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Paroliamo

Alternative, Ambiguità, Apprendimento Organizzativo, Aspettative, Attenzione, Leader, Azione, Coalizione, Competenza, Conformità, Contraddizioni, Costruzione del Significato, Cultura Organizzativa, Decisione, Efficacia, Efficienza, Enactment, Identità, Incertezza, Interpretazione, Leadership, Motivazione, Partecipazione, Partner, Potere, Preferenze, Problem Solving, Processo Decisionale, Regole, Retrospezione, Ruolo del dirigente, Scopo, Sensemaking, Serendipity, Sistema Qualità, Soluzioni, Team.

Giocare è facile.
Ognuna/o di voi sceglie una o più parole tra quelle che trova qui sotto e prima propone film, libri, canzoni, quadri, sculture, storie di vita, luoghi, ecc. che ritiene possano essere associate alla parola scelta e poi spiega le ragioni dell’associazione fatta.

Non ci sono limiti. Né di spazio (da 1 riga a 1 milione) né di tempo. E potete tornarci su tutte le volte che volete.
Buon apprendimento a tutte/i

Secondigliano, mon amour

enakapata3[…] È tutto il giorno che continuo a pensare a Secondigliano. Non tanto per i 25 anni e passa che ci ho trascorso. È che a Secondigliano ho comprato il mio primo disco, un 33 giri di vecchi successi di Peppino di Capri. E il mio primo libro, Lavoro salariato e capitale di Karl Marx. Da Secondigliano sono partito per occupare la mia prima scuola, l’Istituto Tecnico Industriale Statale Francesco Morano di Caivano. E per andare al mio primo concerto rock, The Incredible String Band alla Mostra d’Oltremare. A Secondigliano sono stato ragazzo. Fidanzato. Tifoso. Studente. Comunista. Ho vissuto la mia vita da mediano. Con mio fratello Antonio; Tonino Parola, figlio di Raffaele, operaio all’Italsider; Salvatore Traino, detto ò beat, figlio di Gennaro, operaio alla Mecfond; Stanislao Nocera, figlio di Cosimo, operaio alla Mangimi Chimici Meridionale; Antonio e Carmine Rubino, figli di Gennaro, pensionato; Umberto e Gennaro Pastore, figli di Antonio, artigiano. Tutti soci fondatori del Gruppo Alternativo Incazzati di Secondigliano. Con regolare sede in via Corso d’Italia. Ampio sottoscala condiviso con una compagnia di prosa napoletana. Da “Non ti pago” di Eduardo De Filippo a “Howl” di Allen Ginsberg. Dalla musica di Charlie “Bird” Parker alle canzoni di Massimo Ranieri. Niente spocchia. Nessuna puzza sotto al naso.
Per me Secondigliano è tutto questo. E molto altro ancora. Oggi deve essere la giornata mondiale del déjà vu. Mi tornano in mente senza un ordine preciso. Ma sono proprio loro. Senza ombra di dubbio.
Giorgio Gagliardi, tecnico della Radaelli, milanese, che mi presenta la donna, napoletana of course, destinata a diventare la più importante della mia vita.
Don Peppe detto Testolina, che nella Torino dell’autunno caldo raccoglie sassi per strada e li vende come pietre del Vesuvio. Uomo capace di giocare e di perdere, in quegli stessi anni, 700 mila lire giocando una partita a scopa. Vince chi fa sette punti. 100mila lire a punto. Una partita sola. Senza rivincita. Una vita da magliaro e un sogno. Vedere Ciro, l’ultimo figlio maschio, diplomato. Almeno per lui vuole un destino diverso. Ed è strenuamente convinto che solo la scuola possa darglielo. Il fatto è che l’erba voglio non cresce nemmeno nel giardino dei re. Figurarsi in quello dei magliari. Sarà la sconfitta più dolorosa della sua vita.
Peppe detto “a lente” a causa della marcata miopia, discreta ala destra, esponente di seconda fascia della band dei magliari, più piccole truffe che fantasia, non ha ancora 30 anni quando supera il traguardo dei 200 comuni che gli hanno consegnato il foglio di via.
Totonno detto “tre palle”, meglio lasciar perdere per quale ragione, che quando Pippone, l’eleganza fatta “paccotto”, gli chiede di affacciarsi dal finestrino per vedere quale stazione si stanno lasciando alle spalle risponde “siamo a Alemagna panettoni”.
Gennarino De Rosa, detto Topolino, forse per i baffetti radi o forse no, operaio in una piccola fabbrica di calzature, un destino segnato dalla colla e dai tacchi.
Pasqualino detto “ò ricciulillo” in omaggio alla folta chioma che fu, che ha in sorte una sorella di nome Margherita e il tormento del nostro sorriso malizioso mentre intoniamo, si fa per dire, “perché Margherita è buona, perché Margherita è bella, perché Margherita è mia”, ogni volta che lo vediamo avvicinarsi.
Tutto vero. Giuro. Com’è vero che Secondigliano mi è rimasta appiccicata addosso anche quando, con il matrimonio, mi sono potuto spostare al Petraio, magica scalinata tra Chiaia e il Vomero, uno degli scorci più incantevoli di Napoli. Forse è per questo che non mi sono mai del tutto rassegnato all’infinito degrado del mio quartiere. Che, non potendo naturalmente impedirlo, ho cercato almeno di esorcizzarlo. Con l’ironia. Con il ricordo. Penso al tormentone interpretato fino allo sfinimento e oltre con Luigi Santoro, mio maestro e compagno alla Cgil. Io che propongo di organizzare un convegno dal titolo “Secondigliano non è solo camorra”, lui che risponde serio che si può fare. A patto di affidare a lui l’intervento centrale. Titolo: “… è pure munnezza”. Luigi è così. Prendere o lasciare. Battuta sempre pronta. Mai banale. L’organizzazione prima di tutto. Se ti può stressare ti stressa. Se può farti venire i sensi di colpa te li fa venire. Però non ti lascia mai solo. Lui c’è. E tu sai che su di lui puoi contare. Sempre. Comunque su Secondigliano ho continuato a pensarla a modo mio, anche se a sentire lui io ho sempre pensato e fatto a modo mio. Adesso che ci penso, qualcosa di vero ci deve essere, perché una volta anche il grande capo, Sergio Cofferati, mi ha detto che ho il difetto di fare sempre di testa mia, che non sto a sentire nessuno. Ma quella volta era molto arrabiato con me per faccende legate al sindacato campano. O forse poi me lo ha detto anche qualche altra volta. Comunque quella è un’altra storia, che forse un giorno racconterò. In questa c’è che nelle diatribe tra le bande giovanili del Vomero e quelle di Secondigliano, quando con l’apertura della linea 1 della metropolitana i “tamarri” di periferia si sono potuti finalmente riversare in massa nei quartieri “alti” della città, non ho avuto dubbi a schierarmi dalla parte giusta. Naturalmente quella di Secondigliano.
In questo diario il mio quartiere non ci sta insomma per una questione di folklore. Né per nascondere le sue vergogne. Non sarebbe giusto. E neanche possibile. La mia è piuttosto una dichiarazione d’amore. Per tutto quello che esso ancora rappresenta per me. Per le tante persone perbene che ci sono vissute. Per tutte quelle che ci vivono ancora. Forse dovrei scrivere che è soprattutto per loro che non bisogna perdere la speranza. La verità è che non ci credo. Almeno oggi non ce la faccio. Domani. Forse.

Era un giovidì, signò

From Enakapata. Thursday, September 11 2006
Non avevo dubbi. Ma mentre metto a punto il corso per il nuovo anno accademico ripenso con piacere all’interesse riscosso dal modulo sulla Serendipity. Un interesse che l’esempio di Carninci ha sicuramente contribuito a rafforzare. Thomas Kuhn e la struttura delle rivoluzioni scientifiche, il cambiamento di paradigma, l’inganno del saggio scientifico, le scoperte multiple indipendenti, il rapporto tra genio e caso sono diventate anche grazie a lui qualcosa di più del “solito” programma del corso di sociologia dell’organizzazione da studiare “a pappardella” per sostenere l’esame e cancellarlo dalla memoria il giorno successivo. Mi convinco sempre più che per apprendere bisogna in primo luogo capire. Poi studiare. Infine connettere ciò che si è capito e studiato a contesti di vita reali. Il resto è noia. Roba per cacciatori di crediti. Studenti senza qualità.
Esce oggi un mio nuovo articolo dedicato ancora alla serendipity e all’organizzazione della scienza. Lo spazio tiranno costringe Pierangelo Soldavini, vicecaporedattore di Nòva, a sforbiciarlo qua e là. La cosa gli riesce con una maestria che la sintesi che segue non riesce di certo ad eguagliare.
Il punto di partenza è dato dal concetto di Serendipity, sconosciuto ai più, buffo anzichenò, con un certo non so che di magico, una sorta di supercalifragilistichespiralidoso della ricerca sociologica che dobbiamo al genio di Robert K. Merton. Quello di arrivo dalla possibilità che l’interazione di menti preparate in ambienti socio cognitivi serendipitosi moltiplichi ed acceleri le opportunità per tutti quei soggetti – città, università, imprese – che intendono puntare sull’innovazione, scrutare i segni del tempo, ridefinire il proprio ruolo nella società, conquistare nuovi spazi di mercato.
L’idea è insomma che per questa via si possa crescere di più. Sfruttare di più e meglio le opportunità. A sostegno dell’idea cito ancora una volta il lavoro di Carninci. Ricordo che in Italia non ha avuto la possibilità di stabilirsi come ricercatore, pur avendoci provato per diversi anni, sia in campo universitario che nell’industria biotecnologia. Che mentre le domande con le quali era solito fare i conti dalle nostre parti erano del tipo: prenderò il prossimo stipendio? devo cambiare lavoro? se non compero la carne ma mangio solo spaghetti, riesco ad avere i soldi per fare benzina e andare in laboratorio?, giunto in Giappone le domande prevalenti sono diventate di colpo: come capire la funzione del genoma? come sviluppare tecnologie che permettono l’analisi in parallelo di molti geni? Evidenzio il fatto che in Giappone, come negli Stati Uniti, le strutture di ricerca sono organizzate, la ricerca è un investimento in sapere, il ricercatore è considerato un produttore di conoscenza e di brevetti per lo sviluppo del paese. Indico la necessità di prendere atto della oggettiva difficoltà del nostro Paese ad uscire dai confini della sperimentazione, a delineare una prospettiva nella quale le eccezioni diventino la regola, le buone pratiche la norma. Sottolineo che si tratta di un prendere atto che non significa subire, ma piuttosto comprendere fino in fondo tali difficoltà per incrementare le effettive possibilità di superarle. Come? Ad esempio attivando processi di sensemaking, cioè considerando la realtà come il risultato dell’attività delle persone che danno senso in maniera continua alle situazioni che hanno istituito e nelle quali si trovano calate. Esplicito l’idea che il sensemaking possa favorire il passaggio dal modello di efficacia basato sulla massimizzazione del rapporto mezzi – fini, a quello basato sulla capacità di sfruttare al massimo il potenziale insito nella situazione data. Concludo sostenendo che in Italia esistono molte condizioni, in termini di intelligenza, creatività, spirito di iniziativa, capacità di innovazione, favorevoli allo sviluppo di ambienti socio cognitivi serendipitosi e dunque all’attivazione e allo sviluppo di processi virtuosi “per genio e per caso”. Che davvero nell’Italia delle cento città questa può essere questa una maniera utile per sostenere processi di sviluppo dal basso, diffusi, di qualità. In particolar modo se saranno le istituzioni, le università, le imprese a interpretarne la necessità e ad accompagnarne la crescita. A favorire la loro propensione a (ri) definire identità, attivare e dare senso agli ambienti nei quali operano. A incentivare la loro voglia di fare rete.

Leggerlo Enakapata. Regalarlo nù capatone

A Natale regala Enakapata. E’ un libro, e tra una papaccella e un pezzo di baccalà un pò di cultura non guasta. Costa poco, e con la crisi che c’è qualche risparmio da investire in Bot (ti) fa solo piacere. E’ bello, come disse la mamma guardando lo scarrafone suo. Leggerlo Enakapata. Regalarlo nù capatone.
Queste le quattro righe quattro con le quali da qualche giorno ho lanciato Natale Enakapata, ‘a Befana nù capatone, la campagna natalizia per quelli che hanno già letto Enakapata e per quelli che invece no.
In queste ultime settimane mi sono chiesto spesso se non sia ora di smetterla di fare viaggi, di spendere tempo e  soldi, di dare fastidio ai miei amici su Facebook, per promuovere Enakapata. Perché non lo faccio? Perché per ora mi piace più di quanto mi stanchi, anche se mi stanca molto. Perché una ragione ci deve essere se più della metà delle persone che vengono alle presentazioni comprano il libro. E perché spero che un giorno o l’altro il passaparola l’abbia vinta sui distributori che non lo pubblicizzano e sui librai che non lo ordinano.
La morale della storia? Fino a quando ce la faccio, vado avanti, nonostante Luca che quando non lavorava non mi aiutava senza sensi di colpa (per fortuna li ho io quelli di tutta la band) e adesso che lavora non mi aiuta e basta.
Su Flickr troverete perciò le nuove foto (e le vecchie di Noyori, Tonomura, Nori e Carninci nello stesso album).  Su Scomunicando il resoconto della presentazione a Brolo. Per le prossime news, incluse quelle relative alla traduzione del libro in giapponese, bisogna aspettare ancor un pò. Speriamo.

Il turnista. Ovvero: Vicié, ‘e figlie sò figlie

Settimana Enakapata quella che comincia oggi. Mercoledì presentazione del libro a Caserta, alle 17.00, alla Libreria Pacifico, in Piazza Vanvitelli, con la partecipazione ormai straordinaria di Moretti il giovane, perché lui lavora a turno, per 5 ore al giorno, 6 giorni su 7, ed è per un puro colpo di fortuna che mercoledì alle 14.00 finisce e può raggiungermi a Caserta (continuate a leggerci, prometto che vi farò sapere in anteprima l’ora e il giorno in cui lo strozzo :D). Sabato invece, alle  17.30, presentazione a Brolo, provincia di Messina, nella sala multimediale Rita Atria, rigorosamente da solo, perchè turno o non turno “lui” non può  venire certo fino laggiù di sabato per tornare la domenica sera (e se lo avessi già strozzato? It’s impossible. Come direbbe Filumena Marturano, Vicié, ‘e figlie sò figlie :D). Vuol dire che mangerò tanti di quei dolci siciliani che solo a raccontarglielo gli farò venire un attacco di bile, senza parlare del salame di maiale nero di Brolo di cui mi ha detto il mio amico Gianni Bombaci.
Questa settimana diventerà più intensa anche la “campagna” Natale Enakapata ‘a Befana è nu capatone (vedi già tremare i miei 633 amici di Facebook Planet).
Il messaggio è per Natale regalate Enakapata. E’ un libro, e tra una papaccella e un pezzo di baccalà un pò di cultura non guasta. Costa poco, e con la crisi che c’è qualche risparmio da investire in Bot(ti) fa solo piacere. E’ bello, come disse la mamma guardando lo scarrafone suo.
Buon pacchetto a tutti.

Uno di due

enakapata3 Ebbene si, si ricomincia.
Il prossimo appuntamento è per il 7 novembre a Capo Miseno, dove  la presentazione del libro sarà il pretesto per ragionare di università, di ricerca scientifica, di innovazione, magari con qualche raffronto  tra Giappone e Italia.
Il 25 novembre sarà invece la volta di Caserta, dove invece il tema scelto dagli organizzatori è lo scambio culturale tra le generazioni.
Ecco, tra le cose che continuano a piacermi di tutta questa storia ci sono sicuramente le diverse angolazioni con le quali si può leggere Enakapata. La scienza. Il rapporto tra padre e figlio. Secondigliano e Tokyo. L’umanità di magliari e Nobel Prize.
La cosa che mi piacerà di meno sarà ritrovarmi a discutere senza Moretti il giovane. Se siete frequentatori abituali già sapete che da qualche setimana ha un lavoro. E se non lo siete non perdetevi d’animo, appena un pò di scrolling e avrete modo di sapere tutto  ma proprio tutto su questa grande novità.
Lo so che ci voleva. Il titolo del post l’ho scritto io, non voi. Ma se e quando accadrà mi mancherà tantissimo. Enakapata è il nostro viaggio. In ogni caso vi farò sapere. Promesso.

p. s.
Prima che me lo chiedete voi, ve lo dico io. I turni di Moretti il giovane lo impegnano 6 giorni a settimana, cosicché incastrare la sua agenda con la mia e con quelle di coloro che organizzano le presentazioni è un’impresa titanica. Senza bisogno di dircelo abbiamo deciso di dare priorità al libro, e ogni volta che abbiamo una data si va comunque. Naturalmente lui conta sul fatto che tanto sono io quello che sta sempre in mezzo. Vorrei sfatare questo mito. C’è qualcuno che mi aiuta? Io sono certo che Moretti il giovane da solo se la caverebbe benissimo. E voi?

Secondigliano non è solo camorra

Antonio Parola, Umberto Pastore, Antonio Rubino, Pasquale Ruggiero, Salvatore Traino Mercoledì ho rivisto Salvatore Traino. Erano più di 30 anni che ci eravamo persi di vista. Aveva saputo di Enakapata da Tonino Parola, ha comprato e letto il libro, mi ha cercato e trovato via internet, mi ha scritto, ci siamo sentiti, siamo stati qualche ora assieme a parlare di noi oggi e di noi allora, la cosa forse più scontata, di certo più sentita, che potevamo fare.
Ci siamo un pò infreddoliti in Piazza Plebiscito e poi siamo saliti a casa mia, dove abbiamo bevuto il tea bello caldo preparato da Luca a casa sua (giuro che è possibile, anche senza appartenere alla categoria dei maghi), gli ho passato un pò di indirizzi mail e di numeri di telefono che lui non aveva del vecchio gruppo di Secondigliano.
La sera stessa mi ha mandato alcune foto. Un paio mi hanno fatto andare il cuore fuori giri. Oggi il messaggio: Sono riuscito a contattare Umberto e Carmine, per tuo fratello è più difficile. Mi rimandi l’e-mail di Carmine? Ho Vista  impallato e su Ubuntu non l’ho salvato. Tutto bene a Reggio? Continuamo nelll’impresa di metter insieme questi Secondiglianesi. Ti sono arrivate le foto? Un abbraccio. Salvatore.
Tra un pò gli scrivo. Per intanto mi piace raccontarlo qui. Mi piace Enakapata che è ‘na capata perchè mi fa ritrovare gli amici dei miei anni secondiglianesi. Mi piace quest’idea di Secondigliano che non è solo camorra. Mi piace l’idea che questa idea possa aiutare le tante persone perbene di Secondigliano a sentirsi almeno un pò più orgogliosi. Mi piace persino pensare che Roberto Saviano  possa sentire almeno un pò più forte la solidarietà di tutte queste persone e almeno un pò meno forte la solitudine.
Questo per oggi potrebbe essere tutto. E invece no. Perchè nella foto che vedete  a fianco c’è anche, sulle scale, Tonino Rubino, che almeno in questa vita non potremo  incontrare più. Tonino non sembrava, era davvero un personaggio uscito dai romanzi di Jack Kerouac. E forse non poteva che lasciarci così, come un personaggio creato dal profeta della beat generation. E’ passata una vita, ma mi è sempre mancato un pò. Adesso mi manca un pò di più.

Cornuti e mazziati

enakapata3 Ci credete che questi viaggi in giro su e giù per l’Italia per raccontare Enakapata mi piacciano un sacco? Immagino di si. Farete molta più fatica a credere che sono anche molto faticosi. Impegnativi (anche, per il mio livello di reddito, dal punto di vista economico). E’ una delle grandi tragedie della mia vita. Ma di che ti lamenti, in fondo fai le cose che ti piacciono. Assolutamente vero. Ma per farle faccio tanta fatica. Sì, vabbé, ma in fondo ti diverti. Assolutamente vero. Ma ciò non toglie che … Basta ci rinuncio. Tanto, come diceva mio padre, alla fine si finisce sempre  cosi. Cornuti e mazziati.
A proposito di divertimento, quest’ultimo viaggio a Sarzana è stato non solo estremamente interessante, bello, gratificante, ma anche l’occasione per sperimentare un nuovo futuro per i Moretti&Moretti.
Di cosa si tratta? Non ve lo dico, of course.  Al massimo posso darvi un assaggio di com’è dura la vita di un padre che, per genio e per caso, si è ritrovato a scrivere un libro insieme al figlio.

2 Ottobre, in treno da Roma verso Firenze:
V.: … Bisogna che aumenti la presenza di Enaapata nelle libreria. Mi dovrò inventare qualcosa.  Non c’è niente da fare, bisogna stare sempre sul punto. Non so come fai tu a vivere senza pensare a nulla.
L.: Niente di meno! Non vedi tu come stai combinato e al contrario io come sto bene? Immagino che adesso col lavoro cambierà molto ma per i miei primi 26 anni ho cercato davvero di avere un approccio taoista nei confronti della vita.
V. Adesso mi butto giù dal treno. Anzi butto giù te.
L. Siamo sui treni ad Alta Velocità. Non è tecnicamente possibile. Senza contare che hai giurato che per rispetto ai pendolari se ti suicidi non lo farai mai buttandoti sotto a un treno.

2 Ottobre, in treno da Firenze verso Sarzana
V.: L’altro giorno a Roma in Cgil ho rivisto A. R., è stato affettuoso, effervescente, pirotecnico come al solito.
L.: Sarà che quello di sindacalista è un lavoro usurante, ma dei tanti sindacalisti che ho conosciuto nella mia vita non ce n’è ancora uno normale. Sì, sarà che il lavoro è usurante.

3 Ottobre, in albergo a Sarzana
V.: Mannaggia, ho perso l’orologio!
L.: Pà, come hai fatto a perderlo, ieri sera tardi ce l’avevi, guarda bene.
V.: Ho guardato dappertutto.
L.: Guarda meglio.
V.: No, l’ho perso. No, l’ho trovato. Nella tasca laterale della giacca. E’ che io la giacca non la porto quasi mai.

3 Ottobre, in treno da Sarzana a Firenze
V.: Mannaggia, ho perso il telefono!
L.: Pà, come hai fatto a perderlo, in stazione ce l’avevi, guarda bene.
V.: Ho guardato dappertutto.
L.: Guarda meglio.
V.: No, l’ho perso. No, l’ho trovato. Nella tasca laterale della giacca. E’ che io la giacca non la porto quasi mai.
L.: Pà, ma quale giacca, telefono e portafoglio! Tu é perz a capa. Ma da un sacco di tempo.

That’s all, folks! Se decidete di scrivere un libro, e decidete di farlo con vostro figlio, preparatevi.  Tanto alla fine si finisce sempre così. Cornuti e mazziati.

Sarzana, tre anni dopo

enakapata3 Sono passati 3 anni, ma voi questo lo sapete già. Ma nonostante i problemi, le difficoltà, la crisi, la banda Apai non ha rinunciato al suo evento, ma di questo potrete leggere domani su Nòva 100.
Quello che ci piace raccontarvi adesso è che a Sarzana, nell’ambito di Tecknos Duepuntozero ci saremo anche io e Luca, e naturalmente Enakapata e Tokyo e la serendipity e Secondigliano e il ramen e ancora tante altre delle cose che abbiamo fatto e visto in Giappone.
Ma Enakapata a Sarzana non sarà solo un viaggio verso ciò che è già stato. Non solo perché con Andrea Lagomarsini,  Laura  Marchini, Marco Marchi e company non è possibile guardare solo al passato. Ma perché Tecknos è davvero un evento serendipitoso, che favorisce naturalmente e piacevolmente l’incontro di menti preparate capaci di cogliere il dato anomalo, imprevisto e startegico e dunque in grado di realizzare connesioni e creare valore per genio e per caso.
Non ci credete? Seguiteci e vedrete.

A Sarzana ci incontrammo

enakapata3 30 settembre 2006. Andrea Lagomarsini è il presidente di Apai Srl, giovane, dinamica impresa che sviluppa sistemi e tecnologie per la domotica e la sicurezza.
Andrea legge un mio articolo su Nòva 24 e mi invita al numero zero di Tecknos, giornata di discussioni, dimostrazioni, confronti intorno al tema innovazione.
Come sempre devo fare un po’ di conti con gli dei del tempo, ma alla fine decido di andare. Come speravo a Sarzana incontro tante persone interessanti che fanno cose interessanti. Tra queste Antonio Esposito, ingegnere fisico, una vita da ricercatore, da scienziato, da imprenditore.
Come me è made in Naples. Più di me ha una storia incredibile alle spalle. Che scopro ha a che fare anche con il Giappone. E con Piero Carninci.

È il 1994 quando al Cnr di Napoli mi propongono di lavorare per un anno in Giappone. Non sono convinto. Chiedo ed ottengo di limitare l’esperienza a sei mesi. A Tsukuba rimango cinque anni, per due anni insegno alla Technical University di Monaco, poi l’approdo a Ginevra, dove ancora oggi
vivo e lavoro.
Uno che se ne va di malavoglia dalla propria città non ci torna più per molte ragioni. Perché conosce storie, culture, contesti, persone, punti di vista diversi. Perché scopre che tutto questo gli piace. Perché si cala nei nuovi contesti, si fa contaminare da essi, li contamina a propria volta. Perché si ritrova catapultato in una sorta di paradiso della ricerca a fronte di una realtà, quella del Cnr, dove anche le razioni di carta e penna erano un problema.
Ero abituato alle giostre di paese. Mi ritrovo a Disneyland.
Giuro che non esagero. Un mese di lavoro a Tsukuba vale sei mesi a Napoli. Lì ho potuto giocare con gli strumenti e i macchinari giusti, fare ricerca, sperimentare, con una quantità di risorse e una qualità di risultati per me impensabili in Italia.
A Tsukuba incontro Piero e nasce un’amicizia fatta di calcio (nel senso del gioco del pallone) e di scienza. Nel 1997 con Vittorio Palmieri, Luca Casagrande, Gennaro Ruggiero e Francesco Vitobello scopriamo l’RD39, Effetto Lazarus. Che non è il titolo di un film di James Bond. Ma il numero di repertorio ed il nome con il quale si può rintracciare, al Cern di Ginevra, la suddetta scoperta.
Di cosa si tratta? Della possibilità di «resuscitare» le sfoglie di silicio utilizzate per la rilevazione di particelle. Rigenerarle. Farle rivivere. Immergendole in azoto liquido a meno 207 gradi Celsius.
A Napoli per ora non penso di tornare. Ma a Napoli, insieme a Vittorio e Francesco, due della vecchia band di Lazarus, ho messo su la Incept, che sviluppa Technology on Demand. Investendo, facendo ricerca, impresa, cerco di dire che continuo ad amare la mia città.
Lo ritengo il mio esperimento più difficile. Ma ci credo. E non intendo rinunciare alla possibilità di ridare indietro alcune delle cose che l’università e le strutture di ricerca della mia città mi hanno dato, almeno un po’ di ciò che ho imparato in giro per il mondo.

Questo è tutto. Anzi no. Perché, qualche giorno dopo, Piero mi svelerà che Antonio a Tsukuba era chiamato «Dony», nientepopodimenoche l’adattamento made in England della seconda parte del cognome Maradona; che assieme sono diventati famosi per la danza fatta a centrocampo dopo ogni goal (lancio millimetrico di Piero dalla difesa, stop a seguire e rete di Antonio); che il team era soprannominato Rvc, Russian Vodka Ceremony, invece che Japanese Tè Ceremony, in omaggio ai
colleghi russi che al termine della partita erano soliti dissetarsi con una bottiglia di Vodka. Mentre le stelle italiane stavano a guardare.
A questa parte della storia io non ho mai creduto. Forse fareste bene a non crederci neanche voi.

Palermo mia cara

enakapata3 L’ultima volta a Palermo? Una vita fa. Naturalmente l’ultima volta che ci sono stato veramente, con la testa e col cuore, e non l’ultima volta che ci sono passato da turista. Era il giugno 1992, un anno difficile da dimenticare. 36 giorni prima, l’eccidio di Capaci era costato la vita a Giovanni Falcone, a sua moglie, agli uomini della scorta. Eravamo arrivati da Napoli, nonostante il mare forza nove, per partecipare alla manifestazione promossa da CGIL, CISL e UIL, “L’Italia parte civile”. Ricordo la città partecipe e solidale invasa da decine di migliaia di persone giunte da ogni parte d’Italia. Ricordo l’amarezza con la quale l’avevamo lasciata. La manifestazione appena conclusa. Il nostro ingresso nel bar. Il giovane proprietario che ci chiede i motivi della nostra presenza nell’isola. La fierezza della nostra risposta. La sfida nei suoi occhi. Lui che a Napoli ci viene ogni anno. Ma per cose serie. Come la partita della Juve allo stadio San Paolo.
Questa volta no. Questa volta è stato tutto bello. Dall’inizio alla fine. Certo Enakapata. Ma non solo quello. Anzi neanche soprattutto.
Non ci credete? E allora provate voi ad arrivare in una soleggiata giornata palermitana dopo una notte assolutamente tranquilla nonostante la Tirrenia non fosse attrezzata per farci vedere via satellite Inter Barcellona. La sera prima si era abbattuta su Palermo una vera e propria bufera? Noi neanche lo sapevamo, almeno fino a quando non hanno cominciato a squillare i maledetti cellulari. E questo è niente. Perchè nonostante l’evidente disappunto di Moretti il giovane comincio a chiedere ai passanti di una buona pasticceria e a una buona pasticceria, che dico, ottima, arriviamo davvero, e in meno di 10 minuti. Pasticceria Mazzara, dal 1909, provare per credere. Mangiamo dolci che è una meraviglia, le persone sono tutte attente e gentili, paghiamo poco più di 11 euro per 6 dolci, 3 caffè, 1 latte freddo, 1 succo di frutta (al tavolo, a Napoli in un posto equivalente ce ne sarebbero voluti 30). E non finisce qui. Perché ci mettiamo a chiacchierare e scopriamo che il simpatico signore che ci serve i dolci si chiama Franco Di Modica e scrive testi per cabarettisti siciliani. Gli regaliamo il libro, ci invita a tornare e ad assistere al nuovo spettacolo, da gennaio ad aprile 2010.
Morale della storia? In 2 giorni alla Pasticceria Mazzara ci siamo tornati 5 volte, e ne è sempre valsa la pena.
E poi, e poi? E poi i giri per i mercati a caccia di storie e di spezie. E poi Enakapata e Antonio e Francesco e Teodoro e Lia e Roberta e… E poi le strade e le chiese. E poi le sarde, la frittura  e gli involtini di pesce spada. E poi il ritorno e la Via Lattea. E poi un padre e un figlio che diventano sempre più amici. Lo so che lo sapete già. Ma Enakapata è nà capata soprattutto per questo.  Nonostante la fatica, le corse, le spese. E’ così bello che mi sembra un sogno. Anzi no, come diceva l’Ernesto? E’ un sogno quando sogni da solo. Quando sogni con gli altri è realtà.

Riegler, Pagano

enakapata3Siglinde Riegler: Magari sono una che si entusiasma facilmente, ma leggere Enakapata mi ha fatto intravedere aspetti sorprendenti del Giappone, lasciandomi un po’… invidiosa? Forse. Un esempio? Il concetto di “kyoiku”, educazione intesa come cultura di rispetto delle regole … l’idea che ci sia un paese che “predilige i toni bassi, la modestia, l’understatement (…) che investe con forza e ad ogni livello sulla cultura e sulla valorizzazione del merito nonostante continui a considerare importante l’anzianità, la famiglia, il clan”.
Un altro mondo è possibile? Pare proprio di sì! Dove trovo il modulo per chiedere asilo politico al Giappone.
Altro aspetto che mi ha colpita: le riflessioni sul concetto di “serendipity”…che mi piacerebbe approfondire! Un elemento di leggerezza (non di superficialità) che permette di fare inaspettati balzi in avanti…il contrario del cocciuto accanimento sterile, pesante ed ottuso!
Ed infine: in Enakapata ho trovato degli spunti interessantissimi di riflessione sulle organizzazioni. A proposito della creazione di senso, della condivisione dei valori, della necessità che il genio individuale venga sostenuto dall’impegno delle organizzazioni affinché i saperi e il saper fare non vadano perduti; a proposito del bisogno di una continua azione di retrospezione attraverso la quale il gruppo che lavora insieme per un obiettivo definisce e rafforza la propria identità confrontandosi su ciò che si è fatto e sui risultati…riassumendo: l’importanza di dare valore alle regole, alla responsabilità, al rispetto, al Lavoro. In tutti i contesti in cui viviamo, per viverci meglio! Ecco, credo che in Enakapata si racconti di ricerca, ma si parli, in fondo, di vita, di come si potrebbe viverla meglio.
In Giappone, dopo 54 anni di opposizione, hanno vinto i democratici: sarà forse un caso?

Alessandra Pagano: Ieri ho cominciato a leggere il diario che ha scritto insieme a suo figlio e devo dire che veramente “ENAKAPATA”!
Banale forse come complimento ma io che ho sognato per una vita di visitare il Giappone e che ho avuto la possibilità di andare lì solo due anni fa ho rivissuto, attraverso le parole di suo figlio, quelle stesse emozioni.
Già la foto di copertina mi ha fatto riascoltare come per magia la vocina della metropolitana che avvisa i viaggiatori di trovarsi a Roppongi.
A breve arriverò alla fine e ho già deciso di comprare una copia per una mia carissima amica che, per coltivare appieno la sua passione per la ricerca, ha lasciato questa “povera patria”.
Spero di non essere stata troppo invadente con questo messaggio.

P. S.
Troppo forte anche il suo riferimento a Casperia dato che, pur essendo nata a Napoli e avendo avuto la geniale idea di tornarci a vivere da sola all’eta di 23 anni, ho trascorso a Rieti tutta la mia infanzia assieme alla mia famiglia!
A presto.

‘E sbagliat palazz

enakapata3 Ieri mattina. sabato. Ore 12.00. L’appuntamento è alla Feltrinelli Libri e Musica di Piazza dei Martiri. Io e Luca arriviamo 10 minuti prima. Moretti il giovane deve comprare dei regali. Facciamo un giro. Prende Ti racconto il 10 maggio e Juve – Napoli 1-3, la presa di Torino di Maurizio de Giovanni (Edizioni Cento Autori) più Seventies, una raccolta in 3 cd di grandi successi anni 70. Poi si mette in fila per pagare mentre io esco fuori per vedere se è arrivato. Antonio Gravina c’è. Si rivela subito una persona molto particolare. Ma di questo avremo modo di parlare altre volte. Passano pochi minuti e arivano la moglie Trudy e il figlio Francesco. Entriamo. Riusciamo a sederci al bar mentre prendiamo bibite e caffé. Un’ora di straordinario piacere. E Trudy che ad un certo punto dice “questa storia è cominciata con un parrucchiere che ha sbagliato palazzo e ha bussato per caso alla nostra porta”.
Il déjà vu è inesorabile. Secondigliano. Mio padre. Il suo “guagliò, se pienze ‘e fa ‘e capa toia cu mmé ‘e sbagliat palazz”. La discussione che vorrebbe finisse lì. Il tempo che  ridefinisce i poteri e le possibilità.
Enakapata è nà capata anche per questo. Per le facce e le storie che mi sta facendo incontrare. Per il tempo e i ricordi che mi sta facendo ritrovare.  Se spero che tutto questo duri per sempre? A volte. Mentre mi organizzo per il prossimo viaggio.

Dampyr a Palermo, tra qanat e nà kapata

enakapata3Forse ve l’ho detto già che sono anche un vecchio napoletano superstizioso. O forse ve lo sto dicendo adesso. Ma vi assicuro che quando stamane mi sono accorto che il numero di settembre di Dampyr, il  fumetto edito dal mitico Sergio Bonelli che ha preso nel mio cuore il posto di Dylan Dog che aveva preso il posto di Tex Willer (naturalmente non tutto il posto, solo il primo posto), è ambientato a Palermo, non vi nascondo che ho provato un attimo di sincera felicità. Enakapata e Dampyr nello stesso mese a Palermo. Buon segno. Direi ottimo. E poi come ogni volta accade con le storie di Dampyr si imparano un sacco di piccole, grandi cose.
Ad esempio tutto le volte che sono stato a Palermo  nessuno mi aveva mai parlato dei qanat: “costruiti dagli arabi con tecniche proprie dei persiani, sono delle strette gallerie sotterranee scavate dai muqanni, “maestri d’acqua”, con delle semplici zappette”. Continuo? Non sapevo che i regali ai bambini non arrivano a Santa Lucia né a Natale ma nel giorno dei morti. Nè che nella lingua palermitana il verbo declinato al futuro non esiste.
Sapete che vi dico? Chiamo il mio amico Antonio Riolo e gli chiedo se trova il modo di farci farci fare un giro nel qanad del gesuitico basso, che pare sia il più bello e il più facile da visitare.
Dite che sono esagerato? Che Antonio ha già fatto tanto per la presentazione di Enakapata a Palermo? Ma no.  I siciliani in quanto ad ospitalità non temono confronti. Io comunque ci provo. Nel caso vi faccio sapere.

Ho visto robot che voi giovani neanche immaginate. Firmato: il nonno

enakapata3Lo vogliamo dire? E diciamolo. E’ per me motivo di soddisfazione la frequenza con la quale Google Alert mi segnala notizie riguardanti il Riken. Tra le ultime ricordo i Display OLED destinati a costare come stampare un giornale, RIBA, il robot che si prende cura degli anziani (segnalatomi anche dalla mia amica Alessia Cerantola direttamente dal Giappone), i cacciatori di raggi cosmici.
Dite che io non ho nessun merito? Vero. Ma solo in parte. Perchè sono stato tra i primi (forse il primo, ma come si fa a dirlo?) a scrivere dell’organizzazione di questo istituto, dei processi di competizione collaborazione che contraddistinduono le sue attività, dell’importanza che in esso viene assegnato al merito.
Tornato in Italia, sembravo un marziano. Il Ri che? Il Riken, signori, una straordinaria  fabbrica di scoperte scientifiche, per genio e per caso.
Meditiamo gente, meditiamo.

Gaetano

enakapata3Lo vogliamo dire? E diciamolo. Noi ci siamo piaciuti. E  non sempre accade. Telefonate e messaggi sms lo hanno “soltanto” confermato.
Non ci credete? Ascoltate il podcast su RAI Radio 3. E se poi vi piace giurate che lo fate girare. Come disse Zia Concetta a mio nipote Davide (lei si riferiva ai Moretti) fatelo crescere e moltiplicare.
Ciò detto, la porzione Enakapata del mio cervello è già proiettata sulla prossima tappa del viaggio, quella che il 17 settembre ci porterà a la Feltrinelli Libri e Musica di Palermo.
Anzi no. Rewind. C’è tempo per parlare di Palermo. Oggi il post di Enakapata è dedicato a Gaetano. Il terzo dei miei fratelloni. Che sta attraversando un momento di quelli tosti davvero. E che ieri ha chiuso il suo messaggio a me e Luca con un “sono contento e fiero di voi” che mi ha commosso. Dite che è  la vecchiaia che avanza? Dite pure. Per una volta non me ne importa niente.

All we hear is Fahrenheit

enakapata3Lo confesso. Il titolo non è solo un omaggio  al genio dei Queen e alla mitica Radio Ga Ga, ma anche il pretesto per ricordarvi che domani 31 agosto, dalle 17.00 alle 17.30, si parla di Enakapata a Fahrenheit, sulle frequenze Rai Radio 3, nel corso del programma condotto da Tommaso Giartosio.

Sperando che siate davvero in tanti a sintonizzarvi vi ricordo che potete interagire inviando:

una mail all’indirizzo fahre@rai.it
un SMS al numero 3355634296
un commento a I vostri favoriti

Buona partecipazione.

Zio Peppino

enakapata3[…] Luca un po’ si diverte e un po’ fa la faccia modello «pà, questa già l’hai raccontata 1387 volte». Comincio a parlare di zio Peppino, fratello di mamma, operaio alla Richard Ginori, naturalmente comunista, grande appassionato di musica lirica, di parole crociate e di Totò.
Sia chiaro. Quando dico grande appassionato voglio dire grande appassionato. Nel senso che alla terza nota era in grado di dirti di quale opera si trattava, chi aveva scritto il libretto, in che anno era stata musicata, dove era stata rappresentata la prima volta, quali erano stati gli interpreti maggiori; nel senso che partecipava e non di rado vinceva ai concorsi de «La Settimana Enigmistica»; nel senso che poteva ripetere pressoché a memoria le scene principali di tutti i film di Totò. Roba da Lascia o Raddoppia, per intenderci.
Zio Peppino non si era mai sposato e già questa, in famiglie come la nostra, in anni nei quali «essersi sistemato» equivaleva a dire aver trovato un lavoro e aver messo su una famiglia, era una stranezza. Ma la cosa ancora più strana era che proprio lui, il comunista eccetera eccetera, si era arruolato volontario. Come gli era venuto in mente? Cosa c’entrava lui con la guerra d’Etiopia? Io e i miei fratelli a zio Peppino abbiamo voluto come si dice un bene dell’anima, ma la confidenza per domandargli perché, quella no, non l’abbiamo mai avuta. Così quando zio Peppino approda al Pantheon degli uomini semplici la domanda se ne va con lui. Almeno così ho pensato per circa vent’anni. Fino a che una mia cugina, non ricordo se in occasione di un battesimo, un matrimonio o un funerale, non dice che le sorelle di casa Picano, sei in tutto, proprio come quelle della gatta Cenerentola, si sono potute sposare solo grazie a zio Peppino.
In che senso? – le chiedo. Nel senso che i nostri nonni erano talmente poveri che le figlie, nonostante fossero tra le più belle del paese, non avendo nulla che potesse anche lontanamente assomigliare a un corredo o a una dote, non si maritavano.
Fu così che zio Peppino partì per l’Africa e con i soldi guadagnati fece il corredo alle sei sorelle. Ora non sosterrò che Luca si è commosso, lui che quando gli ho detto che se mi succede qualcosa gli toccherà prendersi cura di me mi ha risposto «già il verbo è sbagliato, quello giusto non è curare, ma terminare», ma sono certo che la storia gli è piaciuta. In fondo fa lo sprucido per darsi un tono. Anche se in effetti la cosa gli riesce molto bene. […]

From Porto Cesareo to Fahrenheit

enakapata3Molti di voi (forse) lo sanno già. Il prossimo appuntamento è per il 31 Agosto. Dalle 17.00 alle 17.30.  Quando Enakapata sarà ospite di Fahrenheit, programma cult di Radio 3. L’auspicio è, naturalmente, che siate in tanti a sintonizzarvi e ad interagire, ma su questo avremo modo di tornare nei prossimi giorni.
Oggi vi diciamo invece che la presentazione  al
BeB A Casa di Margherita è stata un successone. Non ci credete? E allora leggete qui: una trentina di partecipanti,  una bellissima discussione, 14 copie del libro vendute,  uno splendido concerto jazz, una magnifica mangiata di triglie fritte, cocomero, fichi d’india e sangria a volontà (e vi assicuro che di volontà ne abbiamo dimostrato tutti tanta).
That’s all, folks. Per ora.

Truffi, Rossi

enakapata3Corrado Truffi, again: Per continuare nella critica, “poco interessante da fuori” vuol dire che certe pagine di diario con la cronaca pura e ripetitiva della giornata non servono e un po’ annoiano. Se privato doveva essere, sarei stato più curioso di capire meglio la vita a Secondigliano e gli amici, o qualcosa di più sul Giappone di Luca… e meno dettagli “quotidiani”.
Sulle “cose illuminanti”, oggi mi è capitato di leggere qualcosa che mi ha fatto scattare dei link con Enakapata, e ne ho scritto sul mio blog.

Bernardo Rossi: Avete scritto il libro assoluto vagheggiato da Mallarmé, la recensione è più lunga del previsto, ma arriverà presto.

Corrado Truffi: Ci sono alcune cose davvero interessanti ed illuminanti, in questo libro. Ma la forma di doppio diario privato è spesso troppo ripetitiva e poco interessante da fuori.

Ariemma, De Cunzo, Cerantola

enakapata3Iginio Ariemma: Il libro di Vincenzo Moretti e di suo figlio Luca – Enakapata, Ediesse 2009 – è sicuramente un bel libro. Il titolo è azzeccato. Enakapata significa “è una testata”, cioè una cosa straordinaria che colpisce, in una forma linguistica che è certamente napoletana, ma per certi versoi richiama anche il nipponico. Infatti è la narrazione del viaggio, dal 3 al 30 marzo, compiuto dai due autori a Tokio, per scoprire e studiare il centro di ricerca Riken. Ma hanno ragione a scrivere che “non è soltanto un diario. Ma anche un gioco. Un tradimento. Una prepotenza. Un augurio”.
Tutte queste cose si trovano nel libro. Specialmente se si va da Tokio a Napoli o più precisamente a Secondigliano; e viceversa. Perché l”a spazzatura non può essere organizzata da noi come a Tokio, città di 35 milioni di abitanti? Perché “In Giappone si possono regolare gli orologi con il passaggio dei treni”? E così via.
A me è piaciuto molto anche la forma del diario, scritto a due voci, in modo intrecciato, con alcune pagine di Vincenzo ed altre di Luca, ma senza stacchi che indichino subito le parole dell’uno o dell’altro. Soltanto dal contesto si comprende chi scrive. Ha ragione Luca quando dice che il padre è “come un cingolato” che macina cose e pensieri avanti e indietro, con encomiabile cocciutaggine. Del resto senza questa cocciutaggine non sarebbe stato possibile un viaggio di tale natura. […]

L’intera recensione di Ariemma  a settembre su Rassegna Sindacale.

Gianluca De Cunzo: Salve prof., ho finito di leggere Enakapata, ed eccomi pronto per un recensione più approfondita, anche per verificare se ho capito il senso indipendentemente dal racconto.
L’importanza conferita alla ricerca in Giappone è sicuramente maggiore rispetto all’attenzione che il nostro paese dedica alla stessa. Ciò giustifica maggiori fondi, apparecchiature migliori, proprio perché la ricerca rappresenta la chiave del futuro, per diversi motivi. Artefice di tutto ciò è sicuramente una classe politica diversa dalla nostra, che peraltro anche in questi giorni sta facendo il suo… (è un eufemismo ovviamente). E’ ancora da sottolineare la presenza di due elementi essenziali come la collaborazione e la disponibilità di strutture adeguate senza che l’una sia prediletta riispetto all’altra. Una buona organizzazione produce buoni risultati anche qaundo coinvolge un gran numero di persone, come nel caso della raccolta dei rifiuti in Giappone (mentre noi in Italia la paghiamo a peso d’oro per tenerla sotto casa, chissà perché…)
Una efficace organizzazione produce risultati migliori sia nelle piccole che nelle grandi cose, certo c’è sempre il rovescio della medaglia ma è quel minimo tollerabile dovuto al cosiddetto errore standard.
Tutto questo spiega anche perché gli stessi ricercatori si sentano maggiormente coinvolti nei progetti cui fanno parte.
P.S.
Inutile scrivere commenti sulle parti del testo dedicate alla sua vita da adoescente…

Alessia Cerantola: Enakapata è un libro dalle molteplici letture e interpretazioni. Per me è stato soprattutto un viaggio alla riscoperta di una città conosciuta e vissuta come Tokyo.
Guidata dal racconto delle ricerche sulla serendipity del professor Vincenzo Moretti, e animata dal desiderio di confrontare le mie esperienze in Giappone con quelle di altri viaggiatori, ho gustato con piacere le descrizioni della città. I due Moretti, padre e figlio, come due moderni esploratori urbani, hanno tinteggiato scorci e descritto abitudini di una città dall’aspetto caleidoscopico e in continua trasformazione. Quello che si ricava riunendo questi frammenti è, prima di tutto, un’essenziale guida turistica per il viaggiatore che finisca per caso o volontà in Giappone e che voglia iniziare a conoscere l’aspetto, la storia e la vita di Tokyo. E poi un insegnamento: nonostante non manchino le incomprensioni, linguistiche e culturali, il Giappone può diventare per certi aspetti un modello. In fondo, un paese in cui i treni arrivano in orario, i bambini possono tornare a casa da soli dall’asilo o da scuola, i cittadini fanno un’attenta raccolta differenziata, la ricerca scientifica è sostenuta e incentivata, non è così “strano”. Insomma, Enakapata è anche un libro per confrontarsi con il Giappone e riflettere sull’Italia.

Enakapata al mare

enakapata3Peccato che ci abbiano già pensato Franco Battiato e Giusto Pio, autori della canzone portata al successo da Giuni Russo nell’estate del 1982, l’anno  della conquista della terza Coppa del Mondo da parte dell’Italia, quella del sorriso di Sandro Pertini e dell’urlo di Marco Tardelli. Sulle note di Un’estate al mare, anche Enakapata al mare avrebbe potuto essere un successone. Ve la immaginate?
Per le strade straordinarie della scienza
che consentono fantastiche scoperte
guarda come il talento è coltivato
ci sarà nuovo cibo per la mente
Enakapata al mare
voglia di viaggiare
da Secondigliano a Tokyo
insieme al padre e al figlio  sotto l’ombrellone
Enakapata al mare
voglia di incontrare
Peppe Testolina
oppure un premio Nobel  sotto l’ombrellone.

Detto che non ci tenenia a sapere cosa ne pensate :-), aggiungiamo che Enakapata è al mare anche da un altro punto di vista, quello che si riferisce alla presentazione del prossimo 21 agosto al B&B A casa di Margherita. Per chi è  dalle parti di Porto Cesareo l’auspicio è che ci sia il tempo e la voglia di farsi vivo. Per chi invece no su queste pagine faremo come sempre in modo di tenervi informati. Sperando più di sempre che la cosa vi faccia piacere.
Per intanto a tutti buone vacanze.

Serendipity Lab

enakapata3Chi non ha letto il libro e se lo ricorda (anche chi lo ha letto?) lanci pure la prima mail, ma il serendipity travel di Enakapata non comincia domenica 2 marzo 2009, giorno della nostra partenza per Tokyo, destinazione Riken, ma venerdì 25 ottobre 2005, quando su La Stampa.it pubblico l’articolo che parla di Piero Carninci e delle sue scoperte.
Da lì in poi è stato tutto un susseguirsi di eventi serendipitosi, a partire da quelli che portano me e Cinzia Massa ad intervistare Piero per il numero di Gennaio Febbraio 2006 di Technology Review.
La cosa bella (almeno dal mio punto di vista), è che il viaggio continua. Naturalmente attraverso questo blog. Poi ancora sul terreno delle idee, com epotete leggere ad esempio su Nòva Review. Da qualche giorno con un vero e proprio Serendipity Lab, che speriamo da settembre, anche con il vostro aiuto, di far diventare un luogo dove confrontare idee e progetti nati per genio e per caso, grazie al talento e all’organizzazione.
In attesa di più connessioni ed interazioni più fresche e riposate, buona lettura.

Why Riken è ‘na capata

enakapata3Ancora sul mondo Riken i link relativi agli ultimi articolati segnalati su Business Exchange. Con l’avvertenza di non perdere di vista il fatto semplice ma non banale che i risultati che da quelle parti si ottengono sono il prodotto di una ottima organizzazione, di sistemi di valutazione efficaci, di politiche di costante valorizzazione del talento e del merito.
Aggiunto che se volete saperne di più sul modello organizzativo Riken potete cliccare qui, eccovi i link promessi:
Sense of Attraction
A timid knockout mouse separates conflicting emotional behavior for the first time
How the turtle’s shell developed
Buona lettura.

Ciuccio ’e fuoco

enakapata3Me lo disse papà che ero ancora bambino. La chiamavano «Ciuccio ’e fuoco» per quella sua innata tendenza ad attaccar briga, per quel suo carattere ribelle, per quello che una donna poteva ribellarsi ai suoi tempi. Io però la ricordo soprattutto per il suo affetto. Per l’uovo di papera a zabaione con “una” goccia di marsala che mi preparava quando passavo per casa sua prima di andare a scuola alla Masseria Cardone, (sarà stato l’uovo, lo zucchero o il marsala a “gocce”, ma i miei professori delle medie si sono ricordati per un pezzo della mia, chiamiamola così, “vivacità”). O per la visita del 5 aprile, giorno di san Vincenzo, quando affrontava un viaggio a piedi di quasi 3 km, lei sempre più anziana e claudicante, io sempre più vicino al traguardo dei 18 anni, per portarmi in regalo un pacco di biscotti, perché il “Santo va rispettato” e perché, come quasi tutti i miei coetanei primogeniti, portavo il nome del nonno.
Era famosa anche per i suoi modi di dire, quelli ufficiali, come «’e sfuttute vann ’mParavìso», e quelli fatti in casa, come «’e figlie quanno se fanno gross addeventano parient laschi» o, rivolto a Davide, figlio di mio fratello Gaetano, che non vedeva da tempo «ah, tu sì nù Moretti, bravo, crescete e moltiplicatevi».
Un esempio puro di comicità il «Pascà, mò è murì solo tu» con il quale abbracciò piangendo mio padre il giorno della morte dell’amata sorella Maria, che le valse il gesto prosaicamente scaramantico di papà e il secondo e definitivo soprannome di  «Highlander» (ne resterà una sola). Per non parlare delle visite domenicali al cimitero con regolare sediolina pieghevole nel corso delle quali prendeva in giro fino all’irrisione e oltre il marito morto che l’aveva tormentata per una vita intera.
Lei era fatta così. Prendere o lasciare. C’è che nella mia vita è stata una persona importante. E mi piace ricordarla qui.

p.s.
Se avete letto il libro lo sapete già, lei è, era, Zia Concetta.

Hikikomori

enakapata3Conosci l’hikikomori? È un termine  giapponese usato anche in prsicologia, che indica il progressivo rifiuto della società e chiusura in se stessi di bambini, adolescenti e adulti. Un fenomeno molto diffuso in Giappone, ma che sembra stia dilagando nelle società più moderne. Sto leggendo un articolo a riguardo su una rivista giapponese e, anche se non c’entra con la serendipity, ho pensato comunque di segnalartelo. C’è un riferimento anche su wikipedia.

È stata Alessia Cerantola, nella bella mail che mi ha mandato con la recensione  del libro che ho pubblicato l’altro giorno, a segnalarmi questo fenomeno che conoscevo nella versione fatta in casa (in senso letterale della casa di amici e parenti stretti) ma non conoscevo con questo nome e devo dire che (a me) le percentuali di cui si parla su Wikipedia (20%) fanno paura.
Se fossi Dylan Dog direi che la segnalazione di Alessia ha messo  in moto il mio 5 senso e mezzo. Vedremo se ne viene fuori qualcosa. Per intanto potrebbe essere l’occasione per una discussione tra i lettori di Enakapata.
Se ci siete, provate a scrivere un commento, un’opinione, una considerazione.
Buona partecipazione.

Combattente, Grazioli

enakapata3Ettore Combattente: Diversamente da Alessio Strazzullo che ha scritto una bella recensione del libro dei Moretti, dico che la mia amicizia con Enzo c’entra e c’entra direttamente in quel che penso del libro. Sono amico e rifletto per questo sull’amicizia, un libro nato su un’amicizia in tempo di  globalità; un’amicizia che si evolve in  rapporti fraterni, leali, disinteressati, che vanno oltre il comune interesse intellettuale.
E’ questa  una capacità umana di Enzo, io che l’ho incontrato per contingenze politiche e ci siamo conosciuti come amici e compagni, lo testimonio con “interesse”. Mi diceva che suo padre soleva dirgli “fattell’ cu’ chi è meglio e’ te’ e fance’ e’ spese”. “Meglio” in senso metaforico, come  sapere, cultura, professionalità. Infatti come si può diventare amico di uno scienziato bio – fisico italiano emigrato in Giappone, per l’attrazione  del valore del merito che vige in in quel paese, alla distanza di migliaia di chilometri attraverso la posta elettronica? Per un cultore di scienze sociali con una  lunga esperienza nel mondo sindacale? Ed entrare in una comunità intellettuale attraverso  l’intelligenza dell’epistemologia? Enzo Moretti ci è riuscito. Ed ha scritto  un libro su quest’ amicizia e insieme a  Luca di tante altre nate da un viaggio in quel paese.
Enakapata  ha aperto a lui e a noi un mondo  lontano dalle nostre  frequentazioni giornaliere  dalla spasmodica  tensione  ad avere ragione, direbbe l’appassionato di Totò , a “prescindere”.

Daniela Grazioli: Mi son presa ‘na kapata: letto con interesse, stupita e divertita per l’alternanza delle due penne  (attualizzate in computer) ed intrigata dall’oscillazione tra serio e faceto. L’ho già consigliato a Simone ed amici. Grazie.

La stesura della foglia oro

enakapata3Ieri sera l’ho vista. Ho visto come si fa. E vi assicuro che è  stata un’emozione grande. Se state pensando che per me è  facile  dato che con le mani non so fare (quasi) nulla vi sbagliate. Non sul fatto che con le mani non so fare (quasi) nulla, of course. Sull’emozione. Sarebbe capitato anche a voi. Persino il grande Sennett, se trovo il modo di farglielo sapere, per una volta mi invidierà.
Dite che è il caso che vi sveli di cosa sto parlando? Della stesura della foglia oro. Se avete letto il libro sapete già che  il mio amico Beppe Del Vecchio,  restauratore, musicista, saggio e tanto altro ancora, me ne aveva parlato per la prima volta via Skype mentre ero al Riken di Tokyo, quando mi aveva raccontato dei due anni che gli ci erano voluti per capire, imparare, fare, tra gesso per doratura, colla di coniglio, bolo armeno, pennelli di vaio e martora, tentativi andati a vuoto. Prima del successo finale.
Il racconto mi era piaciuto molto. Ma sentire è una cosa, vedere un’altra. Adesso potrei persino chiedermi, con Weick,  “come facevo a sapere che cosa pensavo se prima non vedevo che cosa ha fatto (Beppe)”.
Erano più o meno le 7 p.m. quando sono passato per un finto rapido saluto alla sua bottega.
Mi vede arrivare e mi dice entra che sto facendo una cosa che ti piacerà. Provo a dirgli che sono passato per un rapido saluto. Mi ridice entra che ti piacerà.
Sul banco da una parte la cornice. Dall’altra la foglia oro, che in realtà non è una foglia ma una lamina d’oro sottolissima, delicata eppure docile in quelle sue mani che la misurano, la tagliano, la catturano con il pennello di vaio passato più volte sulla tempia per elettrizzarlo, l’adagiano sulla preziosa cornice, la fanno aderire  perfettamente su quel piccolo spazio accuratamente lavorato con il bolo armeno, la accarezzano quasi fino a che ogni singolo atomo si sposa con quello vicino, un pò più vecchio, che qualcuno aveva messo lì negli ultimi anni dell’800.
Ebbene sì, lo confesso. Resto stupito. Ammirato. Se ne acocrge. Tu lo fai con e parole, mi dice, io con la foglia oro. Non ci casco. Gli chiedo qual’è il segreto.
Il segreto non c’è, risponde. O, meglio, aggiunge, il segreto sta nella preparazione. Ma in realtà qualunque cosa si fa nella vita dipende dalla preparazione. La preparazione è fondamentale. Sempre.
Sorride. E’ come quando decidi di conquistare la donna che ti fa uscire pazzo, mi fa, quella per la quale saresti disposto a tutto. In realtà dipende tutto da come la corteggi,  cioè dalla preparazione. Se sbagli lì, non hai speranza, la perdi. Ed è anche giusto così.

Brand Care Magazine, Penitenti again

enakapata3Brand Care Magazine: Un report sociologico-scientifico in forma di diario, scritto dopo un’esperienza di ricerca a Tokio e presso l’istituto Riken, importante centro giapponese in cui si studiano alcune delle componenti essenziali per la conoscenza del genoma (mRna).
Attraverso una scrittura polifonica, ritmata e orientata alla trasparenza espositiva, Enakapata, sia dal punto di vista espressivo che contenutistico, è l’elogio della serendipity. La polifonia e il ritmo sono resi nel diario non solo attraverso il resoconto alternato padre/figlio di fatti e impressioni, ma anche tramite l’affresco di un immaginario variegato di posti e soprattutto di personaggi: dai coetanei e conterranei di Vincenzo, originario di Secondigliano (degni di nota i “leggendari” Tonino Parola, Salvatore «’O beat», Gennaro «Topolino», Peppe «Testolina»…), a Sergio Cofferati, al premio Nobel per la chimica Ryoji Noyori, intervistato personalmente da Moretti-padre. Giocosa (e al tempo stesso malinconica) napoletanità, rigore professionale, ironia tipica di un figlio-che-accompagna-il-padre in una cultura conosciuta (Luca ha condotto degli studi sulla lingua giapponese): Enakapata è una continua commistione di modi di fare, di vedere, di cercare, di dire.
Un piccolo grande libro che, dato il modo leggero attraverso cui affronta argomenti di grande importanza, non si può non definire, senza retorica, coraggioso. Perché, come insegnano i Moretti, «Chi nun tene curàggio nun se cocca cu ‘e femmene belle».
Leggi l’ntera recensione a pag 75 di Brand Care Magazine.

Monica Penitenti: Letto? Bevuto! Divertente punto di vista partenopeo di parte del mondo nipponico. Interessante viaggio a due nel quale il lettore è condotto dal racconto dei sapori, dell’impegno, della nostalgia del noto e della curiosità per il nuovo: bello davvero!

Manfredi-Gigliotti, Masera

enakapata3Giovanna Manfredi-Gigliotti: Enakapata ha accompagnato le mie notti di qualche mese fa. Mi ha colpito lo stile semplice ed efficace. Mi piacciono le scritture a quattro mani, perchè offrono una focalizzazione doppia degli eventi.
Non è il solito diari di viaggio, anche se ce ne sono stati di celebri e pregevoli (penso a Goethe o Guicciardini per esempio). Mi sono piaciute persino le citazioni musicali, come “Luci a San Siro”, che io adoro. Penso sia fondamentale riflettere sia sulle scoperte (ed “Enakapata” risulta interessante anche per questo), sia e soprattutto sull’ambiente che le rende possibili. Basti pensare alla “legge di campo”.
Purtroppo non capiamo quanto sia importate premiare e sostenere il merito, quanto sia essenziale la creatività, non solo il nozionismo. Forse, avendo messo tante volte da parte il merito, non riusciamo, nel nostro Bel Paese, neanche ad arrivare al nozionismo. Ma l’amore per la cultura si può trasmettere solo ad opera di chi vive la cultura. Certo “restare” è un grande merito e costa un doppio amore, per ciò che si fa e per il proprio Paese, che riesce ad “umiliare” costantemente chi cerca di rispettare tutte le regole per servirlo e rendergli onore.
Sono d’accordo con Quasimodo quando diceva che una terra è i suoi uomini  e anche che “la poesia deve rifare l’uomo”. Senza spirito non si conquista alcunchè ed il rispetto delle regole, che è la prima forma di rispetto verso la legalità, cioè verso sè e gli altri, non confligge con la creatività.
Molto interessante è anche il discorso sulla “seredipity”, che a mio umile avviso si può riscontrare anche nella più semplice vita quotidiana; io la chiamavo “frecciolina”, “luce”, e ad essa devo le mie scelte più felici.
Ci sono molti spunti di riflessione nel vostro romanzo che vanno oltre il pur pregevole diario, che si fa leggere ben volentieri, e quindi lo rendono fruibilie a molti livelli e su diversi piani di lettura.

Anna Masera: … L’ho finalmente rivisto in occasione del tour per il lancio del suo libro scritto a quattro mani con il figlio musicista Luca, Enakapata (=”È ‘nà capata”, in napoletano, che dalle mie parti si dice “è una figata”, o “è geniale”): un diario-blog di viaggio e lavoro che vede padre e figlio napoletani in Giappone, incontro-scontro di culture diverse, “lost and found in translation” da Secondigliano all’istituto di ricerche genetiche Riken di Tokyo raccontato con intelligenza e ironia…
Leggi l’intero articolo su LaStampa.it

Riken World

enakapata3Chi ha già letto Enakapata lo sa. Tutti gli altri lo sapranno. Il Riken è lo straordinario istituto di ricerca giapponese dove nel marzo 2008 ho cercato di scoprire la pillola rossa in grado di avvicinarmi a quel mondo di meraviglie scientifiche e tecnologiche, di farmi scoprire quanto è profonda la tana dell’innovazione, della buona scienza, del talento. Se vi interessa saperne di più intorno ai risultati del mio lavoro di ricerca potete cliccare qui e scaricare il .pdf, in italiano e in inglese, del rapporto di ricerca. Su Riken Research trovate invece highlight, podcast, frontline. E se non ancora non vi basta cliccate su http://bx.businessweek.com/riken/. Se questioni come la serendipity, il merito, i processi di competizione collaborazione, il rapporto tra talento e organizzazione sono entrate anche una sola volta nelle vostre vite non mancate di farci un salto. Sono convinto che non ve ne pentirete.

Penitenti, Monini

enakapata3Monica Penitenti: Ho conosciuto VIncenzo, ho visto Luca quando era piccolino una volta, adoravo nonno Moretti e ho goduto della generosa ospitalità della casa di Cellole più d’una volta quando ero poco più che una bimba. Eppure non è stato il ritrovare nel libro quei personaggi, quei luoghi o alcuni dei figuri di Secondigliano che pure incontrai, a farmi amare il vostro libro. Ho amato la tenera ipocondria, carattere di famiglia, il bisogno di un cibo conosciuto, bisogno tale da eleggere il posto “delle ragazze” a casa giapponese, l’approccio al rigore nipponico, l’interesse per la ricerca che insieme ad altre molte cose mi hanno fatto bere le pagine velocemente e lievemente. Ancora l’andamento iniziatico del viaggio di un figlio che ritrova (lo ritrova?) un padre dalle molteplici apprensioni di padre partenopeo fino al midollo…
Enakapata mi ha divertito, interessato e ispirato. Grazie per aver fatto di quel viaggio a due, un viaggio per molti di noi. Il fascino e le contraddizioni del Giappone, partendo dal citato libro di Fosco Maraini, arrivando ai classici di Tanizaki, per approdare all’estrema Yoshimoto, passando per Murakami esercitano su di me suggestioni durature. Il punto di vista partenopeo del mondo nipponico mi mancava: resterà con me altrettanto a lungo.

Barbara Monini: Caro Luca, sono Barbara (Waschimps in realtà), cara amica di Carmine Rubino e Rita Palena.
Quando vi hanno incontrati a Bologna mi hanno riportato questa meraviglia, con tanto di dedica … e mi si è appicciato il cervello. Lo hanno fatto apposta, perchè mi occupo da anni di Giappone, è una passione di vita e di lavoro. Sono molte le cose che vorrei dirvi, ma non credo che basterebbe postarle sul blog … faccio prima ad annotare il libro ad ogni pagina.
Ma soprattutto questo progetto può e deve continuare, ed ampliarsi, e sarei molto felice di potervi essere utile.
Ti aggiungo che sono di Napoli e in partenza a luglio di nuovo per Tokyo dove inauguriamo una mostra stupenda all’Istituto di Cultura. Fatemi sapere voi in quale modo eterico o spaziotemporale possiamo entrare in contatto.
Un abbraccio forte, Barbara.

Sud, nuje simme d’o Sud

enakapata3Nord batte Sud 3 a 2. Naturalmente mi riferisco al tour di presentazione di Enakapata che ha fatto tappa finora a Napoli, Bologna, Milano, Benevento e Torino. Perché se invece guardiamo alle questioni vere il distacco è molto più netto. Il Nord sempre più solo al comando. Il Sud che domina nelle classifiche della camorra, della mafia e della ndrangheta. Non solo quelle dei morti ammazzati. Ma anche quelle del controllo delle borse e di molti degli imperi finanziari del Nord. Per il resto? Ultimi posti nelle classifiche relative al livello di vivibilità. Veri e falsi disoccupati. Poche opportunità. Scarso senso civico. Meglio non parlare dell’efficacia e dell’efficienza delle istituzioni.
Che fare? Se si escludono gli approcci tipo Arma letale, Terminator, ecc. c’è ancora qualche altra possibilità?

p.s.
Il 21 agosto presentiamo il libro al Bed and Breakfast a casa di Margherita, a Porto Cesareo, e il 17 settembre alla Feltrinelli Libri e Musica di Palermo. Nel pianeta Enakapata il Sud si appresta dunque a fare il sorpasso. Ma purtroppo quello non conta. Purtroppo è solo un gioco.

Ruggiero, Cati, Stazi, De Luca

enakapata3Antonio Jr Ruggiero: Cartoni animati cruenti, pesce crudo da mangiare e il Karate di Bruce Lee (che, tra l’altro, era di origini cinesi): gli stereotipi nostrani sulla terra del sol levante sono più o meno questi; come accade da altre latitudini, quando, pensando a noi italiani, parlano di pizza, spaghetti e mafia e la cosa non ci fa tanto piacere. Il libro “Enakapata – da Secondigliano a Tokio”, scritto a quattro mani dagli autori partenopei Vincenzo e Luca Moretti, racchiude in sé tanti significati, tra questi, anche l’intento di approfondire nel migliore dei modi la conoscenza di una cultura tanto lontana e tanto etichettata dagli occidentali. […]
Leggi su Futura l’intero articolo  di Antonio Jr Ruggiero

Sergio Cati: Enakapata è un libro che si legge con grande piacevolezza e che mi ha ricordato i miei viaggi a Osaka.

Danilo Stazi: Caro Enzo, sono in aereo, riparto per l’India mentre leggo, interessato e onorato, il vostro libro. Ci sentiamo presto.

Valentina De Luca: Ho letto il vostro libro che mi sembra vi somigli molto: è  serio e divertente, fuori dalle righe. Soprattutto interessante la capacità di mettersi a nudo, cosa che nessuno fa più, terrorizzati come siamo dalla possibilità di scoprire il fianco.

La terrazza

enakapata3Le foto della terrazza della mia amica Anna Masera non ci sono più. O, per meglio dire, le foto con Francesco, Luca, Alessia, Giorgio, Cinzia, me e Anna sulla terrazza di Anna non ci sono più. Forse per la vendetta di un tabaccaio. Di certo senza nessuna conseguenza.
La serata è stata bellissima. Di più. Leggera. Ancora di più. Supercalifragilistiserendipitosa. Di quelle che nascono così, per genio e per caso. Di quelle che le vivi così e ne hai un piacere strepitoso.
Non ci credete? Allora state a sentire.
Sulla terrazza di Anna venerdì sera non ci saremmo arrivati senza Giorgio Fontana. Che fino a quella sera Anna la conosceva di nome, ma non di fatto. Li ho presentati io qualche ora prima. Io che Giorgio fino a quella sera lo conoscevo di nome ma non di fatto.
Dite che non è possibile? E che comunque detto così non ci si capisce nulla?
Allora ricomincio da Giorgio. Che è uno dei miei 523 amici sul pianeta Facebook. Che un giorno mi scrive e mi chiede se sono disponibile a presentare Enakapata a Torino. Che mette in moto la macchina che porta me, Luca, Cinzia e Francesco alle Librerie.Coop di Torino venerdì 5 aprile.
Con Anna invece siamo amici sul pianeta Terra da quasi 20 anni. Per un po’ di anni ho anche collaborato con la Stampa.it, il quotidiano online che lei dirige con eccellenti risultati (naturalmente è la “mia” opinione, ma ci tengo a sottolineare che è l’opinione del lettore e non dell’amico). Eppure sono quasi 10 anni che non la vedo (Anna). Sarà questa la volta buona? Pare di si. Anna c’è. Assieme a Giorgio. Al mio amico Sergio Negri, dirigente della Cgil piemontese. E ad Alessia Cerantola, govane studiosa e profonda conoscitrice della lingua, della letturatura e della società giapponese.
Alla presentazione non siamo in tanti. Ma questo già lo sapete. Quello che ancora non sapete è che si discute di lavoro. Di ricerca. Di raccolta della “monnezza”. Di cucina. Di serendipity. Di responsabilità. Di educazione civica. Visti dall’Italia e dal Giappone. Che la discussione a chi c’era è piaciuta molto. Che tra oggi e domani chi ha tempo e voglia potrà scaricarla su queste stesse pagine.
Tra i saluti e due dediche (due di numero, non due per modo di dire ☺) chiedo ad Anna di restare a cena con noi. Dice di sì. Di più. Dice di andare tutti a cena da lei. I magnifici sette. Sulla magnifica terrazza che affaccia sul Po. Mi ricordano abbastanza perspicace già da bambino. Ma alla mia età ci metto davvero poco a capire quando mi fanno una proposta che non si può rifiutare. Aperitivo al bar preferito da Cesare Pavese. Approccio fast da parte di Anna e di Luca, i nostri inviati al supermercato e poi a casa che se vuoi mangiare qualcuno deve pure cucinare. Slow quello del resto della Kapata Session, con fermata intermedia per comprare il gelato (come ogni napoletano che si rispetti, considero disdicevole presentarmi a casa di un amico/a a mani vuote; le sfogliatelle avrebbero fatto un altro effetto, ma anche  il gelato non era male) e passeggiata lungo Po. Poi finalmente a casa. Si, avete letto bene. Non ho scritto a casa di Anna anche se eravamo a casa di Anna. È che io mi sono davvero sentito come a casa mia. E di ciò sono davvero grato alla mia mitica amica.
Considero la cura dell’amicizia una delle caratteristiche più belle del nostro essere “umani”. Di più. Lo so. Ancora di più. Ne ho fatto una scelta di vita. Eppure è sempre bello. Bello come rivedere una persona cara dopo più di 10 anni e sentirti come a casa tua. Bello come condividere uno sguardo o una confidenza. Bello come una serata supercalifragilistiserendipitosa. Bello come la voglia di ritornare ancora.

Don Peppe detto Testolina

enakapata3Io speriamo che me la cavo: è stato l’ultimo esorcismo lanciato via Facebook poco prima della partenza per Torino.
Volete sapere come è andata? Venerdì notte le mie 5 ore le ho dormite benissimo. Il che significa che sono andato a letto contento. In pace. Soddisfatto. Sabato mattina sono rimasto sveglio a letto dalle 5.30 alle 7.20 senza battere ciglio. (Quasi) immobile. Per non svegliare Luca. Il che significa che mi sono svegliato contento. In pace. Soddisfatto. E mentre scrivo in questa declinante domenica di afa e silenzio (il silenzio esiste anche a Napoli, a patto naturalmente di abitare sulle scale) sono contento. In pace. Soddisfatto.
Tutte queste storie per dire che è andato tutto bene, che è venuta un sacco di gente, che si sono vendute tante copie del libro? Niente affatto.
C’erano poco più di 10 persone. Si sono vendute una copia di certo e un’altra forse. Non abbiamo fatto i video. La card memory nuova di zecca si è rivelata difettosa e abbiamo perso tutte le foto a parte le 6-7  (erano sulla card in dotazione con la macchina fotografica) che potete vedere cliccando su Flickr. Mi chiedo se non sia stata la forza del destino. Se non sia stata un’intrepida vendetta. Quarantanni dopo le scorribande torinesi di don Peppe detto Testolina, lui che era capace di raccogliere un sasso da Piazza Vittorio e rivenderlo come Pietra del Vesuvio, un’audace tabaccaio torinese rifila un pacco a chi ha osato raccontare in un libro le beffe perpretate a loro danno.  Ma torniamo al punto. Luca ha fatto un numero dei suoi perchè davanti ad un negozio di cappelli ho osato dire che ne  avrei volentieri comprato uno (chi ha letto il libro lo sa, quando vuole riesce ad essere odioso, nel caso specifico con argomenti tipo “è assurdo anche solo pensare di spendere 130-150 euro per comprare un cappello quando poi non risolvi niente, non avrai mai fascino, non ti  può abbellire, non ti sta bene, ecc.”). L’aereo del ritorno ha fatto 2 ore di ritardo. E a Capodichino abbiamo perso l’autobus per mezzo minuto (accade anche a Napoli che partono in orario; quando tu sei in ritardo).
Ma allora sei scemo, direte voi. Come si dice a Napoli dove la “appoggi” questa tua contentezza e soddisfazione? Come fai a essere in pace con te stesso?
Questione di relazioni. Di rapporti umani. Di connessioni. Che sono la cosa più importante per esseri come noi.
Proprio così. La presentazione di Enakapata a Torino è stata una straordinaria occasione di sensemaking. Grazie innanzitutto ad Anna Masera, Alessia Cerantola e Giorgio Fontana. Ma per questo ci vuole un post a parte.

La Stampa.it, Cimmino

enakapata3La Stampa.it: È un racconto di parallelismi: un diario di viaggio e lavoro, di leggerezza e contenuto. Padre e figlio, raccontano in maniera leggera e accattivante, a tratti commovente, della controversa periferia napoletana e dell’organizzazione scientifica in Giappone, di luoghi e volti della capitale nipponica appena incontrata e dei suoi paesaggi metropolitani stupefacenti, di serendipity, ramen e shinsetsu, di operai e magliari, in un alternarsi e incrociarsi di voci, sensibilità, generazioni.

Titti Cimmino: Enakapata: ma che senso ha? E’ stata la domanda che mi ritornava tra una pagina e l’altra. E’ un diario, mi rspondevo. Eppure la risposta non mi soddisfaceva. Comunque, leggo … e sempre ritorna quel “dove sta il senso” ma al tempo stesso maggiormente dalla scoperta, dalla lettura, che non il cntrario, come accade quando di solito, non si attende (abbiamo perso la capacità di aspettare?!) … non so spiegare meglio.
Il senso sono la forza  e l’emozione, il credo che metto nelle azioni (per citare Emerson) che ritorna, imperativo categorico, a plasmare la mia quotidiana ricerca del senso,  del sistema che funzioni, dell’efficacia … della qualità a 360 gradi coniugata. Ecco ciò che m’ha lasciato questo “viaggio” attraverso un tradimento, il vostro, attraverso la scoperta di due Anime, di due Persone della “mia” Terra.
Ma andiamo per ordine: dalla fine!
Come un taglio di Fontana sulla tela, così mi ha inciso lo stomaco e poi su, sino al cuore, quella frase di Luca “la certezza che all’estero le opportunità di dare un senso alla propria vita sono maggiori”. Mi sono chiesta perché … perché dovesse un giovane  tornare in patria con l’amarezza dentro e la tristezza fuori quando gli si tuffano negli occhi il quartiere, i tassisti, i soliti (ig)noti che s’avvedono all’aeroporto anche se un pò in ritardo di non trovarsi di fronte a turisti ma a conterranei. Non so perché, forse sarà l’amore sì, che mi lega alla mia terra … e il senso di appartenenza forte all’Umanità. Il senso di appartenenza, perché c’è uns enso in questa nostra terra e lo scopri quando “muori”, in senso lato, cioè quando la lasci, o quando vi ritorni come se fossi stato su Marte ed invece sei (solo) stato a Kyoto o a New York … e ti chiedi erché qui quelle opportunità manchino.
Qui, a Napoli, per gradire, mancano perché quel sensemaking in realtà non è making: forse nemmeno ce lo si chiede il senso quale sia e dove sia … noi napoletani siamo troppo presi dal “tirare a campare”, a pensare al presente “vid ‘o ciel che te mena” mentre, voi ce lo avete scritto, “in Giappone quando fanno una cosa pensano al futuro” … noi no. E lì non si sta ad attendere nell’incertezza o nella precarietà, ma ci si “organizza”, nell’accezione principale del termine. E l’organizzazione si fonda sulle regole, sulla qualità dei legami, dei “link” (ti confesso, Vincenzo, che ho sorriso quando per la prima volta hai mutuato questo termine informatico per descrivere un “legame” umano … ma mò che ci penso preferisco il tuo link a questa mia pessima espressione :-)).
Rispetto, il “peso del rispetto”. Quel rispetto che da noi viene a mancare a meno che tu non appartenga al “Sistema”.
Sistema è invece ben altro dall’accezione che qui attribuiamo al termine (Gomorra docet, mi si perdoni il riferimento a vicende poco edificanti ma quanto mai reali e vicinissime).
Eppure ci sono da noi menti eccelse, e ce ne sono state di Persone che la nostra terra ha partorito, ma le menti da sole non bastano. Convengo, cari Vincenzo e Luca, “la priorità va assegnata all’ambiente, alle relazioni con i colleghi, alla qualità della struttura”.
Titti il senso? Dove sta il senso di questo diario? E ritorna la domanda.
A tratti un déjà vu: Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta. Anche lì un viaggio, anché lì il padre e il figlio, anche lì una trama da superficie, un diario “appunto”.
Ma “le parole sono pellicola su acqua profonda” diceva Wittegenstein, e qui a profondità sta nel senso: per serendipity l’ho scovato. Sentirsi parte di un’unica struttura … ma sentirsene responsabili. Ne rispetto e nella ricerca costante tesa al bene comune. Una sola parola mi viene come allegoria, “sakura“: ecco come descrivo tutti e ciascuno di noi, da soli, mente illuminata o no, non si è nulla. In un sistema complesso ma organizzato nel rispetto e nella competizione sana puntando alla ricerca con l’efficacia a fare da scudo. E allora è na kapata ravvedersi che occorerebbe pensare l’occasione: quel kairòs, quel momento opportuno in cui intraprendere un’azione, quel momento opportuno che hai colto tu Vincenzo quando hai inviato il tuo primo link chiosando … “se son rose fioriranno”, quel momento in cui hai scelto, con Luca complice, di “partorire” a quattro mani quest’avventura di parole. “Fare le cose con le parole”, appunto, oltre che f”arle per bene perché è cosi che si fa”.
Il senso Titti? … Eccolo ancora … E lo esprimo con il meglio che la lingua delle origini ci  abbia lasciato: la “metis“, il fiuto che hai avuto. Nello scoprire cioé i fattori portanti: organizzazione, efficacia relazioni.
E qui cnclud capovolgendo un punto di vista (a una matematica napoletana – viva – come me si puà perdonare?): ma ci pensate al Dna senza il contributo del “trascrittoma” Rna? Dovremmo imparare dall’ambiente che ci nutre, che ci ha trasformati da embrioni in Uomini.
Domani a pranzo preparerò per la prima vlta il ramen … la ricetta l’ho scovata in calce ad un diario … E’naKapata!!!

Tomo, Bombaci

enakapata3Gianni Tomo: Un libro da leggere tutto d’un fiato, un racconto fatto di tanta cultura e che accompagna il lettore verso tante riflessioni …
Leggi l’intera recensione su Il Denaro

Gianni Bombaci: Enakapata è stato per me un vero e proprio coup de foudre, libro di un viaggio da Secondigliano a Tokyo e al Riken, istituto di ricerca tra i più importanti del mondo, attraverso alcune stazioni: da quella del genoma dell’ape che, come afferma il pluricitato Piero Carninci, è “l’insetto più sociale che esista”, alla “fermata” degli RNA, produttori di proteine, e poi la trascrizione dei geni, Franco Nori, il Kabuki, le dimensioni delle camere d’albergo e delle case a Tokio che “Andrebbero bene per Cucciolo e Pisolo dato che tutti e sette i nani non ci vanno”, la numerazione dei piani delle case (il piano terra in Giappone si chiama primo, come a Messina), il papà di Vincenzo, il premio nobel Noyori, il caffè dalle ragazze, i terremoti che sono all’ordine del giorno (e della notte), la differenziazione della monnezza, gli effetti opposti che si ottengono chiedendo quattro cappuccini e un tè, se ci aiuta, per farsi capire, con le dita.
Il racconto adotta  lo stile del diario, con l’innovazione del duo, quasi musicale, attraverso un dialogo non solo generazionale ma innestato su diversi approcci stilistici, direi quasi differenti poetiche e diversi retroterra, dei due scrittori (tra l’altro padre e figlio), che trovano nel libro una mirabile sintesi e costanti punti di incontro e di confronto.
Questo diario (come due vite parallele) si fonda sul viaggio (altro genere che ha attraversato metà della letteratura conosciuta). Qui verrebbe facile parlare dei grandi scrittori che hanno percorso questo luogo letterario. Da Omero fino a Calvino, attraverso Stendhal, Salgari, due grandi bugiardi gli ultimi due, il primo per omissioni crescenti, il secondo perché ha fatto conoscere a più di una generazione le avventure di mondi abbastanza sconosciuti, senza mai alzarsi dalla scrivania. Viaggiatori totali comunque.
Ma cos’è il viaggio? Il procedere “turisticamente” con la guida con la bandierina (o altro) visibile in alto, il seguire libretti turistici, che probabilmente mai si seguirebbero nella propria città o nel proprio paese, o è il soffermarsi sulle sensazioni, sull’osservazione stupefatta, “natale” oserei dire, sulla meraviglia spesso non spiegata (e che non si tenta neppure di spiegare, pena l’annullamento del viaggio stesso)? Cos’è che fa la differenza tra viaggiatore e turista?
Il viaggio di Enakapata si muove su tre piani principali: gli incontri scientifici e di ricerca con grandi ricercatori e scienziati giapponesi e italo-giapponesi (se così si può dire), il dialogo costante tra due generazioni (padre e figlio, talvolta in filigrana, tal’altra in netta evidenza), il percorrere un terreno assolutamente sconosciuto (il vero viaggio!), senza lingua e senza cibo amico. Con il principe De Curtis come nume tutelare e saldo riferimento culturale.
Ma il viaggio in due con l’uso di una tastiera a quattro mani non è esercizio usuale e usato. Mi sbaglierò di certo, ma non riesco a trovare precedenti in letteratura.
Addirittura nel libro appare una facilitazione (ad usum lettore) “semeiotica”, non subito, nelle premesse napoletane, ma dopo, quando i due arrivano in Giappone: Vincenzo (il padre) inizia le sue considerazioni cronologico-diaristiche con l’uso costante del procedere “europeo-italico”; Luca (il figlio) le fa precedere da caratteri giapponesi (kanji).
Un viaggio vero, non quello turistico, è fatto di richiami, non nostalgie. E che richiami!
Pag. 40: Ricomincio da tre …”L’appuntamento era al bar di Don Peppe “testolina”, di fronte a casa mia, a fianco della merceria gestita dalla signora Carmela, la mamma di Tonino Parola”. Pensate: dettagli, personaggi, nomi e cognomi. “Se qualcuno mancava? Facile. Si passava a prenderlo a casa. Due le possibilità. La chiamata via citofono, modello classico. Oppure la chiamata a cappella, modello Lello. Chi è Lello? Lello Sodano, quello che all’inizio di Ricomincio da tre inizia a gridare , Gaetanoooo, Gae-tano, Gae-tà, e non smette fino a quando l’amico non scende.”
Il viaggio a due è fatto (e che viaggio vero!) di ansie unilaterali e senza davvero ombra di senilità precoce generazionale. Due pagine di poesia pura intitolate “Una domenica bestiale”. Vincenzo e Luca si lasciano con, a detta del padre, la promessa da parte di Luca di farsi vivo al ritorno a casa sua (i due vivono separati a Tokio per la scelta, correttissima, di non mischiare lavoro (di Vincenzo) e svago (di Luca) . Luca non mantiene, a detta del padre, la promessa.
“Mi sento con Valerio Orlando. Lo incontrerò al mio ritorno. L’Inter gioca contro il Palermo. Ma Luca non si fa vivo. Mi ripeto un minuto e un altro pure che è adulto e vaccinato. Che posso tranquillamente seguire la partita e poi andarmene a letto. Ma rimane il fatto che si sarebbe fatto vivo per il ritorno. Che è una persona affidabile. Che mi conosce”.
Jazz, scrittura sincopata!
“Tergiverso ancora un po’. Poi mi dirigo verso casa di Luca.
E’ passata la mezzanotte ma lungo la strada che collega Wako a Narimasu, qui alla periferia di Tokio, incontro una ragazzina di 16-17 anni che torna tranquilla a casa. Due o tre persone anziane che vanno in bicicletta. Tanti giovani di varia età fuori dai locali e per la strada. Lo so che anche in Giappone non mancano problemi, tensioni, contraddizioni. Ma mi viene un po’ tanto il magone a pensare a casa Italia. Ai luoghi comuni, alle ansie, ai pregiudizi che siamo riusciti ad addensare alla voce “sicurezza”.
Vincenzo arriva, dopo considerazioni politico-tranquillizzanti, a casa di Luca. “Busso. Non risponde. Busso e chiamo. Niente. Lo faccio ancora. Il cuore in gola. La porta si apre. Mi guarda. Mi dice “sei incredibile”.
E Luca figlio, sulla sua tastiera di pianoforte-diario annota “Torno a casa e scopro che è saltata la connessione,
“Miii! Non ci posso credere”, deve essere un avvenimento storico. Dovevo sentirmi con papà su Skype, se ne parla domani. Per stasera non mi resta che dormire. E’ passata da poco la mezzanotte quando bussano. Ci metto un po’ a svegliarmi, apro ancora mezzo addormentato, tutto bene, è papà. Non sentendomi mi aveva dato per disperso. Non importa quanti anni hai, che tipo sei, se hai viaggiato o no. I genitori sono apprensivi di natura.”
Jazz, poesia, interplay: ecco il libro Enakapata.
“Proviamo a suonare solo le note necessarie” dice Joao Gilberto in un dialogo con Enrico Rava nelle notti newyorkesi dei primi anni settanta; proviamo a togliere peso alle parole, come ha fatto per una vita intera Italo Calvino. E aggiunge Luca “ci abbiamo provato con tutte le nostre forze. A suonare solo le note necessarie. A togliere peso al racconto.”
Ce l’hanno fatta davvero, Luca e Vincenzo. Cento racconti possono nascere da questo libro, con le sole note necessarie richiamate da Joao, con il  “napoletano” in salsa giapponese minimalista.

Titti and me

enakapata3L’arbitro aveva dato il fischio di inizio già da qualche minuto (a proposito, abbiamo avuto ragione io – quando una squadra supera le semifinali pareggiando al 93° poi vince la coppa – e Mou – Manchester sicuro finalista ma la coppa è della vincente tra Chelsea e Barcellona – ) quando ho scritto a Titti Cimmino via Facebook “mi mandi qualche riga su enakapata?, naturalmente quando finisci di leggerlo. e se ne hai voglia. un saluto affettuoso. a prescindere”.

Dopo pochi minuti la risposta, che ho letto solo stamattina nonostante sia riuscito a perdermi la diretta del primo gol del Barca.
“Ciao Vincenzo, a prescindere, ti avrei scritto qualche riga. E sarà fatto.
E’ un NonDiario … la prima “capata” è stata la foto sulla prima di copertina: è stato come sfondarmi l’immaginazione … uno stare al di quà di quelle vetrate che mi spingeva di là.. e il desiderio è stato di affacciarmi sul Centro Direzionale … poi, sforzandomi e forzando l’immaginazione a farsi reale, ho visto che al di là c’era un altro mondo … un Altrove .. .quell’Oriente che stiamo lasciando nella corsa affannosa (verso dove cosa?) e nella razionalità dei conteggi (di link e denaro e di popolarità) fatti di somme (mentre dovremmo sottrarre) senza accorgerci che al tavolo c’è Chi a tempo debito “farà Banco”.
E  per serendipity ho trovato in quel nonDiario qualcosa che non riesco ancora a decifrare ma che “mi chiama” … continuo il mio “viaggio” tra le vostre pagine … Un diario fatto di pagine scritte talvolta a distanza di molti mesi.  Pagine che come calamita mi costringono ad entrare in ogni periodo, ogni parola … forse a voler cercare il “sistema organizzativo”, forse a voler ostinatamente scoprire ciò che invece viene da sè … per serendipitty.
ti scriverò presto. un caro saluto a te.
Titti

Cosa aggiungere ancora?
Che già così mi sembra bello e incredibile. Così come mi sembra incredibile che persone che ancora non ho conosciuto “realmente” siano così gentili e disponibili. Persone come Titti. O come Giorgio Fontana. Che ha pensato e organizzato la presentazione di Enakapata  a Torino. Di Giorgio vi racconterò presto. Per adesso grazie di cuore Titti.

La bombonera

enakapata3Perché la bombonera invece di la bomboniera? Perchè la bomboniera è solo una bomboniera. Mentre la bombonera è  prima di tutto il mitico Estadio Alberto J. Armando “La Bombonera” dove gioca il Boca Juniors di Buenos Aires, la città di Luis Borges e di Diego Armando Maradona. E poi perché della bombonera in questione non sapevo neppure l’esistenza fino a qualche giorno fa quando … ma forse è meglio cominciare dal principio.
Quando sono a Napoli, alla Feltrinelli Libri e Musica di Piazza dei Martiri mi piace passarci a prescindere, e a prescindere mi ritrovo sempre a comprarci qualche cosa. Settimana scorsa era la volta degli Adelphi in offerta. Provo a fare una polemica sulle etichette sulle quali si legge 1 pezzo 15% di sconto, 2 pezzi 25%. So essere un mago, ma che dico un maestro della polemica. Commento a mezza voce che i libri non sono saponette che si vendono a “pezzo”. Faccio palla corta. Nel senso che una solerte libraia mi spiega che le etichette le fa l’editore e che i libri sono presenti così in tutte le librerie di tutta Italia.  Per poi chiosare etichettandomi come il solito pedante lettore al quale non va mai niente bene. Mi tengo la spiegazione (così è,  se mi pare) e l’etichetta (la solerte libraia è anche una mia cara amica) e mi ritrovo come rapito dal fatto. Quale fatto? Il fatto che ad essere in offerta ci sono i libri di  Canetti, di Galasso, di Capra, di Kundera. A Kundera mi fermo. Una giunonica fanciulla ha appena preso 7-8 copie de “L’insostenibile leggerezza dell’essere” e sta per andare alla cassa. La guardo. Mi sorride. Accompagna il sorriso con rapide parole. E’ per la storia dei libri venduti a “pezzi”. Ma ormai mi sono fatto coraggio. Le chiedo cosa ne fa di 7-8 copie dello stesso libro. Mi risponde che è per una cosa molto speciale. E che dovrà prendere 7-8 copie di più libri. La guardo ancora. Le chiedo se conosce Enakapata. Mi risponde no. Ma non si ferma qui. Mi chiede se penso che il mio Enakapata possa reggere il confronto con Canetti o Kundera. Ormai ho perso. Ma non per questo abbandono. Le rispondo che per quanto mi riguarda con Canetti non ce n’è per nessuno,  o quasi. E che per Kundera non sarei altrettanto categorico, non fosse altro che per il nome, Milan.
Lei mi guarda esterefatta. Non le dico del mio cuore nerazzurro. Faccio un passo. Prendo Enakapata dallo scaffale. Lo pago. Glielo dono. Ricevo in cambio un sorriso. Sono decisamente soddisfatto.

La fanciulla va. Chiedo alla mia amica libraia a che servono tante 7-8 copie dello stesso libro. Davvero non lo sai, mi dice?, davvero, rispondo. I libri si usano anche come bomboniera. Non mi sembra vero. Poi penso a tutte le volte che sarei stato felice di portare a casa un libro piuttosto che un oggetto in argento o in ceramica. Comincia a sembrarmi una bella idea. E’ una settimana che vado in cerca di amici che debbono fidanzarsi, sposarsi, risposarsi. Ho per loro una proposta che non si può rifiutare: Enakapata. La Bombonera.

Gnerre, Potecchi, Pirone, Casillo

enakapata3Edmondo Gnerre: Complice l’essere fresco di un viaggio a Tokyo, la lettura di Enakapata  è stata estremamente interessante. L’ho acquistato dopo la presentazione fatta a Benevento e l’ho letto tutto d’un fiato in poche ore: prima a Milano durante l’attesa per il rientro a Napoli (con due ore di ritardo), poi al mare, sulla spiaggia di Paestum. Ho apprezzato soprattutto la freschezza del linguaggio e l’acuta osservazione del Giappone, che è davvero un altro pianeta!

Alessia Potecchi: Ho trovato Enakapata interessante, fresco e originale. Non soltanto per i contenuti ma anche per la stesura grafica di diario incrociato e alternato, dove si intersecano molto bene le diverse esperienze dei due autori durante il viaggio in Giappone: quella di Vincenzo, incentrata sul discorso professionale e quindi legata alla ricerca, e quella di Luca, che ci fa immergere nella storia e nella cultura nipponica con una descrizione di storie e luoghi visti con gli occhi da ragazzo.
Un diario giapponese che riesce a fondere originalità ed intelligenza, situazioni e personaggi creando pagine che attirano, coinvolgono, stupiscono, fanno vivere  in prima persona il viaggio dei protagonisti.
Nel titolo, originalissimo, è racchiuso gran parte del significato di questa pubblicazione: “Enakapata” una parola nippo-napoletana, inventata dagli autori, che vuol dire “una capocciata”, una cosa da urlo, che stupisce e che è fuori dall’ordinario. Proprio partendo dal titolo vorrei analizzare alcuni aspetti che ho trovato belli ed interessanti.
Come dicevo, lo stupore che accompagna questo viaggio è di due tipi:
il primo, di carattere scientifico e tecnologico, ci permette di conoscere la realtà di questo super-centro di ricerca, il Riken, dove si è a contatto con gli strumenti e macchinari giusti per fare ricerca con una quantità di risorse e una qualità di risultati impensabili qui da noi in Italia. Lascia davvero a bocca aperta l’organizzazione giapponese in materia di ricerca: rispettare le regole, privilegiare la qualità, l’autonomia, la capacità di assumersi delle responsabilità importanti e premiare il merito ad ogni livello della scala gerarchica, insieme al confronto, al gioco di squadra di chi ha la capacità di collaborare ed interagire con altri team. Una realtà che ci stupisce e che dà una grande lezione al nostro paese ma anche all’Europa per quanto riguarda le risorse e gli investimenti dedicati alla ricerca. Incredibili le interviste fatte da Vincenzo per i contenuti, la descrizione di scenari lontani anni luce da noi e dalle possibilità così poco incoraggianti date ai nostri giovani ricercatori che, pur essendo spesso molto bravi, sono costretti a cercare lavoro all’estero. Segnalo inoltre la storia della Serendipity cioè dell’importanza del dato imprevisto e anomalo che diventa strategico nel progresso scientifico, proprio come racconta Carninci in una delle interviste.
Poi c’è l’altro tipo di viaggio, la “capocciata” di Luca che va alla scoperta delle meraviglie e delle curiosità della cultura giapponese. E ancora una volta lo stupore, il fatto straordinario, ci fa vivere la storia del Giappone anche qui con i suoi aspetti e le sue realtà così distanti dai nostri luoghi a dal nostro quotidiano. Belle e intelligenti le descrizioni della vita in Giappone, dei suoi monumenti e tesori ricchi di arte e storia millenaria. Ma anche molto coinvolgenti e divertenti gli aspetti che riguardano i negozi, lo shopping e la cucina giapponese.
Trovo poi che nel libro ci sia molto, anzi moltissimo, di Vincenzo, della sua storia personale, della sua esperienza professionale e del suo impegno nel sindacato.
Trovo che questo aspetto sia molto bello; quando in un libro come questo, che descrive un viaggio, emerge così bene e così forte la storia di chi scrive vuol dire che il lavoro è un lavoro ben fatto, fatto e scritto con il cuore, come tutto quello che Vincenzo fa. Ne esce uno spaccato di vita e storia personale dove c’è un grande amore per le proprie origini e per la propria terra. La sua Secondigliano che porta sempre con sè. E poi la sua famiglia, molto commovente quando parla di suo padre e dei suoi insegnamenti. Viene poi fuori il Vincenzo sindacalista che ha a cuore il lavoro e la condizione dei lavoratori proprio a partire dalla realtà della sua terra. Ci viene qui in mente, visto che Vincenzo dirige un’importante sezione della Fondazione Di Vittorio, proprio Giuseppe Di Vittorio e il suo insegnamento. Nella sua lunga militanza e nel suo impegno che lo hanno portato ai vertici del sindacato non ha mai dimenticato, nei suoi scritti e nella sua azione, la sua terra del Sud dov’è nato e cresciuto e non ha mai dimenticato la sua gente, l’ha sempre portata con sè. Accanto a questo aspetto ho ritrovato poi nel libro l’ironia bellissima di Vincenzo, la sua semplicità e modestia e poi una caratteristica importante che ci accomuna: il tifo sfrenato per l’Inter.
Questo è quello che io ho colto in questo libro, viaggiando con gli autori pagina dopo pagina.

Francesco Pirone: Un diario di viaggio doppio, nel senso che il libro, scritto a quattro mani, alterna le pagine dei diari di viaggio dei due autori, padre e figlio, che vivono insieme. I diari iniziano dal difficile quartiere di Secondigliano a Napoli, per poi svilupparsi attraverso il racconto dell’esperienza di viaggio in Giappone che per Vincenzo, il padre, è l’occasione per raccogliere materiali per uno studio sociologico sull’organizzazione di un centro di ricerca d’eccellenza mondiale – il Riken – dove lavora il premio Nobel per la chimica Ryoji Noyori. Per Luca, il figlio, invece, è l’occasione per approfondire il suo interesse per la cultura giapponese e per supportare, moralmente e soprattutto praticamente, il padre nella sua impresa. La redazione del diario diventa l’occasione, attraverso il tipico sguardo comparativo dei viaggiatori, per riflettere e mettere a confronto la terra di partenza – Napoli e l’Italia – con quella d’arrivo – Tokyo e il Giappone. Ma il libro offre di più. Propone un doppio sguardo, parallelo, che è indicativo non solo di un diverso interesse verso la cultura nipponica, ma forse anche di una diversa sensibilità generazionale: da una parte il figlio che, da cultore della civiltà nipponica, si sofferma sulle tradizioni e sulle pratiche di vita contemporanee che osserva nei diversi ambienti di Tokyo; dall’altra parte, il padre che, da ricercatore sociale, osserva il Giappone soprattutto attraverso il filtro della sua ricerca sull’organizzazione dei centri di ricerca d’eccellenza e sul ruolo che in essi ha la serendipity. Nel racconto, tuttavia, emergono le personalità dei due autori, la loro umanità e il loro modo di approcciare il viaggio e il confronto, non sempre facile, con la propria e le altre culture, in una narrazione della vita quotidiana dove si evidenzia chiaramente la centralità di internet, sia per le pratiche di lavoro, sia per la cura dei rapporti personali.
on Quaderni d’altri tempi

Antonio Casillo: Un racconto di parallelismi. Un diario di viaggio e lavoro. Di leggerezza e contenuto. L’Italia e il Giappone, Secondigliano e Tokio. Padre e figlio, l’integrazione e la sorpresa. Sparta e Atene, ma anche l’essere ed il poter essere. La ricerca e la scoperta serendipitosa. Collaborazione e competizione.
Enakapata è un continuo incitare al nesso. Alla ricerca dell’insight, del collegamento illuminante, che si svela senza mai preavviso, ma solo a chi lo cerca con caparbietà e lucidità. Con intraprendenza, ma con organizzazione.
Chi nun tene curaggio …

Benevento, 18 Maggio 2009

enakapata3Ma la crema di Strega è un dolce o non è un dolce?
Sono da un pezzo passate le 10 p.m. quando l’enigma finalmente si scioglie e l’ottima Maria Rosaria Napolitano, prof. di Marketing alla Sannio University e fino a quel momento impeccabile skipper dell’equipaggio della 1° Benevento Enakapata Dinner deve ammettere la sconfitta: sì, la crema di Strega è un dolce. E che dolce.
Ma se volete sapere cosa ci facevamo a Benevento è meglio cominciare dall’inizio. O quasi.
L’appuntamento con Luigi Glielmo è intorno alle 5.30 p.m. nei pressi della Prefettura.  Luigi l’ho conosciuto a Procida complice Salvatore che con gli anni  assomiglia sempre più a un personaggio partorito dalla fantasia  di Hemingway.
Luigi è uomo di mare, appassionato di jazz, prof. di Controllo Automatico al Dipartimento di Ingegneria dell’Università del Sannio e tanto altro ancora ed è stato lui, assieme all’Associazione Umanitas e alla sua presidente Stefania Ferrara, ad organizzare la presentazione  di Enakapata all’Università del Sannio.
Con Cinzia ci muoviamo da Bacoli in perfetto ritardo, alle 3.35 p.m., ma riusciamo non so come ad arrivare all’appuntamento con Luca e Salvatore in perfetto orario,come non manca di sottolineare la perfida guidatrice. Alle 4 p.m. in punto si parte, alle 5.40 p.m. l’incontro con Luigi, i saluti, i 4 passi verso la sede dell’incontro.
Il buon giorno si vede dal mattino, così come l’organizzazione accurata : microfoni, registratori, addirittura la videocamera, la sala presto popolata, l’incontro con i prof. colleghi – amici di Luigi, cito per tutti Felice Casucci, delegato per la cultura dell’ateneo sannita.
Ci sono tanti ragazzi, immagino studenti di Luigi e dei suoi colleghi, e la cosa mi fa molto piacere, così come mi fa piacere la presenza della mia studentessa special, Suor Maria Rosa Lorusso, psicologa che segue il  mio corso di sociologia dell’organizzazione  a Salerno per non so quale abilitazione all’insegnamento. Ha una gran bella testa e la sua partecipazione attiva ha dato un contributo significativo alla mia attività in aula.
Di cosa si è discusso? Soprattutto di Serendipity, di organizzazione della scienza, di processi di competizione – collaborazione.  Troppo secondo Cinzia, Luca e Salvatore, che hanno rilevato che il libro non è solo questo. Inevitabile oltre che estremamente interessante, secondo me, perchè imi piace l’idea che il libro possa essere anche un’occasione per discutere di talento e di organizzazione.
Loro sostengono che  forse con una discussione più “leggera” gli studenti avrebbero partecipato di più. Io ribadisco che di certo le persone che sono intervenute nella discussione hanno segnalato un interesse intorno al tema che produrrà ulteriori approfondimenti. Tutta saluta. per noi e per Enakapata. Ci mettiamo a ridere tutti e quattro, in realtà molto contenti della bellissima serata. Che avrà una conclusione altrettanto degna. Quella di cui vi ho raccontato all’inizio. Di cui cercheremo di rinverdire presto il piacevole ricordo.

Bologna, 23 Aprile 2009

enakapata3Come molte delle cose che mi accadono anche questa comincia un pò per genio e molto per caso.
Nel corso dell’ultimo anno Sergio l’ho incrociato più volte e sulle “principali” l’ho trovato tranquillo, per certi versi persino rilassato. Forse Bologna la rossa e fetale non lo ha amato come merita. Forse è stato lui che non ha saputo farsi amare di più. Ma in fondo io devo soltanto chiedergli se gli va di presentare il libro.
Ne parlo con Angelo Lana. Mi dice che l’idea non gli dispiace. Mi dico che è difficile che mi ricapiti la fortuna di un editore così. Chiedo il numero alla mitica Magda. Chiamo. Gli dico che ho scritto assieme a mio figlio Luca un libro che racocnta la nostra esperienza in Giappone. Gli chiedo se ha voglia e tempo di presentarlo. Mi dice subito si. Aggiunge che le Librerie Coop  gli sembrano il posto giusto.
Metto in moto la macchina. Fila tutto liscio. Fino ad una settimana prima della presentazione. Quando mi viene in mente che lui è il Sindaco di Bologna. Che per quanto il libro sia bello  io e  Luca a Bologna non siamo certo delle celebrità. Che se non viene nessuno alla presentazione faccio una pessima figura.
Scatta il Piano Plus. Coinvolgere mio fratello Antonio, che a Bologna vive da più di 30 anni.  Torturare la mia amica  Roberta Della Sala, che a Bologna ci è arrivata da un anno  per la laurea magistrale dopo la laurea triennale a Salerno. Chiedere aiuto a tutti gli amici reali e virtuali che in qualche modo hanno o hanno avuto a che fare con Bologna. Una per tutti. Cristina Zagaria. Che prima di approdare a la Repubblica Napoli ha lavorato alla redazione di Bologna. Per aiutarmi invia mail e mette annunci su Facebook. Mi sembra incredibile e invece è vero.
Nel treno verso Bologna continuo a ripetermi che funzionerà, ma il fatto che me lo ripeta non serve certo a tranquillizzarmi. Sento Cinzia. Lei  e Luca sono già in albergo. Li raggiungiamo. Mettiamo via i bagagli. Andiamo a fare un giro in centro. Incontro Roberta. Poi Alessandro Pecoraro di Oltregomorra, con il quale conto come Fondazione Di Vittorio di organizzare una serie di iniziative sul tema legalità, lavoro, diritti. Parliamo di un sacco di cose. Ma io penso sempre alla stessa cosa.
Piove. Facciamo un giro. Non piove. Ancora un giro. Piove ancora. Meglio andare in libreria.
Non c’è ancora nessuno per la presentazione, ma manca ancora mezzora. Cinzia e Roberta chiacchierano. Io vado avanti e indietro come un carcerato.
Mi maledico e poi mi maledico ancora. Mi ripeto che le presentazioni dei libri le devono fare gli scrittori veri, quelli che loro arrivano, fanno i tipi “sostenuti”, firmano autografi, trovano tutti là che pendono dalle loro labbra, non come me che a momenti devo preparare anche il tavolino con le sedie mentre Luca già da 3 giorni mi ha comunicato che lui quello che poteva fare l’ha fatto e non ha nessuna intenzione di farsi trascinare in questa overdose di ansia da presentazione. Giuro che mi ha detto più o meno così. Giuro che se fosse davvero possibile odiare i propri figli queste sarebbero le occasioni nelle quali ci riuscirei alla grande.
Esco. Ritorno. Riesco. Ritorno. Lo facico ancora. Miracolo. Lo spazio che ci è stato assegnato è pieno di sedie e di persone. Merito di Roberta e di Antonio. Merito di Sergio. Merito della libreria. Non importa.
La discussione fugge via piacevolissima.  Il Sindaco che non fa il sindaco ma il curioso, l’amico,  il lettore, l’intervistatore. L’abbraccio affettuoso con Carmine Rubino e Gennaro Pastore, amici amici amici della Secondigliano della mia gioventù. Le dediche, ebbene sì, ai lettori conquistati.  La foto ricordo che mannaggia mi sono dimenticato di chiamare tutto il resto della Band. La cena, le chiacchiere e il vino con Angelo, Cinzia, Antonio, Stefano e Luca.
Domani si ritorna a casa. Anzi a lavoro. Ma stanotte la testa sul cuscino la metto felice.

Ricomincio da tre

enakapata3 NapoliRomaMilanoReggioEmiliaNapoli. Tutta una parola. Tutto in 2 giorni. Tutta in treno. Il bellissimo libro di Weick che ho portato con me, Senso e significato nell’organizzazione, non l’ho neanche aperto. In compenso Luca mi ha raccontato un pò di cose di sè. Delle cose che ha in mente di fare. Accade quando abbiamo un pò di tempo per stare da soli assieme. E come sempre quando accade sono contento. Di più. Sono felice. Ancora di più. Mi vengono idee.
L’idea è il viaggio di Enakapata  che continua. Nel senso che andando in giro per presentarlo continuiamo a incrociare persone e storie che meritano di essere raccontate. E poi mi piace l’idea di utilizzare questo blog per ridarvi indietro, attraverso il racconto, almeno un pò dell’affetto che ci dimostrate leggendo il nostro libro e scrivendo le vostre impressioni, idee, recensioni. Stamattina ne ho parlato con Luca, gli ho detto cosa intendo fare, ho precisato che naturalmente lui è libero di partecipare oppure no e con mia grande sorpresa, a quell’ora del mattino la percentuale di rischio che ti bocci qualunque proposta è tra il 98 e il 99%, ha fatto un cenno con la testa, penso volesse dire che gli  sembrava  una buona idea.
Mah. Si vedrà. Per intanto anch’io ricomincio da tre.  Dalle presentazioni di Napoli, Bologna e Milano. Cercherò di fare in fretta. Perché il viaggio continua. E lunedì è già Benevento.

p.s.
il primo che indovina a che ora del mattino ho parlato con Luca vince una copia omaggio di Enakapata con dedica da ritirare durante la presentazione nella sua città.

Borrelli, Rotella, Malafronte, Ferrante, Lorusso

enakapata3Marika Borrelli: L’ho letto in tre ore, l’altro ieri sera tra un po’ di Barcellona-Chelsea e il letto.
Ne ho fatto indigestione. Infatti, ho sognato il Riken, il ramen, il bar delle “ragazze”, tutto assieme, preoccupandomi se poi la Fender di Luca sia mai arrivata a destinazione.
Mentre leggevo – conoscendo già il contenuto del libro perché il prof. Moretti ne distribuisce camei su FB ogni tanto – mi è venuto in mente un documentario visto su Discovery Channel: True Tokio, o una cosa così. E ho cominciato a fare automaticamente paragoni tra il diario di Moretti&son e la descrizione (agrodolce) del tipo che a Tokio ci lavorava e viveva già da un po’.
Lo dico perché Enakapata – come il documentario – è soprattutto la proiezione di vite su un luogo diverso da quello quotidiano. Ed è la diversità del luogo che cambia la ricostruzione di un ricordo e lo ricompone. Vincenzo ci racconta della sua famiglia e Luca ci racconta del padre, stimolato dagli eventi che in quei desueti luoghi accadono.
Un diario a due voci, svelto, appetibile (molti riferimenti gastronomici, siamo italiani! Ed a Tokio si può anche mangiare male), dettagliato come per sistematizzare due esistenze per un mesetto sradicate da quell’humus vischioso e bellissimo che è Napoli, nonostante tutto. Con la meticolosità di Moretti father alle prese con un sistema cognitivo (quello dei nipponici) inverso: vedi il metodo di contare sulle dita, per esempio!
E con il rammarico di fondo dell’impossibilità per noi Italiani di avere una ricerca universitaria degna. Ci prova, Vincenzo, a descrivere il Riken, tempio pressoché perfetto per scienziati e ricercatori, evidenziando il coraggio dei nostri compatrioti a trasferirsi agli antipodi, lui con il rimpianto della pastiera.
Ma cosa mai potrebbero pensare i giapponesi di noi, se leggessero questo libro che li descrive e descrive due napoletani alle prese con Tokio? Sembra l’analisi di Las Meninas che ne fece Focault: un gioco di rimandi iconici il cui differenziale era il prodotto di una proiezione, appunto.

Mauro Rotella on Tesionline.it

Assunta Malafronte: Da qualche giorno ho terminato la lettura del vostro libro. Avvincente. La cosa che mi è piaciuta di più è l’aver alternato la “pancia” (le storie di vita) alla “testa” (la ricerca), rendendo la lettura scorrevole ed interessante. Non ho mai visitato il Giappone e prima di leggere il libro nemmeno ci avevo mai pensato. Però, prima di partire, farò un bel corso di inglese e  appena arrivata andrò a mangiare dalle ragazze!

Tommaso Ferrante: Na capata … ò sasiccio… le prime 40 pagine so state peggio di una palillata in fronte. Le ho lette almeno 3 volte per comprenderei qualcosa :-). Sembra il libro per l’esame di teoria dell’informazione e telecomunicazione. Ti farò sapere alla fine. Un abbraccio.

Rosa Lorusso: Sono pienamente d’accordo con l’idea che non si può prendere senza lasciare, né chiedere senza dare, ma aggiungerei che non si può dare se non si è a propria volta ricevuto.
Prescindendo dai nostri valori e orientamenti possiamo arricchire la nostra vita e la vita altrui, convinti che più si condivide più ci si arricchisce.
L’aggettivo che a mio parere meglio racchiude quest’opera è coinvolgente. Chi possiede la speciale abilità di renderti partecipe nella relazione del sapere riesce a farti entrare in un interessante vortice comunicativo che incoraggia la voglia di contribuire alla costruzione di questo meraviglioso e mai terminato edificio della cultura.
Mi sono sentita particolarmente coinvolta in questo viaggio; a volte mi sembrava di essere lì con i protagonisti di quest’avventura.

Della Sala, Orlando, Lagomarsini, Gianfagna, Asfoco, Conforti

enakapata3Roberta Della Sala: Ieri pomeriggio a Bologna presso la libreria Coop Ambasciatori è stato presentato un anomalo e originale testo, o meglio, un diario di viaggio che percorre due binari paralleli che hanno imparato ad incrociarsi: la scienza e la città.

Leggi l’intero articolo su Alter-Azione

Valerio Orlando, again: Caro Vincenzo, ho finalmente (ma ero dispiaciuto come accade quando viene il tempo di separarsi dalle cose amate) terminato di leggere il tuo libro. Di nuovo complimenti. Credo sia un documento importante che spero possa trovare massima attenzione sia negli ambienti che decidono/programmano il futuro della ricerca in questo paese, sia semplicemente (serendipity) tra qualche giovane che possa cosi trovare un’occasione per sognare. Spero di sentirti presto. Valerio.

Andrea Lagomarsini: Vincenzo non ti smentisci mai.. il libro è bellissimo.. una commistione di pezzetti che all’unisono conducono al risultato .. un onore avere un angolino di spazio.. quando riusciremo a organizzare la presentazione.. e purtroppo penso andremo a ottobre visto che giugno è martoriato dalle elezioni… Porta anche TUO FIGLIO!

Andrea Gianfagna: Dear Vicienz’, ho letto con interesse e piacere il Diario che hai scritto together tuo figlio Luca, sulle esperienze del vostro viaggio in Giappone. Complimenti. Mi è venuto  in mente un proverbio di Campanasce, leggendo la tua interpretazione, molto accattivante, della serendipity.
Il proverbio recita: “la vecchia nun vulea murì pecché autre cose vuleva verè (dove veré sta per scoprire)”, mi sembra che in questo proverbio ci sia, in nuce, lo sviluppo della teoria della serendipity.
Ma veniamo a noi. Sono stato in Giappone nel 1968 per oltre 20 giorni a Tokyo, Kyoto, Nara ed Osaka e devo dirti che condivido molte delle tue valutazioni sui giapponesi e sul sistema Giappone, anche con le relazioni che tu fai, confrontandole con ciò che avviene in Italia.
Volevo tuttavia dirti che la cosa più importante che mi è capitata nel viaggio in Giappone in compagnia di Julien Livi (fratello di Yves Montand) e segretario del Sindacato Alimentaristi della CGT, è stata la presa di coscienza che il mondo si deve valutare non solo con i criteri europei ed americani, e che l’Asia, il Giappone richiedono altro. Il tuo diario conferma. Domo arigato per il tuo lavoro ed auguri, affettuosamente.

Sabrina Asfoco: Ciao Moretti senior, ho letto il tuo libro e l’ho trovato divertente e leggero. Si, sei riuscito a parlare di scienze e tecnologia con leggerezza. Bravo anche Luca. Un abbraccio.

Antonio Conforti: […] E’ il Vincenzo che parte da Secondigliano e senza più parlarne esplicitamente, traccia lungo tutto il libro un filo invisibile di napoletanità e di tradizione popolare, alla quale non rinuncia comunque, anche se fra mille contraddizioni.
E’ il fiume carsico dello stesso Luca, molto più giovane e strutturato verso una valorizzazione del “nuovo”, che tenta di portare indietro,verso il luogo d’origine, i simboli del mondo visitato, dalla cucina al gadgets, perché si sedimentino nella comunità alla quale appartiene come ulteriore patrimonio di ricchezza.
E’ la pervicace, spettacolare ritrosia a comunicare nell’inglese universale che hanno quasi tutti i giapponesi, che sembrano rifiutare così l’omogeneità imposta dall’esterno. […]

Leggi l’intera recensione

Risi, Aliberti, Del Vecchio, Pennone, Panachia, Ugolini

enakapata3Vincenzo Risi: Caro professor Moretti, sappia che stamattina le voglio molto male. Stanotte ho iniziato a leggere il suo libro e sono riuscito a chiuderlo solo dopo le 3… Scherzi a parte, in un sol colpo sono a più della metà e le posso dire che è un racconto meraviglioso. Non lo dico per farle piacere, ma perchè lo penso davvero. E’ divertentissimo, ho riso da solo che un altro po’ i coinquilini mi prendevano per pazzo, e nei punti dove parla della sua Secondigliano e in particolare di suo padre mi sono commosso tantissimo. Sono arrivato all’intervista con Marchesoni, e l’analisi che ne esce sul sistema ricerca in Italia fa molto riflettere. Va bè, a questo punto conto di finire il libro in breve tempo! Le farò avere un parere nel complesso.

Sabato Aliberti: Grazie per questa Kapata. Non commento il libro. Non sarei obiettivo dato l’affetto e l’ammirazione che nutro per Vincenzo e indirettamente per Luca, conosciuto di persona ma ancor più a fondo attraverso le parole scritte nel libro. Voglio solo ringraziare i due autori per per avermi dato la possibilità di vivere qualche giornata in Giappone. Presso il Riken Institute, nelle vie della città, in albergo, nel bar a colazione. Ho vissuto l’ansia di Vincenzo, lo stupore e il disincanto di Luca. Sono stato presente all’incontro con il premio Nobel, con gli scienziati, Carninci e F. Nori e le tante altre persone che hanno accompagnato i nostri nel loro viaggio. Non ho sentito la necessità di immaginare niente! La dettagliata e magnifica descrizione di un viaggio di un’esperienza di ricerca, trasformata in una foto artistica che rappresenta i contrasti e le similitudini di realtà apparentemente così distanti sotto il profilo antropologico. Due culture a confronto! Delle foto artistiche estremamente varie nei soggetti: paesaggi, scene urbane e rurali, ritratti, stili life, soggetti folkloristici, popolari e mistici, così come ritratti delle personalità incontrate. Un gioco di luce e ombre di colori e di bianco e nero, frammenti di vita quotidiana del presente e del passato, di una realtà vissuta ma ancor più “sentita”. Razionalità ed emozioni unite. Grazie per tutto questo.

Beppe Del Vecchio: … un ringraziamento agli autori del libro. Un libro “piccolo” ma compresso. Una vera bomba (direi una vera capata). Ricco di concetti che vanno ben oltre il racconto. Uno strumento. Ha la capacità della chiarezza e la grandezza della semplicità.

Domenico Pennone: Azz Vincenzo che bel libro che hai scritto! Il commento lo devo maturare, non meriti na’ cosa arronzata:-).

Rosalba Panachia: Caro Moretti, ho da poco finito di leggere il suo libro e devo dire che… è ‘na capata! Complimenti a lei e a suo figlio! Poi io mi sono divertita particolarmente a riandare con la mente, grazie ai racconti suoi e di Luca, a quei primi tre mesi del 2008 che ho passato in Giappone, e a tutto “lo yin e lo yang” (molto più yin, naturalmente) che quel paese mostra ai nostri occhi non solo occidentali, non solo italiani, ma anche (e soprattutto) NAPOLETANI! Per la serie “l’importanza del punto di vista”! Concordo sul fatto che è stato un peccato non poterci incontrare a Tokyo, ma da quel che ho letto dei suoi ritmi nipponici e da quello che so essere state anche le mie giornate intense, mi sa che era abbastanza naturale… Comunque è stato bello poterci finalmente conoscere da vicino alla presentazione alla Feltrinelli, e spero ci terremo in contatto. Mata aimashou! Arrivederci!

Bruno Ugolini on Storie di oggi

De Biase, Romano, Illiano, Marcone, Zagaria, Cervone, Romano

enakapata3Luca De Biase: Enakapata è un colpo di genio. Il racconto scritto in forma di diario da Vincenzo e Luca Moretti sul loro viaggio da Secondigliano al Giappone. Nello stupore di ogni gesto, di ogni differenza, di ogni pensiero. Nell’approfondimento delle dinamiche antropologiche e tecniche del Riken, un megacentro di ricerche genetiche di Tokyo. Bellissimo libro, ispirato dalle persone che lo popolano, come lo scienziato Piero Carninci, il Nobel Ryoji Noyori e don Peppe detto “Testolina”. Un colpo di genio. Che in lingua napoletana “è ‘na capata”. Enakapata.

Tiziana Romano: Mi è piaciuto all’ennesima potenza. Salve prof. Moretti, Le scrivo a proposito del suo libro Enakapata. Esilarante nel senso buono del termine. Un po’ come Luca mettevo in ordine la camera prima di partire e mi sono imbattuta in questo libro. Ho iniziato a leggere e mi son trovata alle 3 del mattino che ancora leggevo. Io sono una studentessa universitaria e leggere questo libro è stato vedere nella realtà, cosa c’è fuori dal mondo universitario (italiano).  Al di là dei numerosi fatti che sono menzionati nel libro, mi ha affascinato tanto la struttura del Riken, il fatto della collaborazione e competizione sana.  Tutto è incentrato sul merito e lavoro di squadra  in modo da creare armonia. Mi piace. Le aggiungo, inoltre, che non c’è una parte del suo libro che non mi è piaciuta. Certo ho trovato un po’ di difficoltà nel capire: genomi, Rna, Dna, proteine & company però mi son divertita. Complimenti. Per Luca anch’io c’ero al teatro Bellini al Japan Week  è stato bello tra kimono, danze e strani strumenti musicali ….  solo un po’ noioso quando per circa un quarto d’ora hanno scritto qualcosa su un foglio lunghissimo. Complimenti ad entrambi.

Luca Illiano on MediNapoli

Angelo Marcone: Caro Vincenzo, volevo ringraziarti per il tuo invito alla presentazione di Enakapata. Mia moglie ed io siamo stati molto contenti di essere venuti. Ti confesso che  ho avuto qualche difficoltà  a ‘entrare’ sul serio nel libro ma, stamane, evidentemente dopo una elaborazione notturna automatica, mi sono reso conto che è veramente un bel lavoro. Il mio ex capo, nell’azienda elettronica dove lavoravo era solito chiedermi di un mio progetto: ‘Angelo, funziona o non funziona?’. Ebbene, credo che il libro sia veramente un bel progetto ‘funzionante’ e quindi grazie a te e tuo figlio per la bella realizzazione. Sono del Vomero ma ho insegnato qualche anno in una scuola di Secondigliano e quindi i tuoi racconti mi hanno ricordato un periodo particolare della mia vita che ricordo con piacere. D’altra parte i racconti del Giappone mi hanno anche portato ad un vita fa, in cui alcuni miei colleghi di lavoro, giapponesi, cercavano di condividere con me il loro modo di vivere e di progettare l’elettronica ed il software. Cordiali saluti.

Cristina Zagaria on Voltapagina, again

Francesco Cervone on Antonella Romano Blog

Antonella Romano
, again, on Antonella Romano Blog

Iucci, Zagaria, Romano, Iossa, Strazzullo, Gonzalez, Comunitàzione, Di Domenico, Vesupreme, Lieto

enakapata3Stefano Iucci: Dunque, non voglio buttarla giù troppo pesante, ma nei Ricordi di egotismo di Stendhal c’è scritto che l’unica giustificazione per… scrivere di Sè è quella di essere assolutamente sinceri. Ecco io credo che uno dei pregi di questa kapata sia la sincerità degli autori nel raccontare le proprie esperienze (comprese difficoltà, paure, incomprensioni). Non è un giudizio psicologico o moralistico, nel senso che questa sincerità si fa scrittura. E’ insomma una sincerità letteraria, l’unica possibile in un libro.

Cristina Zagaria: È  stata ’na kapata!!!!!!!!!! … Funziona … l’ho letto … senza fatica in un giorno … è un libro diverso … e questo credo sia un grande pregio, con diversi punti di interesse … e questa è la sua forza …
Riassumendo le mie tre pagine di appunti, la prima cosa che mi ha colpito è lo stile. Il libro è scritto come fosse un continuo scambio di mail. Ci sono anche alcune parti in inglese. Moretti è un blogger appassionato e si vede. La sua scrittura è veloce, moderna, fresca.
E poi c’è la teoria della Serendipity, non vorrei sbagliarmi, perché vado a memoria e cerco di semplificare, ma è quel modello scientifico secondo cui partendo da un dato anomalo si arriva ad elaborare una nuova teoria o ad ampliare una teoria già esistente, stravolgendo il punto partenza (non è fantastico!!!! Non dico solo nella scienza o nella sociologia, ma anche nella vita).
Attenzione, però, il diario non è assolutamente un trattato scientifico, io direi piuttosto che è un’avventura, sul cui sfondo si delinea anche il bellissimo rapporto tra padre e figlio.
Vincenzo, infatti, lo sa, le pagine che più ho adorato del diario sono quelle scritte da Luca, studioso di cultura giapponese, che riesce a portare il lettore a passeggio nelle vie di Tokyo, tra presente e passato, tra realtà e leggende. […]
Leggi l’intero articolo su Voltapagina

Antonella Romano: Ho appena finito di leggere Enakapata (troppo curiosa per aspettare la presentazione). Mi è piaciuto molto. Sembra contenere tutto. Due punti di vista (padre e figlio) che si intersecano. Due culture (Occidentale e nipponica) a confronto. Il Suo diario è stato a tratti esilarante (la testata, l’ambasciata e la storia di “ammazzarli quando sono piccoli”etc… comicità allo stato puro); a tratti istruttiva (parte scientifica); senza fare a meno dell’approccio sociologico (deformazione professionale). Quanto alle pagine di Luca, è riuscito ad unire storia e descrizione dei luoghi con molta cura per i dettagli (sembrava quasi di esserci). Troppo spesso è difficile parlare di storia, tradizioni o narrare di luoghi senza annoiare. E “il suo erede” ci è riuscito. Mi è venuta voglia di andarci in Giappone (anche se un mese senza pasta e pizza…ecco forse due settimane possono bastare!). La saluto. A domani. Complimenti e in bocca al lupo.

Luisa Iossa: Di mestiere faccio la libraia, e dovrei quindi esprimermi come tale…ma con il tuo libro proprio non ci riesco…come amica e persona che ti vuole bene dico che è semplicemente “tutto te stesso”. Ti ritrovo in ogni rigo, mi sembra anzichè leggere di ascoltarti, per non parlare di Luca che si è già confermato figlio di tale padre (e direi tale nonno).La vera scoperta per me è proprio Luca, ed è a lui quindi che faccio i miei in bocca al lupo, ma so già che questo può solo farti felice…Enakapata Forever!

Alessio Strazzullo on Ciò che penso e qualche volta scrivo

Irene Gonzalez: Cmq è trooooooooooooooopp bell!!!

Red on Comunitàzione, Il punto di incontro per la comunicazione e il marketing

Salvatore Di Domenico: Caro Enzo, sai il bene che ti voglio, ma non è questo il motivo per cui ti scrivo. Stamattina appena sveglio poso lo sguardo su Enakapata e incomincio a leggere. La posizione dove mi sono trovato a leggere non era tra le più comode. Ma nonostante tutto mi sono fermato solo quando le gambe hanno iniziato a   farmi male e ho pensato che le pagine del tuo libro sono come le patatine fritte e i pistacchi… quando inizi non è facile smettere. P.S. scusa per il paragone Salvatore

Red on Vesupreme, storie di eccellenze napoletane

Antonio Lieto on Marketing Media Comunicazione Innovazione

Mai dire mai

enakapata3Per Luca è la prima volta. Lui fino ad oggi ha litigato più con le note che con le parole. Per me no. Io sono Moretti il vecchio. E non mi ricordo neanche più da quand’è che faccio a pugni con i pensieri.
L’affettuosa complicità di amici come Sabato Aliberti, Salvatore Casillo, Sergio Cofferati, Luca De Biase, Biagio De Giovanni, Rosario Strazzullo, Riccardo Terzi ha permesso ai miei libri di finire sugli scaffali e a me di imparare molte cose. Ma è inutile negarlo. Questa volta è diverso. Speciale.
Quando ho chiesto a Luca di venire con me in Giappone ho pensato che per lui potesse essere un’esperienza importante. Gli piace viaggiare, studia giapponese,  ama le culture orientali, gli piace persino cucinare giapponese,  quale occasione migliore?, mi sono detto. E poi avevo un bel ricordo del nostro viaggio in Australia, nel 2000, in occasione delle Olimpiadi. E poi ero terrorizzato dal mio pessimo inglese e dalla mia scarsa capacità di sopravvivenza. E poi ai tipi che fanno, per scelta e per caso, la vita che faccio io, fa un gran bene stare per un pò assieme ai propri figli. E poi potrei dire di altri mille e poi. Ma mai e poi mai avrei pensato di scrivere un libro insieme a mio figlio. E invece eccoci qua. Cosi insieme e così diversi.
Perché le cose che ha raccontato lui io non avrei mai potuto raccontarle. Perché mentre lui faceva il turista io lavoravo. Perché senza quelle sere passate assieme a leggere, rileggere, correggere non sarei tornato a Secondigliano, alle mie radici, là dove per me tutto è cominciato.
Anche per questo Enakapata non è solo un diario. Ma anche un gioco. Un tradimento. Una prepotenza. Un augurio.
Il diario dà conto di come è nato e di cosa è stato il viaggio a Tokyo e al Riken, istituto di ricerca tra i più importanti del mondo. Dove io e Luca siamo rimasti dal 3 al 30 marzo 2008. Dove continuiamo a tornare con il pensiero. Il discorso. L’immagine. La posta e la chiacchiera. Elettronica e no.
Il gioco consiste nella contrazione giapponesizzazione di un’espressione assai di moda nello slang under 30 dalle parti del Vesuvio, «è ’na capata», letteralmente «è una testata», in senso figurato «è in», «è una cosa che colpisce», «è qualcosa di straordinario». Il resto lo scoprirete leggendo il libro.
Chi lo ha letto lo ha trovato bello, ma su questo conviene che io taccia. Mio padre avrebbe detto “Ogni scarrafone è bello ‘a mamma soia” o anche, meglio, “Acquaiuò, l’acqua è fresca? Manco ‘a neve“, e tanto basta.
Posso dire invece che spero che lo compriate. Di più.  Che vi piaccia a tal punto da indurvi a consigliarlo agli amici. A regalarlo. Ancora di più. Io ci credo. E voi?
Buona lettura.