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Tecknos, dunque Apai

Tecknos, dunque Apai. Quando la testa fa rima col cuore. Grazie. Semplicemente. Sinceramente.

Susanna Musetti

enakapata3 A Vincenzo e Luca
Sono Susanna, ho acquistato il vostro libro Venerdì scorso a Sarzana, vi ricordate, ho chiesto la vostra e-mail (che mi è stata gentilmente scritta da Luca in terza di copertina) per mandare i miei commenti.
Più che commenti o critiche, le mie le considererei delle riflessioni , o se vogliamo quello che mi ha trasmesso il vostro libro.
Abbiate pazienza se alcuni punti non corrispondono a quello che effettivamente volevate trasmettere con questo diario, ma spero che vi faccia piacere, ricevere lo stesso, quello che è andato a finire nella mia scatola dei ricordi.
Quando come noi, si lavora tanto dietro la stesura di un libro, è piacevole sapere quello che ne è rimasto nel lettore. Ed io ho fatto tesoro di tutte le critiche e commenti che mi hanno inviato, li ho persino inseriti in un sito, dove il lettore può andare a leggere in qualsiasi momento.
Volutamente ho trascritto soprattutto i giudizi negativi o le citazioni sciocche, perché proprio da queste si capisce che cosa ha recepito realmente il lettore. Non vi dico cosa mi ha scritto: “Lo sbirulino un po’ matto, ma stranamente intelligente”, che voi conoscete come Andrea Lagomarsini, ed è proprio grazie a lui che sono venuta alla vostra presentazione e ho letto il vostro libro.
Mi dispiace di essere arrivata in ritardo e di essere riuscita a seguire solo l’ultima parte della presentazione, perché in questo caso mi sono persa le vostre considerazioni in merito.
Anch’io come voi sono da sempre stata affascinata dal Giappone dalle sue origini, storie e dalle tradizioni radicate negli anni.
Entriamo nel vivo commento al libro.
All’inizio, mi sembrava una cronistoria giornalistica, quasi delle veline radiofoniche, poi ho capito che era un diario di viaggio e, sono entrata nella storia solamente al vostro arrivo in Giappone. Ho trovato piacevole il confronto padre e figlio, in effetti è divertente leggere due risvolti dello stesso episodio ma scritti da due persone diverse.
Nel leggere il libro mi hanno fatto sorridere alcuni aneddoti che avete scritto, dalle prime colazioni che avete fatto, difatti dovrebbe essere stato traumatico privare un napoletano di caffè e cornetto, episodio che vi è rimasto ancora più impresso proprio perché siete napoletani; poiché: tanti sono gli italiani che possono fare a meno di fare colazione, o privarsi del caffè mattutino. “Togli tutto ma non il caffè a un napoletano”.
Però sottolineandolo avete messo in luce e portato a paragone due modi diversi di vivere, di cibarsi, e di fare colazione.
Un altro fatterello su cui vorrei soffermarmi è quello della puntualità, sì, sicuramente il Giappone è un popolo metodico, ripetitivo e puntualissimo, basta pensare che per secoli i giapponesi sono stati abituati a meticolose regole da rispettare per il rispetto altrui, inculcategli fin dalla nascita.
E molti sono coloro che vedono la puntualità e la precisione di uno stato come il gran pregio di un paese e, pensano che lo stato funziona perché il popolo è preciso e puntuale, la puntualità e la perfezione in assoluto, non un minuto in più o in meno, non si può sgarrare perchè è la loro filosofia di vita; per altri o forse per noi italiani questo pregio è visto come un difetto, poiché lì, niente, riesce a rompere la monotonia.
Difatti ho un’amica napoletana che per lavoro vive in Giappone da diversi anni, ma ogni tanto e direi spesso, stanca degli stereotipi, deve tornare in Italia per respirare e prendere una boccata di ossigeno, e allora tutto le torna alla normalità quando prende il pendolino “Roma Napoli” che è puntualmente in ritardo o l’appuntamento con gli amici che sfora sempre della famosa mezz’oretta di ritardo, che lei chiama il “Ritardo accademico”
Anch’io trovo che lei abbia un modo diverso di vivere dal mio e pensare che quando vive a Napoli siamo solamente a poche centinaia di chilometri di distanza, figuriamoci paragonare uno stile di vita a migliaia di chilometri, ove entrano in gioco proprio gli usi e costumi diversi del paese.
Per ultimo quello dei bimbi che passeggiano da soli, in questo caso la differenza non c’è perché eravate a oriente invece che a occidente, basti pensare che i bambini spagnoli vivono di notte, difatti i figli di alcuni amici che vivono in Spagna vanno tranquillamente da soli a prendere il pane, in farmacia, ecc. traumatico per noi italiani solo pensarlo invece loro lo fanno e non solamente di giorno ma anche in piena notte. Poiché questo è il loro modo di vivere.
Poi ho scorto che tra le righe del libro è stato affrontato un grosso problema dello stato Italiano, una lacuna, e questo l’avete scritto in forma delicata quasi per paura di offendere le istituzioni, in questo mi riconosco poiché anch’io nel mio libro ho scritto in forma così delicata e raffinata che quasi quasi il lettore ha letto senza rendersene conto di alcune considerazioni da me fatte pesanti e reali. Scusate se in corsivo ve ne cito alcuni paragrafi ma è solamente per dare più enfasi a quello che sto dicendo. ”non mi sembrava un coglione una testa di cazzo, come ritenevo coloro che erano dall’altra parte del Parlamento. Un leader, capace solo di pavoneggiarsi e di governare lo stato solo per rimanere nei libri di storia …”.
Allora diciamolo a caratteri cubitali e urliamo alle istituzioni che se vogliamo che l’Italia emerga, bisogna adeguarsi, destinando alla ricerca una percentuale più alta del Pil, questo per favorire lo sviluppo tecnologico ma soprattutto per fare passi avanti. Ed è ora che lo Stato aumenti di gran lunga le sue aspettative in merito per non essere i fanalini di coda. Stiamo arretrando invece dovremmo adeguarci, solo in questo modo si può dire di essere un paese aperto e all’avanguardia, cercando di abbattere i carenti posti di lavoro…. È vergognoso, che da sempre, gli italiani siano costretti ad emigrare oltre oceano per fare ricerca.
Teniamoci i cervelloni ed investiamo un po’ di più nei settori specifici.
“I talenti vanno scoperti, coltivati plasmati e lo stato che accetta tutto ciò che gli altri gli propongono senza riflettere, ha la mente limitata, e la mente recintata diventa arida, vuota, impersonale, mutilata. E un governo che ha la mente mutilata è uno stato incapace di governare o fornire stimoli, desideroso solo di mantenere intatto il ruolo di spettatore passivo, con un “annichilimento intellettuale non solo per se ma anche per i suoi cittadini”.
Finalmente conclude starete pensando, sì, termino qui, dicendole Vincenzo che il suo papà può essere solo che contento di aver faticato tanto facendo due lavori pur di far studiare i figli, e mi sembra che nel suo caso, ne sia valsa la pena.
Mi tenga aggiornata dei suoi diari di viaggio, ha fatto bene a scrivere questo libro poiché così manterrà eterna questa esperienza ed è persino riuscito a condividerla e trasmetterla agli altri.
Ho solo una curiosità ma il codice a barre inserito nella terza di copertina a cosa serve?
E poi non ho capito, perchè avete dimorato in due alloggi diversi, perchè eravate ospitati o per studiare il fenomeno sociologico da due punti diversi?

P.S
Stamani mentre mangiavo la mia foccaccina istintivamente mi è venuto di dare un morso metterla nella busta di carta, poi tirarla fuori dare un altro morso e riporla. Che scema mi sono detta subito dopo, non sono mica in Giappone.

P.S per Luca
Grazie, mi hai risolto il problema della cena. Se vorrai ti farò sapere come è andata la tua ricetta. Ciao

Cornuti e mazziati

enakapata3 Ci credete che questi viaggi in giro su e giù per l’Italia per raccontare Enakapata mi piacciano un sacco? Immagino di si. Farete molta più fatica a credere che sono anche molto faticosi. Impegnativi (anche, per il mio livello di reddito, dal punto di vista economico). E’ una delle grandi tragedie della mia vita. Ma di che ti lamenti, in fondo fai le cose che ti piacciono. Assolutamente vero. Ma per farle faccio tanta fatica. Sì, vabbé, ma in fondo ti diverti. Assolutamente vero. Ma ciò non toglie che … Basta ci rinuncio. Tanto, come diceva mio padre, alla fine si finisce sempre  cosi. Cornuti e mazziati.
A proposito di divertimento, quest’ultimo viaggio a Sarzana è stato non solo estremamente interessante, bello, gratificante, ma anche l’occasione per sperimentare un nuovo futuro per i Moretti&Moretti.
Di cosa si tratta? Non ve lo dico, of course.  Al massimo posso darvi un assaggio di com’è dura la vita di un padre che, per genio e per caso, si è ritrovato a scrivere un libro insieme al figlio.

2 Ottobre, in treno da Roma verso Firenze:
V.: … Bisogna che aumenti la presenza di Enaapata nelle libreria. Mi dovrò inventare qualcosa.  Non c’è niente da fare, bisogna stare sempre sul punto. Non so come fai tu a vivere senza pensare a nulla.
L.: Niente di meno! Non vedi tu come stai combinato e al contrario io come sto bene? Immagino che adesso col lavoro cambierà molto ma per i miei primi 26 anni ho cercato davvero di avere un approccio taoista nei confronti della vita.
V. Adesso mi butto giù dal treno. Anzi butto giù te.
L. Siamo sui treni ad Alta Velocità. Non è tecnicamente possibile. Senza contare che hai giurato che per rispetto ai pendolari se ti suicidi non lo farai mai buttandoti sotto a un treno.

2 Ottobre, in treno da Firenze verso Sarzana
V.: L’altro giorno a Roma in Cgil ho rivisto A. R., è stato affettuoso, effervescente, pirotecnico come al solito.
L.: Sarà che quello di sindacalista è un lavoro usurante, ma dei tanti sindacalisti che ho conosciuto nella mia vita non ce n’è ancora uno normale. Sì, sarà che il lavoro è usurante.

3 Ottobre, in albergo a Sarzana
V.: Mannaggia, ho perso l’orologio!
L.: Pà, come hai fatto a perderlo, ieri sera tardi ce l’avevi, guarda bene.
V.: Ho guardato dappertutto.
L.: Guarda meglio.
V.: No, l’ho perso. No, l’ho trovato. Nella tasca laterale della giacca. E’ che io la giacca non la porto quasi mai.

3 Ottobre, in treno da Sarzana a Firenze
V.: Mannaggia, ho perso il telefono!
L.: Pà, come hai fatto a perderlo, in stazione ce l’avevi, guarda bene.
V.: Ho guardato dappertutto.
L.: Guarda meglio.
V.: No, l’ho perso. No, l’ho trovato. Nella tasca laterale della giacca. E’ che io la giacca non la porto quasi mai.
L.: Pà, ma quale giacca, telefono e portafoglio! Tu é perz a capa. Ma da un sacco di tempo.

That’s all, folks! Se decidete di scrivere un libro, e decidete di farlo con vostro figlio, preparatevi.  Tanto alla fine si finisce sempre così. Cornuti e mazziati.

La Nazione

enakapata330/09/09 NAZ – Sarzana – Un viaggio tra i «cervelli» e i loro luoghi
La Nazione – (on – line) – 30/09/09 – pag. 26
IL LIBRO: L’AFFASCINANTE DIARIO DEI MORETTI, PADRE E FIGLIO

IN «ENAKAPATA, Storie di strada e di scienza da Secondigliano a Tokyo» c’è anche Sarzana.
Un libro scritto a quattro mani da Vincenzo e Luca Moretti, padre e figlio, un diario stranissimo che comincia a Secondigliano e si conclude a Tokyo passando appunto per Sarzana. Nel 2007 infatti Vincenzo Moretti, presente alla prima edizione di Tecknos a Sarzana incontra tante persone interessanti che fanno cose interessanti. Tra queste un ingegnere fisico, una vita da ricercatore, scienziato, imprenditore, una storia incredibile alle spalle legata anche al Giappone, e con Piero Carninci, lo scienzato che ha messo in discussione il dogma del Dna. Il libro è anche e soprattutto il resoconto di un viaggio nel quale padre e figlio si occupano di ricerca scientifica, là dove si concentrano i «cervelli» del pianeta, di luoghi e volti della capitale giapponese, di serendipity e di shinsetsu (ospitalità), in un alternarsi e incrociarsi di voci generazionalmente lontane ma intimamente accordate, e inoltre di periferia napoletana, in un confronto paradossale. Un libro sorprendentemente vitale, fisico, che prende i sensi, scritto con una lingua prensile che con leggerezza, in maniera accattivante, divertente, a tratti persino commovente, porta lontano il lettore, in un mondo sconosciuto e affascinante.

A Sarzana ci incontrammo

enakapata3 30 settembre 2006. Andrea Lagomarsini è il presidente di Apai Srl, giovane, dinamica impresa che sviluppa sistemi e tecnologie per la domotica e la sicurezza.
Andrea legge un mio articolo su Nòva 24 e mi invita al numero zero di Tecknos, giornata di discussioni, dimostrazioni, confronti intorno al tema innovazione.
Come sempre devo fare un po’ di conti con gli dei del tempo, ma alla fine decido di andare. Come speravo a Sarzana incontro tante persone interessanti che fanno cose interessanti. Tra queste Antonio Esposito, ingegnere fisico, una vita da ricercatore, da scienziato, da imprenditore.
Come me è made in Naples. Più di me ha una storia incredibile alle spalle. Che scopro ha a che fare anche con il Giappone. E con Piero Carninci.

È il 1994 quando al Cnr di Napoli mi propongono di lavorare per un anno in Giappone. Non sono convinto. Chiedo ed ottengo di limitare l’esperienza a sei mesi. A Tsukuba rimango cinque anni, per due anni insegno alla Technical University di Monaco, poi l’approdo a Ginevra, dove ancora oggi
vivo e lavoro.
Uno che se ne va di malavoglia dalla propria città non ci torna più per molte ragioni. Perché conosce storie, culture, contesti, persone, punti di vista diversi. Perché scopre che tutto questo gli piace. Perché si cala nei nuovi contesti, si fa contaminare da essi, li contamina a propria volta. Perché si ritrova catapultato in una sorta di paradiso della ricerca a fronte di una realtà, quella del Cnr, dove anche le razioni di carta e penna erano un problema.
Ero abituato alle giostre di paese. Mi ritrovo a Disneyland.
Giuro che non esagero. Un mese di lavoro a Tsukuba vale sei mesi a Napoli. Lì ho potuto giocare con gli strumenti e i macchinari giusti, fare ricerca, sperimentare, con una quantità di risorse e una qualità di risultati per me impensabili in Italia.
A Tsukuba incontro Piero e nasce un’amicizia fatta di calcio (nel senso del gioco del pallone) e di scienza. Nel 1997 con Vittorio Palmieri, Luca Casagrande, Gennaro Ruggiero e Francesco Vitobello scopriamo l’RD39, Effetto Lazarus. Che non è il titolo di un film di James Bond. Ma il numero di repertorio ed il nome con il quale si può rintracciare, al Cern di Ginevra, la suddetta scoperta.
Di cosa si tratta? Della possibilità di «resuscitare» le sfoglie di silicio utilizzate per la rilevazione di particelle. Rigenerarle. Farle rivivere. Immergendole in azoto liquido a meno 207 gradi Celsius.
A Napoli per ora non penso di tornare. Ma a Napoli, insieme a Vittorio e Francesco, due della vecchia band di Lazarus, ho messo su la Incept, che sviluppa Technology on Demand. Investendo, facendo ricerca, impresa, cerco di dire che continuo ad amare la mia città.
Lo ritengo il mio esperimento più difficile. Ma ci credo. E non intendo rinunciare alla possibilità di ridare indietro alcune delle cose che l’università e le strutture di ricerca della mia città mi hanno dato, almeno un po’ di ciò che ho imparato in giro per il mondo.

Questo è tutto. Anzi no. Perché, qualche giorno dopo, Piero mi svelerà che Antonio a Tsukuba era chiamato «Dony», nientepopodimenoche l’adattamento made in England della seconda parte del cognome Maradona; che assieme sono diventati famosi per la danza fatta a centrocampo dopo ogni goal (lancio millimetrico di Piero dalla difesa, stop a seguire e rete di Antonio); che il team era soprannominato Rvc, Russian Vodka Ceremony, invece che Japanese Tè Ceremony, in omaggio ai
colleghi russi che al termine della partita erano soliti dissetarsi con una bottiglia di Vodka. Mentre le stelle italiane stavano a guardare.
A questa parte della storia io non ho mai creduto. Forse fareste bene a non crederci neanche voi.