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Come dovrebbe essere

di Lucia Rosas

by Matteo Arfanotti

Sto passando giorni, per non dire mesi in posta con una persona, iniziamo sempre con una frase, ultimamente con le canzoni, stiamo lavorando ad un puzzle chiamato vita.
Le nostre stanno diventando sincroniche per quanto manteniamo le distanze, città, pensieri, idee politiche, calcio. Non riusciamo a litigare ma a colpi di lama arriviamo a dire quasi tutto.
Ecco quel quasi tutto sta diventando un problema.
Sentire una vita propria a te parallela e della quale non avresti saputo nulla ti lascia sgomenta e ti fa sognare quei possibili futuri di tanti romanzi fantastici.

COINCIDENZA. Dannazione se non riguarda il treno mi mette ansia, non che odi viaggiare anzi, ma quando è fatta da gesti, parole, occasioni, quando diventa sincronica devi pensare e non sempre fa bene.
Per questo quando in bacheca FB mi arriva un tag con la domanda meglio toccare che taggare, meglio amici che @mici io non ho più la certezza di un anno fa.
La maggior parte di noi alla domanda del perché ci si è iscritti risponde mi ha invitato un amico, alcuni per curiosità, quindi si parte da un concreto per lanciarsi verso l’ignoto, il fantomatico web.
Qui parte la cospirazione, cerchi gruppi con i tuoi interessi, posti brani, ti suggeriscono amicizie o leggi una persona su una bacheca e scatta quel desiderio di chiedere l’amicizia.
Con alcune di queste persone si crea un feeling così forte, una specie di ubriacatura che è pari ad una cotta. il desiderio impellente di sapere se è collegata, se passa in chat o lasciare in posta qualcosa che dimostri come sia importante.
Leggendo certa cronaca ti prende il panico: chi c’è davvero oltre lo schermo? sarà chi dice, sarà onesto/a, sarà la foto, e quello che vorrei vedesse CON me, stalking tramite mail: esiste anche questo reato. sigh. io lo sto rischiando. confesso.
Il mio rapporto con fb doveva essere una vetrina per evadere da casa qualche ora non potendo, talvolta camminare.
Gli accordi in casa erano niente dati personali, niente foto precise, niente numero di telefono, niente appuntamenti; siamo adulti ma non dobbiamo essere sconsiderati.
poi si cambia, lentamente, e quando ti prende il famoso raptus del “se potessi ti farei uscire dallo schermo” è finita, bruci di questa voglia e cerchi una soluzione e cambi, giustifichi le regole che infrangi.
Vorrei taggare diventa uno sfiorare, un po come quando non hai il coraggio di uscire mano nella mano, @mici e non sempre indica i gatti e inventi una crittografia dentro un pubblico scritto, una musica segreta che rende forte quel legame.
quindi si passa da accettare un contatto a un condividi a un scrivi a una cartolina a un telefona. succede, non con tutti ma ti fa pensare a cosa stai cercando, a quanto puoi libera da pregiudizi fidarti e decidere vediamoci.
a volte. ci sono persone con le quali non percorri tutto questo iter, che ti danno una sensazione positiva, che le immagini a volte anche nel tono della voce, nella movenza fino a quella battuta che ti condanna: quando beviamo un caffè insieme.
è finita, la curiosità ha deciso per te, il virtuale viene sconfitto.
se racconti a qualcuno cosa hai in mente con terrore ti dice pensaci, come già detto la cronaca non aiuta a fidarsi.
per una serie di motivi alcune di queste persone le ho incontrate una volta e la foga mi ha portato a parlare a raffica, a ubriacarmi di immagini.
quando è arrivato il tag con la domanda è stato un tuffo al cuore, avevo avuto una specie di appuntamento al buio di FB, un mio contatto di posta passava da qua e quindi potevamo varcare il monitor.
alla richiesta ho accettato sorpresa, non è una di quelle persone che per un certo affetto desidero assolutamente incontrare ma, il piacere di parlarsi in certi momenti in cui una spalla valeva una medicina rendeva gradita la richiesta.
Vi dirò solo che quell’ora è stata breve, la compagnia ancora più piacevole e vedere confermato quanto l’istinto mi aveva suggerito (fidati, è una brava persona, è onesto) mi ha quasi spaventato, davvero sono oltre il monitor quando sto bene con alcune persone.
Sono mesi che dico facciamo un raduno enakapata e poi tiro il pacco per motivi ben noti ma, vincenzo panico: se con lui è stato così, con voi come sarà? a parte dedè salvata in corner dai minuti e da piccola iena che mi è stato in braccio tutto il tempo?
Ripenso ancora ad una amica fb, sei mesi fissi di scrittura, sms, matta come una cotta finchè l’ho vista e mi sono tranquillizzata, non era un troll e la porto sempre nel cuore.

Avevo intenzione di scrivere un racconto un po diverso, una cosa seria. un’assonanza con un romanzo scritto davvero che non ho mai letto ma che ho messo in pratica, volevo usare due citazioni colte ma sono già in bacheca, volevo farti aggiungere un brano musicale con un bel suono e il titolo che avrei dato alla storia, volevo fare la stesura a penna come un tempo e ho fatto il contrario.
Domanda: ma quando si sogna non siamo virtuali? e quindi quando siamo qua non sogniamo a occhi aperti trascinando con noi chi vorremmo?
rido davanti allo schermo, quella sera che ti ho incrociato sulla bacheca dell’uomo che mi ha sconvolto la vita (se ho conosciuto certe persone, parlato e imparato un po di pc è tutta colpa sua) e ho accettato il contatto. si allora ti avrei detto certissima meglio taggare e @mici. oggi: sospiro!

Dialogo finito in (finta) disturbata intorno a Enakapata di Lucia Rosas, Carmela Talamo e Viviana Graniero

by Matteo Arfanotti
by Matteo Arfanotti

L’idea me la suggerisce il commento di Cinzia Massa al dipinto di Matteo Arfanotti: “che invidia … Vincenzo sei proprio sicuro che a casa mia non starebbe meglio? 😀 E’ semplicemente FAVOLOSO!”, cosicché scrivo sulla bacheca di  Facebook. “A sentire Deborah Capasso de Angelis, Viviana Graniero e Cinzia Massa a casa loro The Enakapata Picture by Matteo Arfanotti starebbe alla grande. Sono commosso, ma declino l’offerta. Potrei però organizzare una festa sul terrazzo con visita al dipinto. Che ne dite?”.
E’ Lucia Rosas la prima a cliccare su “mi piace”, poi interviene Carmela Talamo, poi Lucia, poi Carmela, poi … ma che ve lo dico a fare, adesso ve lo scrivo. Io lo trovo un pezzo di teatro, voi fate voi.

Carmela Talamo
Questo quadro starebbe bene ovunque ma visto che si appropinqua il mio compleanno magari…

Lucia Rosas
Eccola, mi hai preceduto nella richiesta! 🙂

Carmela Talamo
Si appropinqua anche il tuo compleanno?

Lucia Rosas
Poco più in là … ma se posso prenotare approfitto!

Carmela Talamo
Siamo troppe e tutte sfacciate senza vergogna … povero Enzo il solito maschio in minoranza, hihihi.

Lucia Rosas
Mali estremi, estremi rimedi. Enzo fonda scuola di scrittura sul mare e tutti insieme ammiriamo il quadro.

Carmela Talamo
Lulù, ma sei di luglio anche tu?

Lucia Rosas
NO, ma piace molto pure a me.

Detto che l’idea della scuola di scrittura sul mare mi piace da impazzire ma è purtroppo  irrealizzabile dato che mi mancano due requisiti fondamentali, i soldi e le competenze, aggiungo che magari possiamo aprire un laboratorio teatrale, e non è detto che non …..

Poi è arrivata Viviana Graniero

Viviana Graniero
Uè uè e poi dite che sono sempre io a fare succedere la disturbata… c’ero prima io!!!!

Lucia Rosas
In coda piccola! e stavolta posso dirlo !!!!

Carmela Talamo
Viviana, ma tu non devi dare retta alla tua amica bergamasca? Jamme bell jà

Lucia Rosas
Eeeeeh ?

Carmela Talamo
Jamme bell ja vuol dire è un’esortazione che possiamo tradurre con “forza sù”

Viviana Graniero
Carme’, agg’ pacienz’… ma io mi sono prenotata che era ancora in “costruzione”… per cui: ARIA!!!! hihihihihi

Lucia Rosas
Quindi mentre voi … parlate entro in salotto lo sfilo e come caccia al ladro … adieu.

Carmela Talamo
Sentite facciamola breve io sò la più grande e, quindi, decido io.

Viviana Graniero
A-me-mi chiamano Viviana Bond (e pure un poco bot e cct), statevi attente!

Lucia Rosas
A me strega. le ragazze di enzo non perdonano!

Carmela Talamo
Vabbuò io già l’ho detto prima che stavo scazzata mò come la mettiamo?

Lucia Rosas
Toglitela. anche se abbai ti faccio pernacchia! PRRRR

Viviana Graniero

Carmé e tirititittì!!! hihihi

Carmela Talamo

Che belli cumpagn ca teng (che belle amiche che ho)

E con questo, Enakapata ha anche la sua compagnia teatrale :-).

Tubettoni, seppie e piselli

from Adriano Parracciani

Oggi avevo pensato di passare da Gerardo e Anna. Compagnia ottima, siamo amici da una vita e anche più, pranzo altrettanto, Anna è una eccellente cuoca e  invece  ho desistito, proprio come nella mitica scena di Totò in Miseria e Nobiltà. Perché l’ho fatto è presto detto: in primis,  perché questa settimana l’ho trascorsa da vagamondo che più vagabondo non si può (mammà, come mi piacciono questi improbabili giochini con le parole); in secondis, perché le caccavelle appicciate ‘ncoppa ‘o ffuoco (lasciate perdere la traduzione letterale, sta per le cose da fare) sono in questo periodo talmente tante che l’idea di starmene a casa da solo a lavorare m’è sembrata  perfino una buona idea.
A proposito di caccavelle e di fuoco, intorno alle 11.00 a.m. ho realizzato che mangiare avrei dovuto mangiare comunque, così ho chiamato Beppe e abbiamo deciso che l’avrei raggiunto in bottega intorno alla 1.30 p.m. (penso che già ve l’ho detto, ma comunque preferisco avere una martellata sulle dita piuttosto che mangiare da solo, soprattutto fuori casa).
Ho preso una funicolare che parte alla 1.20 p.m., alla 1.40 p.m. sono arrivato in vico Acitillo, poco dopo le 2.00 p.m. eravamo a tavola.
Acqua. Liscia e a temperatura ambiente. Tubettoni, seppie e piselli per me. Tubettoni, seppie e piselli per Beppe. Siamo ancora alle prese con le chiacchiere quando sui due  schermi musicali – ormai sono diventati obbligatori per legge, come il divieto di fumare – compaiono cinque ragazze in bikini che si dimenano e cantano nella cella di un carcere, almeno così mi pare. Ve l’ho detto che io le televisioni che mentre mangi trasmettono musica, film, notiziari, programmi di intrattenimento, dibattiti e tutto quello che vi pare  io non le sopporto, quasi come non sopporto le sigarette? Nel caso, ve l’ho detto adesso. Eppure questo video ha qualcosa di diverso. No, non le ragazze in bikini, che quelle le trovi dappertutto, è come è fatto, come si muovono, quello che ti dicono anche se non capisco bene cosa ti dicono.
Il video sta per finire quando riconosco, mi sembra, Madonna. Chiedo conferma a Beppe. Ricevo conferma. Gli dico che Madonna riesce a fare sempre qualcosa di speciale. Mi dice che Madonna “è” speciale, non “fa” cose speciali. Gli chiedo se ha visto Kill Bill. Mi dice di no. Gli racconto di Bill che spiega a Beatrix la differenza tra Superman e  gli altri supereroi. Gli dico di Wayne e Parker che si svegliano al mattino e devono indossare il costume per diventare Batman o Spiderman mentre Superman si sveglia al mattino ed è già Superman. Mi dice che questo è uno degli scopi fondamentali delle nostre vite, riuscire a svegliarci la mattina ed essere quello che siamo, senza cercare ogni volta di mettere un costume per sembrare diversi. Sta per aggiungere qualcosa quando irrompe Agostina con il suo “Beppe, i vostri tubettoni, seppie e piselli, buon appetito.”
Per carità, non c’è Madonna o Batman che tenga. Buon appetito.

Se non ora, quando?

by Adriano Parracciani

Debbo queste riflessioni alla congiunzione di una mia idea d’annata –vendemmia 1994, anno nel quale Silvio Berlusconi vince le elezioni contro Achille Occhetto e la sua  “gioiosa macchina da guerra”-,  e una domanda postata su Facebook dalla mia amica  Musa: “ma come si fa a votare per questa maggioranza?” (la domanda è in verità più colorita, ma la sostanza è questa).
L’idea, per la verità talmente semplice da rischiare la banalità, è che la politica ha bisogno di differenze. Differenze che, Before 1989, erano date dalle ideologie, dalle appartenenze, dalle identità, nel senso che dirsi comunista, democristiano, fascista significava definire i confini entro i quali ci si poteva riconoscere con altri che, come  te, condividevano miti, valori, aspettative, ceti sociali di riferimento, modi di essere, talvolta persino di fare. Persino quando i  comportamenti sono diventati simili, l’apparentenza a ideologie diverse garantiva le differenze di identità, di riconoscibilità, di aspettative, di gruppi sociali di riferimento.
After 1989 le differenze, in Italia in particolar modo dopo Tangentpoli, avrebbero dovuto essere garantite dalle idee, dai programmi, dalle modalità con cui si favorisce la partecipazione e si selezionano le classi dirigenti, dai modelli di partito e di coalizione.
Vogliamo dirlo con uno slogan? Ma sì diciamolo! Meno ideologie, più differenze. Quale strada è stata imbroccata invece? Quella dell’omologazione. Nelle piccole e nelle grandi cose.  Vogliamo fare qualche esempio?
Federalismo,
che è una cosa seria, che invece di rincorrere la Lega, per poi lasciarle la più totale egemonia culturale, poteva essere fatto vivere come solidaretà, partecipazione, responsabilità, controllo.
Legalità, che è una cosa seria, che invece di assecondare la Lega sul terreno della paura dell’Altro, meglio se extracomunitario, quasi sempre da sfruttare di giorno  e da nascondere di notte come le puttane de “La città vecchia” di De André, poteva essere fatta vivere come una questione di etica pubblica invece che di ordine pubblico, di rispetto delle regole, di tutela dei diritti, di esercizio responsabile dei doveri.
Leaderismo esasperato, vogliamo chiamarlo idolismo?, personalizzazione dei partiti come antidoto alla loro crisi,  che non è una cosa seria, e che ha portato prima alla lista Berlusconi,  poi alla lista Di Pietro, poi persino alla lista Vendola,  in mezzo tutte le altre liste, senza nessuno che dica chiaramente che di molti di questi leader si può  tranquillamente fare a meno, dei partiti no. Che è una sciocchezza  immaginare una democrazia che funziona solo con la società civile, senza i partiti.
L’elenco potrebbe continuare, fino scrivere un libro: arbitrarietà nel rispetto delle regole (primarie a volte si, a volte no, a volte strappate dal basso, altre volte imposte dall’alto), di là mettono in lista portaborse, segretari, amanti e ballerine, di qua pure, e poi clientelismo, familismo, eccetera eccetera.
E non provate a dirmi che ci sono molte persone per bene che svolgono il loro ruolo di eletti in maniera seria. Innanzitutto perché lo so. E poi perché ci stanno anche di là. Anzi mi convinco sempre più che tra le ragioni del successo della Lega stia diventando sempre più importante il radicamento territoriale, il contatto con i cittadini e con gli elettorali, insomma quella roba che una volta facevano i comunisti e i democristiani.
Visto che ci siamo, non provate neanche a spiegarmi che con tutti i difetti che abbiamo noi e loro non siamo la stessa cosa. Innanzitutto perché lo so. Poi perché non basta. Soprattutto a livello di pubblica opinione.
Cosa voglio dire in sintesi? Che fermo restando tutti quelli come noi che a prescindere stanno dall’altra parte io credo che non sia solo comprensibile, ma anche razionale che la maggioranza degli italiani votino come votano.
Che fare in sintesi? Lavorare seriamente per una prospettiva diversa.
L’ho scritto martedì 16 dicembre 2008 alle ore 18.16 (potenza del web, e chi se lo sarebbe ricordato): se continuiamo a pensare di risolvere i problemi entro la prossima elezione non andiamo da nessuna parte.
Questo paese non ha più classi dirigenti nel senso auspicato da Cuoco, da Salvemini, da Gramsci, da Dossetti, da Di Vittorio, da Dorso, da ..;. c’è scarsità di senso civico ad ogni livello; di più, si è creata, grazie ad un’azione scellerata ma scientificamente condotta dall’attuale leadership, una  convenienza-convergenza intorno a una via italiana alla sopravvivenza fatta di piccole e grandi furbizie, evasioni, illegalità.
Bisogna ritornare a pensare e a praticare la partecipazione  come fatica, continuità, impegno, perché ad ogni diritto corrisponde un dovere, ad esempio di non chiedere favori e raccomandazioni, di non fare i furbi, di non rivendicare il merito quanto tocca agli altri e l’appartenenza quanto tocca a sè stessi.
Per invertire l’ago della bussola, per cominciare a varcare la distanza tra i valori di solidarietà a prescindere, di pemessività e persino di impuntà che informano oggi il nostro paese, e i valori di responsabilità, di eguali opportunità, di valorizzazione del merito e del talento di cui c’è bisogno, ci vuole tempo.
Dite che non possiamo aspettare? Sbagliato. Mi dicevano così anche nel 1994, che se non facevamo l’inciucio con Dini, Berlusconi sarebbe restato lì per altri 10 anni. Ne sono passati 16, per ora, destinati a meno di miracoli a diventare 19.
La verità è che non possiamo aspettare senza fare niente. Bisogna cominciare subito. Ognuno dal suo “posto di combattimento”. Facendo le cose per bene  perché è così che si fa. Facendo rete tra noi. Rendendo espliciti, pubblici, gli esiti di questo nostro lavoro.
Come ha scritto Confucio, una marcia di 10mila chilometri comicia con il primo passo. E, anche senza scomodare Aristotele, rimane il fatto che la politica è ‘na capata. L’importante è cominciare. Se non ora, quando?

Foto in cerca d’autore. I racconti


Carmela Talamo

E’ vero Musa, la vita è bella, maledettamente, terribilmente, immensamente bella anche se te ne accorgi quando la senti che ti sfugge, anche quando stai per buttarla via come ha fatto “nennella” (ricordate?) è bella anche quando è fatta di poco, anche quando è fatta di niente, perchè ti basta un attimo per capirlo, come questo sole che dopo tanta pioggia comincia a scaldarti il viso e poi più giù fino al cuore e poi più in fondo fino all’anima. E’ bella perchè anche quando stai per compiere l’ultimo passo verso il nulla puoi trovare una mano che ti afferra giusto in tempo per i capelli, perchè quello è il primo giorno della tua nuova vita, perchè anche se nulla è cambiato intorno a te, finalmente qualcosa comincia a cambiare “dentro” di te e poi incontri la big band e ti rendi conto che è valsa la pena arrivare fino a qui anche solo per raccontare e ricordare e, magari, aiutando te stessa, aiuti anche gli altri. Si Musa, la vita è decisamente bella.

Daniele Riva
L’infermiera ha detto che passerà più tardi. Con le pastiglie della buona notte. E dormirò ancora e avrò altri di questi sogni chimici che mi sballottano nello spazio e nel tempo e al mattino mi lasciano uno straccio, un otre vuoto. È quello che vogliono, questa è l’igiene mentale che campeggia a grandi lettere bianche e illuminate sul muro della clinica. È strano come certi eufemismi ci lavino la bocca: sono soltanto dei modi per pulirsi la coscienza e non pensarci. Clinica. Ospedale psichiatrico. Manicomio.

Così mi si incastreranno gli eventi della giornata e le allucinazioni prodotte dai medicinali. Chissà come entrerà Vincenzo in questo sogno. Nel pomeriggio è venuto a trovarmi e mi ha portato in dono il suo libro. Ho cominciato a leggerlo. Probabilmente anche il Giappone scivolerà nel sogno con i suoi giardini di ciliegi in fiore e la perfezione tecnologica. Si miscelerà con le brutte facce di questa televisione che non riesco neanche più a guardare: volti litigiosi, veline seminude, gente che parla e apre la bocca come in un acquario, perché io non li sto più neanche a sentire.

Come la notte scorsa: c’era una donna con una foglia di vite tra i capelli serpentini, una Medusa moderna che sproloquiava in una vecchia sala d’aspetto con le panche di legno e un lattiginoso lampadario al neon. Fuori c’era il tram che mi aspettava ed erano gli Anni Cinquanta, Milano – credo fosse Milano, ma poteva essere Torino o Dresda o Buenos Aires – era una grigia periferia di opifici, ormai finita la guerra si pensava a ricostruire. I cani razziavano tra i rifiuti, un gatto pisolava su un muro di cinta. Ovunque reticolati e ciminiere. E d’improvviso, con un salto di tempo e di spazio, il tram divenne un moderno treno rosso e correva accanto a un lago. Volli scendere in una di queste piccole stazioni, mi inoltrai nel paese, dove splendevano gialli i lampioni tra le case e i campanili. I murales mi attirarono in un atelier, dove una donna bellissima dipingeva. Non era vero nulla, lo so: era l’effetto delle medicine. Ma l’Arte, l’Arte quella era vera. Come era vero quell’ometto curvo e cieco che giocava al go. Mi disse di chiamarsi Jorge Luis Borges, si teneva a un bastone e raccontava qualcosa a proposito di labirinti e biblioteche…

Ecco l’infermiera con le pastiglie in un bicchierino di carta bianco. Me le porge. Le inghiotto con un sorso d’acqua. Addio…

La Musa
Eppure, la vita è bella, come dice lieve Benigni in quella sua canzone. E’ bella? E’ quello che noi siamo, quello che diventiamo, quello che avremmo fatto e nn è stato, quello che adesso è, e va bene così. Perchè indietro nn si torna e avanti si deve procedere, finchè morte nn ci separi da lei. Pensieri melanconici, pensieri inquieti, ricordi struggenti; quello spleenetismo che avviluppa le essenze più sensibili. Nel percorso fino ad oggi, il beneficio dell’età adulta, mi ha dato la chiave di volta: ci vuole resilienza. Quella capacità che volge al positivo ogni esperienza forte, spesso traumatizzante; quell’umanità che ti fa apprezzare la compagnia, ma altrettanto la solitudine, perchè di fronte a qualunque bivio, a qualunque alternativa, a qualsivoglia intoppo, in ogni caso siamo soli con noi stessi, tanto vale accomodarsi l’idea. La vita è questo, una scheggia di luce che finisce nella notte, diceva Celine. Allora ho guardato fuori stamattina: due piccoli di merlo pigolavano festosi nel nido fra i rami di un pruno ingemmati; sulla mia rosa rampicante occhieggiano i primi teneri boccioli; il sole, riverberi di luce fra l’ondulare tenue delle foglie di bamboo. Sì, la vita è bella, come cantava lieve Benigni.

Lucia Rosas
Tutto per una promessa. Che strano nome, ma che cos’è un libro. Un discorso smozzicato come solo una chat sa fare quando ti serve. Alla fine il libro è in mano poi sul comodino in ospedale. Un fidato amico che aspetta il tuo tempo. Sono sola, mi godo il silenzio inframezzato dal campanile, dai passi felpati in corridoio dal sole primaverile alla fine di febbraio. debbo aspettare con calma un altro medico e la sua spiegazione. Nulla di grave, un polipo fuori programma mentre mi chiedo perchè l’endometriosi non si ferma e mi rende impossibile non solo programmare la giornata ma anche camminare. E’ un male sottile, subdolo, un filo di edera che ti scivola dentro dall’utero arriva all’intestino alla schiena si annida senza chiedere permesso. Si siede, dorme e quando è il momento si sveglia scoppia come polvere da sparo brucia e ti vorresti scavare le carni per farlo smettere.
Siamo rimasti soli in camera tutto il giorno prima io in attesa e lui che raccontava che esiste una cosa chiamata serendipity e tu annuisci, ci credi e sorridi in attesa che qualcosa di buono succeda.

Deborah Capasso de Angelis
Carmela ce la farà ancora e ancora e ancora.
E ce la farò io con lei, ancora, ancora e ancora. Me lo ripeto spesso perchè solo in questo modo arrivi al controllo successivo e aspetti i risultati. La settimana più lunga in assoluto e poi vai, da sola, perchè è una cosa solo mia. E’ la mia vita e voglio aprire io la busta. Non è stato così terribile come quello di Carmela, me la sono cavata in tempo di record e senza terapia ma, è vero, sorridi di più, ti arrabbi di meno, elimini tanta gente rubarespiro e fai entrare nel tuo mondo tante persone ossigenanti. Ci sono in tanti intorno a te ma le decisioni devi prenderle tu e certe volte avrei fatto vincere “lui” (non voglio nominarlo, non merita di avere un nome). Ho dovuto rimandare nel giardino dei mai nati il mio bambino per “lui”. Mi ha fatto male ma ora sono qui e ci sto proprio bene!

Lucia Rosas
Scrivo di getto breve spaventata senza curarmi degli errori del suono del cellulare mentre quel quadro perfora le tempie poichè rifiuto quel volto accigliato della prozia matilda. Ho deciso di abbandonare il liceo i sogni di gloria dell’università e l’amata pittura. Via dal calore opprimente di milano verso altri lidi. Lascerò in disordine come tutti i giorni come dovessi tornare sapendo di mentire. Libri abiti sgargianti cd e quanto mi lega al mio bozzolo.  Il biglietto sul bordo del tavolino scivola a terra, un refolo di vento lo ha fatto scivolare: fosse così per i pensieri ma no. Lo zaino leggero è pronto solo un paio di jeans e una felpa la kway e la macchina fotografica; tuffo al cuore album e carboncini debbono essere raccolti. Sbatto la porta quasi inciampo sulle scale saluto furtivo alla portinaia e via correre a testa bassa verso la stazione mentre il cuore in petto scoppia come la voglia di urlare libera.
Il treno per la svizzera è puntuale, ovvio, salgo rosso lucido perfetto lunga serpe verso altri lidi. Curva quasi impenna questo cavallo d’acciaio chiudo gli occhi inebetita e sempre tra il dubbio e la certezza che sia la cosa giusta.

Carmela Talamo
E’ vero, mentre sei chiusa in una camera d’ospedale a combattere contro il cancro, tutto assume una dimensione diversa, cambiano le cose, cambiano le persone, le priorità, i pensieri si susseguono così velocemente che tu stessa fai fatica a stare al passo e, inevitabilmente, ti lasci alle spalle la zavorra che hai raccolto per una vita intera.
Io ero praticamente sigillata in camera, completamente sola ed isolata, chiusa ermeticamete dall’esterno con una porta blindata, sorvegliata perennemente da una telecamera (ho avuto anche io il mio Grande Fratello).
Terapia radiometabolica con iodioradio 131 è così che la chiamano, si pratica dopo che ti hanno asportato la tiroide con il suo bel carcinoma, serve a distruggere qualsiasi residuo di tiroide e, quindi, previene il riformarsi del cancro in qualsiasi frammento d’organo superstite. Devi solo ingerire una pillola e diventi radiottiva per un pò di giorni e resti lontana dal mondo finchè non smaltisci le radiazioni. E allora che fai? Pensi  e pensi e pensi… a tua figlia che si è appena affacciata alla vita, a tua madre che invece la sta lentamente abbandonando perchè un’altro signor cancro ha deciso che se la vuole portare via e, infatti, di lì a poco ci riuscirà, e pensi pensi pensi… che se ne esci viva nulla sarà più come prima, ed infatti non lo è, né peggio né meglio ma molto diverso, niente più fronzoli, persone inutili, niente più idiozie, solo quello che conta veramente, solo quello che mi va, niente più cose da fare perchè si deve ma solo perchè ti va, fanculo tutti quelli che non ti servono, se il cancro ha avuto un senso allora la mia anima deve crescere fino a farmi scoppiare di essenza. E poi passano gli anni e tu ce l’hai fatta (forse), si susseguono i dolori e i lutti devastanti e tu ce l’hai fatta ancora. E forse tutto questo aveva un senso, forse il senso era semplicemente portarmi qui adesso, per il momento mi basta e se domani ci sarà dell’altro io … ce la farò ancora, ancora ancora…

Maria Paraggio
Quel tavolino, il libro, l’acqua mi fanno tornare in mente giorni in cui mi sono trovata a riconsiderare la mia vita e le cose importanti che avevo messo da parte per dare priorità ad altro. Ci sono momenti in cui, come un flash ti passano davanti anni ed anni e ti rendi conto di quante occasioni sprecate, quanto tempo non vissuto in pieno ed allora vorresti anche solo un giorno in più per non guardarti indietro ed avere rimpianti. Questo pensavo nella mia camera d’ospedale, con monitor vari, fili, un tavolino girevole, un libro e una bottiglietta d’acqua a farmi compagnia e a ricordarmi l’infelice condizione in cui mi trovavo. Da quei momenti nacquero i seguenti versi:
“Vorrei ritrovare il sentiero perduto
seguendo le tracce
delle mie ambizioni passate
Camminare con il vento in faccia
senza paura, liberata dai lacci delle aspettative di altri
che decidono per te, che scelgono per te, senza parlare
senza ordinare, senza persuadere,
con la scusa di amare.
Quante volte ho ripercorso a ritroso la mia vita.
molti gli errori, tanti gli eventi assistiti come dal balcone.
Dall’angolo più alto assistere impotente al progressivo e
inevitabile annullamento e tutti intorno indaffarati a riportarti
là dove volevi scappare.
Consapevolezza della propria stoltezza
Amara verità che ancora non ha imparato ad accettare la sconfitta”.
(Penombra mattutina, pag 16)
Invece non ho accettato la sconfitta. La vita mi ha dato un’altra opportunità ed altro tempo. Tante le cose lasciate incompiute ed ora portate a termine e parte del merito va al mio caro Prof. Moretti e alla prof. Massa.

Viviana Graniero
Mettiamo insieme il treno sul fiordo e il biglietto per un’imprecisata destinazione e quella che viene fuori è una storia realmente accaduta. A me, per fortuna!
Uno degli ultimi viaggi io e mio marito (che all’epoca lo era da appena una settimana) lo abbiamo fatto in Scandinavia… lo sognavamo da tanto e abbiamo approfittato delle ferie matrimoniali per organizzare un lungo giro, di circa 16 giorni. Prima tappa: la danimarca. Copenhagen. E poi in giro per la costa danese, con i suoi meravigliosi castelli e tutt’intorno un’aria da favola di Andersen.
Seconda tappa: la Norvegia. E qui comincia la storia.
Dopo due giorni meravigliosi a Bergen, un paradiso tra i fiordi del sud, avevamo tutto prenotato per raggiungere Oslo facendo ancora una gita in nave tra i fiordi e poi un tratto in treno. La mattina della partenza pioveva a dirotto, in pieno stile norvegese. Le valigie e la pioggia hanno rallentato la nostra corsa verso il pulman che avrebbe dovuto portarci al paesino dal quale partiva la nave. Tre minuti di ritardo (e dico 3 davvero), il pulman è già partito, lo abbiamo perso. Per i primi 5 minuti ci prende il panico, tutto già pagato e organizzato e adesso che si fa? Come ho detto il panico dura 5 minuti, in fondo siamo alla stazione qualcosa si farà. E così con il nostro inglese di bassissimo livello cerchiamo di spiegare l’accaduto alla biglietteria, speriamo che ci convertano i biglietti della gita in 2 per un treno diretto ad Oslo. Niente da fare, sono biglietti di un tour operator, alla stazione non possono far niente. decidiamo di comprare due biglietti per una tappa intermedia e di lì cambiare per Oslo. E quella che ci era sembrata una sfortunitissima situazione si trasforma in una delle cose più belle che abbia mai visto e vissuto, che ricorderò per sempre. Prendiamo un treno che passa attraverso il paese delle meraviglie e mentre fuori diluvia (e tutto sommato, pensiamo, che cosa avremmo potuto vedere da una nave con quel tempaccio?) noi siamo incollati ai finestrini, incantati da montagne, cascate, fiumi, mari e laghi… un trenino che sembra quello dell’edenlandia per quanto è lento, ma scopriamo che è fatto apposta per farti ammirare il tratto di ferrovia più bello del mondo. Sfoglio la mia inseparabile guida del National geographic e scopro che quel tratto è segnalato, che è imperdibile se sei in Norvegia perché non lo scorderai mai più. Vero. Assolutamente. Ti sembra di essere in un documentario, ad un passo dalla perfezione assoluta. E’ più di un semplice paesaggio, è un mondo apparte… come in un film, come in un romanzo d’avventura. Ridi o ti commuovi, apparentemente senza motivo, non puoi farne a meno… è intenso. Vorresti che la stazione di destinazione non giungesse mai, è come avere a che fare con il “per sempre”, ci credi. Esiste qualcosa di eterno e tu l’hai visto, anzi, ne sei stato parte.
Alla fine arriviamo ad Oslo con il sorriso stampato sul volto e mille emozioni che restano dentro, nel silenzio trovano la loro espressione migliore. Abbiamo scordato completamente di averci rimesso circa 200 euro e la gita in nave e corriamo in albergo a posare le valigie, pronti per il resto dell’avventura, che si concluderà la settimana seguente a Stoccolma, ma che ancora è vividissima nel nostro ricordo.

Santina Verta
Vedi Napoli e poi muori“. Me lo disse il nonno della signora Rosa, di Maiori, che abitava nel mio vicoletto calabro. Napoli, la prima città vista, ero affascinata da tutto, che ricordo elettrico,  “Marò, quanto mi è piaciuta sta città!”. Era, ohi la memoria … era fine terza media, aspetta che conto; estate ’64.
Un insieme di flash nitidi e offuscati dall’eccitazione di una prima uscita da casa, ospite da estranei … timidissima … un solo vestito fatto fare per l’occasione. Tre giorni di curiosità  e quel timore del detto dell’accoglienza … non capivo la morte abbinata alla bellezza, mi impensieriva.
Sarei tornata a Napoli nel ’74, pretendendo di studiare e fare anche la mamma, ma la precarietà economica, sempre quella dannata, mi bloccò al quinto esame di lettere moderne, ma intanto avevo avuto l’impatto  escludente con Milano, ma ora  è  Napoli e la sua bellezza che si impenna!
Due giorni ospite da Amica, per caso parente,  ‘ncoppa o Vomero, mi permettevano di passare gli esami in università e poi gironzolare per scoprire parti della città.
Riecheggiano le parole di mia madre “Statt’accorta, a Napule rubbano“, ma io ho sempre avuto coraggio! Ma, quella volta, invertii numero di tram e finii a san Martino, poi al Cardarelli e ripensandoci, mi vien da ridere, non osavo entrare in un bar e telefonare all’amica Annalisa, né tantomeno entrare per un caffè, le parole della mamma … ma   le ore passavano, così la fatidica telefonata: “Annalì, mi signu persa” e lei invece di spiegarmi … chiamò tutta la famiglia e ridevano  e ridevano. “Io nu ci puzzu penzà“, ero già sotto casa loro!
Altra cosuccia di cui ridiamo quando ci ritroviamo  è stata la sorpresa  di vedere scritto vicino  al suo palazzo “Parco Aldebaran” io vedevo un solo Albero recintato e dissi: “Ma Annalì, a Napuli  chiamate parco un albero! E lei: “dai moviti, u parco so i case“!

Stefania Bertelli

Io partirei dal biglietto del tram. Perché a casa mia i trasporti pubblici occupano un ruolo importante. Mio marito ne è responsabile presso il comune di Venezia e si nutre e ci nutre costantemente dei suoi problemi. Tutti i nostri viaggi sono caratterizzati da tappe presso stazioni di autobus, gite in tram, percorsi in metropolitana…su e giù per le città. Per non parlare dei parcheggi scambiatori, per i quali mio marito ha un’insana venerazione: se li vede è capace di inchiodare l’auto, per andarli a fotografare. Detto questo, non è per fare la vittima, ma anche in uno di momenti più importanti della nostra vita Franco non ha voluto derogare. Il giorno che ho partorito per la prima volta, molto inesperta, non ho riconosciuto i primi segni delle contrazioni; allora, informata mia zia del mio stato, lei ci ha intimato di muoverci velocemente… e così ci siamo avviati verso l’ospedale. Essendo io impossibilitata ad andarci a piedi, mio marito ha rifiutato il suggerimento della zia di chiamare un’idroambulanza ed ha sentenziato: si va in mezzo pubblico!
La sfortuna ha voluto che fosse la domenica della Regata storica, la prima di settembre, una delle feste popolari cittadine, quando il traffico acqueo si paralizza; morale… ho dovuto attendere pazientemente presso l’imbarcadero dei vaporetti l’arrivo del mezzo, quando mi si son rotte le acque, … quando sono arrivata finalmente in ospedale, medico e infermiere mi hanno guardato con gli occhi fuori dalle orbite e mi hanno catapultata in sala parto.
Vorrei aggiungere, a questo proposito che, in questo periodo, stanno costruendo dei vaporetti proprio a Napoli. Mio marito è venuto a definire i lavori ed è tornato con pastiere, sfogliatelle e dolci vari, che i soci della cooperativa gli hanno suggerito.

Foto in cerca d’autore

L’autore da trovare non è quello della foto, che c’è già, è in realtà un’autrice da queste parti assai nota, Lucia Rosas. La foto, con mio grande piacere, me la sono ritrovata sulla bacheca di Facebook qualche giorno fa. Naturalmente ho ringraziato Lucia con i mezzi che sono disponibili da quelle parti e così, chattando chattando, è venuta fuori l’idea, più sua che mia, di provare a raccontare storie a partire dalla foto.
Lucia si è entusiasmata un bel pò, io ho fatto la parte di quello che butta acqua sul fuoco. Questa faccenda delle storie a volte funziona e a volte no -le ho detto-, comunque possiamo provare. Lei ha detto proviamo, ed eccoci qua.
La parola, anzi il post, passa a noi, gli autori. Se abbiamo voglia di farci trovare, of course.

Lucia Rosas
io non sono nota, io approfitto di una amicizia virtuale che, su una piattaforma vituperata rivela invece un’anima e una possibilità di essere ed esserci in modo vitale. io chatto perchè la mia voce è questa, io sono e vivo qui.
avevo scommesso di resistere alla nostalgia di uno schermo spento, di staccarmi dalla tecnologia armata di sms e un libro. è possibile e, paradossalmente ti fa desiderare di sentire il suono di quelle voci, di incontrare quegli altri che frequenti x il piacere di farlo, quando te la senti, quando hai da dire qualcosa di vero e tuo e dove distanze e credo si possono abbattere. ho sempre creduto ai libri come mondi possibili e che incontri le persone nei momenti + impensabili che ti piombano addosso con il loro vissuto, sono libri parlanti sono occasioni che non puoi perdere sono … il resto delle parole arriva durante dopo arriva. sempre.

Questo ce lo metto io
Con Lucia Rosas abbiamo pensato che un tavolino, due bottiglie d’acqua, un libro, una penna, un telecomando e una busta forse sono un pò poco per costruire una storia. Scrivete gli altri elementi, personaggi, soggetti che vorreste nella storia, mandate foto o disegni (purché fatte da voi o in ogni caso non soggette a diritti d’autore). Arrivati a 20 ci fermiamo e cominciamo a scrivere le storie con tutti o anche solo alcuni degli elementi a disposizione. Pronti? Via!

La Musa
Un gatto e un pc.

Vincenzo Moretti
Il Piacere di Matteo Arfanotti

Laura Marchini
Sedie di legno come quelle di una volta… fogli molti, sparsi sul tavolo, un pò di confusione….
e una luce! non sò se un lampadario oppure una luce da tavolo accesa: perchè la luce è importante, apre una “porta”, un pensiero….

Felicia Moscato

Concetta Tigano




Viviana Graniero

Daniele Riva
Un paio di biglietti del tram o della metro, senza specificare la città…

Santina Verta

Una tavola da Go e alcuni proverbi.
Perdi le tue prime 50 partite più in fretta possibile.
• Usa il Go per farti nuovi amici.
• Non seguire i proverbi.


Giappone.
Il gioco si svolge su una tavola di legno chiamata Goban (ban vuol dire tavola in giapponese) su cui è disegnata una griglia di 19×19 linee ortogonali. I due giocatori usano delle pietre bianche e nere che posizionano nelle intersezioni del Goban. Il nome del gioco vuole dire qualcosa come “pietre che si circondano” ed illustra lo svolgersi del gioco: entrambi i giocatori cercano di fare punti circondando territorio (zone vuote del Goban, ogni interesezione è un punto) e pietre avversarie (quando vengono catturate ognuna è un punto).

Le regole del Go sono poche e semplici: quelle fondamentali sono 3(+1) e le rimanenti servono per chiarire alcune situazioni che possono crearsi raramente.
• Inizia sempre nero, si gioca uno per volta e le pietre una volta collocate sul Goban non si spostano.
• Una pietra, od un gruppo di pietre contigue (lungo le linee, non in diagonale), ha tante libertà quante sono le intersezioni vuote adiacenti ad essa. Quando rimane senza libertà la pietra è catturata e viene rimossa dal gioco lasciando spazi vuoti al suo posto. Nell’mmagine la 1° pietra ha 4 libertà, la 2° ne ha 3, la 3° ne ha due. La 4° pietra ha solo una libertà, è in Atari, e se bianco gioca nella posizione segnata dal quadrato la pietra nera verrà catturata e rimossa.

• Ad ogni suo turno un giocatore può giocare una pietra o, se ritiene di non avere nessuna buona mossa da giocare, passare. Se entrambi i giocatori passano consecutivamente la partita è finita, si contano i punti e si determina il vincitore.
• Segnalo in questo breve riassunto come 4° regola quella del Ko senza approfondirla: possono esistere delle situazioni in cui il gioco potrebbe entrare in stallo ed esistono delle regole per impedire quasi tutti questi casi.

Normalmente il Go viene giocato su un Goban di 19×19 intersezioni, ma si gioca anche in Goban più piccoli come 13×13 o 9×9. Questi Goban ‘minori’ vengono usati per partite veloci, per introdurre i principianti al gioco e ‘tanto per giocare in modo diverso’. Una cosa interessante da notare è che nel Go c’è un sistema di graduatoria ‘naturale’: se due giocatori di differente abilità si incontrano il più capace concede all’altro il nero (che incomincia per primo) e, nel caso, pietre di vantaggio. In questo modo si può sempre giocare una partita equilibrata e divertente, mentre in altri giochi il giocatore più forte vince sempre (o almeno dovrebbe)
Buon gioco!

Paola Bonomi

Maria Paraggio
In provincia di Salerno c’è un paese molto suggestivo, Ottati. E’ una galleria d’arte a cielo aperto. Artisti provenienti da ogni dove hanno realizzato murales bellissimi. Sono circa un centinaio. Percorrere le strade del paese è come visitare una galleria d’arte. Ne sono rimasta affascinata. Sulle pareti di antiche costruzioni si possono ammirare delle vere e proprie opere d’arte.

I ciliegi sono in fiore


Maria Maddalena Fea
Sotto un ramo di ciliegio fiorito
ho riconosciuto il tuo sguardo
farfalle impazzite
hanno ricominciato a volteggiare
dentro di me

Maria Paraggio
Rami di ciliegio fioriti
videro baci infiniti.
I nostri visi felici
del loro profumo inebriati.
Piogge di petali
Cadevano lievi come veli di sposa.

Daniele Riva
Il tempo bello è giunto  – i ciliegi
sono in fiore – discendono leggere
e come veli coprono il terreno
quelle rosee corolle così soffici.

Indovinello: che cos’è omesso?

Lucia Rosas
I ciliegi sono in fiore
nascerebbe anche l’amore
sento quasi un friccicore
accidenti è solo un banale raffreddore.
Scusate la commozione è solo allergia!

Deborah Capasso de Angelis
Era la fine di Aprile ed io ballavo leggera accarezzata dal profumo dei fiori. Alla festa hanami ci andavo ogni sera ed ogni sera la festa era diversa. Canti, danze, fuochi d’artificio, la luna ed i fiori di ciliegio. Festeggiavo la vita in un paese straniero, la mia vita da vagabonda, da cittadina del mondo. Era facile lasciarsi trasportare dalla poesia, passavo le giornate col naso all’insù e contavo ogni fiore, esprimendo desideri.

Questo lo ha scritto Lucia Rosas

enakapata3Ho sempre creduto ai libri come mondi paralleli e possibili. Crescendo, ad appuntamenti col destino. Stavolta il libro è venuto a cercarmi e alla fine ho ceduto. Ho ritrovato i passi del gioco, i gusti di un amico virtuale, i suoi occhi su un mondo che funziona, delle idee, dei ricordi, delle riflessioni. Letto tutto in un fiato e sottolineato alcuni passi. E rileggerò ancora delle pagine, perchè servono idee emotive.

Piccole storie crescono | s2

enakapata3INCIPIT
Prima notte, una stanza di dodici metri quadrati, freddo, jet lag.

S2-1 | Adriano Parracciani

Per capire bene il mio disagio dovreste avermi visto di persona o aver sentito come mi descrisse un amico: “é un napoletano alto quanto quattro nani della favola a cavacecio”.
Esatto, sono proprio così. Questa storia dei nani e della favola mi fa tornare in mente una scena del film Totò Fabrizi e i giovani d’oggi, quando Fabrizi porta Totò, futuro consuocero, a visitare la casa che ha acquisato, con tanti sacrifici, per i futuri sposi. La casa è così piccola che Totò non risparmia la battuta sarcastica:
“E Biancaneve dove la mettiamo? Si perchè i sette nani possono trovare una sistemazione adeguata, ma Biancaneve lei l’avra vista un pezzo di ragazzona, dico, come…”
Ecco io mi sento come Biancaneve: dico, come ci dormo qui dentro?

S2- 2 | Deborah Capasso de Angelis
Mi sento come alienato. Armeggio con i telecomandi per cercare tra i canali satellitari una lingua familiare. Una musica orientale mi prende, ragazze ballano la danza del ventre. Mi spoglio e, ancheggiando, decido che è meglio fare una doccia.

S2-3 | Lucia Rosas
Ricordo un cartone animato in cui un robot dormiva nel ripostiglio di un grande appartamento. Scontro prima la poltrona poi la scrivania e mi chiedo se un ascensore non sarebbe un posto più comodo. Non posso farcela.

S2-4 | Carmela Talamo

Rieccomi qui. Rieccomi dall’altra parte del mondo. Rieccoci padre e figlio insieme, come in Australia. Ma questa volta è diversa, questa volta lavoro, impegno. Mi si stringe lo stomaco e perso a cosa possa spingere un uomo sano di mente a imbarcarsi in un’avventura simile, e penso che proprio il fatto di essere sano di mente ti spinge a porti dei limiti e poi a superarli. E penso che sono contento di questo passaggio sulla terra da essere umano, e penso che adesso devo dormire sennò domani più che un essere umano sulla terra sembrerò uno zombi “riesumato” dalla terra.

S2-5 | Daniele Riva
Il viaggio interstellare è stato molto più difficile di quello che avevo pensato. Ma, ora che la luce blu di guerra illumina la base militare antaresiana, tutte le mie sofferenze svaniscono e anche questa squallida cameretta dove tento di riposare diventa confortevole quasi quanto il mio alloggio al circolo ufficiali delle Forze di Pace Intergalattiche. Anche se non dispero di venirne a capo, la missione, qui su Antares, è molto complicata.

S2-6 | Vincenzo Moretti

Brava, brava, brava. Se potesse La Musa se lo ripeterebbe mille volte. Adesso sarà dura negare la superiorità degli Applet. La prova era lì, in quella stanza di 12 metri quadri, in quei 16 umani pronti a tutto. Da una parte Felicia, Adriano, Anna, Carmela, Cinzia, Maria Maddalena, Sabato, Viviana. Dall’altra Daniele, Deborah, Dora, Maria, Paola, Stefania, Tina, Vincenzo. Lei, l’applet più giovane creata dai Soft Machine, in mezzo. La posta in gioco? Il ritorno nel real world. Come si vince? Eliminando tutti gli avversari, of course. Niente armi. Soltanto perfidia. E inganno. Per degli umani non dovrebbe essere difficile.

S2-7 | Dora Amendola

Il fuso orario mi ha decisamente stordito, credo che mi ci vorranno un paio di giorni per riprendermi del tutto!…già, ma per riconnettermi con il mondo dovrei dormire, e mi sa che in questo buco di stanza sarà un po’ difficile, soprattutto considerando che il futon ha le dimensioni della cuccia di Cocco Bil, il mio adorato chiwawa. Ma mentre già pregusto una “splendida” notte in bianco, Luca sembra un grillo, non sta fermo un istante…

S2-8 | Paola Bonomi

Ne approfitto per fare buio dentro di me: con movimenti precisi e sinuosi decido di lasciare quest’utero partenopeo e rinascere. Domani, riposato dalla spossatezza di questo parto, muoverò i primi passi in un mondo nuovo. Allargherò i miei pori per recepire quello che mi verrà offerto, quello che saprò andare a cercare. E prendendomi forte per mano, crescerò. Ancora.

s2-9 | Maria Paraggio
Domani, si ma bisogna arrivare a domani. Questa notte sarà interminabile. Il letto è così stretto e corto che , se mi rannicchio, rischio di cadere, se stendo le gambe, i piedi escono fuori dalla sponda. Ma chi me l’ha fatto fare. Poi mi metto buono e buono e dico a me stesso ” Chi va per questo mare, questi pesci prende” e rassegnato, lascio che il sonno abbia la meglio sul mio disagio.

Piccole Storie Crescono | s1-1

INCIPIT
Visita al Ueno koen, uno dei parchi più antichi di Tokyo, inaugurato nel 1873, pochi anni dopo che la restaurazione dell’Imperatore Meiji mettesse fine al dominio politico e militare dello shogunato Tokugawa, dinastia di signori feudali che dal 1603 al 1868 governarono il Giappone.

STORIA 1
2. Deborah Capasso de Angelis

Entriamo nel tempio di Benten-do sull’isoletta al centro del lago. Luca respira profondamente, quasi volesse farsi penetrare dal delicato odore dei fiori. Io lo guardo e lo riscopro, un uomo che tocca con mano quello che finora aveva sognato. Sorride e chiude gli occhi, è felice.

3. Lucia Rosas
Come Saigo Takamori: con l’aria fiera di chi guarda al domani e io nel ruolo del cane fedele mi chiedo cosa accadrà. Non mi stupirei se per cena proponesse di indossare il kimono. Troppe sensazioni a pelle.

4. Anna Aquilone
Ogni volta che visito un paese straniero è la stessa storia,insieme alla gioia della nuova esperienza si accompagna una stana malinconia, un formicolio nello stomaco, simile all’innamoramento. Gli odori , i sapori e i colori che sto metabolizzando lentamente, diventano  parte di me ,fino a quando, improvvisamente riconosco luoghi e situazioni…  . Li chiamano déja-vu !

5. Sabato Aliberti
Luca mi spiega che il tempio di Benten-do è dedicato alla patrona degli innamorati, della ricchezza e delle arti. Mi viene in mente la nostra festa di S.Valentino. Il contrasto tra spiritualità e matrialismo.

6. Dora Amendola
Ma l’atmosfera quasi mistica, che nello splendido luogo aleggiava leggera e che dolcemente aveva rapito Luca e me, all’improvviso fu rotta dall’insistente e quanto mai inopportuno squillo del telefonino. Acciderbolina! Avevo dimenticato di spegnere l’infernale aggeggio! “Papà, ma fai sempre questo!” tuonò Luca con uno sguardo di benevolo biasimo.

7. Lucia Rosas

Stavo replicando che omaggiavo questa terra usando un loro prodotto di punta quando lo sguardo di pietra di un signore anziano mi ricordò che eravamo lì per il piacere della compagnia e spegnerlo non mi avrebbe fatto male.

8. Stefania Bertelli
Prima di spegnerlo, però, non rinunciai a darci una sbirciatina. Diamine, avrebbe potuto telefonare chiunque: qualche parente che stava male, un amico che non sentivo da tempo, qualcuno che mi offriva un lavoro nuovo e interessante. Non potevo certo, in nome della spiritualità, rinunciare, a cuor leggero, a quella che sarebbe potuta essere la chiamata più importante della mia vita!

9. Lucia Rosas
La curiosità uccise il gatto. e lo fece anche stavolta. Era dall’Italia e non era in memoria. Ormai la chiamata era persa  e la mia fantasia galoppava, chi aveva avuto quel numero? Sapeva che stavo dall’altra parte del mondo? Deciso, avrei richiamato in albergo, uno strano brivido lungo la schiena mi diceva di farlo.

10. La Musa
Il tempo di una doccia veloce, mettermi comodo ed eccomi pronto; compongo il numero e resto in paziente attesa, che ore sono? qui in Giappone sono le 11.55 p.m. in italia siamo intorno alle 8 di mattina, “menomale” mi dico, è un’orario decente per chiamare. dopo una lunghissima attesa di tuuuuu tu tuuuuuuuu, la voce metallica del disco mi dice che il numero nn è raggiungibile. e vabbuò, sono stanco e nn insisto, una buona salutare dormita mi rinfrancherà dalle fatiche e le emozioni della giornata appena conclusa. chiamerò appena mi sveglio, orario permettendo.

11. Carmela Talamo
Storia 1.11 Infatti, alle 2.30 (ora locale) il trillo del cellulare mi catapulta letteralmente giù dal letto. A malapena riesco a farfugliare un pronto che se lo avessi pronunciato in giapponese sarebbe stato più comprensibile. Dall’altro capo del mondo mi arriva uno “Ciao Vincè” fresco e pimpante “Volevo essere sicuro di non disturbare e ho chiamato prima di pranzo” Ma chist chi è?

12. Lucia Rosas
Una cosa è certa: non è una delle mie solite frequentazioni. Cerco di ascoltare il suone della voce, l’inflessione ma non mi sovviene niente. Oddio panico! Fa che non sia una rimpatriata scolastica, ho fatto una fatica immane a ritagliare questa vacanza. Ma così non ascolto cosa dice.

13. Viviana Graniero
… ma una frase mi riporta alla realtà ” Vince’ ma che hai combinato”… ma sì, adesso lo so, questa voce la conosco! e finalmente ascolto quello che mi si dice dall’altra parte “Vincé, sono Salvatore… ma che hai combinato???? e dove stai???? è venuta a cercarti la polizia!”

14. Carmela Talamo

“Vincè ma mi senti? Mi pare che stai dormendo”. Ancora Salva… Gaetano!! D’un tratto la faccia di mio fratello si materializza davanti ai miei occhi. “Gaetà ma lo sai che ore sono?” “Sarà ‘a mezza, ma perchè stai mangiando?” “Gaetà sono le 2,30” “Allora ‘e mangiato già?” “Di notte Gaetà. Sto A Tokyo” “Tokyo? ma non era il mese prossimo? WOW! e mò che fai?” “Dormo Gaetà, dormo, con il permesso tuo e di Salvatore”.

15. Adriano Parracciani
Ma come? Vai in Giappone e dormi? Io nun dormisse mai. Vabbuo’, comunque ti ha cercato la polizia, dice che c’è un problema con il tuo passaporto e che non puoi espatriare. Oh, ma mo comme faje se sei già espatriato?

Piccole storie crescono | Istruzioni per l’uso

L’ispirazione me l’ha data neanche a farlo apposta La Musa, anche se in una versione diversa da quella che intendo proporvi e che, lo dico subito, non so ancora bene se e come possa funzionare. Diciamo che è un gioco  esperimento e che, come mi hanno insegnato i miei amici scienzati, in quanto  esperimento può riuscire o fallire.
Passo a spiegare come dovrebbe funzionare il gioco. Dopo di che spero mi diciate cosa ne pensate e se vi va di giocare. Infine, ammesso e non concesso che ci sia qualcuna/o disposta/o a farlo, cominceremo a giocare.

ISTRUZIONI PER L’USO
Titolo
Piccole Storie Crescono

Finalità

Riscrivere Enakapata a 10, 100, 1000 mani. Far diventare ogni pagina (giornata) del diario un giardino dei sentieri che si biforcano.

Modalità
Ogni  lunedì vengono pubblicate le prime righe (fino al primo punto) di una delle giornate di Enakapata, in ordine casuale (Piccole Storie Crescono non è il clone di Enakapata).
Queste righe faranno insomma da incipit, dopo di che la parola, meglio, la scrittura, passa a noi.

Premesse
1. Chi decide di giocare, lo fa rispettando le regole. Punto.
2. Chi decide di giocare, lo fa accettandone le finalità.
3. La scrittura è assolutamente libera purché rispettosa della Netiquette.
4. Niente Berlusconi, Bersani, Di Pietro e così via discorrendo, nella mia vita tutto questo ha un peso già troppo rilevante e non intendo averci a che fare anche quando gioco.

Regole
1. Si comincia il lunedì postando una volta sola e solo al livello 2.
2. Dal martedì al venerdì si può postare un solo post per singola storia.
3. Il sabato e la domenica niente vincoli se non quello di non postare di seguito nella stessa storia.
4. Ciascun post deve essere lungo max 7 righe, va contrassegnato con il solo numero 2 se è collegato all’incipit e con il numero della storia e il numero progressivo negli altri casi (esempi: 2; Storia 3 – 5; Storia 1-12; Storia 9 – 6).

Fase  Transitoria
E’ fissata in un mese, termine entro il quale saranno definiti eventuali cambiamenti delle modalità o delle regole.

Tautogramma Enakapata

enakapata3Nuovo gioco, nuova corsa. L’idea è arrivata ancora una volta via Facebook, ma stavolta il sasso nello stagno l’ha gettato Francesco Caruso. Cos’è un tautogramma l’ho imparato dopo il suo messaggio: uno scritto in cui le parole iniziano con la medesima lettera. Il nuovo gioco ha una sola regola, anzi due: si possono usare solo le lettere (una sola, naturalmente) che compongono la parola Enakapata; non si può usare la k per comporre parole come ke, ki, kiara, ecc. That’s all, folks. Buona Partecipazione.

Deborah Capasso de Angelis
Nessuno nasce nella nefandezza. Nessuno nutre nel nido neonati nefandi. Nessuno nasce nazista.

Keep kindness, kiss keenly, kill kingbird, knot kismet.

Promessa. Parole, pesanti pietre, penetrano profondi pensieri.

Tutto taceva troppo tranquillo! Trasportata, tosto trascrivo tautogrammi

La Musa
Bandana&banana, Bacucca, Babbeo, Bamberottolo: BALORDI! Baldanzosamente baritoneggiano, barbugliano bizzosi – “badilate, badilate!” – bastonando baldi benpensanti barricadieri. Banditi, bracconieri, buoniannulla, BASTARDUME!

E di ENAKAPATA
Egea era euforica; esteticamente esile, efebica, eclissò eterea entro elevatore, ed essendo estate, evinse essere epoca esatta: evadere, evadere! era eccepibilmente eccitata; enigmaticamente, evocava estrosi espedienti: evitare escursioni estere. Ella era ellenica ed edonista – “efkaristò” – esclamò ebbra entrando. ecco, era eliaco Eden. Ermete echeggiò: “efkaristò?” erano entrambi emozionati esternandosi enfatiche effusioni. “Egea…” “Ermete…” era entusiasmo endogeno, eccellenti evasioni. echinocactus ed euphorbia, elicrisio ed edera. era, ebbene, efflorescente estate.

“Pò-Pò-Pò, PiO-PiO-PiO” pigola petulante pulcino Pancho; “porca paletta Pancho!” parlotta papera Polda – “per piacere Pancho, papà Pinco potrebbe prenderla prosaicamente!” papà papero, passata paura per puma poco placido, pensato pressare pisolino pomeridiano. “Pii-Piii-Piiii, PiOO-PiOOO-PiOOOO” prorompe precipitoso Pancho. “Panchooo!” Polda perde pazienza. “piccolo prepotente, proprio persecutore!” – predicozzo per punire pestifero Pancho – piano piano, pulcinetto pigola placato “pio-pì, pì-pì” “piuttosto” – pensa – “prenderò panni per partire – piii – partirò per posti privi papere pedanti!”

Clarissa casuale cardiologa [in C]
Credendolo con collasso ciclo cardiaco completo, Clarissa corse con CGRP – conosciuto composto chimico con caratteristica capacità contrazioni cuore – cercando cavità capace convergere corroborante. Camillo continuò camminare carponi causa cute cuoio capelluto crivellata; Clarissa constatando cicatrice craniale, cautamente condusse Camillo canapè cremisi, costringendolo coricarsi con capo chino. Camillo, colorito cadaverico, chiese caffè corretto con cointreau; categorica, Clarissa costrinse costui calmarsi con camomilla.

Concetta Tigano
Eterea estate,
espugni effimeri equilibri.
Eterno equinozio,
esalti estranei eremiti.
Entrambi esprimono estasi ed ebrezze.
Eludendo errori…evochiamo efficaci Elisir!!

Trasformi
timide tentazioni, teneri turbamenti,
tessendo trasparenti tele.
Trasmetti
tumultuose tempeste, traboccanti torrenti
tacendo.

Nessun nomade naufraga nelle nuvole
Niente, nemmeno nubi e nebbie nuociono
Noi, nuovi nostalgici, nuotiamo nelle nostre nostalgie
Noi nocchieri naufgaghiamo nella natura, nelle nuvole
Nuove nebbie nascondono nostro Nadir
Nuove ninfee nascono, nuotano nel nostro nuovo nulla.

Viaviana Graniero
L’ACINO ALL’ASTUTO (LA VOLPE E L’UVA IN A)
Anticamente , animale astuto, acuto, assai ambizioso, accusando assenza alimentare, avanzava affamato. Arrivò ad appezzamento affollato abbondanti, altissimi acini. “Ah! anelato alimento…” allora atleticamente allungò arti, ancora… ancora… Azz! Arduo arrivarci…
“Aspetta” asserì “Assurdo arrendersi, arguzia aiuterà, avrò acini assolutamente!”
Allora, allontanato affaticamento, ancora accennò anomali acrobazie. Accipicchia! Abilità acrobatiche assolutamente assenti…
Alfine, allontanandosi amareggiatamente, affermò ” Assurdo affannarsi alacremente: acini ancora acerbi, assimilarli avvelenerebbe!”
ASSIOMA: Accort’ ambizioso! Assai amaramente affogherai… abbassa ali!

ALBACHIARA (in a… cantabile, ma con qualche licenza metrica… e non solo!).
Aliti adagio allontanando attenzione
addormenti annottando
apri ante all’aurora
accechi alias alba
arzilla alias aria …
Assumi aspetto arrossato, ammirata
assai ammaliante allorché assorta:
avendo ardori, aspirazioni …
Anacronisticamente addosso assente
abito appariscente,
alcuno ad apprezzare,
anche ad ammirare…
Adesso angelicamente attraversi autostrada
addentando alimento, abbecedario
aneli approfondire
ancora accenni ad arrossire (?!) …
Allora affronti ambiente apertamente
assai autenticamente
appare ancora agli amici
anima, auspici …

Kyoto kermesse: Kung-fu? Kendo? kick-boxing? kabuki?????…. karaoke!!!!

Kurosawa Kollossal: “Kimono killer knockout kilt killer!”

Peter Pan (in p… e a modo mio eh! si fa per ridere!!!)
Peter Pan, personaggio prossimo pensione, pensa poter perpetuare perennemente preadolescenza…. (paradigmatico!)
Prende probabilmente pillole (più pericolose prozac!)…
Privo professione, perdigiorno, propina panzane piccole puelle.
Prospetta parecchi portenti: parapendii, posti paradossali, piroghe per pirati, piccoli palazzi posti profondità piante portentose.
Poi puntualmente Peter Pan piazza prontamente piccole pesti perdute, porge pezza per polvere, pasta per pulire pavimenti, pentole per preparare peperonata…
Perciò pronto precetto: Puelle, prudenza! praticate plurimi pretendenti, punite poco pietosamente panzanatori pari Peter Pan!

Paradisiaco Pellegrinaggio (Divina commedia in p)
Poeta, parte per Paradiso, passando prima per paese pienamente peccaminoso, poi per purgatorio. Per pilota, poeta persino più popolare!
Pensionato preistorico piroga per percorso paludoso (pare pipì!), portandolo presso porta peccaminosa. Poster puntualizza previdenza ” Perdete prospettive, penetrando!”
Post parlatoria plurimi peccatori puniti perennemente, poeta prosegue pellegrinaggio per purgatorio. Punizioni passeggere, peccatori presto partiranno per Paradiso, previa preghiere parentado.
Perciò pure poeta prosegue per punto più prominente, popolato persone perfette. Permutato pilota: puella paradisiaca! Poeta prova poderoso palpito petto… pure pube (pesante peccato!)
Puella presenta patriarca perfettissimo “piacere!”, poeta percepisce potenza, proferisce paternoster, prega per prossime pubblicazioni popolari, possibilmente pure per plurime pecunie!

Dora Amendola
Teorizzando tormentosi trasporti, temibili trasferte, trafiggendomi tu taci troncando teneri tempi… talché, trovando tosta terapia, tutti tornano tranne te tediosa tendinite!

Preparare polpettoni pesanti per parenti pedanti potrebbe pregiudicare prossimi pranzi… pertanto propinarli paga!
Pensare producendo parole profonde può parere pleonastico primariamente per persone psicologicamente piccole.
Trote trotterellanti traversano torrenti turchesi tramando truffe taglienti toccanti trattorie tarantine.

Maria Maddalena Fea
Torino-Toronto traversata terrificante: tuoni terribili tartassavano turbìne, tempesta trapanava timpani, tazze tremavano, terrorista tenebroso trasportava teschi, topi transitavano trotterellando. Tacevamo tutti!

Nacque nano nella nuvolosa Norvegia. Nottetempo nuotava nascosto, naufragando nomade nel nonconformismo nichilista. Nutrimenti nocivi: nicotina, narghilè. Nutrimenti non nocivi: noci, nocciole, nespole, nettarine, nasello, nebbiolo. Nefrite nefasta necessitò nosocomio. Noncurante naviga nelle nuvole, non nasconde nudità, niente noia, nostalgia, nel nuovo nirvana.

Nidia Vedana
Aiuto! Accorrete! Affogo! Aiu….
Ammise affranto: assassinai Antonio: amava Anna.
Anni addietro aveva avuto antipatiche allergie agli acari, asma atipico; aveva addirittura assunto ansiolitici anti-age. Assurdo? Assolutamente autentico: accaduto ad Antonio.
Aspettaaaaaaaaaa!!!!Arrivooooooooo!!! Andato. Accipicchia. Avessi accelerato avrebbe aspettato almeno alcuni attimi.

Ah, avessi allora ascoltato avvertimenti! Avrei ampiamente accolto amore. Accidenti!

Astri argentei ammaliano anime addormentate

Avevano aspettato ansiosi. Adesso, alfine, all’alba autunnale aprirono adagio ampie ali azzurro acqua alzandosi accorti, avanzando alti, ammirando Alpi, Appennini, altitudini assai ammalianti, aspirando aria avvolgente, aggiungendo alcune allegre acrobazie. Affrontarono agitati anche attimi angoscianti, abbagli assassini. Avanti, ancora avanti. Altrove, aldila’, attendevano anatre, albatros, allodole, allocchi, animali africani, amici, anche – azzarderei -amori.

Roberto De Pascale e Miyuki Hasegawa
(in caratteri Occidentali)
kyou kara kyouto kayou kyoukai konsaato kaishi, kekkou,
kono kaijou kayoukyoku kiku koto kanpeki.
(in caratteri giapponesi)
今日 から 京都 歌謡 協会 コンサート 開始, 結構, この 会場 歌謡曲 聞く こと 完璧
(Traduzione)
Da oggi iniziano i concerti dell’Associazione di Musica Tradizionale Giapponese di Kyoto, l’acustica di questa sala si puo’ considerare perfetta.

Cinzia Massa
Nipponico Noyori. Nella Napoli negligente, nichilita, negata non nascono Nobel. Nella Napoli narcotizzata, nolente, nomade, neanche. Nebulosa notte. Neapoli numen necesse.

Stefania Bertelli
Per piacere puoi porti, prossimamante, più parco per pretendere parole preziose possibili, per persone perfette, pur povere pecunia (parlo personalmente)…però pronte per parlare, presentare paradossi, proporre pedanti pagine, piene pamphlet. Porgo panegirico pullulante peana, per particolari parti prosodiche per programmi pubblici. Percossa petulanti pensieri, posso perorare perditempo penosi, per produrre premi perenni.
Perdindirindina….

Daniele Riva
Know-how KO: karma kaputt, kleenex…
(sembra un delirio incomprensibile: in realtà è un tizio che si trova con il computer in avaria, “invoca” alcuni santi del paradiso e alla fine, come il grande Troisi, non gli resta che piangere…)

Esulando dal tema prettamente Enakapata e nipponico, ho una versione tautogrammatica della poesia “Alla sera” di Foscolo:
POMERIGGIO PASSATO
Probabilmente perché paragoni
postremo passo, più piacevolmente
plani! Plaudonti prendendo passione,
pecorelle pervenute ponente,
poi più pallide precipitazioni
portanti procella prepotente,
però pregata procedi, padroni
poveri palpiti perdutamente.
Poiché poni pensieri ponderare
passo per prossimo periodo, prendo
perciò perizia precario passare
preoccupazioni procurate; pendo
per pace piana proposta: posare
proposito pugnace preferendo.

Partenopei partirono per paese posto poco ponente. Passarono per paesaggi paradisiaci parlando padre pargolo. Pigramente presero parte performances piacevoli. Poi pubblicarono prosa ponderata.

Bruno Patrì
Ad Aosta andarono alcuni alpini, avevano amato: auree albe, ammalianti ancelle austriache, alte anglosassoni, anonime abbronzate, angeliche andaluse, aborigene australiane, assatanate argentine, acchetate americane, accigliate armene, affezionate amazzoni, accomodanti artigiane, acconsenzienti agrigentine, accreditate ambasciatrici, acide albanesi, acquose anconetane, acrobatiche albine, aggressive astigiane, affezionate arizoniche, addette alla anagrafe, assassine ariane

Lucia Rosas
Tentativi tentando testi, tentai tentatore testi tamburellati , trovare termini, tasti trovati troverò terminando tossendo temendo tonta temeraria

Felicia Moscato
Pietro Paolo Pancio, Pittore Poco Pratico, Promise Pince Paride Per Puro Poco Prezzo
(è la filastrocca delle 13 P che mi insegnò da piccola la buonanima di mio nonno … a  me faceva sempre sorridere … non sarà il massimo, ma nel mio piccolo voglio sorridere di nuovo)

Adriano Parracciani
Enakapata è elemento enzimatico; escogita esercizi ed esorta energie elaborative, esportando educativi ed efficaci enacrostici elegantemente editati

Vincenzo Moretti
Papà, per piacere puoi passare per Perugia per portare presso Padova pacchi postali per portalettere partecipanti prossima partita pallavolo pescivendoli – postini?

Enacrostico Poll

enakapata310  voti
Giuseppe Giordano

9 voti
Deborah Capasso de Angelis

4 voti
Maria Maddalena Fea

3 voti
Cinzia Massa

2 voti
Adriano Parracciani

1 voto

Sabato Aliberti (f.c.), Paola Bonomi, Guglielmo Festa, Valeria Gonzalez, Vincenzo Moretti, Bianca Paganelli, Carmela Talamo

21 partecipanti e 48 acrostici, questo l’esito del gioco Acrostico Enakapata proposto da Adriano Parraciani, ideatore di Sottolineato.
Da adesso e fino a domenica prossima chi ne ha voglia può votare e far votare quello che ritiene più bello. A fianco di ciascuno dei partecipanti ho messo un numero (in ordine di apparizione), si vota indicando il cognome o il numero. :-))))

1. Maria Maddalena Fea
Entrando Nell’Agognata Kermesse Avvicinerò Politici Attempati Torturandoli Appassionatamente

2. Sabato Aliberti
Enzo, Navarra, Anna, Killer Anche Parracciani Acrostici Talentuosi Appostarono
E Non Abbandonare Katia, Altrimenti Perdi Ancora Tanto Amore!
Eccomi Nell’Antica Kioto A Pensare Al Tuo Ardore
Enzo Non Amò Kiara, Anzi Partì Amareggiato, Tanto Angustiato!

3. Deborah Capasso de Angelis
Eccoli Numeri Ambiziosi Ke Arrivano Prevedibili A Travestire Armonie
Everybody Needs A Key A Particular Access To Authenticity
Emotiva Narrazione Ambiziosa Keyworld Argute Parole Accarezzano Turbolenti Anime

4. Adriano Parracciani
Enakapata: Napoletani A Kyoto; Anzi, Prima A Tokyo Andarono
Ehi, Non Abbiamo Killer Abbastanza Pratici A Terminare Adriano
E’ Napoletanità Amara, Kafkianamente Angosciata, Pur Amandola Tanto, Ancora
Enakapata: Nipponico Amore. Karaoke A Parte, Anche Totò Andrebbe
Enakapata: Napoletani Allontanatesi Kilometri A Palate, A Tokyo Arrivarono

5. Irene Gonzalez
Estri Nascenti Accolsero Kimoni Antichi Proponendo Altrove Tempi Ascolti

6. Anna
Ecco, Nemmeno Avessi Kapito A Proposito Ancora Tutto, Amore.

7. Giuseppe Giordano
Esile Nobile Ardente Karma Anela Pacato Auspicio: Tanto Amore
Era Nuova Attesa: “Kaira Ama Pino?” Attesa Tanto Amara
E(N) = Ak ∪ Ap →A  T(A)
Sia E l’insieme degli Eventi a cui partecipano gli attori di una rete (es.: post in un forum)
Sia N il numero dei nodi (attori della rete)
Allora: l’insieme delle relazioni che uniscono gli N attori  attraverso gli Eventi: E(N) è descritta dall’Unione della matrice di affiliazione A dei primi k nodi e la matrice di Affiliazione dei p restanti nodi,  (dove N=k+p) e dalla loro unione si definisce la matrice di affiiazione completa A che, moltiplicata per la sua trasposta, T(A) definisce la matrice di adiacenza delle rete completa degli N nodi in ENAKAPATA: E(N) = Ak ∪ Ap → A  T(A)

8. Guglielmo Festa
Entrai Nell’ Amata Kabul A Portare Amore Tranquillità Ascolto

9. Lucia Rosas
Egli Non Aveva Kapito Astioso Provava Ancora Tanta Amarezza
Erano Nuovi Auspici Ke Aprivano Porte Animando Tanti Ardori
Ecco Non Arrivano Ke Appelli Per Averti Trovato Amore
E’ Nobile Anima (di) Klee Aleggia Parlando Ancheggiando Tortuosi Arabeschi
E’ Notevole Avversario Kasparov Annuii Pensando Tormentati Arrocchi
E’ Nell’Antico Kalahari Amico Poeta Ancora Tutta Acerba
Elementi Naturali Artistici Kahlo Artista Pazza Annunciò Turbinosi Auspici
Esaurita Narrazione A Kiamata Ancora Provo Affondo Toccata Ammirata

10. Valeria Gonzalez
Ensemble, N’ Accepte K’ Amour Passionné, Autrement Trouvé Ailleur

11. Riccardo Moretti
E’ N’Avventura Ke Aiuta Per Attraversare Momenti Amari
Essendo Napoli Andata Ko Aiutarla Puoi Amarla Tanto Anche (con Vincenzo Moretti)

12. Vincenzo Moretti
Entrando Nell’Antica Kyoto Ascoltò, Poi Aspettò, Trovando Amore
E Nun Alluccà Kabuki. A Piazzetta Augusteo Teatro Abbasta

13. Gerardo Navarra
Eva Non l’Afferrò, Kostrinse Adamo Promettendogli Amore: Tentazione Amara!

14. Paola Bonomi
Eccoti  Notte  Avvincente. Kimoni Aperti Protesi Al Tramonto
E’ Notte Ancora. Kimono Avvolgimi e Proiettami Al Teatro Astrale

15. Daniele Riva
È Necessario A Kyoto Andare Per Apprezzare Terra Amata

16. Carmela Talamo
Empatica Narrazione Affascinante Ke Accorpa Parenti Amici Transitati Affettuosamente

17. Bianca Paganelli
Estasiato Nell’Azione Kamikaze Ambisci Paradisi Ammazzando Tante Anime?

18. Stefania Bertelli
Eziandio Noi Abbiamo Kant A Parlare Ai Tanti Amici
Essendo Nato A Kyoto Attende Pazientemente Altri Turisti Aerotrasportati
Eppur Nostro Amato Kolbe Aveva Pensieri Tutti Apostati
Eccoci: Noi Anime Kiare Avanti Possenti Autori Tesoro Ameno
Eccolo Nuovo Attore Keynesiano Americano Presidente Avventurarsi Terreno Ascoso
Effettivamente Noi Arranchiamo Koala Animali Protetti Avanziamo (pian pianino
ascendendo) Torre Avita

19. Cinzia Massa
E’ Necessario Avere Karma Attraente Per Allacciare Tante Amicizie

20. Concetta Tigano
Entra Nell’Anima Klimt Audace Pittore Austriaco Tanto Amato!!!

21. Alessandro Trovato
E Noi Audaci Klingon Andiamo Protervi Alla Terra Amata