavolino con le sedie mentre Luca già da 3 giorni mi ha comunicato che lui quello che poteva fare l’ha fatto e non ha nessuna intenzione di farsi trascinare in questa overdose di ansia da presentazione. Giuro che mi ha detto più o meno così. Giuro che se fosse davvero possibile odiare i propri figli queste sarebbero le occasioni nelle quali ci riuscirei alla grande.
Esco. Ritorno. Riesco. Ritorno. Lo facico ancora. Miracolo. Lo spazio che ci è stato assegnato è pieno di sedie e di persone. Merito di Roberta e di Antonio. Merito di Sergio. Merito della libreria. Non importa.
La discussione fugge via piacevolissima. Il Sindaco che non fa il sindaco ma il curioso, l’amico, il lettore, l’intervistatore. L’abbraccio affettuoso con Carmine Rubino e Gennaro Pastore, amici amici amici della Secondigliano della mia gioventù. Le dediche, ebbene sì, ai lettori conquistati. La foto ricordo che mannaggia mi sono dimenticato di chiamare tutto il resto della Band. La cena, le chiacchiere e il vino con Angelo, Cinzia, Antonio, Stefano e Luca.
Domani si ritorna a casa. Anzi a lavoro. Ma stanotte la testa sul cuscino la metto felice.
Borrelli, Rotella, Malafronte, Ferrante, Lorusso
Marika Borrelli: L’ho letto in tre ore, l’altro ieri sera tra un po’ di Barcellona-Chelsea e il letto.
Ne ho fatto indigestione. Infatti, ho sognato il Riken, il ramen, il bar delle “ragazze”, tutto assieme, preoccupandomi se poi la Fender di Luca sia mai arrivata a destinazione.
Mentre leggevo – conoscendo già il contenuto del libro perché il prof. Moretti ne distribuisce camei su FB ogni tanto – mi è venuto in mente un documentario visto su Discovery Channel: True Tokio, o una cosa così. E ho cominciato a fare automaticamente paragoni tra il diario di Moretti&son e la descrizione (agrodolce) del tipo che a Tokio ci lavorava e viveva già da un po’.
Lo dico perché Enakapata – come il documentario – è soprattutto la proiezione di vite su un luogo diverso da quello quotidiano. Ed è la diversità del luogo che cambia la ricostruzione di un ricordo e lo ricompone. Vincenzo ci racconta della sua famiglia e Luca ci racconta del padre, stimolato dagli eventi che in quei desueti luoghi accadono.
Un diario a due voci, svelto, appetibile (molti riferimenti gastronomici, siamo italiani! Ed a Tokio si può anche mangiare male), dettagliato come per sistematizzare due esistenze per un mesetto sradicate da quell’humus vischioso e bellissimo che è Napoli, nonostante tutto. Con la meticolosità di Moretti father alle prese con un sistema cognitivo (quello dei nipponici) inverso: vedi il metodo di contare sulle dita, per esempio!
E con il rammarico di fondo dell’impossibilità per noi Italiani di avere una ricerca universitaria degna. Ci prova, Vincenzo, a descrivere il Riken, tempio pressoché perfetto per scienziati e ricercatori, evidenziando il coraggio dei nostri compatrioti a trasferirsi agli antipodi, lui con il rimpianto della pastiera.
Ma cosa mai potrebbero pensare i giapponesi di noi, se leggessero questo libro che li descrive e descrive due napoletani alle prese con Tokio? Sembra l’analisi di Las Meninas che ne fece Focault: un gioco di rimandi iconici il cui differenziale era il prodotto di una proiezione, appunto.
Mauro Rotella on Tesionline.it
Assunta Malafronte: Da qualche giorno ho terminato la lettura del vostro libro. Avvincente. La cosa che mi è piaciuta di più è l’aver alternato la “pancia” (le storie di vita) alla “testa” (la ricerca), rendendo la lettura scorrevole ed interessante. Non ho mai visitato il Giappone e prima di leggere il libro nemmeno ci avevo mai pensato. Però, prima di partire, farò un bel corso di inglese e appena arrivata andrò a mangiare dalle ragazze!
Tommaso Ferrante: Na capata … ò sasiccio… le prime 40 pagine so state peggio di una palillata in fronte. Le ho lette almeno 3 volte per comprenderei qualcosa :-). Sembra il libro per l’esame di teoria dell’informazione e telecomunicazione. Ti farò sapere alla fine. Un abbraccio.
Rosa Lorusso: Sono pienamente d’accordo con l’idea che non si può prendere senza lasciare, né chiedere senza dare, ma aggiungerei che non si può dare se non si è a propria volta ricevuto.
Prescindendo dai nostri valori e orientamenti possiamo arricchire la nostra vita e la vita altrui, convinti che più si condivide più ci si arricchisce.
L’aggettivo che a mio parere meglio racchiude quest’opera è coinvolgente. Chi possiede la speciale abilità di renderti partecipe nella relazione del sapere riesce a farti entrare in un interessante vortice comunicativo che incoraggia la voglia di contribuire alla costruzione di questo meraviglioso e mai terminato edificio della cultura.
Mi sono sentita particolarmente coinvolta in questo viaggio; a volte mi sembrava di essere lì con i protagonisti di quest’avventura.
Avitabile, Cofferati, Geronazzo, Pepicelli, Annibale
Enzo Avitabile: Credere nei sogni e nelle probabilità. In questo libro c’è questo. Attraverso il viaggio voi credete nel sogno e nella probabilità dell’incontro. Il che significa dire la verità. Io i miei miti li ho incontrati tutti. Dal primo all’ultimo. Io stasera per rendere omaggio a questo evento e a questo libro io vi voglio far sentire una devozione dialettale nostra antica. L’idea è quella di usare lo strumento lì dove non arriviamo con le parole. La contaminazione è anche questo, lo scambio è anche questo. Sono convinto che tutto questo sia in sintonia con Enakapata, un libro che parla di una città diversa, di una Secondigliano diversa, un cemento che si muove verso il futuro nel rispetto di una storia, di un passato, di una cultura.
Sergio Cofferati: Luca e Vincenzo un po’ di risposte ce le hanno date. Un po’ di reticenza rimane ma è comprensibile, dato che non è sempre semplice rendere noto il percorso che nella testa di ciascuno di noi inizia e porta a delle conclusioni come sono quelle materiali di un libro che consegna il tuo pensiero agli altri e dunque alla loro lettura, alla loro interpretazione.
Io credo che per stasera possiamo accontentarci, poi la curiosità si risolve attraverso la lettura e, d’altro canto, se avessimo capito tutto i poveri autori sarebbero palesemente danneggiati.
È giusto invece lasciare un robusto fondo di curiosità al lettore se deciderà, come spero, di diventare tale. Poi vedremo tra qualche tempo quale sarà stato il grado di accoglienza (non per contare il numero di copie vendute; guardate, questo è ovviamente importante per loro, ma forse non è la cosa più importante).
Siccome l’editore li ha stimolati a commettere questo atto del quale porteranno poi anche delle conseguenze, vedremo se sarà invogliato a chieder loro di ripetere la stessa esperienza in un altro luogo e magari in un altro modo.
A me piacerebbe molto un approccio rovesciato, che cioè al prossimo giro Luca si occupi dell’argomento che in un modo o nell’altro è connesso al lavoro e che invece al suo povero babbo che avrà, come ha già adesso, un’età nella quale merita un po’ di rispetto, sia dato invece lo spazio per il tempo libero, la possibilità di dare sfogo alle sue curiosità anche senza restare vincolato al necessario aplomb di chi, occupandosi di scienza e interloquendo con persone di cotanto senno come quelle di cui si parla libro, è inevitabilmente portato ad avere.
Dunque, vi ringrazio della vostra presenza e se l’editore è d’accordo appuntamento in qualche luogo al prossimo libro nella formazione che decideranno loro.
Lo dico perché a me il libro è piaciuto molto, vi ho trovato elementi di novità nella forma e nel contenuto che non sono affatto disprezzabili. Mi sentirei, cosa che non faccio molto di frequente quando mi capita di presentare qualche libro, di sollecitare esplicitamente gli autori a riprovarci.
Negli altri casi non dico niente, e tanto basta. Qui invece c’è davvero un elemento di novità che varrebbe la pena di sviluppare, di approfondire, passando ancora per il vivere assieme, per qualche altro viaggio, per qualche altro pezzo della vita in comune tra padre e figlio.
Poi, perché no, c’è anche un altro fratello, Riccardo, che magari, avendo da quel che mi ricordo un carattere un po’ più irriverente, possa essere nei confronti del padre un po’ meno gentile di quanto non sia stato Luca. Grazie, buona serata e buona lettura.
Renzo Geronazzo: Gli autori affrontano il tema, fondamentale per il nostro futuro, della ricerca scientifica e dell’innovazione con leggerezza e tono disincantato ma, nel contempo, con estremo rigore intellettuale.
Geremia Pepicelli: Ciao Vincenzo, ti scrivo per trasferirti qualche pensiero ed emozioni suscitate dal tuo ultimo lavoro. Tutti noi, in maniera più o meno consapevole, attraverso la lettura siamo alla ricerca di conferme, rassicurazioni, risposte suscitate dal nostro vissuto quotidiano, qualcosa che si agganci alla nostra vita e quanto più questa operazione risulta efficace tanto più la lettura ci restituisce soddisfazione: tutto ciò si è magicamente riproposto nella lettura di “Enakapata”. A cominciare dall’emozione intensa di pensare ad un’esperienza così importante prima vissuta e poi tradotta in un libro insieme ad un figlio; ho una figlia di 21 anni con la quale spesso ci confrontiamo su mille temi ed è stato bellissimo vivere attraverso la vostra esperienza una simile possibilità, fatta di differenze e di sinergie, visioni a confronto e grande affetto. Penso che Luca sia proprio fortunato ad aver recepito attraverso di te il messaggio di apertura che tuo padre ti aveva così teneramente consegnato.
Ogni giorno vivo nella mia Azienda esattamente la stessa frustrazione che hai descritto nel confrontare il sistema di ricerca giapponese con quello che esiste in Italia. Ogni giorno le persone attive, competenti e “per bene” di questo nostro paese si scontrano con qualcosa che sembra sovrannaturale e gli impedisce di creare esattamente le stesse condizioni organizzative che hai trovato al Riken. Sembra tutto impossibile e distante ma tutti noi sapremmo cosa fare se non ci venisse impedito con una pressione invincibile da un potere economico-politico teso al mantenimento di posizioni di potere personale anziché del benessere collettivo, l’imposizione della raccomandazione che schiaccia costantemente la meritocrazia. E se l’Italia sembra culturalmente ed organizzativamente lontana dal Giappone, Napoli lo è almeno altrettanto dalle migliori esperienze italiane. E quindi, attraverso il vostro libro siamo qui ancora una volta a chiederci cosa fare: come la cambiamo la situazione? Tu lo dici e noi lo sentiamo che “si può fare”. Forse una strada semplice e concreta è quella che ci avete suggerito indirettamente nel libro; apriamo gli orizzonti ai nostri ragazzi, diamogli la possibilità di vedere e toccare con mano come è possibile “fare bene”, come si sta bene in una società dove il rispetto degli altri e del bene comune è un valore fondamentale e che non grava per niente sui singoli. Facciamoli uscire dal torpore stucchevole di una cultura folkloristica che ricopre, con una patina invisibile eppure coriacea, tutta la nostra esistenza, sociale e lavorativa. Forse quando torneranno, se torneranno, avranno qualche strumento in più, sapranno ancor più “cosa fare”. Vincenzo, Luca, un grazie infinito per il vostro lavoro.
Vincenzo Annibale: La prima “orecchia” si trova a pagina 30, l’ultima a pagina 195, la penultima del libro. Avevo adottato il vecchio metodo (piegare le pagine nell’angolino in alto) per segnalare le cose più interesanti. Alla fine sono una ottantina quelle che resteranno per sempre con l’angolo piegato. Tante chicche inserite in un libro che per fortuna ho letto ed ho trovato ricco di notizie, di suggestioni e di riflessioni.
Si racconta anche di un padre e di un figlio, del mantra della pastiera, di treni che fanno i treni, di come la spazzatura prodotta a Tokyo da 35 milioni di persone viene raccolta senza drammi, ma si parla soprattutto di genio e caso che si alleano, di cultura del merito, di funzione sociale della scienza, di rispetto per il lavoro e per chi lavora ad ogni livello, di educazione intesa come cultura, del vedersi riconosciuti i risultati raggiunti, di rispetto delle regole.
Purtroppo non si racconta dell’Italia. Si parla di Giappone visto con gli occhi di un padre ed un figlio curiosi di conoscere e di farci conoscere un altro mondo, una cultura, una civiltà distanti anni luce da noi e non per questioni di chilometri.
L’ultimo appunto di viaggio riguarda ovviamente il ritorno a Napoli e racchiude una frase che da sola spiega la sensazione che si ha leggendo Enakapata: se partire è un po morire, talvolta è vero il contrario.
Della Sala, Orlando, Lagomarsini, Gianfagna, Asfoco, Conforti
Roberta Della Sala: Ieri pomeriggio a Bologna presso la libreria Coop Ambasciatori è stato presentato un anomalo e originale testo, o meglio, un diario di viaggio che percorre due binari paralleli che hanno imparato ad incrociarsi: la scienza e la città.
Leggi l’intero articolo su Alter-Azione
Valerio Orlando, again: Caro Vincenzo, ho finalmente (ma ero dispiaciuto come accade quando viene il tempo di separarsi dalle cose amate) terminato di leggere il tuo libro. Di nuovo complimenti. Credo sia un documento importante che spero possa trovare massima attenzione sia negli ambienti che decidono/programmano il futuro della ricerca in questo paese, sia semplicemente (serendipity) tra qualche giovane che possa cosi trovare un’occasione per sognare. Spero di sentirti presto. Valerio.
Andrea Lagomarsini: Vincenzo non ti smentisci mai.. il libro è bellissimo.. una commistione di pezzetti che all’unisono conducono al risultato .. un onore avere un angolino di spazio.. quando riusciremo a organizzare la presentazione.. e purtroppo penso andremo a ottobre visto che giugno è martoriato dalle elezioni… Porta anche TUO FIGLIO!
Andrea Gianfagna: Dear Vicienz’, ho letto con interesse e piacere il Diario che hai scritto together tuo figlio Luca, sulle esperienze del vostro viaggio in Giappone. Complimenti. Mi è venuto in mente un proverbio di Campanasce, leggendo la tua interpretazione, molto accattivante, della serendipity.
Il proverbio recita: “la vecchia nun vulea murì pecché autre cose vuleva verè (dove veré sta per scoprire)”, mi sembra che in questo proverbio ci sia, in nuce, lo sviluppo della teoria della serendipity.
Ma veniamo a noi. Sono stato in Giappone nel 1968 per oltre 20 giorni a Tokyo, Kyoto, Nara ed Osaka e devo dirti che condivido molte delle tue valutazioni sui giapponesi e sul sistema Giappone, anche con le relazioni che tu fai, confrontandole con ciò che avviene in Italia.
Volevo tuttavia dirti che la cosa più importante che mi è capitata nel viaggio in Giappone in compagnia di Julien Livi (fratello di Yves Montand) e segretario del Sindacato Alimentaristi della CGT, è stata la presa di coscienza che il mondo si deve valutare non solo con i criteri europei ed americani, e che l’Asia, il Giappone richiedono altro. Il tuo diario conferma. Domo arigato per il tuo lavoro ed auguri, affettuosamente.
Sabrina Asfoco: Ciao Moretti senior, ho letto il tuo libro e l’ho trovato divertente e leggero. Si, sei riuscito a parlare di scienze e tecnologia con leggerezza. Bravo anche Luca. Un abbraccio.
Antonio Conforti: […] E’ il Vincenzo che parte da Secondigliano e senza più parlarne esplicitamente, traccia lungo tutto il libro un filo invisibile di napoletanità e di tradizione popolare, alla quale non rinuncia comunque, anche se fra mille contraddizioni.
E’ il fiume carsico dello stesso Luca, molto più giovane e strutturato verso una valorizzazione del “nuovo”, che tenta di portare indietro,verso il luogo d’origine, i simboli del mondo visitato, dalla cucina al gadgets, perché si sedimentino nella comunità alla quale appartiene come ulteriore patrimonio di ricchezza.
E’ la pervicace, spettacolare ritrosia a comunicare nell’inglese universale che hanno quasi tutti i giapponesi, che sembrano rifiutare così l’omogeneità imposta dall’esterno. […]