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Digital Materials Laboratory

Al Digital Materials Laboratory (DML), diretto da Franco  Nori, si elaborano, sulla base di modelli fisici, teorie che si muovono nello spazio di intersezione tra fisica atomica, fisica quantistica e materia condensata, che possono essere verificate in maniera sperimentale o comprese attraverso l’osservazione dei fenomeni da esse stesse prodotte[1].

Al Dml, così come in tutti i laboratori di ricerca che compongono il Sqdrg, le verifiche sono annuali, estremamente analitiche, approfondite, dettagliate. A volere così è Akira Tonomura, il «gran capo», che le conduce personalmente sulla base di un algoritmo di valutazione, da egli stesso definito, che tiene conto del numero di pubblicazioni moltiplicato il livello di impatto della rivista sulla quale vengono pubblicate.

Tonomura premia chi ha risultati migliori con maggiori finanziamenti tra quelli assegnati al gruppo e per questa via contribuisce ad affermare la cultura del merito nell’ambito del Sqdrg e del sistema Riken più in generale.

A valutare gli articoli sono anche soggetti esterni. Ad esempio, l’articolo pubblicato a marzo 2008 da un team del Dml formato da un ricercatore cinese, uno svedese e uno americano, tra 2-3 anni sarà valutato da una compagnia specializzata, la Halsan, a partire dal numero di volte che è stato citato[2]. Poi bisogna naturalmente fare i conti con le verifiche periodiche.

L’ultima review di medio termine, condotta da un gruppo internazionale di verifica molto prestigioso, ha preso atto, nell’ambito di un esito complessivo lusinghiero, del risultato davvero eccellente del Dml. Kohei Tamao, al tempo direttore del Frontier Research System, ha apprezzato molto questo risultato e non ha fatto mancare al Sqdrg supporto e risorse.

Nori si pensa come una specie di coach, una sorta di allenatore in campo, ma in realtà è anche il fuoriclasse della squadra[3], un decisore con margini di autonomia molto ampi: è lui a indicare le direzioni di marcia, a individuare i progetti da portare avanti prioritariamente, a fare sintesi, a organizzare i team di ricerca, a definire la loro composizione, i criteri con i quali le risorse vengono destinate alle diverse attività, le modalità di finanziamento per l’attività dei ricercatori aggregati al suo gruppo.

Il numero dei ricercatori impegnati al Dml è decisamente variabile anche se con un trend in crescita[4]. Si tratta nella maggior parte dei casi di ricercatori che svolgono la loro attività di studio e di ricerca in altri paesi (Ucraina, Cina, Taiwan, Russia, Germania, Svizzera, Inghilterra, Moldavia, Giordania, Italia) che mediamente rimangono al RIKEN dai due ai quattro mesi all’anno[5], anche se non di rado ritornano per periodi più o meno lunghi più volte in un anno o nel corso di più anni[6]. Di norma, Nori predilige i ricercatori che provengono da paesi come Cina, Ucraina, Russia, che hanno una grossa tradizione nello studio delle scienze, i cui ricercatori hanno una formazione di ottimo livello, che investono molto sul lavoro scientifico.

Al Dml non ci sono posti fissi, così come più in generale al Sqdrg, i contratti hanno di norma la durata di qualche mese, al massimo un anno, naturalmente rinnovabili secondo le reciproche disponibilità o necessità[7]. Come afferma il suo leader, il Dml è un laboratorio di visiting researcher a breve, medio e lungo termine.

Nori sceglie personalmente ogni singolo componente del proprio team e ritiene che il processo di selezione delle risorse è molto complesso; è difficile dire cosa e chi funzionerà e cosa e chi no, chi riuscirà a produrre risultati nei tempi necessari e chi invece si muoverà troppo lentamente. Quel che è certo, aggiunge, è che le decisioni sono più veloci e la responsabilità delle scelte più chiara.

Importante è la capacità di distinguere, in ogni fase dell’attività di ricerca, tra componenti oggettive dei problemi, ad esempio un filone di ricerca non particolarmente redditizio, e componenti soggettive, più propriamente legate ai limiti di chi fa ricerca, ai risultati reiteratamente deboli e insufficienti prodotti da ricercatori non all’altezza del compito.

Il modello organizzativo adottato al Dml è tanto semplice quanto funzionale. Di norma Nori suddivide il team in gruppi, secondo uno schema che negli anni si è abbastanza consolidato: ogni gruppo, composto da un leader e 2-3 ricercatori, fa ricerca su un tema specifico; con Nori si relazionano i leader dei diversi gruppi che naturalmente a propria volta interagiscono con i loro collaboratori. Meno frequenti sono le discussioni plenarie[8].

Nel corso delle riunioni è talvolta Nori a proporre i temi e le idee, più spesso sono i leader dei diversi team, mentre Nori riserva per sé la parte dell’avvocato del diavolo: ci si scambiano i ruoli, si discute delle aree da sviluppare e di quelle da evitare perché troppo affollate, di quali articoli leggere, dei seminari e dei convegni cui partecipare.

Questa parte del lavoro relativa alla partecipazione a conferenze, alla lettura degli articoli, al confronto con gli altri gruppi in giro per il mondo è molto importante per individuare le aree di ricerca più fertili.

Nella fase finale diventa invece molto importante il controllo di qualità: la scelta dei contenuti da tagliare e di quelli da aggiungere o da potenziare; l’individuazione dei risultati che non sono sufficientemente importanti e di quelli che invece lo sono; la definizione delle modalità con le quali essi vanno presentati; la traduzione di tutto questo nel modo migliore di organizzare gli articoli, di strutturarli, di rappresentarli con l’ausilio di grafici, immagini e tutto quanto può aiutare a migliorarne la chiarezza e l’impatto.

È in questa fase che si sviluppa il processo di discussione finale. I diversi componenti del team fanno domande, e uno di essi, al quale è stato assegnato il ruolo del referente, risponde; oppure ci si siede davanti a due megaschermi e si discute l’articolo; c’è chi critica, chi mette in discussione, chi risponde; ogni domanda e ogni risposta viene come esaminata ai raggi X fino a quando tutti non vedono, condividono, ritengono corretta, la stessa risposta.

È questa una caratteristica importante del gruppo Nori, una metodologia adottata e consolidata nel corso degli anni: più occhi puntati sull’articolo per cercare e trovare l’errore. La capacità di individuare gli errori ha un’importanza fondamentale.

Nori alterna il lavoro al monitor e quello sulla carta; utilizza fogli di tutti i formati e penne di tutti i colori; insiste sulla necessità di utilizzare figure per illustrare in maniera chiara le proprie tesi; mette assieme più cervelli e più occhi per trovare il punto debole.

È meno facile di quanto si creda.
A quel livello, gli errori hanno una grande capacità di mimetizzarsi.
Quattro occhi sono meglio di due, sei meglio di quattro, otto meglio di sei, ama sottolineare Nori con approccio solo in apparenza didascalico; gli errori non rilevati finirebbero inevitabilmente per essere individuati da altri team ed è dunque molto meglio fare prima una propria review, attrezzare una metodologia che permetta a tutto il team di ricevere in maniera sistematica le stesse informazioni da quello che legge e contribuisca a rafforzare ogni singolo aspetto del lavoro che si intende presentare con una nota, una precisazione, un grafico che contribuiranno a rendere maggiormente evidente il processo seguito e i risultati raggiunti.

Per il gruppo Nori questa metodologia è diventata prassi. Per altri, anche in Giappone, abituati a processi di tipo verticale, nei quali a decidere è soprattutto il leader, è meno usuale.

È importante che tutti siano coinvolti in maniera attiva, che l’intero team mostri voglia di discutere e di condividere ciascuna frase dell’articolo.

Ancora. Una volta scritto un articolo lo si lascia là per giorni, dopo di che lo si rilegge e la rilettura meditata del testo ti fa accorgere se, come e dove la struttura logica non è ancora del tutto chiara, se manca ancora qualche passaggio intermedio.

La chiarezza logica dell’articolo è fondamentale. Aiuta a spiegare bene le proprie tesi, a interagire meglio con chi fa le review, a raggiungere un livello di produttività più elevato.

Per quanto sia impegnativa, talvolta persino dolorosa, questa prassi è decisiva per migliorare la qualità del lavoro e dunque dei risultati. È attraverso questo controllo di qualità interno molto rigoroso che si riesce a ottenere un asset molto elevato.


[1] Tra i progetti sui quali il Dml lavora attualmente ricordiamo il quantum computing, lo studio dei superconduttori di qubits attraverso la Josephson-junction, i circuiti quantistici scalabili, la dinamica dei vortici nei superconduttori, i nuovi dispositivi fluxtronics, i dispositivi che possono controllare il movimento dei quanta.

[2] Le comparazioni si fanno ovviamente per ogni settore dato che le dinamiche e l’ecologia di ogni gruppo sono diverse: di norma nell’area delle ricerche fisiche vengono considerati molto buoni i lavori che hanno citazioni nell’ordine di sette all’anno; per la matematica basta di meno, per la biologia ci vuole di più.

[3] Naturalmente, se lo si chiede a lui, risponderà che ogni tanto gioca pure lui ma in generale tocca agli altri componenti del team tirare calci alla palla.

[4] A gennaio 2002 al Dml lavorano in quattro, compresa la segretaria, già a fine anno sono tra i 6 e i 10, nel 2004 tra i 12 e i 16, a marzo 2008 tra i 12 e i 20.

[5] C’è chi rimane una settimana, chi un mese, chi 2-3 mesi, chi 6, chi 1 anno, chi 2-3; al marzo 2008 il record di permanenza appartiene a uno scienziato russo rimasto con il gruppo Nori per 5 anni.

[6] Per chi fa ricerca al RIKEN, un’opportunità importante è data proprio dalla possibilità di affrontare problemi complessi che non è possibile definire in poche settimane o mesi.

[7] È utile ribadire che si tratta di ricercatori che di norma hanno una stabilità di rapporto con istituzioni e centri di ricerca del proprio paese; naturalmente il discorso assume connotazioni diverse se e quando il ricercatore in questione lascia il proprio paese e si trasferisce a tempo pieno presso l’istituto di ricerca giapponese.

[8] Di solito i livelli sono dunque tre, in casi più rari quattro; al quarto livello sono impegnati quasi esclusivamente studenti.

Era un giovidì, signò

From Enakapata. Thursday, September 11 2006
Non avevo dubbi. Ma mentre metto a punto il corso per il nuovo anno accademico ripenso con piacere all’interesse riscosso dal modulo sulla Serendipity. Un interesse che l’esempio di Carninci ha sicuramente contribuito a rafforzare. Thomas Kuhn e la struttura delle rivoluzioni scientifiche, il cambiamento di paradigma, l’inganno del saggio scientifico, le scoperte multiple indipendenti, il rapporto tra genio e caso sono diventate anche grazie a lui qualcosa di più del “solito” programma del corso di sociologia dell’organizzazione da studiare “a pappardella” per sostenere l’esame e cancellarlo dalla memoria il giorno successivo. Mi convinco sempre più che per apprendere bisogna in primo luogo capire. Poi studiare. Infine connettere ciò che si è capito e studiato a contesti di vita reali. Il resto è noia. Roba per cacciatori di crediti. Studenti senza qualità.
Esce oggi un mio nuovo articolo dedicato ancora alla serendipity e all’organizzazione della scienza. Lo spazio tiranno costringe Pierangelo Soldavini, vicecaporedattore di Nòva, a sforbiciarlo qua e là. La cosa gli riesce con una maestria che la sintesi che segue non riesce di certo ad eguagliare.
Il punto di partenza è dato dal concetto di Serendipity, sconosciuto ai più, buffo anzichenò, con un certo non so che di magico, una sorta di supercalifragilistichespiralidoso della ricerca sociologica che dobbiamo al genio di Robert K. Merton. Quello di arrivo dalla possibilità che l’interazione di menti preparate in ambienti socio cognitivi serendipitosi moltiplichi ed acceleri le opportunità per tutti quei soggetti – città, università, imprese – che intendono puntare sull’innovazione, scrutare i segni del tempo, ridefinire il proprio ruolo nella società, conquistare nuovi spazi di mercato.
L’idea è insomma che per questa via si possa crescere di più. Sfruttare di più e meglio le opportunità. A sostegno dell’idea cito ancora una volta il lavoro di Carninci. Ricordo che in Italia non ha avuto la possibilità di stabilirsi come ricercatore, pur avendoci provato per diversi anni, sia in campo universitario che nell’industria biotecnologia. Che mentre le domande con le quali era solito fare i conti dalle nostre parti erano del tipo: prenderò il prossimo stipendio? devo cambiare lavoro? se non compero la carne ma mangio solo spaghetti, riesco ad avere i soldi per fare benzina e andare in laboratorio?, giunto in Giappone le domande prevalenti sono diventate di colpo: come capire la funzione del genoma? come sviluppare tecnologie che permettono l’analisi in parallelo di molti geni? Evidenzio il fatto che in Giappone, come negli Stati Uniti, le strutture di ricerca sono organizzate, la ricerca è un investimento in sapere, il ricercatore è considerato un produttore di conoscenza e di brevetti per lo sviluppo del paese. Indico la necessità di prendere atto della oggettiva difficoltà del nostro Paese ad uscire dai confini della sperimentazione, a delineare una prospettiva nella quale le eccezioni diventino la regola, le buone pratiche la norma. Sottolineo che si tratta di un prendere atto che non significa subire, ma piuttosto comprendere fino in fondo tali difficoltà per incrementare le effettive possibilità di superarle. Come? Ad esempio attivando processi di sensemaking, cioè considerando la realtà come il risultato dell’attività delle persone che danno senso in maniera continua alle situazioni che hanno istituito e nelle quali si trovano calate. Esplicito l’idea che il sensemaking possa favorire il passaggio dal modello di efficacia basato sulla massimizzazione del rapporto mezzi – fini, a quello basato sulla capacità di sfruttare al massimo il potenziale insito nella situazione data. Concludo sostenendo che in Italia esistono molte condizioni, in termini di intelligenza, creatività, spirito di iniziativa, capacità di innovazione, favorevoli allo sviluppo di ambienti socio cognitivi serendipitosi e dunque all’attivazione e allo sviluppo di processi virtuosi “per genio e per caso”. Che davvero nell’Italia delle cento città questa può essere questa una maniera utile per sostenere processi di sviluppo dal basso, diffusi, di qualità. In particolar modo se saranno le istituzioni, le università, le imprese a interpretarne la necessità e ad accompagnarne la crescita. A favorire la loro propensione a (ri) definire identità, attivare e dare senso agli ambienti nei quali operano. A incentivare la loro voglia di fare rete.

Leggerlo Enakapata. Regalarlo nù capatone

A Natale regala Enakapata. E’ un libro, e tra una papaccella e un pezzo di baccalà un pò di cultura non guasta. Costa poco, e con la crisi che c’è qualche risparmio da investire in Bot (ti) fa solo piacere. E’ bello, come disse la mamma guardando lo scarrafone suo. Leggerlo Enakapata. Regalarlo nù capatone.
Queste le quattro righe quattro con le quali da qualche giorno ho lanciato Natale Enakapata, ‘a Befana nù capatone, la campagna natalizia per quelli che hanno già letto Enakapata e per quelli che invece no.
In queste ultime settimane mi sono chiesto spesso se non sia ora di smetterla di fare viaggi, di spendere tempo e  soldi, di dare fastidio ai miei amici su Facebook, per promuovere Enakapata. Perché non lo faccio? Perché per ora mi piace più di quanto mi stanchi, anche se mi stanca molto. Perché una ragione ci deve essere se più della metà delle persone che vengono alle presentazioni comprano il libro. E perché spero che un giorno o l’altro il passaparola l’abbia vinta sui distributori che non lo pubblicizzano e sui librai che non lo ordinano.
La morale della storia? Fino a quando ce la faccio, vado avanti, nonostante Luca che quando non lavorava non mi aiutava senza sensi di colpa (per fortuna li ho io quelli di tutta la band) e adesso che lavora non mi aiuta e basta.
Su Flickr troverete perciò le nuove foto (e le vecchie di Noyori, Tonomura, Nori e Carninci nello stesso album).  Su Scomunicando il resoconto della presentazione a Brolo. Per le prossime news, incluse quelle relative alla traduzione del libro in giapponese, bisogna aspettare ancor un pò. Speriamo.

Uno di due

enakapata3 Ebbene si, si ricomincia.
Il prossimo appuntamento è per il 7 novembre a Capo Miseno, dove  la presentazione del libro sarà il pretesto per ragionare di università, di ricerca scientifica, di innovazione, magari con qualche raffronto  tra Giappone e Italia.
Il 25 novembre sarà invece la volta di Caserta, dove invece il tema scelto dagli organizzatori è lo scambio culturale tra le generazioni.
Ecco, tra le cose che continuano a piacermi di tutta questa storia ci sono sicuramente le diverse angolazioni con le quali si può leggere Enakapata. La scienza. Il rapporto tra padre e figlio. Secondigliano e Tokyo. L’umanità di magliari e Nobel Prize.
La cosa che mi piacerà di meno sarà ritrovarmi a discutere senza Moretti il giovane. Se siete frequentatori abituali già sapete che da qualche setimana ha un lavoro. E se non lo siete non perdetevi d’animo, appena un pò di scrolling e avrete modo di sapere tutto  ma proprio tutto su questa grande novità.
Lo so che ci voleva. Il titolo del post l’ho scritto io, non voi. Ma se e quando accadrà mi mancherà tantissimo. Enakapata è il nostro viaggio. In ogni caso vi farò sapere. Promesso.

p. s.
Prima che me lo chiedete voi, ve lo dico io. I turni di Moretti il giovane lo impegnano 6 giorni a settimana, cosicché incastrare la sua agenda con la mia e con quelle di coloro che organizzano le presentazioni è un’impresa titanica. Senza bisogno di dircelo abbiamo deciso di dare priorità al libro, e ogni volta che abbiamo una data si va comunque. Naturalmente lui conta sul fatto che tanto sono io quello che sta sempre in mezzo. Vorrei sfatare questo mito. C’è qualcuno che mi aiuta? Io sono certo che Moretti il giovane da solo se la caverebbe benissimo. E voi?

Cornuti e mazziati

enakapata3 Ci credete che questi viaggi in giro su e giù per l’Italia per raccontare Enakapata mi piacciano un sacco? Immagino di si. Farete molta più fatica a credere che sono anche molto faticosi. Impegnativi (anche, per il mio livello di reddito, dal punto di vista economico). E’ una delle grandi tragedie della mia vita. Ma di che ti lamenti, in fondo fai le cose che ti piacciono. Assolutamente vero. Ma per farle faccio tanta fatica. Sì, vabbé, ma in fondo ti diverti. Assolutamente vero. Ma ciò non toglie che … Basta ci rinuncio. Tanto, come diceva mio padre, alla fine si finisce sempre  cosi. Cornuti e mazziati.
A proposito di divertimento, quest’ultimo viaggio a Sarzana è stato non solo estremamente interessante, bello, gratificante, ma anche l’occasione per sperimentare un nuovo futuro per i Moretti&Moretti.
Di cosa si tratta? Non ve lo dico, of course.  Al massimo posso darvi un assaggio di com’è dura la vita di un padre che, per genio e per caso, si è ritrovato a scrivere un libro insieme al figlio.

2 Ottobre, in treno da Roma verso Firenze:
V.: … Bisogna che aumenti la presenza di Enaapata nelle libreria. Mi dovrò inventare qualcosa.  Non c’è niente da fare, bisogna stare sempre sul punto. Non so come fai tu a vivere senza pensare a nulla.
L.: Niente di meno! Non vedi tu come stai combinato e al contrario io come sto bene? Immagino che adesso col lavoro cambierà molto ma per i miei primi 26 anni ho cercato davvero di avere un approccio taoista nei confronti della vita.
V. Adesso mi butto giù dal treno. Anzi butto giù te.
L. Siamo sui treni ad Alta Velocità. Non è tecnicamente possibile. Senza contare che hai giurato che per rispetto ai pendolari se ti suicidi non lo farai mai buttandoti sotto a un treno.

2 Ottobre, in treno da Firenze verso Sarzana
V.: L’altro giorno a Roma in Cgil ho rivisto A. R., è stato affettuoso, effervescente, pirotecnico come al solito.
L.: Sarà che quello di sindacalista è un lavoro usurante, ma dei tanti sindacalisti che ho conosciuto nella mia vita non ce n’è ancora uno normale. Sì, sarà che il lavoro è usurante.

3 Ottobre, in albergo a Sarzana
V.: Mannaggia, ho perso l’orologio!
L.: Pà, come hai fatto a perderlo, ieri sera tardi ce l’avevi, guarda bene.
V.: Ho guardato dappertutto.
L.: Guarda meglio.
V.: No, l’ho perso. No, l’ho trovato. Nella tasca laterale della giacca. E’ che io la giacca non la porto quasi mai.

3 Ottobre, in treno da Sarzana a Firenze
V.: Mannaggia, ho perso il telefono!
L.: Pà, come hai fatto a perderlo, in stazione ce l’avevi, guarda bene.
V.: Ho guardato dappertutto.
L.: Guarda meglio.
V.: No, l’ho perso. No, l’ho trovato. Nella tasca laterale della giacca. E’ che io la giacca non la porto quasi mai.
L.: Pà, ma quale giacca, telefono e portafoglio! Tu é perz a capa. Ma da un sacco di tempo.

That’s all, folks! Se decidete di scrivere un libro, e decidete di farlo con vostro figlio, preparatevi.  Tanto alla fine si finisce sempre così. Cornuti e mazziati.

Sarzana, tre anni dopo

enakapata3 Sono passati 3 anni, ma voi questo lo sapete già. Ma nonostante i problemi, le difficoltà, la crisi, la banda Apai non ha rinunciato al suo evento, ma di questo potrete leggere domani su Nòva 100.
Quello che ci piace raccontarvi adesso è che a Sarzana, nell’ambito di Tecknos Duepuntozero ci saremo anche io e Luca, e naturalmente Enakapata e Tokyo e la serendipity e Secondigliano e il ramen e ancora tante altre delle cose che abbiamo fatto e visto in Giappone.
Ma Enakapata a Sarzana non sarà solo un viaggio verso ciò che è già stato. Non solo perché con Andrea Lagomarsini,  Laura  Marchini, Marco Marchi e company non è possibile guardare solo al passato. Ma perché Tecknos è davvero un evento serendipitoso, che favorisce naturalmente e piacevolmente l’incontro di menti preparate capaci di cogliere il dato anomalo, imprevisto e startegico e dunque in grado di realizzare connesioni e creare valore per genio e per caso.
Non ci credete? Seguiteci e vedrete.

A Sarzana ci incontrammo

enakapata3 30 settembre 2006. Andrea Lagomarsini è il presidente di Apai Srl, giovane, dinamica impresa che sviluppa sistemi e tecnologie per la domotica e la sicurezza.
Andrea legge un mio articolo su Nòva 24 e mi invita al numero zero di Tecknos, giornata di discussioni, dimostrazioni, confronti intorno al tema innovazione.
Come sempre devo fare un po’ di conti con gli dei del tempo, ma alla fine decido di andare. Come speravo a Sarzana incontro tante persone interessanti che fanno cose interessanti. Tra queste Antonio Esposito, ingegnere fisico, una vita da ricercatore, da scienziato, da imprenditore.
Come me è made in Naples. Più di me ha una storia incredibile alle spalle. Che scopro ha a che fare anche con il Giappone. E con Piero Carninci.

È il 1994 quando al Cnr di Napoli mi propongono di lavorare per un anno in Giappone. Non sono convinto. Chiedo ed ottengo di limitare l’esperienza a sei mesi. A Tsukuba rimango cinque anni, per due anni insegno alla Technical University di Monaco, poi l’approdo a Ginevra, dove ancora oggi
vivo e lavoro.
Uno che se ne va di malavoglia dalla propria città non ci torna più per molte ragioni. Perché conosce storie, culture, contesti, persone, punti di vista diversi. Perché scopre che tutto questo gli piace. Perché si cala nei nuovi contesti, si fa contaminare da essi, li contamina a propria volta. Perché si ritrova catapultato in una sorta di paradiso della ricerca a fronte di una realtà, quella del Cnr, dove anche le razioni di carta e penna erano un problema.
Ero abituato alle giostre di paese. Mi ritrovo a Disneyland.
Giuro che non esagero. Un mese di lavoro a Tsukuba vale sei mesi a Napoli. Lì ho potuto giocare con gli strumenti e i macchinari giusti, fare ricerca, sperimentare, con una quantità di risorse e una qualità di risultati per me impensabili in Italia.
A Tsukuba incontro Piero e nasce un’amicizia fatta di calcio (nel senso del gioco del pallone) e di scienza. Nel 1997 con Vittorio Palmieri, Luca Casagrande, Gennaro Ruggiero e Francesco Vitobello scopriamo l’RD39, Effetto Lazarus. Che non è il titolo di un film di James Bond. Ma il numero di repertorio ed il nome con il quale si può rintracciare, al Cern di Ginevra, la suddetta scoperta.
Di cosa si tratta? Della possibilità di «resuscitare» le sfoglie di silicio utilizzate per la rilevazione di particelle. Rigenerarle. Farle rivivere. Immergendole in azoto liquido a meno 207 gradi Celsius.
A Napoli per ora non penso di tornare. Ma a Napoli, insieme a Vittorio e Francesco, due della vecchia band di Lazarus, ho messo su la Incept, che sviluppa Technology on Demand. Investendo, facendo ricerca, impresa, cerco di dire che continuo ad amare la mia città.
Lo ritengo il mio esperimento più difficile. Ma ci credo. E non intendo rinunciare alla possibilità di ridare indietro alcune delle cose che l’università e le strutture di ricerca della mia città mi hanno dato, almeno un po’ di ciò che ho imparato in giro per il mondo.

Questo è tutto. Anzi no. Perché, qualche giorno dopo, Piero mi svelerà che Antonio a Tsukuba era chiamato «Dony», nientepopodimenoche l’adattamento made in England della seconda parte del cognome Maradona; che assieme sono diventati famosi per la danza fatta a centrocampo dopo ogni goal (lancio millimetrico di Piero dalla difesa, stop a seguire e rete di Antonio); che il team era soprannominato Rvc, Russian Vodka Ceremony, invece che Japanese Tè Ceremony, in omaggio ai
colleghi russi che al termine della partita erano soliti dissetarsi con una bottiglia di Vodka. Mentre le stelle italiane stavano a guardare.
A questa parte della storia io non ho mai creduto. Forse fareste bene a non crederci neanche voi.

Palermo mia cara

enakapata3 L’ultima volta a Palermo? Una vita fa. Naturalmente l’ultima volta che ci sono stato veramente, con la testa e col cuore, e non l’ultima volta che ci sono passato da turista. Era il giugno 1992, un anno difficile da dimenticare. 36 giorni prima, l’eccidio di Capaci era costato la vita a Giovanni Falcone, a sua moglie, agli uomini della scorta. Eravamo arrivati da Napoli, nonostante il mare forza nove, per partecipare alla manifestazione promossa da CGIL, CISL e UIL, “L’Italia parte civile”. Ricordo la città partecipe e solidale invasa da decine di migliaia di persone giunte da ogni parte d’Italia. Ricordo l’amarezza con la quale l’avevamo lasciata. La manifestazione appena conclusa. Il nostro ingresso nel bar. Il giovane proprietario che ci chiede i motivi della nostra presenza nell’isola. La fierezza della nostra risposta. La sfida nei suoi occhi. Lui che a Napoli ci viene ogni anno. Ma per cose serie. Come la partita della Juve allo stadio San Paolo.
Questa volta no. Questa volta è stato tutto bello. Dall’inizio alla fine. Certo Enakapata. Ma non solo quello. Anzi neanche soprattutto.
Non ci credete? E allora provate voi ad arrivare in una soleggiata giornata palermitana dopo una notte assolutamente tranquilla nonostante la Tirrenia non fosse attrezzata per farci vedere via satellite Inter Barcellona. La sera prima si era abbattuta su Palermo una vera e propria bufera? Noi neanche lo sapevamo, almeno fino a quando non hanno cominciato a squillare i maledetti cellulari. E questo è niente. Perchè nonostante l’evidente disappunto di Moretti il giovane comincio a chiedere ai passanti di una buona pasticceria e a una buona pasticceria, che dico, ottima, arriviamo davvero, e in meno di 10 minuti. Pasticceria Mazzara, dal 1909, provare per credere. Mangiamo dolci che è una meraviglia, le persone sono tutte attente e gentili, paghiamo poco più di 11 euro per 6 dolci, 3 caffè, 1 latte freddo, 1 succo di frutta (al tavolo, a Napoli in un posto equivalente ce ne sarebbero voluti 30). E non finisce qui. Perché ci mettiamo a chiacchierare e scopriamo che il simpatico signore che ci serve i dolci si chiama Franco Di Modica e scrive testi per cabarettisti siciliani. Gli regaliamo il libro, ci invita a tornare e ad assistere al nuovo spettacolo, da gennaio ad aprile 2010.
Morale della storia? In 2 giorni alla Pasticceria Mazzara ci siamo tornati 5 volte, e ne è sempre valsa la pena.
E poi, e poi? E poi i giri per i mercati a caccia di storie e di spezie. E poi Enakapata e Antonio e Francesco e Teodoro e Lia e Roberta e… E poi le strade e le chiese. E poi le sarde, la frittura  e gli involtini di pesce spada. E poi il ritorno e la Via Lattea. E poi un padre e un figlio che diventano sempre più amici. Lo so che lo sapete già. Ma Enakapata è nà capata soprattutto per questo.  Nonostante la fatica, le corse, le spese. E’ così bello che mi sembra un sogno. Anzi no, come diceva l’Ernesto? E’ un sogno quando sogni da solo. Quando sogni con gli altri è realtà.

Ho visto robot che voi giovani neanche immaginate. Firmato: il nonno

enakapata3Lo vogliamo dire? E diciamolo. E’ per me motivo di soddisfazione la frequenza con la quale Google Alert mi segnala notizie riguardanti il Riken. Tra le ultime ricordo i Display OLED destinati a costare come stampare un giornale, RIBA, il robot che si prende cura degli anziani (segnalatomi anche dalla mia amica Alessia Cerantola direttamente dal Giappone), i cacciatori di raggi cosmici.
Dite che io non ho nessun merito? Vero. Ma solo in parte. Perchè sono stato tra i primi (forse il primo, ma come si fa a dirlo?) a scrivere dell’organizzazione di questo istituto, dei processi di competizione collaborazione che contraddistinduono le sue attività, dell’importanza che in esso viene assegnato al merito.
Tornato in Italia, sembravo un marziano. Il Ri che? Il Riken, signori, una straordinaria  fabbrica di scoperte scientifiche, per genio e per caso.
Meditiamo gente, meditiamo.

All we hear is Fahrenheit

enakapata3Lo confesso. Il titolo non è solo un omaggio  al genio dei Queen e alla mitica Radio Ga Ga, ma anche il pretesto per ricordarvi che domani 31 agosto, dalle 17.00 alle 17.30, si parla di Enakapata a Fahrenheit, sulle frequenze Rai Radio 3, nel corso del programma condotto da Tommaso Giartosio.

Sperando che siate davvero in tanti a sintonizzarvi vi ricordo che potete interagire inviando:

una mail all’indirizzo fahre@rai.it
un SMS al numero 3355634296
un commento a I vostri favoriti

Buona partecipazione.

Zio Peppino

enakapata3[…] Luca un po’ si diverte e un po’ fa la faccia modello «pà, questa già l’hai raccontata 1387 volte». Comincio a parlare di zio Peppino, fratello di mamma, operaio alla Richard Ginori, naturalmente comunista, grande appassionato di musica lirica, di parole crociate e di Totò.
Sia chiaro. Quando dico grande appassionato voglio dire grande appassionato. Nel senso che alla terza nota era in grado di dirti di quale opera si trattava, chi aveva scritto il libretto, in che anno era stata musicata, dove era stata rappresentata la prima volta, quali erano stati gli interpreti maggiori; nel senso che partecipava e non di rado vinceva ai concorsi de «La Settimana Enigmistica»; nel senso che poteva ripetere pressoché a memoria le scene principali di tutti i film di Totò. Roba da Lascia o Raddoppia, per intenderci.
Zio Peppino non si era mai sposato e già questa, in famiglie come la nostra, in anni nei quali «essersi sistemato» equivaleva a dire aver trovato un lavoro e aver messo su una famiglia, era una stranezza. Ma la cosa ancora più strana era che proprio lui, il comunista eccetera eccetera, si era arruolato volontario. Come gli era venuto in mente? Cosa c’entrava lui con la guerra d’Etiopia? Io e i miei fratelli a zio Peppino abbiamo voluto come si dice un bene dell’anima, ma la confidenza per domandargli perché, quella no, non l’abbiamo mai avuta. Così quando zio Peppino approda al Pantheon degli uomini semplici la domanda se ne va con lui. Almeno così ho pensato per circa vent’anni. Fino a che una mia cugina, non ricordo se in occasione di un battesimo, un matrimonio o un funerale, non dice che le sorelle di casa Picano, sei in tutto, proprio come quelle della gatta Cenerentola, si sono potute sposare solo grazie a zio Peppino.
In che senso? – le chiedo. Nel senso che i nostri nonni erano talmente poveri che le figlie, nonostante fossero tra le più belle del paese, non avendo nulla che potesse anche lontanamente assomigliare a un corredo o a una dote, non si maritavano.
Fu così che zio Peppino partì per l’Africa e con i soldi guadagnati fece il corredo alle sei sorelle. Ora non sosterrò che Luca si è commosso, lui che quando gli ho detto che se mi succede qualcosa gli toccherà prendersi cura di me mi ha risposto «già il verbo è sbagliato, quello giusto non è curare, ma terminare», ma sono certo che la storia gli è piaciuta. In fondo fa lo sprucido per darsi un tono. Anche se in effetti la cosa gli riesce molto bene. […]

Truffi, Rossi

enakapata3Corrado Truffi, again: Per continuare nella critica, “poco interessante da fuori” vuol dire che certe pagine di diario con la cronaca pura e ripetitiva della giornata non servono e un po’ annoiano. Se privato doveva essere, sarei stato più curioso di capire meglio la vita a Secondigliano e gli amici, o qualcosa di più sul Giappone di Luca… e meno dettagli “quotidiani”.
Sulle “cose illuminanti”, oggi mi è capitato di leggere qualcosa che mi ha fatto scattare dei link con Enakapata, e ne ho scritto sul mio blog.

Bernardo Rossi: Avete scritto il libro assoluto vagheggiato da Mallarmé, la recensione è più lunga del previsto, ma arriverà presto.

Corrado Truffi: Ci sono alcune cose davvero interessanti ed illuminanti, in questo libro. Ma la forma di doppio diario privato è spesso troppo ripetitiva e poco interessante da fuori.

Why Riken è ‘na capata

enakapata3Ancora sul mondo Riken i link relativi agli ultimi articolati segnalati su Business Exchange. Con l’avvertenza di non perdere di vista il fatto semplice ma non banale che i risultati che da quelle parti si ottengono sono il prodotto di una ottima organizzazione, di sistemi di valutazione efficaci, di politiche di costante valorizzazione del talento e del merito.
Aggiunto che se volete saperne di più sul modello organizzativo Riken potete cliccare qui, eccovi i link promessi:
Sense of Attraction
A timid knockout mouse separates conflicting emotional behavior for the first time
How the turtle’s shell developed
Buona lettura.

Ciuccio ’e fuoco

enakapata3Me lo disse papà che ero ancora bambino. La chiamavano «Ciuccio ’e fuoco» per quella sua innata tendenza ad attaccar briga, per quel suo carattere ribelle, per quello che una donna poteva ribellarsi ai suoi tempi. Io però la ricordo soprattutto per il suo affetto. Per l’uovo di papera a zabaione con “una” goccia di marsala che mi preparava quando passavo per casa sua prima di andare a scuola alla Masseria Cardone, (sarà stato l’uovo, lo zucchero o il marsala a “gocce”, ma i miei professori delle medie si sono ricordati per un pezzo della mia, chiamiamola così, “vivacità”). O per la visita del 5 aprile, giorno di san Vincenzo, quando affrontava un viaggio a piedi di quasi 3 km, lei sempre più anziana e claudicante, io sempre più vicino al traguardo dei 18 anni, per portarmi in regalo un pacco di biscotti, perché il “Santo va rispettato” e perché, come quasi tutti i miei coetanei primogeniti, portavo il nome del nonno.
Era famosa anche per i suoi modi di dire, quelli ufficiali, come «’e sfuttute vann ’mParavìso», e quelli fatti in casa, come «’e figlie quanno se fanno gross addeventano parient laschi» o, rivolto a Davide, figlio di mio fratello Gaetano, che non vedeva da tempo «ah, tu sì nù Moretti, bravo, crescete e moltiplicatevi».
Un esempio puro di comicità il «Pascà, mò è murì solo tu» con il quale abbracciò piangendo mio padre il giorno della morte dell’amata sorella Maria, che le valse il gesto prosaicamente scaramantico di papà e il secondo e definitivo soprannome di  «Highlander» (ne resterà una sola). Per non parlare delle visite domenicali al cimitero con regolare sediolina pieghevole nel corso delle quali prendeva in giro fino all’irrisione e oltre il marito morto che l’aveva tormentata per una vita intera.
Lei era fatta così. Prendere o lasciare. C’è che nella mia vita è stata una persona importante. E mi piace ricordarla qui.

p.s.
Se avete letto il libro lo sapete già, lei è, era, Zia Concetta.

Combattente, Grazioli

enakapata3Ettore Combattente: Diversamente da Alessio Strazzullo che ha scritto una bella recensione del libro dei Moretti, dico che la mia amicizia con Enzo c’entra e c’entra direttamente in quel che penso del libro. Sono amico e rifletto per questo sull’amicizia, un libro nato su un’amicizia in tempo di  globalità; un’amicizia che si evolve in  rapporti fraterni, leali, disinteressati, che vanno oltre il comune interesse intellettuale.
E’ questa  una capacità umana di Enzo, io che l’ho incontrato per contingenze politiche e ci siamo conosciuti come amici e compagni, lo testimonio con “interesse”. Mi diceva che suo padre soleva dirgli “fattell’ cu’ chi è meglio e’ te’ e fance’ e’ spese”. “Meglio” in senso metaforico, come  sapere, cultura, professionalità. Infatti come si può diventare amico di uno scienziato bio – fisico italiano emigrato in Giappone, per l’attrazione  del valore del merito che vige in in quel paese, alla distanza di migliaia di chilometri attraverso la posta elettronica? Per un cultore di scienze sociali con una  lunga esperienza nel mondo sindacale? Ed entrare in una comunità intellettuale attraverso  l’intelligenza dell’epistemologia? Enzo Moretti ci è riuscito. Ed ha scritto  un libro su quest’ amicizia e insieme a  Luca di tante altre nate da un viaggio in quel paese.
Enakapata  ha aperto a lui e a noi un mondo  lontano dalle nostre  frequentazioni giornaliere  dalla spasmodica  tensione  ad avere ragione, direbbe l’appassionato di Totò , a “prescindere”.

Daniela Grazioli: Mi son presa ‘na kapata: letto con interesse, stupita e divertita per l’alternanza delle due penne  (attualizzate in computer) ed intrigata dall’oscillazione tra serio e faceto. L’ho già consigliato a Simone ed amici. Grazie.

La stesura della foglia oro

enakapata3Ieri sera l’ho vista. Ho visto come si fa. E vi assicuro che è  stata un’emozione grande. Se state pensando che per me è  facile  dato che con le mani non so fare (quasi) nulla vi sbagliate. Non sul fatto che con le mani non so fare (quasi) nulla, of course. Sull’emozione. Sarebbe capitato anche a voi. Persino il grande Sennett, se trovo il modo di farglielo sapere, per una volta mi invidierà.
Dite che è il caso che vi sveli di cosa sto parlando? Della stesura della foglia oro. Se avete letto il libro sapete già che  il mio amico Beppe Del Vecchio,  restauratore, musicista, saggio e tanto altro ancora, me ne aveva parlato per la prima volta via Skype mentre ero al Riken di Tokyo, quando mi aveva raccontato dei due anni che gli ci erano voluti per capire, imparare, fare, tra gesso per doratura, colla di coniglio, bolo armeno, pennelli di vaio e martora, tentativi andati a vuoto. Prima del successo finale.
Il racconto mi era piaciuto molto. Ma sentire è una cosa, vedere un’altra. Adesso potrei persino chiedermi, con Weick,  “come facevo a sapere che cosa pensavo se prima non vedevo che cosa ha fatto (Beppe)”.
Erano più o meno le 7 p.m. quando sono passato per un finto rapido saluto alla sua bottega.
Mi vede arrivare e mi dice entra che sto facendo una cosa che ti piacerà. Provo a dirgli che sono passato per un rapido saluto. Mi ridice entra che ti piacerà.
Sul banco da una parte la cornice. Dall’altra la foglia oro, che in realtà non è una foglia ma una lamina d’oro sottolissima, delicata eppure docile in quelle sue mani che la misurano, la tagliano, la catturano con il pennello di vaio passato più volte sulla tempia per elettrizzarlo, l’adagiano sulla preziosa cornice, la fanno aderire  perfettamente su quel piccolo spazio accuratamente lavorato con il bolo armeno, la accarezzano quasi fino a che ogni singolo atomo si sposa con quello vicino, un pò più vecchio, che qualcuno aveva messo lì negli ultimi anni dell’800.
Ebbene sì, lo confesso. Resto stupito. Ammirato. Se ne acocrge. Tu lo fai con e parole, mi dice, io con la foglia oro. Non ci casco. Gli chiedo qual’è il segreto.
Il segreto non c’è, risponde. O, meglio, aggiunge, il segreto sta nella preparazione. Ma in realtà qualunque cosa si fa nella vita dipende dalla preparazione. La preparazione è fondamentale. Sempre.
Sorride. E’ come quando decidi di conquistare la donna che ti fa uscire pazzo, mi fa, quella per la quale saresti disposto a tutto. In realtà dipende tutto da come la corteggi,  cioè dalla preparazione. Se sbagli lì, non hai speranza, la perdi. Ed è anche giusto così.

Riken World

enakapata3Chi ha già letto Enakapata lo sa. Tutti gli altri lo sapranno. Il Riken è lo straordinario istituto di ricerca giapponese dove nel marzo 2008 ho cercato di scoprire la pillola rossa in grado di avvicinarmi a quel mondo di meraviglie scientifiche e tecnologiche, di farmi scoprire quanto è profonda la tana dell’innovazione, della buona scienza, del talento. Se vi interessa saperne di più intorno ai risultati del mio lavoro di ricerca potete cliccare qui e scaricare il .pdf, in italiano e in inglese, del rapporto di ricerca. Su Riken Research trovate invece highlight, podcast, frontline. E se non ancora non vi basta cliccate su http://bx.businessweek.com/riken/. Se questioni come la serendipity, il merito, i processi di competizione collaborazione, il rapporto tra talento e organizzazione sono entrate anche una sola volta nelle vostre vite non mancate di farci un salto. Sono convinto che non ve ne pentirete.

Carlossito’s spot

enakapata3Lui si chiama Carlos Gonzalez y Reyero. È mio nipote. Studia a un tecnico alberghiero. Ma se lo cercate adesso lo trovate a Procida,  in missione per conto del lavoro. Un giorno mi ha scritto su Facebook “zio, che ne dici se scrivo qualcosa per fare pubblicità a Enakapata?”. È un piacere, gli ho risposto. Questo che potete leggere di seguito il suo spot. Mi sembra carino. Estivo. Di quelli che si possono ascoltare per radio. Sulla spiaggia. Ma se decidete di farlo non dimenticate di contattarlo. Pare che nella sua vita precedente, quella brasiliana, abbia avuto modo di imparare pratiche Voodoo :->.
Sognate di intraprendere un viaggio meraviglioso, straordinario, avvincente alla scoperta di nuove culture? Non perdetevi Enakapata. È ‘nà capata.
Enakapata è un modo di essere. È un modo di vivere. È il buon ramen preparato da Luca. È la capata data da Vincenzo all’uscita della metropolitana di Ikebukuro.
Avvertenze: Il viaggio di Enakapata può dare assuefazione. Una volta partiti non si riesce a smettere. Sono stati registrati casi di svenimento. Tenere rigorosamente fuori dalla portata dei lettori a bassa pressione.

Penitenti, Monini

enakapata3Monica Penitenti: Ho conosciuto VIncenzo, ho visto Luca quando era piccolino una volta, adoravo nonno Moretti e ho goduto della generosa ospitalità della casa di Cellole più d’una volta quando ero poco più che una bimba. Eppure non è stato il ritrovare nel libro quei personaggi, quei luoghi o alcuni dei figuri di Secondigliano che pure incontrai, a farmi amare il vostro libro. Ho amato la tenera ipocondria, carattere di famiglia, il bisogno di un cibo conosciuto, bisogno tale da eleggere il posto “delle ragazze” a casa giapponese, l’approccio al rigore nipponico, l’interesse per la ricerca che insieme ad altre molte cose mi hanno fatto bere le pagine velocemente e lievemente. Ancora l’andamento iniziatico del viaggio di un figlio che ritrova (lo ritrova?) un padre dalle molteplici apprensioni di padre partenopeo fino al midollo…
Enakapata mi ha divertito, interessato e ispirato. Grazie per aver fatto di quel viaggio a due, un viaggio per molti di noi. Il fascino e le contraddizioni del Giappone, partendo dal citato libro di Fosco Maraini, arrivando ai classici di Tanizaki, per approdare all’estrema Yoshimoto, passando per Murakami esercitano su di me suggestioni durature. Il punto di vista partenopeo del mondo nipponico mi mancava: resterà con me altrettanto a lungo.

Barbara Monini: Caro Luca, sono Barbara (Waschimps in realtà), cara amica di Carmine Rubino e Rita Palena.
Quando vi hanno incontrati a Bologna mi hanno riportato questa meraviglia, con tanto di dedica … e mi si è appicciato il cervello. Lo hanno fatto apposta, perchè mi occupo da anni di Giappone, è una passione di vita e di lavoro. Sono molte le cose che vorrei dirvi, ma non credo che basterebbe postarle sul blog … faccio prima ad annotare il libro ad ogni pagina.
Ma soprattutto questo progetto può e deve continuare, ed ampliarsi, e sarei molto felice di potervi essere utile.
Ti aggiungo che sono di Napoli e in partenza a luglio di nuovo per Tokyo dove inauguriamo una mostra stupenda all’Istituto di Cultura. Fatemi sapere voi in quale modo eterico o spaziotemporale possiamo entrare in contatto.
Un abbraccio forte, Barbara.

Ruggiero, Cati, Stazi, De Luca

enakapata3Antonio Jr Ruggiero: Cartoni animati cruenti, pesce crudo da mangiare e il Karate di Bruce Lee (che, tra l’altro, era di origini cinesi): gli stereotipi nostrani sulla terra del sol levante sono più o meno questi; come accade da altre latitudini, quando, pensando a noi italiani, parlano di pizza, spaghetti e mafia e la cosa non ci fa tanto piacere. Il libro “Enakapata – da Secondigliano a Tokio”, scritto a quattro mani dagli autori partenopei Vincenzo e Luca Moretti, racchiude in sé tanti significati, tra questi, anche l’intento di approfondire nel migliore dei modi la conoscenza di una cultura tanto lontana e tanto etichettata dagli occidentali. […]
Leggi su Futura l’intero articolo  di Antonio Jr Ruggiero

Sergio Cati: Enakapata è un libro che si legge con grande piacevolezza e che mi ha ricordato i miei viaggi a Osaka.

Danilo Stazi: Caro Enzo, sono in aereo, riparto per l’India mentre leggo, interessato e onorato, il vostro libro. Ci sentiamo presto.

Valentina De Luca: Ho letto il vostro libro che mi sembra vi somigli molto: è  serio e divertente, fuori dalle righe. Soprattutto interessante la capacità di mettersi a nudo, cosa che nessuno fa più, terrorizzati come siamo dalla possibilità di scoprire il fianco.

La terrazza

enakapata3Le foto della terrazza della mia amica Anna Masera non ci sono più. O, per meglio dire, le foto con Francesco, Luca, Alessia, Giorgio, Cinzia, me e Anna sulla terrazza di Anna non ci sono più. Forse per la vendetta di un tabaccaio. Di certo senza nessuna conseguenza.
La serata è stata bellissima. Di più. Leggera. Ancora di più. Supercalifragilistiserendipitosa. Di quelle che nascono così, per genio e per caso. Di quelle che le vivi così e ne hai un piacere strepitoso.
Non ci credete? Allora state a sentire.
Sulla terrazza di Anna venerdì sera non ci saremmo arrivati senza Giorgio Fontana. Che fino a quella sera Anna la conosceva di nome, ma non di fatto. Li ho presentati io qualche ora prima. Io che Giorgio fino a quella sera lo conoscevo di nome ma non di fatto.
Dite che non è possibile? E che comunque detto così non ci si capisce nulla?
Allora ricomincio da Giorgio. Che è uno dei miei 523 amici sul pianeta Facebook. Che un giorno mi scrive e mi chiede se sono disponibile a presentare Enakapata a Torino. Che mette in moto la macchina che porta me, Luca, Cinzia e Francesco alle Librerie.Coop di Torino venerdì 5 aprile.
Con Anna invece siamo amici sul pianeta Terra da quasi 20 anni. Per un po’ di anni ho anche collaborato con la Stampa.it, il quotidiano online che lei dirige con eccellenti risultati (naturalmente è la “mia” opinione, ma ci tengo a sottolineare che è l’opinione del lettore e non dell’amico). Eppure sono quasi 10 anni che non la vedo (Anna). Sarà questa la volta buona? Pare di si. Anna c’è. Assieme a Giorgio. Al mio amico Sergio Negri, dirigente della Cgil piemontese. E ad Alessia Cerantola, govane studiosa e profonda conoscitrice della lingua, della letturatura e della società giapponese.
Alla presentazione non siamo in tanti. Ma questo già lo sapete. Quello che ancora non sapete è che si discute di lavoro. Di ricerca. Di raccolta della “monnezza”. Di cucina. Di serendipity. Di responsabilità. Di educazione civica. Visti dall’Italia e dal Giappone. Che la discussione a chi c’era è piaciuta molto. Che tra oggi e domani chi ha tempo e voglia potrà scaricarla su queste stesse pagine.
Tra i saluti e due dediche (due di numero, non due per modo di dire ☺) chiedo ad Anna di restare a cena con noi. Dice di sì. Di più. Dice di andare tutti a cena da lei. I magnifici sette. Sulla magnifica terrazza che affaccia sul Po. Mi ricordano abbastanza perspicace già da bambino. Ma alla mia età ci metto davvero poco a capire quando mi fanno una proposta che non si può rifiutare. Aperitivo al bar preferito da Cesare Pavese. Approccio fast da parte di Anna e di Luca, i nostri inviati al supermercato e poi a casa che se vuoi mangiare qualcuno deve pure cucinare. Slow quello del resto della Kapata Session, con fermata intermedia per comprare il gelato (come ogni napoletano che si rispetti, considero disdicevole presentarmi a casa di un amico/a a mani vuote; le sfogliatelle avrebbero fatto un altro effetto, ma anche  il gelato non era male) e passeggiata lungo Po. Poi finalmente a casa. Si, avete letto bene. Non ho scritto a casa di Anna anche se eravamo a casa di Anna. È che io mi sono davvero sentito come a casa mia. E di ciò sono davvero grato alla mia mitica amica.
Considero la cura dell’amicizia una delle caratteristiche più belle del nostro essere “umani”. Di più. Lo so. Ancora di più. Ne ho fatto una scelta di vita. Eppure è sempre bello. Bello come rivedere una persona cara dopo più di 10 anni e sentirti come a casa tua. Bello come condividere uno sguardo o una confidenza. Bello come una serata supercalifragilistiserendipitosa. Bello come la voglia di ritornare ancora.

Don Peppe detto Testolina

enakapata3Io speriamo che me la cavo: è stato l’ultimo esorcismo lanciato via Facebook poco prima della partenza per Torino.
Volete sapere come è andata? Venerdì notte le mie 5 ore le ho dormite benissimo. Il che significa che sono andato a letto contento. In pace. Soddisfatto. Sabato mattina sono rimasto sveglio a letto dalle 5.30 alle 7.20 senza battere ciglio. (Quasi) immobile. Per non svegliare Luca. Il che significa che mi sono svegliato contento. In pace. Soddisfatto. E mentre scrivo in questa declinante domenica di afa e silenzio (il silenzio esiste anche a Napoli, a patto naturalmente di abitare sulle scale) sono contento. In pace. Soddisfatto.
Tutte queste storie per dire che è andato tutto bene, che è venuta un sacco di gente, che si sono vendute tante copie del libro? Niente affatto.
C’erano poco più di 10 persone. Si sono vendute una copia di certo e un’altra forse. Non abbiamo fatto i video. La card memory nuova di zecca si è rivelata difettosa e abbiamo perso tutte le foto a parte le 6-7  (erano sulla card in dotazione con la macchina fotografica) che potete vedere cliccando su Flickr. Mi chiedo se non sia stata la forza del destino. Se non sia stata un’intrepida vendetta. Quarantanni dopo le scorribande torinesi di don Peppe detto Testolina, lui che era capace di raccogliere un sasso da Piazza Vittorio e rivenderlo come Pietra del Vesuvio, un’audace tabaccaio torinese rifila un pacco a chi ha osato raccontare in un libro le beffe perpretate a loro danno.  Ma torniamo al punto. Luca ha fatto un numero dei suoi perchè davanti ad un negozio di cappelli ho osato dire che ne  avrei volentieri comprato uno (chi ha letto il libro lo sa, quando vuole riesce ad essere odioso, nel caso specifico con argomenti tipo “è assurdo anche solo pensare di spendere 130-150 euro per comprare un cappello quando poi non risolvi niente, non avrai mai fascino, non ti  può abbellire, non ti sta bene, ecc.”). L’aereo del ritorno ha fatto 2 ore di ritardo. E a Capodichino abbiamo perso l’autobus per mezzo minuto (accade anche a Napoli che partono in orario; quando tu sei in ritardo).
Ma allora sei scemo, direte voi. Come si dice a Napoli dove la “appoggi” questa tua contentezza e soddisfazione? Come fai a essere in pace con te stesso?
Questione di relazioni. Di rapporti umani. Di connessioni. Che sono la cosa più importante per esseri come noi.
Proprio così. La presentazione di Enakapata a Torino è stata una straordinaria occasione di sensemaking. Grazie innanzitutto ad Anna Masera, Alessia Cerantola e Giorgio Fontana. Ma per questo ci vuole un post a parte.

Tomo, Bombaci

enakapata3Gianni Tomo: Un libro da leggere tutto d’un fiato, un racconto fatto di tanta cultura e che accompagna il lettore verso tante riflessioni …
Leggi l’intera recensione su Il Denaro

Gianni Bombaci: Enakapata è stato per me un vero e proprio coup de foudre, libro di un viaggio da Secondigliano a Tokyo e al Riken, istituto di ricerca tra i più importanti del mondo, attraverso alcune stazioni: da quella del genoma dell’ape che, come afferma il pluricitato Piero Carninci, è “l’insetto più sociale che esista”, alla “fermata” degli RNA, produttori di proteine, e poi la trascrizione dei geni, Franco Nori, il Kabuki, le dimensioni delle camere d’albergo e delle case a Tokio che “Andrebbero bene per Cucciolo e Pisolo dato che tutti e sette i nani non ci vanno”, la numerazione dei piani delle case (il piano terra in Giappone si chiama primo, come a Messina), il papà di Vincenzo, il premio nobel Noyori, il caffè dalle ragazze, i terremoti che sono all’ordine del giorno (e della notte), la differenziazione della monnezza, gli effetti opposti che si ottengono chiedendo quattro cappuccini e un tè, se ci aiuta, per farsi capire, con le dita.
Il racconto adotta  lo stile del diario, con l’innovazione del duo, quasi musicale, attraverso un dialogo non solo generazionale ma innestato su diversi approcci stilistici, direi quasi differenti poetiche e diversi retroterra, dei due scrittori (tra l’altro padre e figlio), che trovano nel libro una mirabile sintesi e costanti punti di incontro e di confronto.
Questo diario (come due vite parallele) si fonda sul viaggio (altro genere che ha attraversato metà della letteratura conosciuta). Qui verrebbe facile parlare dei grandi scrittori che hanno percorso questo luogo letterario. Da Omero fino a Calvino, attraverso Stendhal, Salgari, due grandi bugiardi gli ultimi due, il primo per omissioni crescenti, il secondo perché ha fatto conoscere a più di una generazione le avventure di mondi abbastanza sconosciuti, senza mai alzarsi dalla scrivania. Viaggiatori totali comunque.
Ma cos’è il viaggio? Il procedere “turisticamente” con la guida con la bandierina (o altro) visibile in alto, il seguire libretti turistici, che probabilmente mai si seguirebbero nella propria città o nel proprio paese, o è il soffermarsi sulle sensazioni, sull’osservazione stupefatta, “natale” oserei dire, sulla meraviglia spesso non spiegata (e che non si tenta neppure di spiegare, pena l’annullamento del viaggio stesso)? Cos’è che fa la differenza tra viaggiatore e turista?
Il viaggio di Enakapata si muove su tre piani principali: gli incontri scientifici e di ricerca con grandi ricercatori e scienziati giapponesi e italo-giapponesi (se così si può dire), il dialogo costante tra due generazioni (padre e figlio, talvolta in filigrana, tal’altra in netta evidenza), il percorrere un terreno assolutamente sconosciuto (il vero viaggio!), senza lingua e senza cibo amico. Con il principe De Curtis come nume tutelare e saldo riferimento culturale.
Ma il viaggio in due con l’uso di una tastiera a quattro mani non è esercizio usuale e usato. Mi sbaglierò di certo, ma non riesco a trovare precedenti in letteratura.
Addirittura nel libro appare una facilitazione (ad usum lettore) “semeiotica”, non subito, nelle premesse napoletane, ma dopo, quando i due arrivano in Giappone: Vincenzo (il padre) inizia le sue considerazioni cronologico-diaristiche con l’uso costante del procedere “europeo-italico”; Luca (il figlio) le fa precedere da caratteri giapponesi (kanji).
Un viaggio vero, non quello turistico, è fatto di richiami, non nostalgie. E che richiami!
Pag. 40: Ricomincio da tre …”L’appuntamento era al bar di Don Peppe “testolina”, di fronte a casa mia, a fianco della merceria gestita dalla signora Carmela, la mamma di Tonino Parola”. Pensate: dettagli, personaggi, nomi e cognomi. “Se qualcuno mancava? Facile. Si passava a prenderlo a casa. Due le possibilità. La chiamata via citofono, modello classico. Oppure la chiamata a cappella, modello Lello. Chi è Lello? Lello Sodano, quello che all’inizio di Ricomincio da tre inizia a gridare , Gaetanoooo, Gae-tano, Gae-tà, e non smette fino a quando l’amico non scende.”
Il viaggio a due è fatto (e che viaggio vero!) di ansie unilaterali e senza davvero ombra di senilità precoce generazionale. Due pagine di poesia pura intitolate “Una domenica bestiale”. Vincenzo e Luca si lasciano con, a detta del padre, la promessa da parte di Luca di farsi vivo al ritorno a casa sua (i due vivono separati a Tokio per la scelta, correttissima, di non mischiare lavoro (di Vincenzo) e svago (di Luca) . Luca non mantiene, a detta del padre, la promessa.
“Mi sento con Valerio Orlando. Lo incontrerò al mio ritorno. L’Inter gioca contro il Palermo. Ma Luca non si fa vivo. Mi ripeto un minuto e un altro pure che è adulto e vaccinato. Che posso tranquillamente seguire la partita e poi andarmene a letto. Ma rimane il fatto che si sarebbe fatto vivo per il ritorno. Che è una persona affidabile. Che mi conosce”.
Jazz, scrittura sincopata!
“Tergiverso ancora un po’. Poi mi dirigo verso casa di Luca.
E’ passata la mezzanotte ma lungo la strada che collega Wako a Narimasu, qui alla periferia di Tokio, incontro una ragazzina di 16-17 anni che torna tranquilla a casa. Due o tre persone anziane che vanno in bicicletta. Tanti giovani di varia età fuori dai locali e per la strada. Lo so che anche in Giappone non mancano problemi, tensioni, contraddizioni. Ma mi viene un po’ tanto il magone a pensare a casa Italia. Ai luoghi comuni, alle ansie, ai pregiudizi che siamo riusciti ad addensare alla voce “sicurezza”.
Vincenzo arriva, dopo considerazioni politico-tranquillizzanti, a casa di Luca. “Busso. Non risponde. Busso e chiamo. Niente. Lo faccio ancora. Il cuore in gola. La porta si apre. Mi guarda. Mi dice “sei incredibile”.
E Luca figlio, sulla sua tastiera di pianoforte-diario annota “Torno a casa e scopro che è saltata la connessione,
“Miii! Non ci posso credere”, deve essere un avvenimento storico. Dovevo sentirmi con papà su Skype, se ne parla domani. Per stasera non mi resta che dormire. E’ passata da poco la mezzanotte quando bussano. Ci metto un po’ a svegliarmi, apro ancora mezzo addormentato, tutto bene, è papà. Non sentendomi mi aveva dato per disperso. Non importa quanti anni hai, che tipo sei, se hai viaggiato o no. I genitori sono apprensivi di natura.”
Jazz, poesia, interplay: ecco il libro Enakapata.
“Proviamo a suonare solo le note necessarie” dice Joao Gilberto in un dialogo con Enrico Rava nelle notti newyorkesi dei primi anni settanta; proviamo a togliere peso alle parole, come ha fatto per una vita intera Italo Calvino. E aggiunge Luca “ci abbiamo provato con tutte le nostre forze. A suonare solo le note necessarie. A togliere peso al racconto.”
Ce l’hanno fatta davvero, Luca e Vincenzo. Cento racconti possono nascere da questo libro, con le sole note necessarie richiamate da Joao, con il  “napoletano” in salsa giapponese minimalista.

La bombonera

enakapata3Perché la bombonera invece di la bomboniera? Perchè la bomboniera è solo una bomboniera. Mentre la bombonera è  prima di tutto il mitico Estadio Alberto J. Armando “La Bombonera” dove gioca il Boca Juniors di Buenos Aires, la città di Luis Borges e di Diego Armando Maradona. E poi perché della bombonera in questione non sapevo neppure l’esistenza fino a qualche giorno fa quando … ma forse è meglio cominciare dal principio.
Quando sono a Napoli, alla Feltrinelli Libri e Musica di Piazza dei Martiri mi piace passarci a prescindere, e a prescindere mi ritrovo sempre a comprarci qualche cosa. Settimana scorsa era la volta degli Adelphi in offerta. Provo a fare una polemica sulle etichette sulle quali si legge 1 pezzo 15% di sconto, 2 pezzi 25%. So essere un mago, ma che dico un maestro della polemica. Commento a mezza voce che i libri non sono saponette che si vendono a “pezzo”. Faccio palla corta. Nel senso che una solerte libraia mi spiega che le etichette le fa l’editore e che i libri sono presenti così in tutte le librerie di tutta Italia.  Per poi chiosare etichettandomi come il solito pedante lettore al quale non va mai niente bene. Mi tengo la spiegazione (così è,  se mi pare) e l’etichetta (la solerte libraia è anche una mia cara amica) e mi ritrovo come rapito dal fatto. Quale fatto? Il fatto che ad essere in offerta ci sono i libri di  Canetti, di Galasso, di Capra, di Kundera. A Kundera mi fermo. Una giunonica fanciulla ha appena preso 7-8 copie de “L’insostenibile leggerezza dell’essere” e sta per andare alla cassa. La guardo. Mi sorride. Accompagna il sorriso con rapide parole. E’ per la storia dei libri venduti a “pezzi”. Ma ormai mi sono fatto coraggio. Le chiedo cosa ne fa di 7-8 copie dello stesso libro. Mi risponde che è per una cosa molto speciale. E che dovrà prendere 7-8 copie di più libri. La guardo ancora. Le chiedo se conosce Enakapata. Mi risponde no. Ma non si ferma qui. Mi chiede se penso che il mio Enakapata possa reggere il confronto con Canetti o Kundera. Ormai ho perso. Ma non per questo abbandono. Le rispondo che per quanto mi riguarda con Canetti non ce n’è per nessuno,  o quasi. E che per Kundera non sarei altrettanto categorico, non fosse altro che per il nome, Milan.
Lei mi guarda esterefatta. Non le dico del mio cuore nerazzurro. Faccio un passo. Prendo Enakapata dallo scaffale. Lo pago. Glielo dono. Ricevo in cambio un sorriso. Sono decisamente soddisfatto.

La fanciulla va. Chiedo alla mia amica libraia a che servono tante 7-8 copie dello stesso libro. Davvero non lo sai, mi dice?, davvero, rispondo. I libri si usano anche come bomboniera. Non mi sembra vero. Poi penso a tutte le volte che sarei stato felice di portare a casa un libro piuttosto che un oggetto in argento o in ceramica. Comincia a sembrarmi una bella idea. E’ una settimana che vado in cerca di amici che debbono fidanzarsi, sposarsi, risposarsi. Ho per loro una proposta che non si può rifiutare: Enakapata. La Bombonera.

Benevento, 18 Maggio 2009

enakapata3Ma la crema di Strega è un dolce o non è un dolce?
Sono da un pezzo passate le 10 p.m. quando l’enigma finalmente si scioglie e l’ottima Maria Rosaria Napolitano, prof. di Marketing alla Sannio University e fino a quel momento impeccabile skipper dell’equipaggio della 1° Benevento Enakapata Dinner deve ammettere la sconfitta: sì, la crema di Strega è un dolce. E che dolce.
Ma se volete sapere cosa ci facevamo a Benevento è meglio cominciare dall’inizio. O quasi.
L’appuntamento con Luigi Glielmo è intorno alle 5.30 p.m. nei pressi della Prefettura.  Luigi l’ho conosciuto a Procida complice Salvatore che con gli anni  assomiglia sempre più a un personaggio partorito dalla fantasia  di Hemingway.
Luigi è uomo di mare, appassionato di jazz, prof. di Controllo Automatico al Dipartimento di Ingegneria dell’Università del Sannio e tanto altro ancora ed è stato lui, assieme all’Associazione Umanitas e alla sua presidente Stefania Ferrara, ad organizzare la presentazione  di Enakapata all’Università del Sannio.
Con Cinzia ci muoviamo da Bacoli in perfetto ritardo, alle 3.35 p.m., ma riusciamo non so come ad arrivare all’appuntamento con Luca e Salvatore in perfetto orario,come non manca di sottolineare la perfida guidatrice. Alle 4 p.m. in punto si parte, alle 5.40 p.m. l’incontro con Luigi, i saluti, i 4 passi verso la sede dell’incontro.
Il buon giorno si vede dal mattino, così come l’organizzazione accurata : microfoni, registratori, addirittura la videocamera, la sala presto popolata, l’incontro con i prof. colleghi – amici di Luigi, cito per tutti Felice Casucci, delegato per la cultura dell’ateneo sannita.
Ci sono tanti ragazzi, immagino studenti di Luigi e dei suoi colleghi, e la cosa mi fa molto piacere, così come mi fa piacere la presenza della mia studentessa special, Suor Maria Rosa Lorusso, psicologa che segue il  mio corso di sociologia dell’organizzazione  a Salerno per non so quale abilitazione all’insegnamento. Ha una gran bella testa e la sua partecipazione attiva ha dato un contributo significativo alla mia attività in aula.
Di cosa si è discusso? Soprattutto di Serendipity, di organizzazione della scienza, di processi di competizione – collaborazione.  Troppo secondo Cinzia, Luca e Salvatore, che hanno rilevato che il libro non è solo questo. Inevitabile oltre che estremamente interessante, secondo me, perchè imi piace l’idea che il libro possa essere anche un’occasione per discutere di talento e di organizzazione.
Loro sostengono che  forse con una discussione più “leggera” gli studenti avrebbero partecipato di più. Io ribadisco che di certo le persone che sono intervenute nella discussione hanno segnalato un interesse intorno al tema che produrrà ulteriori approfondimenti. Tutta saluta. per noi e per Enakapata. Ci mettiamo a ridere tutti e quattro, in realtà molto contenti della bellissima serata. Che avrà una conclusione altrettanto degna. Quella di cui vi ho raccontato all’inizio. Di cui cercheremo di rinverdire presto il piacevole ricordo.

Bologna, 23 Aprile 2009

enakapata3Come molte delle cose che mi accadono anche questa comincia un pò per genio e molto per caso.
Nel corso dell’ultimo anno Sergio l’ho incrociato più volte e sulle “principali” l’ho trovato tranquillo, per certi versi persino rilassato. Forse Bologna la rossa e fetale non lo ha amato come merita. Forse è stato lui che non ha saputo farsi amare di più. Ma in fondo io devo soltanto chiedergli se gli va di presentare il libro.
Ne parlo con Angelo Lana. Mi dice che l’idea non gli dispiace. Mi dico che è difficile che mi ricapiti la fortuna di un editore così. Chiedo il numero alla mitica Magda. Chiamo. Gli dico che ho scritto assieme a mio figlio Luca un libro che racocnta la nostra esperienza in Giappone. Gli chiedo se ha voglia e tempo di presentarlo. Mi dice subito si. Aggiunge che le Librerie Coop  gli sembrano il posto giusto.
Metto in moto la macchina. Fila tutto liscio. Fino ad una settimana prima della presentazione. Quando mi viene in mente che lui è il Sindaco di Bologna. Che per quanto il libro sia bello  io e  Luca a Bologna non siamo certo delle celebrità. Che se non viene nessuno alla presentazione faccio una pessima figura.
Scatta il Piano Plus. Coinvolgere mio fratello Antonio, che a Bologna vive da più di 30 anni.  Torturare la mia amica  Roberta Della Sala, che a Bologna ci è arrivata da un anno  per la laurea magistrale dopo la laurea triennale a Salerno. Chiedere aiuto a tutti gli amici reali e virtuali che in qualche modo hanno o hanno avuto a che fare con Bologna. Una per tutti. Cristina Zagaria. Che prima di approdare a la Repubblica Napoli ha lavorato alla redazione di Bologna. Per aiutarmi invia mail e mette annunci su Facebook. Mi sembra incredibile e invece è vero.
Nel treno verso Bologna continuo a ripetermi che funzionerà, ma il fatto che me lo ripeta non serve certo a tranquillizzarmi. Sento Cinzia. Lei  e Luca sono già in albergo. Li raggiungiamo. Mettiamo via i bagagli. Andiamo a fare un giro in centro. Incontro Roberta. Poi Alessandro Pecoraro di Oltregomorra, con il quale conto come Fondazione Di Vittorio di organizzare una serie di iniziative sul tema legalità, lavoro, diritti. Parliamo di un sacco di cose. Ma io penso sempre alla stessa cosa.
Piove. Facciamo un giro. Non piove. Ancora un giro. Piove ancora. Meglio andare in libreria.
Non c’è ancora nessuno per la presentazione, ma manca ancora mezzora. Cinzia e Roberta chiacchierano. Io vado avanti e indietro come un carcerato.
Mi maledico e poi mi maledico ancora. Mi ripeto che le presentazioni dei libri le devono fare gli scrittori veri, quelli che loro arrivano, fanno i tipi “sostenuti”, firmano autografi, trovano tutti là che pendono dalle loro labbra, non come me che a momenti devo preparare anche il tavolino con le sedie mentre Luca già da 3 giorni mi ha comunicato che lui quello che poteva fare l’ha fatto e non ha nessuna intenzione di farsi trascinare in questa overdose di ansia da presentazione. Giuro che mi ha detto più o meno così. Giuro che se fosse davvero possibile odiare i propri figli queste sarebbero le occasioni nelle quali ci riuscirei alla grande.
Esco. Ritorno. Riesco. Ritorno. Lo facico ancora. Miracolo. Lo spazio che ci è stato assegnato è pieno di sedie e di persone. Merito di Roberta e di Antonio. Merito di Sergio. Merito della libreria. Non importa.
La discussione fugge via piacevolissima.  Il Sindaco che non fa il sindaco ma il curioso, l’amico,  il lettore, l’intervistatore. L’abbraccio affettuoso con Carmine Rubino e Gennaro Pastore, amici amici amici della Secondigliano della mia gioventù. Le dediche, ebbene sì, ai lettori conquistati.  La foto ricordo che mannaggia mi sono dimenticato di chiamare tutto il resto della Band. La cena, le chiacchiere e il vino con Angelo, Cinzia, Antonio, Stefano e Luca.
Domani si ritorna a casa. Anzi a lavoro. Ma stanotte la testa sul cuscino la metto felice.

Napoli, 17 marzo 2009

enakapata3Sono 2 mesi che abbiamo presentato il libro a Napoli. Fino a quando il mio amico Carninci non scopre la maniera per recuperare l’elasticità e dunque l’efficienza del mio cervello (lo so che lui lavora per il cervello di tutti, ma intanto io mi guardo il mio) mi tocca coccolare la mia poca memoria. In questi casi lo faccio con piacere. Lei quasi lo avverte. E mi regala le 10 cose 10 che (ancora) non ho dimenticato:
l’attività di amici e parenti per la buona riuscita dell’evento; ammetto di aver avuto la sensazione di esagerare quando ho visto che non mi rispondevano al telefono e mi evitavano per strada, ma non ho avuto pietà;
la sala eventi de la Feltrinelli Libri e Musica di p.zza dei Martiri piena piena  piena di facce conosciute e no; a fare la differenza con le altre volte sono i tanti amici di Luca ma io per intanto mi compiaccio con me stesso di non aver avuto pietà;
il momento di panico, quello che non manca mai e rischia creare l’incidente ancora prima di cominciare; non ricordo più come e perché è successo, ma ricordo bene che c’è stato e che mi ha procurato un disturbo all’occhio sinistro che è andato via solo due giorni dopo;
i pensieri gentili di Cristina Zagaria,  la sua dolce fermezza, l’elogio del figlio nonostante un padre che non sta zitto mai;
il talento dirompente di Enzo Avitabile, le parole e la musica, il cuore e le mani;
i volti felici di amici e parenti, l’imbarazzo e il piacere ad ogni dedica, il senso condiviso di una sera;
gli occhi di Luca;
la gioia di Laura e Riccardo;
la ricerca di un portafoglio perduto e mai più ritrovato (il mio, of course);
il tempo ritrovato (di una cena) con Cinzia, Angelo, Alessio, Luca, Stefano, Federica, Tarcisio, Gianni;
le chiacchiere gioiose fino a casa, della serie domani è un altro giorno, ma intanto questo ha funzionato alla grande;
l’ultimo è per un sospeso, per un pensiero che verrà, proprio come quella bella abitudine ormai andata quasi del tutto persa di pagare un caffé, un sospeso per l’appunto, per la persona che lo chiederà.

Ricomincio da tre

enakapata3 NapoliRomaMilanoReggioEmiliaNapoli. Tutta una parola. Tutto in 2 giorni. Tutta in treno. Il bellissimo libro di Weick che ho portato con me, Senso e significato nell’organizzazione, non l’ho neanche aperto. In compenso Luca mi ha raccontato un pò di cose di sè. Delle cose che ha in mente di fare. Accade quando abbiamo un pò di tempo per stare da soli assieme. E come sempre quando accade sono contento. Di più. Sono felice. Ancora di più. Mi vengono idee.
L’idea è il viaggio di Enakapata  che continua. Nel senso che andando in giro per presentarlo continuiamo a incrociare persone e storie che meritano di essere raccontate. E poi mi piace l’idea di utilizzare questo blog per ridarvi indietro, attraverso il racconto, almeno un pò dell’affetto che ci dimostrate leggendo il nostro libro e scrivendo le vostre impressioni, idee, recensioni. Stamattina ne ho parlato con Luca, gli ho detto cosa intendo fare, ho precisato che naturalmente lui è libero di partecipare oppure no e con mia grande sorpresa, a quell’ora del mattino la percentuale di rischio che ti bocci qualunque proposta è tra il 98 e il 99%, ha fatto un cenno con la testa, penso volesse dire che gli  sembrava  una buona idea.
Mah. Si vedrà. Per intanto anch’io ricomincio da tre.  Dalle presentazioni di Napoli, Bologna e Milano. Cercherò di fare in fretta. Perché il viaggio continua. E lunedì è già Benevento.

p.s.
il primo che indovina a che ora del mattino ho parlato con Luca vince una copia omaggio di Enakapata con dedica da ritirare durante la presentazione nella sua città.

Borrelli, Rotella, Malafronte, Ferrante, Lorusso

enakapata3Marika Borrelli: L’ho letto in tre ore, l’altro ieri sera tra un po’ di Barcellona-Chelsea e il letto.
Ne ho fatto indigestione. Infatti, ho sognato il Riken, il ramen, il bar delle “ragazze”, tutto assieme, preoccupandomi se poi la Fender di Luca sia mai arrivata a destinazione.
Mentre leggevo – conoscendo già il contenuto del libro perché il prof. Moretti ne distribuisce camei su FB ogni tanto – mi è venuto in mente un documentario visto su Discovery Channel: True Tokio, o una cosa così. E ho cominciato a fare automaticamente paragoni tra il diario di Moretti&son e la descrizione (agrodolce) del tipo che a Tokio ci lavorava e viveva già da un po’.
Lo dico perché Enakapata – come il documentario – è soprattutto la proiezione di vite su un luogo diverso da quello quotidiano. Ed è la diversità del luogo che cambia la ricostruzione di un ricordo e lo ricompone. Vincenzo ci racconta della sua famiglia e Luca ci racconta del padre, stimolato dagli eventi che in quei desueti luoghi accadono.
Un diario a due voci, svelto, appetibile (molti riferimenti gastronomici, siamo italiani! Ed a Tokio si può anche mangiare male), dettagliato come per sistematizzare due esistenze per un mesetto sradicate da quell’humus vischioso e bellissimo che è Napoli, nonostante tutto. Con la meticolosità di Moretti father alle prese con un sistema cognitivo (quello dei nipponici) inverso: vedi il metodo di contare sulle dita, per esempio!
E con il rammarico di fondo dell’impossibilità per noi Italiani di avere una ricerca universitaria degna. Ci prova, Vincenzo, a descrivere il Riken, tempio pressoché perfetto per scienziati e ricercatori, evidenziando il coraggio dei nostri compatrioti a trasferirsi agli antipodi, lui con il rimpianto della pastiera.
Ma cosa mai potrebbero pensare i giapponesi di noi, se leggessero questo libro che li descrive e descrive due napoletani alle prese con Tokio? Sembra l’analisi di Las Meninas che ne fece Focault: un gioco di rimandi iconici il cui differenziale era il prodotto di una proiezione, appunto.

Mauro Rotella on Tesionline.it

Assunta Malafronte: Da qualche giorno ho terminato la lettura del vostro libro. Avvincente. La cosa che mi è piaciuta di più è l’aver alternato la “pancia” (le storie di vita) alla “testa” (la ricerca), rendendo la lettura scorrevole ed interessante. Non ho mai visitato il Giappone e prima di leggere il libro nemmeno ci avevo mai pensato. Però, prima di partire, farò un bel corso di inglese e  appena arrivata andrò a mangiare dalle ragazze!

Tommaso Ferrante: Na capata … ò sasiccio… le prime 40 pagine so state peggio di una palillata in fronte. Le ho lette almeno 3 volte per comprenderei qualcosa :-). Sembra il libro per l’esame di teoria dell’informazione e telecomunicazione. Ti farò sapere alla fine. Un abbraccio.

Rosa Lorusso: Sono pienamente d’accordo con l’idea che non si può prendere senza lasciare, né chiedere senza dare, ma aggiungerei che non si può dare se non si è a propria volta ricevuto.
Prescindendo dai nostri valori e orientamenti possiamo arricchire la nostra vita e la vita altrui, convinti che più si condivide più ci si arricchisce.
L’aggettivo che a mio parere meglio racchiude quest’opera è coinvolgente. Chi possiede la speciale abilità di renderti partecipe nella relazione del sapere riesce a farti entrare in un interessante vortice comunicativo che incoraggia la voglia di contribuire alla costruzione di questo meraviglioso e mai terminato edificio della cultura.
Mi sono sentita particolarmente coinvolta in questo viaggio; a volte mi sembrava di essere lì con i protagonisti di quest’avventura.

Della Sala, Orlando, Lagomarsini, Gianfagna, Asfoco, Conforti

enakapata3Roberta Della Sala: Ieri pomeriggio a Bologna presso la libreria Coop Ambasciatori è stato presentato un anomalo e originale testo, o meglio, un diario di viaggio che percorre due binari paralleli che hanno imparato ad incrociarsi: la scienza e la città.

Leggi l’intero articolo su Alter-Azione

Valerio Orlando, again: Caro Vincenzo, ho finalmente (ma ero dispiaciuto come accade quando viene il tempo di separarsi dalle cose amate) terminato di leggere il tuo libro. Di nuovo complimenti. Credo sia un documento importante che spero possa trovare massima attenzione sia negli ambienti che decidono/programmano il futuro della ricerca in questo paese, sia semplicemente (serendipity) tra qualche giovane che possa cosi trovare un’occasione per sognare. Spero di sentirti presto. Valerio.

Andrea Lagomarsini: Vincenzo non ti smentisci mai.. il libro è bellissimo.. una commistione di pezzetti che all’unisono conducono al risultato .. un onore avere un angolino di spazio.. quando riusciremo a organizzare la presentazione.. e purtroppo penso andremo a ottobre visto che giugno è martoriato dalle elezioni… Porta anche TUO FIGLIO!

Andrea Gianfagna: Dear Vicienz’, ho letto con interesse e piacere il Diario che hai scritto together tuo figlio Luca, sulle esperienze del vostro viaggio in Giappone. Complimenti. Mi è venuto  in mente un proverbio di Campanasce, leggendo la tua interpretazione, molto accattivante, della serendipity.
Il proverbio recita: “la vecchia nun vulea murì pecché autre cose vuleva verè (dove veré sta per scoprire)”, mi sembra che in questo proverbio ci sia, in nuce, lo sviluppo della teoria della serendipity.
Ma veniamo a noi. Sono stato in Giappone nel 1968 per oltre 20 giorni a Tokyo, Kyoto, Nara ed Osaka e devo dirti che condivido molte delle tue valutazioni sui giapponesi e sul sistema Giappone, anche con le relazioni che tu fai, confrontandole con ciò che avviene in Italia.
Volevo tuttavia dirti che la cosa più importante che mi è capitata nel viaggio in Giappone in compagnia di Julien Livi (fratello di Yves Montand) e segretario del Sindacato Alimentaristi della CGT, è stata la presa di coscienza che il mondo si deve valutare non solo con i criteri europei ed americani, e che l’Asia, il Giappone richiedono altro. Il tuo diario conferma. Domo arigato per il tuo lavoro ed auguri, affettuosamente.

Sabrina Asfoco: Ciao Moretti senior, ho letto il tuo libro e l’ho trovato divertente e leggero. Si, sei riuscito a parlare di scienze e tecnologia con leggerezza. Bravo anche Luca. Un abbraccio.

Antonio Conforti: […] E’ il Vincenzo che parte da Secondigliano e senza più parlarne esplicitamente, traccia lungo tutto il libro un filo invisibile di napoletanità e di tradizione popolare, alla quale non rinuncia comunque, anche se fra mille contraddizioni.
E’ il fiume carsico dello stesso Luca, molto più giovane e strutturato verso una valorizzazione del “nuovo”, che tenta di portare indietro,verso il luogo d’origine, i simboli del mondo visitato, dalla cucina al gadgets, perché si sedimentino nella comunità alla quale appartiene come ulteriore patrimonio di ricchezza.
E’ la pervicace, spettacolare ritrosia a comunicare nell’inglese universale che hanno quasi tutti i giapponesi, che sembrano rifiutare così l’omogeneità imposta dall’esterno. […]

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Annibale, Maxtraetto, Orlando, Ugolini, Pennone, Potecchi, Splendore

enakapata3Vincenzo Annibale: Fino al 10 marzo è una chicca. Avevo deciso di piegare le pagine interessanti per poi commentarle. Fino ad ora ho fatto una novantina di “orecchie”. Dopo il 31 marzo mi mancherà il giappone (è anche un invito al visitarlo insieme a tante altre affascinati cose, che poi dirò tutte insieme). C’è da sperare che socializzi altri viaggi.

Maxtraetto: Il fil-rouge sella serendipità è la vera capata che sconvolge le mie sinapsi da un po’ di tempo. Destino, fato, caso, dharma, coincidenza, occasione, opportunità, parole che all’inizio credevo sinonimi di serendipità. Se non accompagnate da: attenzione, apertura mentale, storia, organizzazione, desiderio, potrebbero esserlo ma la capacità di mettersi continuamente in gioco è l’anello mancante. Con l’umiltà di chi apprezza gli insegnamenti e con la voglia di affrancarsi da pensieri che si ritengono fondamentali. Per me bella la coincidenza dell’arrivo del vostro libro con le riflessioni che stavo facendo intorno a “carpe diem”.
Un abbraccio.
http://solchi.blog.dada.net/

Valerio Orlando: Carissimo Vincenzo, solo per dirti che mi porto il tuo libro (e di tuo figlio!) in giro per Roma e per il mondo. Bello. Bellissimo. Cerco di non leggerlo con gli occhi di chi sa. E mi riesce facilissimo. Ma più che i contenuti e i luoghi che conosco e riconosco, mi godo proprio la scrittura. Quell’insieme di riverberi che rivelandosi o celandosi, raccontano ora l’uomo e ora l’artista. Spero di sentirti presto. Un abbraccio. Valerio

Bruno Ugolini on l’Unità del 6 Aprile 2009

Domenico Pennone: Da non perdere. Il viaggio che tutti vorremmo fare. Portandosi dietro molto passato e tanto vissuto, cercando quello che altrimenti non potremmo nemmeno immaginare. Enakapata, il libro di Vincenzo e Luca Moretti, padre e figlio è tutto questo e tantissimo altro ancora. Un viaggio cosi bello, così avvincente che fatichi a non pensare che sia finto. E invece è tutto vero, raccontato con passione ironia e a tratti anche con un pizzico di sana malinconia.
MetroMagazine

Alessia Potecchi: Cari Vincenzo e Luca, sono contentissima di partecipare alla presentazione del vostro libro a Milano, la mia città, e vi ringrazio molto per avermi invitata. Ho trovato la vostra pubblicazione molto affascinante e nello stesso tempo fresca e originale. Leggendo sembra di compiere il vostro viaggio e ci si trova immersi nella cultura giapponese scoprendo tanti aspetti sociali e culturali che fanno riflettere a confronto con il nostro quotidiano. Trovo che il libro offra diversi spunti di riflessione e sia un’ottima lettura che incuriosisce sempre di più strada facendo…..Tanti tanti complimenti, vi auguro un grosso successo e sono sicura che sarà così! A presto.

Nunziante Splendore: Cosa ha spinto un sociologo napoletano a lasciare per un mese il suo lavoro, le sue abitudini, i suoi affetti più cari per trasferirsi in Giappone ad intervistare, a scoprire, ad annusare, condividere e integrarsi in un mondo completamente diverso dal suo? La risposta in questo libro, Enakapata, scritto da Vincenzo e Luca Moretti, padre e figlio. Già ma cosa vuol dire enakapata e perché? Enakapata è un verso nippo napoletano inventato dagli autori, che vuol dire è una capocciata, una cosa da urlo, uno sballo qualcosa di diverso dall’ordinario, qualcosa che ti fa capire quello che avevi sotto il naso ma non avevi mai riflettuto. Ne esce fuori un diario, il racconto di una vita, un grido di dolore, un grido di conforto e di smarrimento e di ritrovamento, quasi un urlo di speranza verso il futuro. Ho intravisto un doppio livello di lettura in questo libro: il primo come fanno gli scienziati a scoprire l’imponderabile, il secondo livello è solo vivendo intensamente che possiamo realizzarci. Il professore Moretti ci rassicura e ci tranquillizza. Tutto funziona per genio e per caso. L’importante è capire, dare un senso ad un insieme di flussi che ci travolgono, ci invadono ci sfiorano, ci arricchiscono. Un po’ come vivere in un ambiente straniero ostile e completamente diverso dal nostro e dare un senso a ciò. Il libro ci indica due vie la prima razionale la seconda ancora da studiare: imparare l’inglese e scoprire che non è di grandissima utilità per la vita quotidiana giapponese, la seconda aiutarsi con il genius napoletano, il tutto condito con un metodo di lavoro straordinario: 17 ore filate di lavoro come un vero giapponese. Tutto ciò si scopre leggendo Enakapata, storie di strada e di scienza da Secondigliano a Tokyo. Alla fine del libro due domande: la prima: che tipo di diario poteva scrivere un ipotetico scienziato giapponese in missione in un centro di ricerca napoletano; la seconda: Paghiamo per dieci anni una ventina di alte teste giapponesi pensanti e mettiamoli al servizio della ricerca italiana ne uscirà qualcosa di diverso oppure no?

Risi, Aliberti, Del Vecchio, Pennone, Panachia, Ugolini

enakapata3Vincenzo Risi: Caro professor Moretti, sappia che stamattina le voglio molto male. Stanotte ho iniziato a leggere il suo libro e sono riuscito a chiuderlo solo dopo le 3… Scherzi a parte, in un sol colpo sono a più della metà e le posso dire che è un racconto meraviglioso. Non lo dico per farle piacere, ma perchè lo penso davvero. E’ divertentissimo, ho riso da solo che un altro po’ i coinquilini mi prendevano per pazzo, e nei punti dove parla della sua Secondigliano e in particolare di suo padre mi sono commosso tantissimo. Sono arrivato all’intervista con Marchesoni, e l’analisi che ne esce sul sistema ricerca in Italia fa molto riflettere. Va bè, a questo punto conto di finire il libro in breve tempo! Le farò avere un parere nel complesso.

Sabato Aliberti: Grazie per questa Kapata. Non commento il libro. Non sarei obiettivo dato l’affetto e l’ammirazione che nutro per Vincenzo e indirettamente per Luca, conosciuto di persona ma ancor più a fondo attraverso le parole scritte nel libro. Voglio solo ringraziare i due autori per per avermi dato la possibilità di vivere qualche giornata in Giappone. Presso il Riken Institute, nelle vie della città, in albergo, nel bar a colazione. Ho vissuto l’ansia di Vincenzo, lo stupore e il disincanto di Luca. Sono stato presente all’incontro con il premio Nobel, con gli scienziati, Carninci e F. Nori e le tante altre persone che hanno accompagnato i nostri nel loro viaggio. Non ho sentito la necessità di immaginare niente! La dettagliata e magnifica descrizione di un viaggio di un’esperienza di ricerca, trasformata in una foto artistica che rappresenta i contrasti e le similitudini di realtà apparentemente così distanti sotto il profilo antropologico. Due culture a confronto! Delle foto artistiche estremamente varie nei soggetti: paesaggi, scene urbane e rurali, ritratti, stili life, soggetti folkloristici, popolari e mistici, così come ritratti delle personalità incontrate. Un gioco di luce e ombre di colori e di bianco e nero, frammenti di vita quotidiana del presente e del passato, di una realtà vissuta ma ancor più “sentita”. Razionalità ed emozioni unite. Grazie per tutto questo.

Beppe Del Vecchio: … un ringraziamento agli autori del libro. Un libro “piccolo” ma compresso. Una vera bomba (direi una vera capata). Ricco di concetti che vanno ben oltre il racconto. Uno strumento. Ha la capacità della chiarezza e la grandezza della semplicità.

Domenico Pennone: Azz Vincenzo che bel libro che hai scritto! Il commento lo devo maturare, non meriti na’ cosa arronzata:-).

Rosalba Panachia: Caro Moretti, ho da poco finito di leggere il suo libro e devo dire che… è ‘na capata! Complimenti a lei e a suo figlio! Poi io mi sono divertita particolarmente a riandare con la mente, grazie ai racconti suoi e di Luca, a quei primi tre mesi del 2008 che ho passato in Giappone, e a tutto “lo yin e lo yang” (molto più yin, naturalmente) che quel paese mostra ai nostri occhi non solo occidentali, non solo italiani, ma anche (e soprattutto) NAPOLETANI! Per la serie “l’importanza del punto di vista”! Concordo sul fatto che è stato un peccato non poterci incontrare a Tokyo, ma da quel che ho letto dei suoi ritmi nipponici e da quello che so essere state anche le mie giornate intense, mi sa che era abbastanza naturale… Comunque è stato bello poterci finalmente conoscere da vicino alla presentazione alla Feltrinelli, e spero ci terremo in contatto. Mata aimashou! Arrivederci!

Bruno Ugolini on Storie di oggi

Tra la via Riken e l’Europa

Quello che qui di seguito potete leggere è il paragrafo finale di un lungo articolo apparso sul n.3 del 2008 di Quaderni di Rassegna Sindacale dal titolo Tra la va RIken e l’Europa. Lavoro scientifico, organizzazione della ricerca, cultura del merito, valorizzazione del talento

Si potrebbe concludere il nostro racconto con la definizione di un possibile, provvisorio elenco di priorità che sottolinei la necessità di:
investire di più e meglio nella ricerca, definire le risorse e l’attività ordinaria, pianificare il reclutamento, migliorare la capacità di collaborazione e di networking a livello internazionale, attivare processi di collaborazione competizione;
fare dell’Italia un paese attraente per chi fa ricerca, adottare scelte e definire strategie che puntino ad attrarre l’interesse degli investitori, favorire l’interazione di menti preparate in ambienti socio cognitivi serendipitosi;
attivare call internazionali allo scopo di portare l’esperienza, il know how, le capabilities degli scienziati più bravi nel nostro paese e di metterle al servizio dei nostri giovani ricercatori, realizzare politiche finalizzate allo scambio di giovani ricercatori, attirare i migliori giovani ricercatori di ogni parte del mondo, quelli che vanno dove ci sono opportunità vere, realtà estremamente qualificate e organizzate, educatori in grado di aiutarli a crescere, a diventare autonomi;
selezionare i luoghi e le strutture alle quali concretamente affidare la mission di innescare questi circuiti virtuosi, ampliare le opportunità per le istituzioni e le organizzazioni, università e imprese in primo luogo, che intendono dedicarsi all’innovazione.
Ci piace invece concludere ritornando a Calvino, al suo elogio della leggerezza, alla sua visione della scienza  per chiederci se non sia proprio la società leggera la risposta alla società liquida, il polimorfismo vivace e mobile l’alternativa al conformismo opaco e bituminoso, la forza dei valori, delle idee, delle connessioni l’antidoto alle paludi dell’anomia, dell’incertezza, dell’insicurezza.
L’idea è che in Italia sia possibile creare le condizioni, se si sceglie di connettere la bellezza, l’intelligenza, la creatività, lo spirito di iniziativa, la capacità di innovazione, il talento, che c’è, con una diversa cultura e modalità di organizzazione e di gestione dell’università e della ricerca scientifica, per sviluppare ambienti socio cognitivi serendipitosi, per attivare processi virtuosi «per genio e per caso» e determinare, in un arco credibile di tempo di 10-15 anni, un nuovo rinascimento. Naturalmente, anche solo la possibilità che ci siano tanti Serendipity Lab nel nostro futuro è strettamente correlata alla volontà delle istituzioni, delle università, delle parti sociali, di interpretarne la necessità, di accompagnarne la crescita favorendo la propensione a (ri)definire identità, attivare e dare senso agli ambienti nei quali chi fa ricerca opera, a incentivare la voglia di fare rete. L’idea, in definitiva, è che una società che sa dare valore al futuro, al lavoro, al rispetto, al merito è in grado, perciò, di dare più senso, profondità e credibilità a tale prospettiva.