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Zio Peppino

enakapata3[…] Luca un po’ si diverte e un po’ fa la faccia modello «pà, questa già l’hai raccontata 1387 volte». Comincio a parlare di zio Peppino, fratello di mamma, operaio alla Richard Ginori, naturalmente comunista, grande appassionato di musica lirica, di parole crociate e di Totò.
Sia chiaro. Quando dico grande appassionato voglio dire grande appassionato. Nel senso che alla terza nota era in grado di dirti di quale opera si trattava, chi aveva scritto il libretto, in che anno era stata musicata, dove era stata rappresentata la prima volta, quali erano stati gli interpreti maggiori; nel senso che partecipava e non di rado vinceva ai concorsi de «La Settimana Enigmistica»; nel senso che poteva ripetere pressoché a memoria le scene principali di tutti i film di Totò. Roba da Lascia o Raddoppia, per intenderci.
Zio Peppino non si era mai sposato e già questa, in famiglie come la nostra, in anni nei quali «essersi sistemato» equivaleva a dire aver trovato un lavoro e aver messo su una famiglia, era una stranezza. Ma la cosa ancora più strana era che proprio lui, il comunista eccetera eccetera, si era arruolato volontario. Come gli era venuto in mente? Cosa c’entrava lui con la guerra d’Etiopia? Io e i miei fratelli a zio Peppino abbiamo voluto come si dice un bene dell’anima, ma la confidenza per domandargli perché, quella no, non l’abbiamo mai avuta. Così quando zio Peppino approda al Pantheon degli uomini semplici la domanda se ne va con lui. Almeno così ho pensato per circa vent’anni. Fino a che una mia cugina, non ricordo se in occasione di un battesimo, un matrimonio o un funerale, non dice che le sorelle di casa Picano, sei in tutto, proprio come quelle della gatta Cenerentola, si sono potute sposare solo grazie a zio Peppino.
In che senso? – le chiedo. Nel senso che i nostri nonni erano talmente poveri che le figlie, nonostante fossero tra le più belle del paese, non avendo nulla che potesse anche lontanamente assomigliare a un corredo o a una dote, non si maritavano.
Fu così che zio Peppino partì per l’Africa e con i soldi guadagnati fece il corredo alle sei sorelle. Ora non sosterrò che Luca si è commosso, lui che quando gli ho detto che se mi succede qualcosa gli toccherà prendersi cura di me mi ha risposto «già il verbo è sbagliato, quello giusto non è curare, ma terminare», ma sono certo che la storia gli è piaciuta. In fondo fa lo sprucido per darsi un tono. Anche se in effetti la cosa gli riesce molto bene. […]

Riken World

enakapata3Chi ha già letto Enakapata lo sa. Tutti gli altri lo sapranno. Il Riken è lo straordinario istituto di ricerca giapponese dove nel marzo 2008 ho cercato di scoprire la pillola rossa in grado di avvicinarmi a quel mondo di meraviglie scientifiche e tecnologiche, di farmi scoprire quanto è profonda la tana dell’innovazione, della buona scienza, del talento. Se vi interessa saperne di più intorno ai risultati del mio lavoro di ricerca potete cliccare qui e scaricare il .pdf, in italiano e in inglese, del rapporto di ricerca. Su Riken Research trovate invece highlight, podcast, frontline. E se non ancora non vi basta cliccate su http://bx.businessweek.com/riken/. Se questioni come la serendipity, il merito, i processi di competizione collaborazione, il rapporto tra talento e organizzazione sono entrate anche una sola volta nelle vostre vite non mancate di farci un salto. Sono convinto che non ve ne pentirete.

Napoli, 17 marzo 2009

enakapata3Sono 2 mesi che abbiamo presentato il libro a Napoli. Fino a quando il mio amico Carninci non scopre la maniera per recuperare l’elasticità e dunque l’efficienza del mio cervello (lo so che lui lavora per il cervello di tutti, ma intanto io mi guardo il mio) mi tocca coccolare la mia poca memoria. In questi casi lo faccio con piacere. Lei quasi lo avverte. E mi regala le 10 cose 10 che (ancora) non ho dimenticato:
l’attività di amici e parenti per la buona riuscita dell’evento; ammetto di aver avuto la sensazione di esagerare quando ho visto che non mi rispondevano al telefono e mi evitavano per strada, ma non ho avuto pietà;
la sala eventi de la Feltrinelli Libri e Musica di p.zza dei Martiri piena piena  piena di facce conosciute e no; a fare la differenza con le altre volte sono i tanti amici di Luca ma io per intanto mi compiaccio con me stesso di non aver avuto pietà;
il momento di panico, quello che non manca mai e rischia creare l’incidente ancora prima di cominciare; non ricordo più come e perché è successo, ma ricordo bene che c’è stato e che mi ha procurato un disturbo all’occhio sinistro che è andato via solo due giorni dopo;
i pensieri gentili di Cristina Zagaria,  la sua dolce fermezza, l’elogio del figlio nonostante un padre che non sta zitto mai;
il talento dirompente di Enzo Avitabile, le parole e la musica, il cuore e le mani;
i volti felici di amici e parenti, l’imbarazzo e il piacere ad ogni dedica, il senso condiviso di una sera;
gli occhi di Luca;
la gioia di Laura e Riccardo;
la ricerca di un portafoglio perduto e mai più ritrovato (il mio, of course);
il tempo ritrovato (di una cena) con Cinzia, Angelo, Alessio, Luca, Stefano, Federica, Tarcisio, Gianni;
le chiacchiere gioiose fino a casa, della serie domani è un altro giorno, ma intanto questo ha funzionato alla grande;
l’ultimo è per un sospeso, per un pensiero che verrà, proprio come quella bella abitudine ormai andata quasi del tutto persa di pagare un caffé, un sospeso per l’appunto, per la persona che lo chiederà.

Annibale, Maxtraetto, Orlando, Ugolini, Pennone, Potecchi, Splendore

enakapata3Vincenzo Annibale: Fino al 10 marzo è una chicca. Avevo deciso di piegare le pagine interessanti per poi commentarle. Fino ad ora ho fatto una novantina di “orecchie”. Dopo il 31 marzo mi mancherà il giappone (è anche un invito al visitarlo insieme a tante altre affascinati cose, che poi dirò tutte insieme). C’è da sperare che socializzi altri viaggi.

Maxtraetto: Il fil-rouge sella serendipità è la vera capata che sconvolge le mie sinapsi da un po’ di tempo. Destino, fato, caso, dharma, coincidenza, occasione, opportunità, parole che all’inizio credevo sinonimi di serendipità. Se non accompagnate da: attenzione, apertura mentale, storia, organizzazione, desiderio, potrebbero esserlo ma la capacità di mettersi continuamente in gioco è l’anello mancante. Con l’umiltà di chi apprezza gli insegnamenti e con la voglia di affrancarsi da pensieri che si ritengono fondamentali. Per me bella la coincidenza dell’arrivo del vostro libro con le riflessioni che stavo facendo intorno a “carpe diem”.
Un abbraccio.
http://solchi.blog.dada.net/

Valerio Orlando: Carissimo Vincenzo, solo per dirti che mi porto il tuo libro (e di tuo figlio!) in giro per Roma e per il mondo. Bello. Bellissimo. Cerco di non leggerlo con gli occhi di chi sa. E mi riesce facilissimo. Ma più che i contenuti e i luoghi che conosco e riconosco, mi godo proprio la scrittura. Quell’insieme di riverberi che rivelandosi o celandosi, raccontano ora l’uomo e ora l’artista. Spero di sentirti presto. Un abbraccio. Valerio

Bruno Ugolini on l’Unità del 6 Aprile 2009

Domenico Pennone: Da non perdere. Il viaggio che tutti vorremmo fare. Portandosi dietro molto passato e tanto vissuto, cercando quello che altrimenti non potremmo nemmeno immaginare. Enakapata, il libro di Vincenzo e Luca Moretti, padre e figlio è tutto questo e tantissimo altro ancora. Un viaggio cosi bello, così avvincente che fatichi a non pensare che sia finto. E invece è tutto vero, raccontato con passione ironia e a tratti anche con un pizzico di sana malinconia.
MetroMagazine

Alessia Potecchi: Cari Vincenzo e Luca, sono contentissima di partecipare alla presentazione del vostro libro a Milano, la mia città, e vi ringrazio molto per avermi invitata. Ho trovato la vostra pubblicazione molto affascinante e nello stesso tempo fresca e originale. Leggendo sembra di compiere il vostro viaggio e ci si trova immersi nella cultura giapponese scoprendo tanti aspetti sociali e culturali che fanno riflettere a confronto con il nostro quotidiano. Trovo che il libro offra diversi spunti di riflessione e sia un’ottima lettura che incuriosisce sempre di più strada facendo…..Tanti tanti complimenti, vi auguro un grosso successo e sono sicura che sarà così! A presto.

Nunziante Splendore: Cosa ha spinto un sociologo napoletano a lasciare per un mese il suo lavoro, le sue abitudini, i suoi affetti più cari per trasferirsi in Giappone ad intervistare, a scoprire, ad annusare, condividere e integrarsi in un mondo completamente diverso dal suo? La risposta in questo libro, Enakapata, scritto da Vincenzo e Luca Moretti, padre e figlio. Già ma cosa vuol dire enakapata e perché? Enakapata è un verso nippo napoletano inventato dagli autori, che vuol dire è una capocciata, una cosa da urlo, uno sballo qualcosa di diverso dall’ordinario, qualcosa che ti fa capire quello che avevi sotto il naso ma non avevi mai riflettuto. Ne esce fuori un diario, il racconto di una vita, un grido di dolore, un grido di conforto e di smarrimento e di ritrovamento, quasi un urlo di speranza verso il futuro. Ho intravisto un doppio livello di lettura in questo libro: il primo come fanno gli scienziati a scoprire l’imponderabile, il secondo livello è solo vivendo intensamente che possiamo realizzarci. Il professore Moretti ci rassicura e ci tranquillizza. Tutto funziona per genio e per caso. L’importante è capire, dare un senso ad un insieme di flussi che ci travolgono, ci invadono ci sfiorano, ci arricchiscono. Un po’ come vivere in un ambiente straniero ostile e completamente diverso dal nostro e dare un senso a ciò. Il libro ci indica due vie la prima razionale la seconda ancora da studiare: imparare l’inglese e scoprire che non è di grandissima utilità per la vita quotidiana giapponese, la seconda aiutarsi con il genius napoletano, il tutto condito con un metodo di lavoro straordinario: 17 ore filate di lavoro come un vero giapponese. Tutto ciò si scopre leggendo Enakapata, storie di strada e di scienza da Secondigliano a Tokyo. Alla fine del libro due domande: la prima: che tipo di diario poteva scrivere un ipotetico scienziato giapponese in missione in un centro di ricerca napoletano; la seconda: Paghiamo per dieci anni una ventina di alte teste giapponesi pensanti e mettiamoli al servizio della ricerca italiana ne uscirà qualcosa di diverso oppure no?