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L’uomo che aggiustava le cose

È il mio nuovo racconto. È uscito oggi su Amazon. Lo potete comprare sul sito di Amazon o anche cliccando sull’immagine sotto.
Spero che siate in tante/i a leggerlo. E se dopo che lo avete letto scrivete un commento sincero su Amazon quando venite a Napoli vi offro il caffè. A prescindere. Anche se scrivete che non vi è piaciuto. La sincerità questo è, che ciascuna/o scrive quello che veramente pensa.
Solo due altre cose prima di augurarvi buona lettura: la prima è un grazie pieno di affetto a Luca Moretti, Geremia Pepicelli, Cinzia Massa e Irene Gonzalez, un grazie che va molto al di là delle ragioni che trovate scritte nel libro; la seconda è che anche se l’ebook è in formato kindle lo potete leggere su qualsiasi dispositivo, basta scaricare la app gratuita in bella evidenza anche sulla pagina di Amazon. Buona lettura.
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cittadini per sé

Siamo sangue e link. Oggi più che mai è la nostra capacità di connetterci con altri – come noi e diversi da noi -, a definire la qualità delle nostre vite.
Con un omaggio alla distinzione tra classe operaia in sé e per sé operata da Carlo Marx e riformulata da Antonio Gramsci negli anni del carcere, si potrebbe dire che al tempo di internet non basta essere cittadini in sé, ma bisogna essere, sentirsi, diventare, cittadini per sé, possedere cioè una concezione e una consapevolezza alta dei diritti e dei doveri della cittadinanza. Se, come scrive Bauman “un punto possibile di approdo può essere quello di tornare a dare valore all’agorà greca, arrestando la sua privatizzazione e spoliticizzazione e riprendendo il discorso sul bene comune”, un primo passo nella direzione giusta potrebbe essere quello che, con il sostegno delle nostre idee e delle nostre azioni, ci porta, con altri, a riprogettare e ricostruire ponti verso il futuro.
La comunità del #lavorobenfatto, con le sue leggi e le sue speranze, vuole essere un passo in questa direzione.
Come dite? Più facile a dirsi che a farsi? Sono d’accordo.  Ma resta il fatto che la scelta di non tirarsi indietro, di rinunciare ad ogni alibi o giustificazione di carattere culturale, economico, sociale, di rispettare sempre e comunque (a prescindere) le regole del #lavorobenfatto, non è solo una questione di sensibilità, di civiltà, di giustizia, è anche – prima di tutto? -, una questione di razionalità, di convenienza, di interesse.
L’interesse di chi sa che in un mondo tanto interdipendente sarà sempre più necessario fare le cose per bene. Sempre. Senza aspettarsi per questo un premio o una ricompensa. Solo perché è così che si fa.
Proprio così: condividere prima di tutto un modo di fare. Vale nei mondi fatti di piccole cose e in quelli fatti di cose grandi. Vale se devi lavare la tazzina del caffè o devi cucinare la pasta e fagioli. Se devi pulire una stanza d’ospedale o una strada. Se devi dirigere una scuola o una fabbrica. Se devi progettare un centro direzionale o rammendare un calzino. Se devi  scrivere un articolo o costruire un ponte. Se devi tenere una lezione all’università o guidare il bus.
Si, è prima di tutto una questione di interesse, di responsabilità, di consapevolezza. L’interesse di chi non intende fare a meno dello streben, l’agire e tendere alla meta, che consente a Faust di salvarsi. La responsabilità di chi sa che il ponte costruito male crolla e il bus guidato male finisce fuori strada. La consapevolezza di chi sente che è difficile e però anche facile, perché funziona proprio come nelle città del #lavorobenfatto, ognuno fa bene quello che deve fare e tutti vivono meglio.
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quelli del lavoro ben fatto

Siamo quelli del #lavorobenfatto. E vogliamo cambiare l’Italia.
Ora, detto così, è poco più che un modo di dire, e invece alla base c’è un’idea alla quale io e un po’ di altre belle persone lavoriamo da almeno 10 anni, e nel tempo l’idea è diventata prima una attività di studio, di ricerca e di narrazione e poi una piccola grande comunità.
Ecco, mi fermo qui, sperando di avervi incuriositi, e che abbiate voglia di saperne un po’ di più, cliccando sui link che trovate di seguito. Benvenuti. E buona partecipazione.
La comunità del #lavorobenfatto
Le tre leggi del #lavorobenfatto
Le città del #lavorobenfatto
Il manifesto del #lavoronarrato

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16 Novembre 2013. La sera del lavoro narrato. Residenza Rurale l’Incartata

incartataMichele Sica Bosconauta, con un bel post sul suo bellissimo blog, la serata l’aveva presentata così: Sabato 16 novembre inauguriamo le AppetitoseConversazioni alla Residenza Rurale l’Incartata: l’incontro tra coltura e cultura, il piacere della buona tavola, sana autentica e naturale che incontra il piacere della mente, buone letture che saziano l’anima e cambiano il mondo. […] La serata prenderà il via alle 19 con la coinvolgente e travolgente presentazione di Vincenzo Moretti e delle storie di lavoro lette dal suo romanzo, ma il lavoro ben fatto sarà narrato anche a tavola, con i piatti della nostra tradizione tutti provenienti dal nostro orto e dalla rete di contadini e pastori locali della #cumparete. Il costo della cena comprensivo di una copia del romanzo è di € 20. Gradita la prenotazione.

Strada facendo, ho pensato che tutto questo mi piaceva un sacco etmcsmall che però si poteva fare di più. Ma sì, mi sono detto, visto che non lo fai certo per denaro e che il senso di tutto questo tuo girovagare in lungo e largo per Napoli, la Campania, l’Italia sta nella voglia di contribuire con il tuo mattoncino a diffondere la cultura del lavoro ben fatto e a mettere in relazione un po’ di belle persone, di belle idee, di bei fatti, perché non cogliere l’occasione per chiedere a chi parteciperà di leggere, narrare, cantare una storia di lavoro? Qua l’ho pensato e qua mi è venuto il titolo, La sera del lavoro narrato, che poi se vogliamo può diventare anche la notte, tanto il giorno dopo è domenica, chi ci dice niente.

A proposito di connessioni, di belle persone, di cose fatte con la testa, con le mani e con il cuore: non vorrei dire, ma anche quello che potete vedere nel video qua sotto è avvenuto dalle parti di
Residenza Rurale L’Incartata. Vale quando semini grani antichi, vale quando fai il pane e vale quando racconti il lavoro ben fatto.
Ecco, vi ho detto quasi tutto, che tutto quando le cose sono così belle se non le vivi non lo puoi dire. Spero siate in tante/i a partecipare ma naturalmente spetta solo a voi scegliere. Pillola azzurra, fine della storia: domenica vi sveglierete in camera vostra e crederete a quello che vorrete. Pillola rossa, sabato ci incontriamo nella residenza delle meraviglie e vedrete quant’è profonda la tana del bianconiglio. Vi sto offrendo solo la verità, ricordatevelo. Niente di più.


Per Prenotare

Come raggiungere la Residenza Rurale l’Incartata

Prufessò, scusate, ma allora perché lo fate?

L’incontro a via Chiaja, qualche giorno fa. Come purtroppo mi accade sempre più sovente, non ricordo chi è né, ovviamente, come si chiama. Neppure la prima parola che dice, “prufessò”, mi  permette di inquadrarlo, alla voce “università” non ci sta bene, devo averlo per forza incrociato da qualche parte, meglio non pensarci e stare attento a non fare brutte figure.
“Prufessò, ve state facenno ‘e sorde, eh?, sono contento, ve lo meritate, siete una brava persona.  Mio padre mi racconta sempre che anche quando stavate alla Cgil eravate così”.
“Ringrazio te e tuo padre per i complimenti, ma di quali soldi parli?”.
“Prof., io vi seguo su Facebook, sono un vostro tifoso, so tutto di voi: il romanzo che avete scritto, le recensioni che state avendo sui giornali, i lettori entusiasti, tutte quelle presentazioni, e mica è una cosa brutta avere successo e mettersi in tasca un po’ di soldi”.
“Guarda che sei fuori strada. A parte che “avere successo” è una parola grossa, e che per fare soldi con i libri bisogna venderne tanti, ma proprio tanti, così tanti che tu nemmeno te lo immagini, per quanto riguarda me i soldi non li farei neanche in quel caso, perché per ragioni  troppo lunghe da spiegare non ricevo diritti d’autore.”
“Cosa vuol dire?”
“Vuol dire che dal punto di vista economico io non ci guadagno niente, indipendentemente da quello che si vende. Per dirla come va detto ci rimetto soldi miei, per viaggiare, per mangiare, quando serve dormire, le copie che regalo agli amici e così via discorrendo”.
“Prufessò, scusate, ma allora perché lo fate?”.
“Scusami, adesso non ho tempo, ho un appuntamento e sono in ritardo, sarà per un altra volta. Ciao, e salutami tanto tuo padre”.
Dite che sono stato un poco antipatico? Non sono d’accordo, e vi spiego perché:
1. L’appuntamento e il ritardo erano veri.
2. Parlare senza sapere con chi stai parlando è già complicato quando si tratta di convenevoli figurarsi quando la discussione è seria (lo so che potevo dirgli “scusa ma non mi ricordo chi sei”, a volte lo faccio, ma bisogna farlo subito, quando la discussione ha preso il suo corso fa brutto).
3. Dire che lo faccio perché credo nella possibilità che il lavoro ben fatto possa cambiare la cultura e il destino del mio Paese, che continuo ad amare nonostante tutti i contorcimenti di stomaco che mi provoca ogni giorno; perché tutto questo contribuisce a dare senso alla mia vita; perché mi piace farlo; perché in questo modo stabilisco connessioni con un sacco di bella gente in giro per l’Italia è davvero importante, molto, ma soltanto per me.
4. La ricerca che stiamo portando avanti Alessio, Cinzia, Gennaro e i maestri artigiani di Castel San Giorgio, Jepis e le band di #Cip e di  #CampDiGrano, Giuseppe e la sua pasta di Gragnano che ottiene l’IGP, le ragazze i ragazzi della Bottega Exodus Ahref di Cassino, Gennaro e il suo dromedario da corsa, Santina, Costantino, io e tante/i altre/i persone in giro per l’Italia che a citarle/i tutti ci vuole un libro, mira a dimostrare proprio che quelle/i che pensano e agiscono come noi sono tante/i, ma così tante/i che neanche ce lo immaginiamo, e che se scelgono di connettersi, raccontarsi, rappresentarsi, agire, con la testa con le mani e con il cuore possono diventare egemoni – lo posso dire?, nel senso gramsciano del termine – e cambiare l’Italia.
5. Fare bene le cose è il nostro approccio, ridare valore al lavoro e cambiare l’Italia il nostro  obiettivo.
6. Per quanto mi riguarda, spero di farcela, lavoro per farcela, ma non ho bisogno di farcela, almeno non per forza. Ci sono strade nella vita che vale la pena di percorrere “a prescindere”. Per quanto mi riguarda, questa è una di quelle.

That’s all, folks. Almeno per ora.

Bottega Ahref @ Rione Sanità

Bella Napoli incontra il Liceo Carducci di Nola

Bella Napoli. Storia della mia gente

Dite la verità, voi l’avete avuta una prof. di matematica che il primo giorno di lezione, classe prima, liceo scientifico, vi ha chiesto di scrivere sulla lavagna due cose due che amate e due che invece non sopportate? Se la risposta è no non vi scoraggiate, non l’ho avuta neanch’io. Io però ce l’ho per amica, un’amica vera, di quelle che ad averle ti si scalda il cuore perché lo sai che ci sono anche se lei vive a Catania e tu a Napoli. Un’amica che ti scrive per dirti che ha comprato una copia di Storia della mia gente e una copia di Bella Napoli e li ha dati da leggere a Simone S. e Giovanni M., ragazzi di prima, suggerendo loro di trovare qualche parallelismo, e che quello che ti ha mandato è il risultato del loro lavoro.
Ho chiesto a Concettina, sì, scusate, magari non tutti la conoscete, la mia amica è Concetta Tigano, perché ha scelto proprio loro, e la risposta è stata “perché Giovanni è un ragazzino molto maturo, impegnato, legge libri, giornali, e la cosa non che isa proprio così usuale alla sua età, Simone invece mi ha sorpreso quando il primo giorno, per rompere il ghiaccio, ho fatto scrivere ai ragazzi alla lavagna due cose che amavano e due che non sopportavano e lui ha scritto il ’68 tra quelle che amava e l’arroganza tra quelle che non sopportavano”.
Solo a questo punto ho cominciato a leggere, e vi dico solo che sono stato contento, perché adesso tocca a voi leggere, e mi piace che lo facciate senza troppe chiacchiere da parte mia.  Ah, solo una cosa ancora: ma avete visto come ci sta bene il titolo del libro di Nesi come sottotilolo di Bella Napoli. No, non è per un attacco di megalomania, ho tanti limiti ma non sono stupidi, è per dire che questa idea di raccontare la propria gente è un’idea bella, che vale, che si può contribuire in molti modi, con i libri o anche con le inchieste, come stiamo cercando di fare con Le vie del lavoro. Basta, mi fermo qui, altrimenti finisco per fare troppe chiacchiere.

From Storie della mia gente to Bella Napoli
di Simone S. e Giovanni M.
“L’Italia è (oppure “era”…) una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.
Il celebre primo articolo della Costituzione racchiude in poche parole tutta l’importanza del lavoro per la vita di ogni singolo cittadino e di un’intera comunità.
Mentre scriviamo queste poche considerazioni sul lavoro, decine e centinaia di lavoratori stanno trascorrendo le loro ultime ore di lavoro o stanno manifestando perché sono in procinto di perderlo. Davanti a loro non vedono più futuro o progetti per sé o per i propri figli, vedono solo un quotidiano fatto di rinunce e di speranze, un presente basato sulla precarietà.
Se è vero che il lavoro è necessario in primo luogo per la sussistenza, cioè per procurarsi i beni primari per la sopravvivenza propria e della famiglia, esso è anche funzionale a una dignitosa esistenza. Il lavoro per essere tale deve conferire dignità, altrimenti è pura schiavitù o sfruttamento. Resta da capire appunto se il lavoro precario non abbrutisca o demotivi il lavoratore al punto tale da fargli perdere ogni tipo di progettualità e di amore per il lavoro. Si perde così anche la nozione di mestiere: questo spesso si tramandava di padre in figlio ed era un valore sicuro per la comunità che poteva ricorrere ad artigiani o tecnici esperti. Oggi purtroppo si usa soprattutto il termine occupazione, come se una persona dovesse soltanto riempire uno slot, liberatosi fortunosamente dopo un’attesa simile a quella che precede la agognata vincita a una lotteria.
Non dimentichiamo, poi, che il lavoro contraddistingue anche la storia di un popolo, ne è il motore, assieme ai suoi principi democratici. Un popolo che lavora è fondamentale per uno Stato che vuole progredire e prosperare in un contesto internazionale, mantenendo la propria sovranità e la propria specificità. Le recenti vicende legate alla stabilità dell’euro hanno appannato la fisionomia classica dello stato che può restare solido e a sé stante e hanno fatto capire come i destini economici possono influire sulle opportunità di lavoro di intere generazioni. Un’intera generazione, hanno detto molti, resterà invisibile, andrà perduta, resterà fuori dalla storia, proprio perché non troverà un lavoro o ne afferrerà solo periodici frammenti.
Un tratto caratteristico e innovativo della realtà economica e industriale italiana, un esempio per tutto il mondo, sono state le Piccole e Medie Imprese (P.M.I.). Queste fino a poco tempo fa erano una splendida storia di successo sia di operai sia di dirigenti, che, fondando il tutto su rispetto e collaborazione reciproca, davano vita ad attività industriali e a produzioni di qualità, che portavano ricchezza anche all’indotto, cioè alle piccole fabbriche o manifatture del luogo che si occupavano della produzione di componenti o accessori richiesti dalle P.M.I. Un celebre caso, reso noto al pubblico solo nel 2010, è contenuto nel libro (vincitore tra l’altro del Premio Strega ) di Edoardo Nesi “Storia della mia gente” che parla di come una P.M.I (un maglificio), nata nel dopoguerra, sia riuscita a diventare una grande impresa per poi essere venduta nel 2004 e vedere il declino non solo dell’azienda ma anche città stessa, che era diventata famosa e rinomata appunto per la produzione di tessuti.
Oggi il lavoro è un valore in crisi sia da un punto di vista puramente economico (i danni a seguito del crollo finanziario del 2008 sono stati ingenti,con aumento di disoccupazione e della precarietà, licenziamenti…), sia etico. Se l’Italia è diventato un paese di poche speranze e con scarse opportunità, in primo luogo per le generazioni più giovani, è perché alle vie del lavoro e della partecipazione ha preferito quelle della ricchezza senza capacità, del comando senza responsabilità, della notorietà senza merito. Perché, a fronte delle tante persone che portano a termine ogni giorno il loro lavoro con passione e con lo scopo di dare un senso alla propria stessa esistenza, ve ne sono altre che danno poca importanza a quello che fanno ritenendolo scontato, o che hanno un’occupazione per loro frustante o insoddisfacente, magari perché sentono quel lavoro estraneo, una forzatura o perché non accettano con senso di umiltà il lavoro per quello che è. Si tratta spesso di persone che non credono che il lavoro possa effettivamente migliorare le condizioni della comunità, che lavorano per portare a casa lo stipendio, non per imparare qualcosa ogni giorno dai propri maestri e dai colleghi, le cui conoscenze sono quanto di meglio il mondo del lavoro possa offrire in termini umani.
Lasciando da parte quelli morali, i motivi materiali dell’attuale “crisi del lavoro” sono da riscontrarsi in una sconcertante e spaventosa disoccupazione giovanile che sfiora il 30%. I giovani, nonostante la loro preparazione al lavoro corredata da lauree e masters, fanno fatica ad inserirsi per il troppo lento e macchinoso ricambio generazionale: i vecchi lavoratori occupano per troppo tempo il proprio posto per poter permettere già ad un giovane di sostituirlo. Inoltre, il nostro paese non valorizza affatto i neolaureati, inducendoli a lasciare l’Italia per trovare stabilità economica e riconoscimento dei loro meriti altrove. Sono questi i presupposti alla base del fenomeno dei cosiddetti “cervelli in fuga”, difficile da arginare, se lo Stato non interviene con opportuni incentivi e non finanzia con mezzi idonei la ricerca.
Un elemento che può sembrare contro corrente è rappresentato dall’occupazione di immigrati. Gli immigrati oggi nel nostro paese fanno lavori umili che ormai la maggior parte dei cittadini italiani non vuole fare perché mal retribuiti o faticosi, come il bracciante nei campi di pomodori, le pulizie domestiche o il lavoro di badanti. È innegabile il fatto che molti di questi immigrati lavorano in nero, senza diritti e coperture assistenziali. È pur vero, tuttavia, che essi contribuiscono notevolmente alla crescita del nostro PIL, anche perché molti di essi sono contribuenti e consumatori. L’Italia dovrebbe prendere come modello altri paesi; nel Regno Unito, per esempio, dopo la Seconda guerra mondiale, moltissimi immigrati provenienti dalle ex-colonie inglesi, dopo essere approdati nei porti di Sua Maestà, con pazienza e dedizione sono arrivati anche ad importanti ruoli nella società. Dunque non deve sorprendere se si possono trovare manager indiani o kenioti, ruolo che in Italia non è ancora così frequente.
Perché allora una realtà di questo tipo non può esistere nel nostro paese? La risposta è da ricercarsi, purtroppo, soprattutto nel diffuso pregiudizio secondo cui “gli immigrati rubano il lavoro agli italiani”. Un focolare di diffidenza spesso alimentato da partiti politici, che, anzi, ritengono gli immigrati una delle cause della crisi, ma anche radicato nella mentalità di alcuni strati sociali.
Allo stesso modo, i cittadini del Mezzogiorno a volte vengono discriminati in certe sedi di lavoro al nord proprio per razzismo e pregiudizi, secondo cui i “terroni” sarebbero ignoranti e poco professionali nel proprio lavoro. Invece tutto ciò è ben lontano dalla realtà, come sottolinea il libro “Bella Napoli” di Vincenzo Moretti, nel quale sono raccolte dodici storie di cittadini napoletani, storie di lavoro, di passione e di rispetto, che ci offrono spunti di speranza e di ottimismo nella Napoli fatta di mafia e corruzione raccontata in Gomorra da Roberto Saviano.
Ora, nonostante i problemi già esistenti, la situazione sta peggiorando con le misure varate dal governo Monti che, pur necessarie, aggraveranno la situazione. Bisognerà agire presto, quando la situazione finanziaria si sarà assestata, per migliorare l’accesso al lavoro soprattutto dei più giovani e favorire il ricambio generazionale. In fondo una società basata sul lavoro e sui diritti costituzionali è una società civile e democratica, ma, se fosse basata sul lavoro giovanile, essa sarebbe ancora più giusta e proiettata verso un futuro positivo, fondato su idee fresche e nuove, su una progettualità creativa che solo i giovani possono avere.
Non usiamo il lavoro come un vuoto slogan politico o sindacale. Il lavoro è frutto di sacrificio, va conquistato dopo anni di studio e di pratica in bottega o in officina o in laboratorio. Il lavoro non è merce di scambio, non è favoritismo, è giusta ricompensa data al merito.

Uno, doje, tre, quattro e Santina Verta

“Il viaggio  è un ritorno a sé stessi, dopo l’incontro con l’altro, ma non un  cerchio, forse una spirale da cui partire per altri incontri” ( R. Regni)

Leggo  e mi ricarico di quell’intensità  del viaggiare dentro le percezioni che intessono il racconto corale di Carmela, Daniele, Vincenzo e Viviana  e lo vivificano di una linfa che scorre da loro a noi  e viceversa.
Questo intrecciarsi di pensieri, idee, proposte, sensazioni si snoda  come un mosaico caleidoscopico, a volte ombreggiato da perplessità pensose e divergenti, oppure illuminato dal piacere dello scoprirsi, dalla correttezza del gioco, dal non soverchiare l’altro, lasciandolo respirare le sue brume e le sue spire ariose.
Questo credere possibile il gioco del conoscersi senza frapposizioni preconcette è alla base  di una concezione dei rapporti umani  improntati alla sincerità, al rispetto, alla conoscenza non di maniera.
Sento una forza captante in questo intreccio relazionale capace di far incrociare sguardi differenti intorno alla realtà, mai edulcorata.
I quattro
riescono ad intersecare i loro pensieri  anche quando sono solidificati da abitudini e stili formativi differenti, c’è una capacità di rendere vivo il limite e di andare oltre.
Anche le inevitabili percezioni  divergenti legate all’età, alla differenza di genere, alla frequentazione di panorami diversi, al modo di credere possibile il cambiamento, all’avvitamento sulle proprie certezze  o incertezze, al modo di appassionarsi alle vicende altrui, all’intuito, alla fantasia, alla passione  trovano un comune denominatore intitolato: rispetto per ogni forma di vita –  reciprocità a riconoscere le diversità – speranza nel futuro.
Credo che non si stancheremo mai di viaggiare con questi scopritore di senso, poiché, in fondo, desideriamo tutti  poter tornare alla nostra incrollabile fede verso l’essere umano.
Ma perché poi si viaggia tanto per tornare sempre a sé ?
Il viaggio è anche un gioco, un gioco serio, in cui prende consistenza la nostra libertà interiore e la nostra voglia di andare verso l’altro per scoprire le meravigliose simmetricità.
Ogni viaggio è luogo di scoperta e, a volte, di dolorose prove, è così somigliante ai riverberi di vita… è solo un cammino fatto di relazioni e di incontri.
Ma mentre le relazioni sono numerose e non lasciano il segno, gli incontri “veri” sono pochi e, quando arrivano, catturano, entrano dentro, fin nel profondo e  lasciano sempre una traccia.
Felice di avervi incontrato in Enakapata, “in questo viaggio che ci  somiglia tanto”, mi sento a casa!

Luigi S.

A dirvelo ve l’ho già detto, ma in fondo anche se lo ripeto male non fa, tra le cose a cui sto lavorando in questi mesi c’è un volume che vorrei intitolare “Bella Napoli” con un sottotitolo tipo “Storie di lavoro, di passioni e di rispetto”. Ad un certo punto, nelle pagine dedicate ai mie maestri, ci troverete le  righe  relative a Luigi S. che adesso potete leggere qui. Le potete leggere perché venerdì scorso Luigi è morto. Perché  la sua mancanza è assai dolorosa. Perché io non sopporto la retorica e lui la sopportava ancora meno di me. Perché queste righe le ho scritto pensando che lui a inizio 2011, quando come ogni volta gli avrei portato il libro, le avrebbe lette, e  se solo avessi esagerato con i toni non avrebbe avuta alcuna esitazione a dirmi l’equivalente di “Vicié, guarda che io sono vivo, non c’era nessun bisogno di farmi il necrologio” (l’equivalente, perché quello che mi avrebbe detto veramente non lo posso scrivere ma lo potete immaginare). Insomma quello che vi voglio dire è che Luigi era molto, ma molto, ma molto di più di quello che sta scritto qua, che mi sono dovuto “mantenere” per non prendermi l’ennessima “cazziata”.
Lo so che state pensando che adesso che è morto potrò raccontare com’era veramente, non vi preoccupate, non mi piglio collera, l’ho pensato pure io, è normale pensarlo, anche se ne avrei fatto tanto volentieri a meno.  No no, il punto è che ho bisogno di tempo, non ce la faccio ancora a raccontarlo al passato. Quello che state per leggere è Luigi pensato al presente, e per adesso è tutto quello che vi posso regalare di quest’uomo straordinario.

Luigi S. dei quattro è il più facile e il più difficile da definire. È per me il fratello maggiore che non ho, essendo io il primogenito, è (stato) il mio maestro e il mio capo anche quando le circostanze della vita hanno voluto che a fare il capo fossi io.
Ho davanti a me vivida la scena che puntualmente si ripeteva quando andavamo assieme a trovare  i miei al paese. Ad un certo punto la discussione finiva inesorabilmente sul lavoro, con papà che si tratteneva per un tempo che a lui sembrava interminabile e a noi inutile prima della domanda fatidica: don Luigi, ma voi lo tenete a posto a mio figlio, ce li mettete i contributi, questo quando si fa vecchio la prende la pensione?, con me che a seconda del momento mi incazzavo o mi mettevo a ridere e con Luigi che rispondeva compunto “don Pasquale, innanzitutto vostro figlio non lavora con me ma con la Cgil e la Cgil è un’organizzazione seria, e poi adesso è lui il mio capo, se fosse come dite voi, me li dovrebbe mettere lui a me i contributi”. Papà? Alla parola “seria” riferita alla Cgil alzava tutte e due le mani, si alzava in piedi e profferiva un contrito “per carità” che equivaleva a un “chi si è mai permesso di metterlo in dubbio” all’ennesima potenza, insomma una specie di “ ’a faccia mia sotto ’e piere vuoste”, e alla parola “capo” riferita a me diceva “e gghià, don Luì, nun pazziate sempe, ca cheste sò cose serie”.
Insomma nella vita ci sono quelli che diventano capi, a volte con merito altre volte no, e quelli che capi ci nascono. È come la storia che racconta Bill a Beatrix Kiddo in Kill Bill, quello delle differenze tra Superman, che si sveglia la mattina ed è già un superoeroe, e Batman o Spiderman, che si svegliano la mattina e sono Bruce Wayne e Peter Parker. Ecco, Luigi si sveglia la mattina ed è già capo.
Lo è quando ti spiega perché quando stava in produzione la fabbrica la sentiva sua, che cosa intendeva dire quando nel corso delle trattative poneva il problema del troppo cascame (scarti nel processo di lavorazione delle fibre sintetiche) e al capo del personale che sosteneva che il problema del cascame è un problema dell’azienda e non del sindacato rispondeva “no, la qualità e la competitività sono problemi nostri, perché se chiude la fabbrica, la proprietà non muore certo di fame, lei va a fare il capo del personale da un’altra parte, mentre noi finiamo in mezza alla strada”.
Lo è quando – al Vice Prefetto che gli indica la stanza dove si tiene la riunione dicendogli “Signor S., in fondo al corridoio a destra, mi dispiace ma ogni tanto anche lei deve svoltare da quella parte” -,
risponde di botto “Dottò, non vi date pensiero, io arrivo là, mi giro di spalle, e svolto comunque a sinistra”.
Lo è quando ti tortura fino alla morte perché anche il sabato mattina si vada a lavorare, anche quando da tempo nella Cgil non è più la norma, spiegandoti che un pò alla volta  finisce che non si lavorerà più neanche il venerdì pomeriggio, si chiuderà la sede per Natale,  Pasqua e le feste comandate,  insomma la Cgil diventerà come un qualunque ufficio, mentre invece la  Casa dei Lavoratori deve stare sempre aperta.
Lo è soprattutto quando te lo trovi a fianco sempre, quando lo vedi felice perché hai portato a casa un buon risultato ancora di più di quando il buon risultato lo porta a casa lui, quando ti lascia la scena anche quando è lui che ha fatto la maggior parte del lavoro, quando ti spiega che il capo migliore è quello che sa far crescere i propri allievi, un  concetto questo che per sentirlo espresso in maniera altrettanto chiara, credibile, convincente, ho dovuto aspettare un bel pò di anni, fino al 2008 e alle mie chiacchierate a Tokyo, al Riken, con Piero Carninci, ma questo l’ho già raccontato in un’altra occasione.  […]

Era già rotto (Core ‘e mamma)

Sì, prenderla alla lontana mi piace. No, non c’entra niente il fatto che sto in ferie, è che mi piace raccontare, c’entra il daimon, il codice dell’anima, la streppegna, insomma non sono portato per la sintesi e poi non è che dovete leggere per forza. Uffah.

1972-1973. Campeggio Baia Domizia. A 17-18 anni è bello essere innamoratissimi, contraccambiati, di una stupenda ragazza di nome Rosanna. Eravamo in campeggio libero, e una delle attività giornaliere era quella di andare con il padre di lei, Luigi, l’uomo della tenda affianco, a prendere l’acqua.
Lui, da quasi 40 anni iscritto al PCI, sapeva del nostro amore, e ne era anche contento. Comunista lui, comunista io, per di più giovane studente che studia con la testa al proprio posto cioé sul collo,  cosa vuoi di più dalla vita.
Quel giorno, mentre riempiamo la settima-ottava damigiana da 50 litri, Luigi mi fa “ricordati, ‘a femmena che dice ca te vo’ bene cchiù da mamma è ‘na femmena che ti inganna”.
Posso dire che non capisco perché mi dice questa cosa? Che un pò ci rimango male? Che mi sembra una mancanza di riguardo rispetto alla figlia sua – innamorata mia bellissima?. L’ho detto. Punto.

2010. Cellole. Con Cinzia siamo ritornati dopo la bellissima giornata trascorsa qualche giorno prima, sì, proprio quella delle foto e del filmato del post precedente e, cosa non proprio scontata, trascorriamo un’altra bellissima giornata.
Mare, telline, pallavolo, chiacchiere, tentativo di restare al sole fino alle 3 p.m. da me prontamente sventato, ritorno a casa, doccia in giardino con la pompa dell’acqua che a me piace un sacco, i sandali messi ad asciugare. Indosso degli infratido di un pò di numeri più piccoli del mio, della serie l’arte di arrangiarsi è obbligatoria se hai 46 di piede.
Pranzo, musica, tanta bella musica, chiacchiere again, mentre sto scendendo per andare a vestirmi per il ritorno a Napoli si rompe l’infradito destro. Mi scuso con mia cognata Paola che me li ha prestati, lei naturalmente sorride e mi dice che non c’è problema, nel frattempo Cinzia è scesa ed essendo una persona che mette pace ha detto a mamma “Vostro figlio ha rotto gli infradito di Paola”.
La risposta di mamma:” e che fa, quelli già erano rotti”.
Io e Cinzia siamo scoppiati a ridere come pazzi. Poi mi è venuto in mente Luigi e la storia della femmina ingannatrice.
Voi dite che è l’età? Dite, dite. Intanto a mamma mia guai a chi me la tocca.

Luca, piglia ‘o milk ‘a int’o fridge

Livio Fiorenza and Me
Livio Fiorenza and Me

Va bene, ci ho messo una settimana invece di 24 ore, ma il lavoro è lavoro e in quanto tale ha la priorità, soprattutto quando poi c’è il lavoro di altre persone collegato al tuo. Eh sì, funziona così, altrimenti mica sarei stato praticamente tutto sabato e domenica incollato al mio mac. Ma poi perché devo darvi tutte queste spiegazioni? Vi avevo detto che ve lo raccontavo? E ve lo sto raccontando. La telefonata del mio amico Michele non mi aveva sorpreso, il suo contenuto invece sì. Vicié, vedi che da me ci sta Livio, e avrebbe piacere di passare una giornata con te, Luca e Salvatore.
Chi è Livio? E’ quello che vedete  con me nella foto, vive da 42 anni a Sydney, e nel  nel settembre 2000  ha ospitato praticamente per un mese a casa sua me, Luca, Salvatore e Michele, in quella che è stata la più fantastica vacanza della mia vita in quello che per me  è il più meraviglioso paese del mondo.
Era lui che la mattina ci preparava improbabili, straordinarie colazioni a base di pancetta, uova fritte, frutta varia, marmellata e chi più ne ha più ne metta. Ed era ancora lui che a un certo punto profferiva il “Luca, piglia ‘o milk ‘a int’o fridge” che stava a significare “se siete così assurdi da preferire latte e biscotti fate pure, ma non cercate il mio consenso”.
Cosa ho fatto quando Michele mi ha detto che era qui? Prima mi sono emozionato. Poi ho telefonato a Salvatore. Poi abbiamo deciso di passare assieme una giornata a Procida. Poi l’abbiamo fatto. Ed è stata una giornata bellissima. Ma questo ve lo racconto un’altra volta, non appena Livio mi manda le fotografie.

Enakapata al mare

Sì, con Adriano Parracciani abbiamo deciso di lanciare un altro tormentone.
Lui, che come sapete è molto digitale tecnologicamente avanzato, l’ha chiamato ENAKAPATA SUMMER CONTEST. Io, che con l’età le forze per contestare le devo centellinare, tenuto conto che qui dove il dolce si suona i motivi per contestare di certo non mancano, ho preferito tuffarmi sul più nazional-popolare Enakapata al mare.
Che cos’è, quando e come si gioca e compagnia cantando lo trovate sulla pagina dell’evento su Facebook e sul commento che trovate in fondo (eh sì, per giocare non è obbligatorio essere iscritti a Facebook).
Quello che mi resta da dire qui, e lo faccio con grande piacere, è che l’evento suddetto è promosso, oltre che da questo blog, da Grammi di Storia e si giova del supporto di Sottolineato il libro dei libri e di Caos Ordinato.

Little big man

Lui si chiama Domenico Rosso. E’ di Buonabitacolo, estrema provincia salernitana. E’ stato il primo studente che si è laureato con me, 5 anni fa, con una tesi su Adriano Olivetti che gli valse 8 punti e una mia appassionata arringa per spiegare ai comprensivi colleghi perché chiedevo un punto in più di quello che era il massimo convenuto. E’ stato anche il primo mio studente di cui sono diventato amico. Il primo che mi ha presentato i genitori e il prete amico del cuore. Il primo che mi ha chiesto consiglio su che fare dopo la laurea. Il primo al quale ho detto “Domé, tuo padre è contadino e Buonabitacolo è in culo al mondo, tu se rimani qua con la tua laurea in scienze della comunicazione hai un futuro assicurato, quello di disoccupato”. Il primo che mi è stato a sentire. Il primo che ha trovato lavoro, a Madrid, dove si occupa di comunicazione e formazione per Greenpeace. Quando torna in Italia facciamo il possibile per vederci, ogni tanto mi manda una foto o un filmato nell’esercizio delle sue funzioni di tutore dell’ordine ambientale, stamane l’ho incrociato su Facebook e gli ho scritto “Domé, hai ancora intenzione di sposarti?, non farlo, stammi a sentire, è una fesseria”,  con lui che mi ha risposto con un yayayaya, che immagino sia una risata, accompagnato da un “Professò, tu duorme, già fatto, mi sono già sposato”, seguito da un link dove ho trovato la foto che vedete in alto.
Lo so che c’ho la commozione facile, ma a momenti mi commuovo davvero. “Domé, qui bisogna parlare serio, passiamo su Skype”. Un paio di tentativi andati a vuoto e poi ci siamo. Mi sono fatto raccontare tutto, del matrimonio civile a Madrid, del matrimonio ufficiale a Rio de Janeiro, (sì, non ve l’ho detto, ma la Rosa che ha sposato Domenico è una brasiliana), della festa italiana che si terrà l’11 agosto a Buonabitacolo. Mi sono fatto mandare tutto l’album di foto in formato pdf, gli ho quasi promesso che l’11 andiamo anche io e Cinzia (ma adesso sono ancora sotto l’effetto dell’emozione, quando mi passa non so cosa accade), mi ha raccontato del commento affettuoso, complice, felice della madre quando si è collegato via Skype da Rio de Janeiro a Buonabitacolo (giuro, succede anche questo): “Domenico, da te mi sarei aspettato tutto, ma che ti sposavi una brasiliana proprio no, sei riuscito a sorprendere anche me”. Poi ci siamo salutati, anzi no. Mi sono ricordato che lui un commento su Enakapata ancora non me lo aveva mandato. “Professò, io ti ho scritto qualche riga ma tu sul blog hai tante cose così belle che volevo pensare a qualcosa di particolare, di originale”. “Domé, più originale di te non ci sta niente al mondo, dunque mandami le righe che hai scritto altrimenti alla prima occasione che ti vedo ti ceco un occhio”.
Con le buone maniere si ottiene tutto, come potete leggere qua sotto. Prima vi posso dire però che, senza offesa per nessuno, almeno per oggi e domani il commento di questo piccolo grande uomo chiamato Domenico è il più bello che io potessi desiderare? L’ho detto. Buona lettura.

Ho letto il libro diversi mesi fa e ho regalato una copia a un amico spagnolo. A lui ho detto che Enakapata svela un tipo di napoletano poco conosciuto all’estero. Per me questo libro ha confermato quello che penso dei partenopei. Il napoletano è lavoratore, sa aprirsi e confrontarsi. Il napoletano è sognatore, grida negli stadi, è scaramantico, è brontolone ma canta all’amore. Divide il suo cibo con te, la sua cultura, i suoi sorrisi e i suoi viaggi.
Grazie per il libro. Aspetto il prossimo
“.

Sottosopra

Certe giornate funzionano proprio così. Molte delle cose che ti eri ripromesso di fare, non riesci a farle. Eppure non te la senti di archiviarle nella cartella giornate storte, perché in compenso ti sono capitate e hai fatto cose che non pensavi di fare.
La parte out della giornata non ve la racconto, tanto quello che non ho fatto oggi lo faccio domani, in settimana, prima o poi.
Per quanto riguarda la sezione accadde per caso segnalo:
il pranzo in compagnia del mio amico Antonio, ancora più piacevole proprio perché non era previsto né il pranzo né la compagnia (le due cose nella mia vita sono quanto mai connesse dato che detesto mangiare da solo);
le ore di lavoro che ho potuto dedicare a un nuovo progetto a cui tengo molto;
il viaggio di ritorno dall’Università con il mio amico Angelo, che mi ha spiegato un sacco di cose sull’alfabeto Morse e poi mi ha inviato questa mail:
Vincenzo, in allegato la tabella del codice Morse base e la tabella delle abbreviazioni più comunemente usate. Ti invio anche un link al quale potrai trovare una specie di ‘traduttore’ che ti consente di scrivere lettere (o intere parole) e sentire il suono delle stesse in CW (in morse):  http://morsecode.scphillips.com/jtranslator.html
Per questo link, inserisci nel parametro della velocità (speed) in basso il valore 15 per poter meglio apprezzare il suono (devi avere java abilitato sul browser per far funzionare l’applicazione). Per adesso 73 da da di di di   di di di da da  …  cordiali (saluti cordiali);
la chiacchiera via Facebook con il mio amico Matteo che mi fa ben sperare  per l’opera sua dedicata a Enakapata;
la sorpresa e l’imbarazzo con il giovane viaggiatore che in funicolare, mentre scendevo dal Vomero al Petraio (cose da 1 minuto e mezzo, di più non avrei potuto reggere) mi  ha chiesto: “Lei è vincenzo moretti?”, come negarlo – gli ho risposto-. Complimenti per il suo libro – mi ha detto-, l’ho letto, è stupendo, lei ha parlato del Giappone in un modo meraviglioso .. -cerco di dirgli che del Giappone ha scritto Luca, ma non riesco a fermarlo -… io sono uno studente dell’orientale di Napoli, il mio sogno è di andare in Giappone e scrivere un libro bello come quello che ha scritto lei”.
Per fortuna si è aperta la porta della funicolare, ho ringraziato, ho fatto un inchino come  nelle mie ore giapponesi e sono uscito.
Per favore non mi dite che il giovanotto ha esagerato con i complimenti perché lo so già, su molte cose perdo i colpi e non me lo nascondo, ma scemunito non lo sono diventato ancora. Almeno per me, il fatto che un giovane esagerato ti dica che sogna di fare una cosa che hai fatto tu rimane comunque sconvolgente. E’ una cosa che fa piacere, che ti fa essere contento.
Ma sì diciamolo, me ne potevo tornare a casa e godermi i miei 15 secondi di celebrità, e invece mi sono messo un’altra volta a trafficare con le mie pentole piene di parole.  Dite che tanto mi piace? vero. Ma ciò non toglie  che una di queste sere mi “ciacco” sul bordo del Mac a furia di prenderlo a capate perché mi ci addormento sopra.
Si, certe giornate funzionano proprio così, sottosopra. Forse è la mia vita che funziona così.  Sottosopra.


Senza uscire dalla porta [47]

Senza uscire dalla porta di casa
puoi conoscere il mondo,
senza guardare dalla finestra
puoi scorgere il Dao del cielo.
Più si va lontano, meno si conosce.
Per questo il saggio senza viaggiare conosce,
senza vedere nomina, senza agire compie.

from
Lao Tsu
Tao Te Ching
Una guida all’interpretazione del libro fondamentale del taoismo
Traduzione e cura di Augusto Shantena Sabbadini

Dedicato a tutti i viaggiatori.
Per Francesco Caruso, Viviana Graniero e Cinzia Massa è anche un invito alla meditazione dopo tutti gli sfottò di cui sono stato oggetto venerdì sera per la mia “teoria” sull’osservazione dell’albero.

from
La Musa Antonella

Viviana e Francesco

Foto di Viviana Graniero

Francesco lo conoscevo già, qualche anno fa è stato mio studente a Unisa. Ci siamo visti qualche volta dopo, poi più nulla fino al nostro incontro on Facebook Planet. Se posso dire la verità, nel senso di se posso dire come sono andate veramente le cose, io quando abbiamo fatto amicizia su Facebook non lo sapevo di aver fatto amicizia proprio con lui. Innanzitutto perché tra i chips irrimediabilmente persi della mia memoria quelli che si riferiscono ai nomi, di cose viventi e inanimate, stanno al primo posto. Poi perché i rapporti con le persone mi piace viverli con curiosità, quando posso con intensità, nei casi più belli con complicità e  facendo in questo modo, almeno per me funziona così, finisci per dare più valore, e tempo, a ciò che ti accade adesso, , now, che alla nostalgia e al ricordo.
Dite che anche i ricordi sono belli? E chi lo mette in dubbio. Questo stesso post è l’omaggio al ricordo della bella sera che Viviana e Francesco hanno dedicato a me e a Cinzia. Ma resta il fatto che io uno sono, ho la fortuna di avere tante persone che mi vogliono bene, e già mi tocca gestire i sensi di colpa di non ruscire a ridare loro almeno una parte del bene che mi vogliono. Insomma io a Francesco non me lo ricordavo. Uffa. Fino alla sera in cui Francesco non mi scrive in chat “Ma hai mai provato a giocare con i tautogrammi?”.
I tautogrammi? What’s tautogramma? Con quel tauto iniziale (a Napoli ‘o tauto è la bara, si, proprio la cassa da morto) che non mi dice niente di buono. Però curioso sono curioso, vado a vedere, capisco il senso, lancio il primo gioco, si affaccia Viviana, che non so che è la moglie di Francesco che non so che è  il mio studente, che comincia a coinvolgerci tutti, fino a che questo blog comincia ad essere popolato da un bel pò di belle persone che prima non conoscevo.
Non mi chiedete quanto tempo ci ho messo per capire che Viviana è la moglie di Francesco e quanto per capire che Francesco è il mio studente che non ve lo dico. Ciò che invece intendo dirvi, finalmente direte voi, non andate sempre di pressa dico io, è che venerdì sera io e Cinzia siamo stati ospiti a cena a casa nostra. Dite che è una contraddizione in termini? Che non si può essere ospiti a casa propria? E invece no. Perché in realtà siamo stati ospiti a casa di Viviana e Francesco. Che ci hanno accolti così bene da farci sentire come a casa nostra. Lo dico con le parole del mio amico Salvatore Veca (Dell’incertezza, Feltrinelli, è un libro bellissimo, leggetelo), “Non mi piace l’ospitalità opportunistica o quella sciatta, sbracata. Mi piace l’attenzione. E la cura, discreta, nel ricevere, nella cerchia della philia, ha una sua naturale bellezza”.
Della naturale bellezza con la quale siamo stati accolti venerdì sera sono sinceramente grato a Viviana e Francesco. Punto.

Se non ora, quando?

by Adriano Parracciani

Debbo queste riflessioni alla congiunzione di una mia idea d’annata –vendemmia 1994, anno nel quale Silvio Berlusconi vince le elezioni contro Achille Occhetto e la sua  “gioiosa macchina da guerra”-,  e una domanda postata su Facebook dalla mia amica  Musa: “ma come si fa a votare per questa maggioranza?” (la domanda è in verità più colorita, ma la sostanza è questa).
L’idea, per la verità talmente semplice da rischiare la banalità, è che la politica ha bisogno di differenze. Differenze che, Before 1989, erano date dalle ideologie, dalle appartenenze, dalle identità, nel senso che dirsi comunista, democristiano, fascista significava definire i confini entro i quali ci si poteva riconoscere con altri che, come  te, condividevano miti, valori, aspettative, ceti sociali di riferimento, modi di essere, talvolta persino di fare. Persino quando i  comportamenti sono diventati simili, l’apparentenza a ideologie diverse garantiva le differenze di identità, di riconoscibilità, di aspettative, di gruppi sociali di riferimento.
After 1989 le differenze, in Italia in particolar modo dopo Tangentpoli, avrebbero dovuto essere garantite dalle idee, dai programmi, dalle modalità con cui si favorisce la partecipazione e si selezionano le classi dirigenti, dai modelli di partito e di coalizione.
Vogliamo dirlo con uno slogan? Ma sì diciamolo! Meno ideologie, più differenze. Quale strada è stata imbroccata invece? Quella dell’omologazione. Nelle piccole e nelle grandi cose.  Vogliamo fare qualche esempio?
Federalismo,
che è una cosa seria, che invece di rincorrere la Lega, per poi lasciarle la più totale egemonia culturale, poteva essere fatto vivere come solidaretà, partecipazione, responsabilità, controllo.
Legalità, che è una cosa seria, che invece di assecondare la Lega sul terreno della paura dell’Altro, meglio se extracomunitario, quasi sempre da sfruttare di giorno  e da nascondere di notte come le puttane de “La città vecchia” di De André, poteva essere fatta vivere come una questione di etica pubblica invece che di ordine pubblico, di rispetto delle regole, di tutela dei diritti, di esercizio responsabile dei doveri.
Leaderismo esasperato, vogliamo chiamarlo idolismo?, personalizzazione dei partiti come antidoto alla loro crisi,  che non è una cosa seria, e che ha portato prima alla lista Berlusconi,  poi alla lista Di Pietro, poi persino alla lista Vendola,  in mezzo tutte le altre liste, senza nessuno che dica chiaramente che di molti di questi leader si può  tranquillamente fare a meno, dei partiti no. Che è una sciocchezza  immaginare una democrazia che funziona solo con la società civile, senza i partiti.
L’elenco potrebbe continuare, fino scrivere un libro: arbitrarietà nel rispetto delle regole (primarie a volte si, a volte no, a volte strappate dal basso, altre volte imposte dall’alto), di là mettono in lista portaborse, segretari, amanti e ballerine, di qua pure, e poi clientelismo, familismo, eccetera eccetera.
E non provate a dirmi che ci sono molte persone per bene che svolgono il loro ruolo di eletti in maniera seria. Innanzitutto perché lo so. E poi perché ci stanno anche di là. Anzi mi convinco sempre più che tra le ragioni del successo della Lega stia diventando sempre più importante il radicamento territoriale, il contatto con i cittadini e con gli elettorali, insomma quella roba che una volta facevano i comunisti e i democristiani.
Visto che ci siamo, non provate neanche a spiegarmi che con tutti i difetti che abbiamo noi e loro non siamo la stessa cosa. Innanzitutto perché lo so. Poi perché non basta. Soprattutto a livello di pubblica opinione.
Cosa voglio dire in sintesi? Che fermo restando tutti quelli come noi che a prescindere stanno dall’altra parte io credo che non sia solo comprensibile, ma anche razionale che la maggioranza degli italiani votino come votano.
Che fare in sintesi? Lavorare seriamente per una prospettiva diversa.
L’ho scritto martedì 16 dicembre 2008 alle ore 18.16 (potenza del web, e chi se lo sarebbe ricordato): se continuiamo a pensare di risolvere i problemi entro la prossima elezione non andiamo da nessuna parte.
Questo paese non ha più classi dirigenti nel senso auspicato da Cuoco, da Salvemini, da Gramsci, da Dossetti, da Di Vittorio, da Dorso, da ..;. c’è scarsità di senso civico ad ogni livello; di più, si è creata, grazie ad un’azione scellerata ma scientificamente condotta dall’attuale leadership, una  convenienza-convergenza intorno a una via italiana alla sopravvivenza fatta di piccole e grandi furbizie, evasioni, illegalità.
Bisogna ritornare a pensare e a praticare la partecipazione  come fatica, continuità, impegno, perché ad ogni diritto corrisponde un dovere, ad esempio di non chiedere favori e raccomandazioni, di non fare i furbi, di non rivendicare il merito quanto tocca agli altri e l’appartenenza quanto tocca a sè stessi.
Per invertire l’ago della bussola, per cominciare a varcare la distanza tra i valori di solidarietà a prescindere, di pemessività e persino di impuntà che informano oggi il nostro paese, e i valori di responsabilità, di eguali opportunità, di valorizzazione del merito e del talento di cui c’è bisogno, ci vuole tempo.
Dite che non possiamo aspettare? Sbagliato. Mi dicevano così anche nel 1994, che se non facevamo l’inciucio con Dini, Berlusconi sarebbe restato lì per altri 10 anni. Ne sono passati 16, per ora, destinati a meno di miracoli a diventare 19.
La verità è che non possiamo aspettare senza fare niente. Bisogna cominciare subito. Ognuno dal suo “posto di combattimento”. Facendo le cose per bene  perché è così che si fa. Facendo rete tra noi. Rendendo espliciti, pubblici, gli esiti di questo nostro lavoro.
Come ha scritto Confucio, una marcia di 10mila chilometri comicia con il primo passo. E, anche senza scomodare Aristotele, rimane il fatto che la politica è ‘na capata. L’importante è cominciare. Se non ora, quando?

Foto in cerca d’autore

L’autore da trovare non è quello della foto, che c’è già, è in realtà un’autrice da queste parti assai nota, Lucia Rosas. La foto, con mio grande piacere, me la sono ritrovata sulla bacheca di Facebook qualche giorno fa. Naturalmente ho ringraziato Lucia con i mezzi che sono disponibili da quelle parti e così, chattando chattando, è venuta fuori l’idea, più sua che mia, di provare a raccontare storie a partire dalla foto.
Lucia si è entusiasmata un bel pò, io ho fatto la parte di quello che butta acqua sul fuoco. Questa faccenda delle storie a volte funziona e a volte no -le ho detto-, comunque possiamo provare. Lei ha detto proviamo, ed eccoci qua.
La parola, anzi il post, passa a noi, gli autori. Se abbiamo voglia di farci trovare, of course.

Lucia Rosas
io non sono nota, io approfitto di una amicizia virtuale che, su una piattaforma vituperata rivela invece un’anima e una possibilità di essere ed esserci in modo vitale. io chatto perchè la mia voce è questa, io sono e vivo qui.
avevo scommesso di resistere alla nostalgia di uno schermo spento, di staccarmi dalla tecnologia armata di sms e un libro. è possibile e, paradossalmente ti fa desiderare di sentire il suono di quelle voci, di incontrare quegli altri che frequenti x il piacere di farlo, quando te la senti, quando hai da dire qualcosa di vero e tuo e dove distanze e credo si possono abbattere. ho sempre creduto ai libri come mondi possibili e che incontri le persone nei momenti + impensabili che ti piombano addosso con il loro vissuto, sono libri parlanti sono occasioni che non puoi perdere sono … il resto delle parole arriva durante dopo arriva. sempre.

Questo ce lo metto io
Con Lucia Rosas abbiamo pensato che un tavolino, due bottiglie d’acqua, un libro, una penna, un telecomando e una busta forse sono un pò poco per costruire una storia. Scrivete gli altri elementi, personaggi, soggetti che vorreste nella storia, mandate foto o disegni (purché fatte da voi o in ogni caso non soggette a diritti d’autore). Arrivati a 20 ci fermiamo e cominciamo a scrivere le storie con tutti o anche solo alcuni degli elementi a disposizione. Pronti? Via!

La Musa
Un gatto e un pc.

Vincenzo Moretti
Il Piacere di Matteo Arfanotti

Laura Marchini
Sedie di legno come quelle di una volta… fogli molti, sparsi sul tavolo, un pò di confusione….
e una luce! non sò se un lampadario oppure una luce da tavolo accesa: perchè la luce è importante, apre una “porta”, un pensiero….

Felicia Moscato

Concetta Tigano




Viviana Graniero

Daniele Riva
Un paio di biglietti del tram o della metro, senza specificare la città…

Santina Verta

Una tavola da Go e alcuni proverbi.
Perdi le tue prime 50 partite più in fretta possibile.
• Usa il Go per farti nuovi amici.
• Non seguire i proverbi.


Giappone.
Il gioco si svolge su una tavola di legno chiamata Goban (ban vuol dire tavola in giapponese) su cui è disegnata una griglia di 19×19 linee ortogonali. I due giocatori usano delle pietre bianche e nere che posizionano nelle intersezioni del Goban. Il nome del gioco vuole dire qualcosa come “pietre che si circondano” ed illustra lo svolgersi del gioco: entrambi i giocatori cercano di fare punti circondando territorio (zone vuote del Goban, ogni interesezione è un punto) e pietre avversarie (quando vengono catturate ognuna è un punto).

Le regole del Go sono poche e semplici: quelle fondamentali sono 3(+1) e le rimanenti servono per chiarire alcune situazioni che possono crearsi raramente.
• Inizia sempre nero, si gioca uno per volta e le pietre una volta collocate sul Goban non si spostano.
• Una pietra, od un gruppo di pietre contigue (lungo le linee, non in diagonale), ha tante libertà quante sono le intersezioni vuote adiacenti ad essa. Quando rimane senza libertà la pietra è catturata e viene rimossa dal gioco lasciando spazi vuoti al suo posto. Nell’mmagine la 1° pietra ha 4 libertà, la 2° ne ha 3, la 3° ne ha due. La 4° pietra ha solo una libertà, è in Atari, e se bianco gioca nella posizione segnata dal quadrato la pietra nera verrà catturata e rimossa.

• Ad ogni suo turno un giocatore può giocare una pietra o, se ritiene di non avere nessuna buona mossa da giocare, passare. Se entrambi i giocatori passano consecutivamente la partita è finita, si contano i punti e si determina il vincitore.
• Segnalo in questo breve riassunto come 4° regola quella del Ko senza approfondirla: possono esistere delle situazioni in cui il gioco potrebbe entrare in stallo ed esistono delle regole per impedire quasi tutti questi casi.

Normalmente il Go viene giocato su un Goban di 19×19 intersezioni, ma si gioca anche in Goban più piccoli come 13×13 o 9×9. Questi Goban ‘minori’ vengono usati per partite veloci, per introdurre i principianti al gioco e ‘tanto per giocare in modo diverso’. Una cosa interessante da notare è che nel Go c’è un sistema di graduatoria ‘naturale’: se due giocatori di differente abilità si incontrano il più capace concede all’altro il nero (che incomincia per primo) e, nel caso, pietre di vantaggio. In questo modo si può sempre giocare una partita equilibrata e divertente, mentre in altri giochi il giocatore più forte vince sempre (o almeno dovrebbe)
Buon gioco!

Paola Bonomi

Maria Paraggio
In provincia di Salerno c’è un paese molto suggestivo, Ottati. E’ una galleria d’arte a cielo aperto. Artisti provenienti da ogni dove hanno realizzato murales bellissimi. Sono circa un centinaio. Percorrere le strade del paese è come visitare una galleria d’arte. Ne sono rimasta affascinata. Sulle pareti di antiche costruzioni si possono ammirare delle vere e proprie opere d’arte.

Chi nun tene curàggio nun se cocca cu ’e fémmene belle


Viviana Graniero
Eccomi qui, volevo partecipare già da un po’ e mi sembrava anche di avere un bel po’ di cose da dire e poi, come qualche volta accade, arrivano brutte notizie (e questo periodo mi sembra un incubo, spero solo che finisca quanto prima e ci lasci un po’ in pace) e la tua mente si azzera. Resetta tutto. E poi dopo qualche giorno scopri che in realtà stai rielaborando tutto daccapo, sotto una luce diversa.
Quello che volevo scrivere non lo ricordo più e probabilmente erano una manciata di sciocchezze, però ho molto più chiaro ora cosa sia il coraggio. La forza d’animo, la voglia di lottare fino alla fine, senza perdere il sorriso nemmeno per un momento. Me l’ha insegnato una cara amica, che ha perso la sua battaglia più dura, ma che ha vinto comunque.

La Musa
Mio padre nn era napoletano, ma da buon marinaio cosmopolita, soleva ripetermi: “a lavà ‘a capa a ‘o ciuccio se perde l’acqua e ‘o sapone”. Il ciuccio in questione, manco a doverlo spiegare, ero io [sorrido] essì, lo ammetto, i miei primi 4 anni con la matematica sono stati anni terribili. pomeriggio tipo: mio fratello in salotto a guardare la tv dei ragazzi, mia madre a casa della “generalessa” nostra dirimpettaia e io e papà seduti al tavolo di tek del tinello muniti di fagioli, patate e mele per capire quelle benedette divisioni [sorrido] ah, troppo ho patito prima di afferrare quante volte il divisore stava nel dividendo e per capacitarmi che la divisione ha a che vedere con la sottrazione ma nn è la stessa roba [sorrido] e poi tutti quei minuendi, addendi, sottraendi, prodotti, uff che fatica, che patimenti! lui, papà, era paziente ma inflessibile, finchè nn gli dimostravo di aver capito BENE nn si andava oltre. Una sera slittammo la cena di un paio d’ore; il tavolo era occupato da ogni sorta di orpelli atti a farmi capire le operazioni aritmetiche, che nn si potè apparecchiare per la cena. Il bello è che poi ho fatto il liceo scientifico! 😀

Felicia Moscato
Ricordo ancora quei giorni andati della mia adolescenza …
Allora vivevo in casa della nonna, eravamo in 7 nella stessa casa…
Ogni mattina mi alzavo e correvo in cucina dalla nonna a fare colazione… A quei tempi se non mangiavi in quantità industriale le nonne si preoccupavano. Non gliene importava nulla a mia nonna se erano le 7 del mattino, ti dovevi ingozzare e basta!!! e non si discuteva….ripeteva sempre che “Addò ce sta a sustanza c’è a salut”… io ero nell’età in cui nascevano i primi amori ed ero complessata come non mai per il mio peso “leggermente” abbondante (a sentire mio fratello “er proprj chiatta). ogni qual volta lo facevo presente a tavola (sempre a mia nonna) lei mi rispondeva, come una cantilena, sempre allo stesso modo: A FEMMENA SECCA E COMM NU CAZZON SENZ SACC… e li ero costretta a buttar giù tutto “il pranzo di Natale” che aveva preparato.

Stefania Bertelli
Ci ho pensato a lungo, ma non conosco modi dire analoghi nel mio dialetto. Forse il coraggio non è la prerogativa della mia gente. La mediazione, l’accomodamento, la conciliazione sono probabilmente caratteri che riterrei più appropriati. Le frasi più comuni sono: “spetemo” (aspettiamo), “porta pasiensa”, “cossa ti vol che sia” (per sdrammatizzare).
Mio cognato, che frequenta lo stadio cittadino e segue le disastrose avventure della nostra sinistrata squadra di calcio, assicura che non c’è animosità tra i tifosi, e lì campeggiano sempre festosi cartelloni, con scritto “va ben il calcio, ma xe megio le ombre e i cicheti (bicchieri di vino accompagnati da stuzzichini)”.
Certo i litigi non mancano, ma azioni, che necessitano coraggio, non mi vengono in mente.
Il rischio, per chi non è di Venezia è di confondere il modo bonaccione per docilità, arrendevolezza…e qui c’è la fregatura, perché è latente la presa in giro, la manipolazione, il raggiro. Anche il famigerato saluto “servo vostro” può nascondere lo scherno.

Vincenzo Moretti

Scrivo a Iwano san. Per chiederle se è possibile incontrare il presidente Noyori. Intervistarlo sarebbe molto utile per il mio lavoro di ricerca. E in più potrebbe venirne fuori un bell’articolo.
Ieri sono stato tutto il giorno inquieto. È che questa cosa andava fatta prima. Adesso rischio di perdere un’opportunità importante. E di creare imbarazzo nei miei interlocutori nel caso dovessero opporre un rifiuto. Mi dico che è inutile piangere sul latte versato. E poi stanotte ho sognato mio padre. Procedo.
Dear Iwano san, Thank you very much for your kind attention. I am happy that for my visit to RIKEN it’s all right. In this moment, the materials that I can download from RIKEN’s site are sufficient, but I’ll write you if I’ll need another one. During my visit to RIKEN, I’ll write articles for Il Sole 24 ore, the most important italian economic newspaper, and I would like to interview the President Ryoji Noyori. Do you think is it possible? Thanks again.
I look forward to hearing from you. Yours sincerely.
Aveva ragione papà. Chi nun tene curàggio nun se cocca cu ’e fémmene belle. A fine mese ricevo la conferma della disponibilità di Noyori ad incontrarmi.

Deborah Capasso de Angelis
La mia storia è recentissima e non è una storia tenera come quella di Daniele.
Sono le 17.35 e mio figlio Joseph mi chiede di andare a fare un giretto con gli amici. Dopo pochi minuti sentiamo quelli che credevamo essere fuochi d’artificio. Erano colpi di una semiautomatica seguiti da sirene di ambulanza e  di vetture delle forze dell’ordine.
Mi precipito in terrazza e vedo un carabioniere stendere il nastro per delimitare l’area, capisco all’istante cosa sta succedendo, calzo le scarpe e, con mio marito, corriamo a recuperare Joseph. Sono stati attimi di panico e di estremo sollievo quando lui, ignaro di tutto, mi viene incontro e con sguardo interrogativo mi conforta e mi abbraccia dicendomi di non piangere.
Lo riportiamo a casa e, ormai passato lo spavento, prevale la criminologa che è in me.
Salgo a casa, metto il rossetto e con uno dei miei sorrisi migliori mi avvicino a uno dei poliziotti. Mi presento e riesco a convincerlo a farmi dare una sbirciatina alla scena del crimine, la pasticceria sotto casa mia.
Ho già saputo l’identità della vittima dalle persone interrogate sul posto, era  noto alle forze dell’ordine come un esponente di spicco della camorra locale.
Resto impassibile mentre la scientifica fa il suo lavoro e continuo a carpire informazioni dal poliziotto, la dinamica del fatto, il particolare che i colpi siano stati esplosi al volto sono un chiaro messaggio in codice sul movente del delitto.
Mi vengono fatte domande sull’accaduto ma, purtroppo, non ho informazioni da dare.
Torno a casa, riabbraccio forte mio figlio e rifletto sull’accaduto.
Qualche anno fa sarei stata sconvolta da episodi del genere, la mia preparazione da criminologa è sempre rimasta teorica e, a parte qualche fotografia di autopsie o di scene del crimine, non avevo mai visto niente del genere “dal vivo”. I parenti della vittima da poca distanza osservavano i miei movimenti.
Cosa sono adesso? Ho avuto solo coraggio o mi sono imprudentemente lasciata trasportare dalla mia sete di conoscenza?
Non lo so ancora e so anche che posso fare ben poco per fare in modo che queste cose non accadano.
Quello che so è che queste cose non mi piacciono e che voglio conoscerle ancora di più. Non posso fare granchè ma ho la fortuna di poterlo raccontare alle mie studentesse alla prossima lezione e posso raccontarlo a voi per condividere l’indignazione.

Daniele Riva
La mia bisnonna non l’ho conosciuta: era una donna nata a fine Ottocento e scomparsa sul principio degli Anni Sessanta, prima che io venissi al mondo. Ma diceva una frase che deve essere rimasta impressa a mia madre, visto che spesso me la ripete: “Il tempo non si vede, ma il lavoro sì”. Ovvero, per quanto ognuno di noi ci si applichi, il risultato del suo lavoro – oggetto fisico o intellettuale –  conserva in sé il sudore necessario per ottenerlo o la spremitura di meningi. Pochi giorni prima dello scorso Natale,   aiutavo mia madre a pulire i globi di cristallo dei lampadari del suo salotto, e ancora una volta è uscita quella frase: “Bagaj, ul temp al se véd mea, ma ul laurà sé”. Io, in piedi sulla scala con il secchio, la spugna, il liquido per i vetri, le ho chiesto qualcosa su questa bisnonna sconosciuta. Ebbene, quella frase era la richiesta di non badare al tempo necessario per svolgere un lavoro di ricamo: un impasto di onestà, di orgoglio e, perché no?, di gusto estetico: se qualcosa è fatto con cura, lo si noterà nell’oggetto finito. E naturalmente si sono poi spalancate le cateratte della memoria e il ritratto è stato ampliato:  ricordi di una stalla, di latte appena munto, di fette di salame spesse un dito, di polenta fumante… Poi è arrivato il progresso…

Piccole Storie Crescono | S3-3


INCIPIT
No, non è un attacco di napoletanità.

2. Viviana Ganiero
E’ che certe volte Carlo è davvero insopportabile con quel suo elogio della milanesità… milanesaggine… ecco… non c’è nemmeno un termine bello da sentire! tzè!
E vabbé, finché dice che “da lui” gli ospedali funzionano meglio ok, che le scuole funzionano meglio ok, che gli autobus sono più frequenti ok, che si rispettano di più le regole ok ok ok e 100 volte ok… ma quando dice che il panettone è meglio della pastiera e nooooooooo questa è guerra! e allora guerra sia… domani sarò a Milano e vedremo!

3. Daniele Riva
– Uei ti, Vincenso… ma se l’è ‘sta storia della napoletanità… Se l’è sta guerra che te voret fa?
– No, Carlo… Ma che hai capito? È solo una questione culturale. Ma che freddo fa oggi qui a Milano. E vedi, quanno so’ partito splendeva un sole tanto…
– Ti va bene che non c’è la scighera, la nebbia. Quella di Vecchioni a San Siro, te capì? Te che sei dell’Inter, poi…
– Vabbuò, andiamo a mangiare. Che ristorante hai scelto? Risotto e cotoletta?
– Ma che risòtt e cutulèta. Andèmm al ristorante giapponese di Piazza Diaz. Sushi e sashimi…

4. Vincenzo Moretti
– Ma quale Sushi e sashimi, Carlé.
– E non chiamarmi Carlé che lo sai che lo odio. Mi chiamo Carlo, figurati se a  97 anni puoi venire tu da Napoli e cambiarmi il nome.
– Uè, porta rispetto, che io tra una settimana ne faccio 100 e se non fai il bravo non ti invito alla festa. Uè uè, Carlé, scusa, Carlo, ha visto quella ragazza, guarda com’è carina, non avrà neanche 70 anni, che dici …

5. Viviana Graniero
Viviana li ha puntati quei due al bar, così affascinanti… lei ha 77 anni, ma ne dimostra almeno 10 di meno. E’ pronta alla conquista… “scusate ragazzi, posso sedermi con voi????”

6. Daniele Riva

“Prego, signorina” – è Carlo a parlare -” lo sa che lei l’è propri giuvina, l’e una tosa. Ma si sieda, cosa le possiamo offrire? Un camparino? Un caffettino? Una cioccolata calda? Un orzo in tazza grande? E ti, Vincenso, smèttela de sbavà… e attento che te bòrlet giò de la cadrega”
“Eh?!”, fa Vincenzo che non ha capito l’ultima frase.”
“Varda che cadi dalla sedia!”

Piccole Storie Crescono | S3-2


INCIPIT
No, non è un attacco di napoletanità.

2. Vincenzo Moretti
In fondo Sofia Loren è la napoletana più internazionale che esista al mondo, la sola che sul pianeta terra può gareggiare con la pizza in quanto a celebrità. E’ che mi piace un sacco l’idea di utilizzare la sua immagine per promuovere la Feltrinelli Express. A proposito, ma voi ci siete già stati? Nooo? E allora correte, cosa aspettate!
Stoooop! No, no e no. Antonio, se lo dici così, i clienti corrono, ma con una mazza in mano. Ma lo vuoi capire che questo è uno spot? Tu sì abituato a Scékspirr. Questo è un esse, pi, o, ti. Spot. Ti dice niente questa parola?

Il mantra della pastiera


Santina Verta, Again
Ed ora … devo solo trattenermi, per non ingoiare tutto voracemente. ..  è arrivato “u camiòn”, Carmelina, mia sorella, ha preparato 3 pastiere … una per Venere e due per me e papà. Io dovrei sentirne solo l’odore, per l’effetto colesterolo a passa 3oo… ma da ieri pomeriggio … già metà pastiera è sparita!
In compenso ho lessato le cicorie di campo, il benefico tarassaco, ora devo cuocere i finocchietti selvatici,  da unire alle fave …”paste e fave cu finucchi i timpa” e se vi aggiungo il soffritto di cipolla e cotenna arrotolata di maiale diventa un piatto esplosivo, immancabile il pizzico di olio piccante. Si  mangia solo una volta all’anno … altrimenti che botto!
La zia Tetè, per gli adorabili monelli ha mandato uova freschissime e uova di cioccolato, lei  sa  esattamente cosa piace loro … in questo periodo “Ben 10”.
Lo zio Tato, che si diletta, nel tempo libero dal lavoro in ferrovia, a pascolare un piccolo gregge di capre e pecore,  ha pensato di barattare due capre e una pecora  per un pony -femmina, già pronta per partorire … Michi mi passa il telefono urlando … – lo zio Tato ci ha comprato un pony … per cavalvarlo quest’estateeeee! — ed io: ma Tato veramente hai preso un pony? –Ma no, è ‘na pony!! …   Ridiamo  e basta … oramai na pony  ci aspetta nel piccolo Ranch!

Santina Verta
Eh no, mi fate sgambetti di golosità… solo  a sentirne parlare ho l’acquolina in bocca… si è già capito che sono incredibilmente attratta dai dolci e  gli effetti si depositano morbidamente sia all’esterno che dannosamente nel circolo colesterolico.  Resisto solo per brevissimi periodi al non – dolce e la pastiera ha quei profumi che irradiano stille di malinconia da afferrare, inglobare, annusare e sbocconcellare col naso sui vetri, furtivamente, con pudore, cercando di scoprire il misterioso richiamo  tenace di tenerezze e candore e baluginio di marachelle.
Un tempo i dolci erano solo un evento straordinario, vicino al mio vicolo c’era “a putia” (negozietto) di Zi Parma e mi era proibito far segnare su “a libretta” generi dolciari. La donnetta, secca, cattivella e vecchiarella usava il nostro orto per lavare panni e stendere e mi lasciava di guardia alla Putia… un giorno bramosa di dolce…quei “Moretti” della Ferrero, detti “chicchirichì”  vi ricordarte? una cialda di cioccolato fondente, una cupoletta di morbida crema bianca  e su fondo waveroso— ebbene erano lì che occhieggiavano— slurpp–prendimi, prendimi… così decisi di chiudere zi Parma col lucchetto ..  intenzionata a fare una scorpacciata… ma ero come paralizzata da aver osato tanto. <finì che a sera le presi dai miei.e addio chicchirichi!
Ora  la pastiera, preparata da mia sorella Carmelina, mi arriva, per Pasqua, con il Camion- corriere  che riempie di profumi calabri le corti dei paesi lombardi e  anche l’umore dei migranti risplende come una melagrana!

Viviana Graniero
E
te
con
uova,
grano,
mangio
gustosa
pastiera
prelibata,
succulenta.
Sorprendimi!

Una “palla di neve” per la pastiera (non c’è bisogno di spiegarlo questo gioco, basta guardarlo)

Vincenzo Moretti
Dolce il grano,
come luna la sera.
Labbra umide.

Maria Paraggio
Sono le sette di mattina, una notte insonne, squilla il telefono. Corro ansiosa: mia figlia è partita per il Texas, mio marito è a Prato per lavoro, mia madre a Saronno e non sta tanto bene, mia suocera in ospedale. Dall’altra parte una voce sconosciuta di donna mi dice: ” Buongiorno signora Maria, lei non mi conosce. Sono tal dei tali, abito a Vallo della Lucania. Vorrei tanto una cortesia da lei”. Tra sorpresa e irritata ( pensavo: ma questa che vuole a quest’ora del mattino, con tutti i miei problemi e le mie ansie) chiedo se per caso non ha sbagliato numero. Lei tranquilla mi risponde: ” No, è proprio con lei che voglio parlare. So che è molto brava a fare i dolci e soprattutto la pastiera. Sono anni che cerco di farla buona come l’ho mangiata una volta a Napoli, ma ho provato tutte le ricette senza risultato. Ho provato anche con quella scritta sui barattoli di vetro che contengono il grano ma non c’è niente da fare”.
A questo punto la interrompo: “Signora, la ringrazio per la stima, ma mi dica, prima di tutto, come ha avuto il mio numero e chi le ha parlato della mia pastiera”. E lei ” Signora Maria, deve sapere che io viaggio spesso perché i miei figli abitano, per lavoro, uno a Torino e l’altro a Bologna”. Sono appena tornata da Bologna. Nel mio viaggio di andata, ho incontrato suo marito che saliva a Prato. Così tra una parola e l’altra, il discorso è caduto sui dolci. Suo marito ha detto che sono poche le volte che compra dolci in pasticceria perché lei, signora Maria, ama preparare torte e biscotti. Lui, che non aveva mai voluto mangiare la pastiera, mangia con gusto solo quella che fa lei. Per favore, mi dia la ricetta ma anche i suoi segreti per farla così buona”. A questo punto che potevo fare?. Le dissi di prendere carta e penna che le avrei dettato la ricetta, pensando che mio marito parla sempre più del dovuto, anche se in me ero felice di sapere che, se pure per la mia arte culinaria, mi apprezzava. Non mancai nessun ingrediente ma l’amore (il mio segreto) che metto nel preparare ogni cosa e che, a parer mio, è l’elemento indispensabile per la riuscita di ogni progetto, quello ce lo doveva mettere lei.

Maria Maddalena Fea
Oggi ho fatto la pastiera
trafficando per tre ore;
or ne sono proprio fiera
me la mangio con ardore!

Carmela Talamo
Si ma mangio me ngrasso
Si ma mangio me ngrasso
Si ma mangio me ngrasso

Concetta Tigano
“Un mantra ha due aspetti: il primo è manana, e significa che ciò che si è ascoltato deve penetrare nella mente; il secondo è trānia, e vuol dire che qualunque cosa sia penetrata nella mente vi deve essere fermamente stabilita e preservata”.
Definizione copiata “precisa precisa” da Wikipedia, così vi racconto come è penetrata nella mia mente e come si è stabilizzata “la pastiera”.
Natale di tanti anni fa … in casa di zii, che amavo tanto, squilla il telefono … risponde un cugino ( tra cugini piccoli e grandi … una dozzina).
“Francesco …ti vogliono….” e lì una fragorosa risata, il Francesco in questione per noi era Ciccio (adesso nonno), chiaro che chiamava una ragazza alla quale lui si era presentato così … vergognandosi come un ladro di quel “nome”.
La ragazza, telefonava da Amalfi, con uno spiccato accento partenopeo, gli “sfottò” non si contavano … Ciccio (rosso peperone), risponde al telefono, con tutti noi attorno (privacy = zero).
L’amore vince su tutto … Graziella entra in famiglia, e quando viene in Sicilia a conoscere il vasto parentado … porta una strana “torta” in quantità adeguata al numero di parenti, “la Pastiera”.
Sublime , deliziosa, una squisitezza … fatta come tradizione comanda, con il grano bollito (e non quello precotto!), mia madre, cuoca perfetta, appena ha saputo dell’elaborata fattura, non si è mai azzardata a provarci!
Successivamente mi è capitato di assaggiarla altre volte, ma ogni volta ricordo con tanta dolcezza quel Natale lontano.

Adriano Parracciani
Past past iera
om
iera iera past
om
Past iera iera
om
iera past past
om
iera past iera
om
past iera past
om

Rodo


Viviana Graniero
Tragedia in due battute
La scena: In una serra due piante Ericaceae in fiore discutono animatamente.
“Sei sempre la stessa, non butti mai fuori la tua rabbia… somatizzi!
Quando la smetterai? Visto, Azalea non ha mai peli sulla lingua ed è in pace con se stessa… e invece tu??????
“Io Rodo-dendro”
Sipario.

Adriano Parracciani
Io interpreto disse il CDM a cui del vulnus il buco rodeva
sento odor di sconfitta porca escort eva
nemmeno le truffe sappiamo più ordir
se continua cosi a Rodi ci tocca fuggir

Vincenzo Moretti
Io rodo, disse il topo,
io buco, disse il tarlo,
io vedo, disse il falco,
io canto, disse il gallo.
Vi prendo, disse il cane, e così fu. Senza fatica, senza gloria.
Da allora più che i ladri, disprezzò la spia.

Maria Maddalena Fea
Quest’anno, se non vado a Rodi, rodo.

Adriano Parracciani

Mi rodo dentro
perchè sento odor
di ordo d’oro

Nina, ti te ricordi

enakapata3Lo ammetto, non so più da dove cominciare. Ma sì, comincio dall’inizio. Anzi no, dal titolo. Che prima era “Ti ricordi, Michel”, una bellissima canzone di Claudio Lolli, poi è diventato, grazie a Stefania Bertelli, “Nina, ti te ricordi”, parole e musica di Gualtiero Bertelli (perché grazie a Stefania Bertelli ve lo racconterò, forse, a parte).
Nina per me non è solo una canzone bellissima, è una parte della mia vita, quella in cui da studente di sociologia fuori sede, grazie alle 30 mila lire al mese che  mi passava papà (era dura anche nel 74, ci dovevo pagare la mia quota di affitto, mangiare, ecc. per un mese; ho resistito solo 2 anni, ma per quei 2 anni non ho mai chiesto una lira in più) venivo aggregato ogni tanto come “chitarrista acustico” a un gruppo di musica folk che si esibiva alle Feste dell’Unità. E’ stata un’esperienza umanamente straordinaria, che mi ha permesso di conoscere persone e luoghi indimenticabili e di mangiare ogni tanto da “cristiano” invece che alla mensa universitaria, eppure non è di questo che intendo parlarvi.
Adesso voi direte: “ma ci fai capire che vai trovando?” Diciamo che vorrei parlare del ricordo, delle connessioni tra ciò che è stato e ciò che è, di come queste connessioni intervengono sui nostri modi di vivere ciò che per noi è inedito, è inusuale, si  tratti di vestiti, di musica, di tecnologia, di idee.
Faccio un esempio, che io con gli esempi mi spiego meglio.
Quando Luca aveva 13-14 anni, sono stato io a insegnargli i primi accordi sulla chitarra e poi le prime canzoni. De andré, Guccini, Lolli, PFM, Bertelli, De Gregori, Genesis, Pink Floyd. Ci voleva molto poco e lui ci ha messo ancora di meno a diventare più bravo di me, ma ogni tanto ci mettevamo lì, suonavamo assieme e per me era molto bello. Ancora un altro poco, e con me non ha suonato più. Si, faceva una canzone, anche una e un poco, al primo mio errore, si scocciava. Lui aveva ormai i suoi miti e i miei non gli piacevano più. Ogni tanto discussioni, io con “ai miei tempi”, lui con “sei ‘na palla” e il discorso finiva lì. Pi ha un certo punto ho imparato gli accordi di Vasco Rossi, degli U2, dei Queen, e sono accadute due cose: ho scoperto che c’erano altre canzoni bellissime oltre a quelle dei miei tempi, e ho ricominciato ogni tanto a rifare qualche giro con lui, fino a quando non è passato al basso e poi è diventato troppo più bravo di me e non se ne è parlato più.
Potrei aggiungere che adesso lui suona più Led Zeppelin e Deep Purple che Queen  e Metallica, ma questo ci porterebbe fuori strada e poi sono fatti suoi. Quello che voglio dire io è che forse ci sono modi più aperti e inclusivi di vivere i ricordi, modi che non si fermano al “com’era bello”, “com’eravamo più bravi e buoni”, ecc., sia perché forse non è vero, sia perché di certo ai più giovani un rapporto di questo tipo non interessa, sia perché senza i giovani non abbiamo futuro.
Qualche giorno fa avevo scritto una mail a Daniele Riva manifestando un certo imbarazzo per la confidenza  e per l’affetto tra persone che in definitiva non si conoscono, e lui mi ha risposto “Conoscersi così da lontano, nella sua modernità, ha qualcosa di antico: come gli scambi epistolari dell’Ottocento. Il Romanticismo che risorge nell’era di Internet”. Ecco io credo che quello di Daniele sia l’approccio giusto, un approccio che non indugia sul rimpianto, sulla nostalgia, che pure talvolta ci sono, ma parte da lì per pre-disporsi, per accogliere, per cercare di vivere quanto più possibile tutto quanto  di bello c’è da vivere qui ed ora. Ogni qual volta si può perché non sempre si può.
Cosa ne pensate?

Serendipity. From Secondigliano to Tokyo

Posso dire prima di tutto un grazie di cuore a Antonio Gravina e a tutto il team Bespoke? Fatto! E poi posso aggiungere che secondo me sarà una bella festa?
Ci sarà Enakapata, of course, ad un anno dall’uscita modello groviera nelle librerie di tutta Italia.
What’s uscita modello groviera?  Che la presenza di Enakapata nelle librerie registra un bel pò di buchi, perché in Italia se non scrivi per i 4-5 editori più grandi è dura davvero.
Dite che non ci dobbiamo scoraggiare? E chi si scoraggia. Le schiere degli amici che lo ordinano nelle librerie e online cresce sempre di più. Questo blog, lasciatemelo dire adesso che lui festeggia adesso il primo compleanno, diventa sempre più bello, ricco e partecipato. E poi … basta con le celebrazioni.
Ci sarà la musica dei Motor Sound in versione Ensamble, in pratica la formazione “storica” più tanti altri amici suonatori e musicisti (se scrivo solo musicisti Luca mi fa un cazziatone, voi non lo sapete ma l’understatement l’ha inventato lui).
E ci saranno anche un pò di chiacchiere serendipitose. Si si, tra me e Antonio, ma vedrete che troveremo il modo di coinvolgere anche voi.
Per ora è tutto. Anzi no. Il Serendipity Event è domenica 21 marzo 2010. Dalle 17.00 alle 24.00. Alla Bespoke academy. Galleria Umberto I, 50. Napoli. Adesso è davvero tutto. Per ora.

Piccole storie crescono | s2

enakapata3INCIPIT
Prima notte, una stanza di dodici metri quadrati, freddo, jet lag.

S2-1 | Adriano Parracciani

Per capire bene il mio disagio dovreste avermi visto di persona o aver sentito come mi descrisse un amico: “é un napoletano alto quanto quattro nani della favola a cavacecio”.
Esatto, sono proprio così. Questa storia dei nani e della favola mi fa tornare in mente una scena del film Totò Fabrizi e i giovani d’oggi, quando Fabrizi porta Totò, futuro consuocero, a visitare la casa che ha acquisato, con tanti sacrifici, per i futuri sposi. La casa è così piccola che Totò non risparmia la battuta sarcastica:
“E Biancaneve dove la mettiamo? Si perchè i sette nani possono trovare una sistemazione adeguata, ma Biancaneve lei l’avra vista un pezzo di ragazzona, dico, come…”
Ecco io mi sento come Biancaneve: dico, come ci dormo qui dentro?

S2- 2 | Deborah Capasso de Angelis
Mi sento come alienato. Armeggio con i telecomandi per cercare tra i canali satellitari una lingua familiare. Una musica orientale mi prende, ragazze ballano la danza del ventre. Mi spoglio e, ancheggiando, decido che è meglio fare una doccia.

S2-3 | Lucia Rosas
Ricordo un cartone animato in cui un robot dormiva nel ripostiglio di un grande appartamento. Scontro prima la poltrona poi la scrivania e mi chiedo se un ascensore non sarebbe un posto più comodo. Non posso farcela.

S2-4 | Carmela Talamo

Rieccomi qui. Rieccomi dall’altra parte del mondo. Rieccoci padre e figlio insieme, come in Australia. Ma questa volta è diversa, questa volta lavoro, impegno. Mi si stringe lo stomaco e perso a cosa possa spingere un uomo sano di mente a imbarcarsi in un’avventura simile, e penso che proprio il fatto di essere sano di mente ti spinge a porti dei limiti e poi a superarli. E penso che sono contento di questo passaggio sulla terra da essere umano, e penso che adesso devo dormire sennò domani più che un essere umano sulla terra sembrerò uno zombi “riesumato” dalla terra.

S2-5 | Daniele Riva
Il viaggio interstellare è stato molto più difficile di quello che avevo pensato. Ma, ora che la luce blu di guerra illumina la base militare antaresiana, tutte le mie sofferenze svaniscono e anche questa squallida cameretta dove tento di riposare diventa confortevole quasi quanto il mio alloggio al circolo ufficiali delle Forze di Pace Intergalattiche. Anche se non dispero di venirne a capo, la missione, qui su Antares, è molto complicata.

S2-6 | Vincenzo Moretti

Brava, brava, brava. Se potesse La Musa se lo ripeterebbe mille volte. Adesso sarà dura negare la superiorità degli Applet. La prova era lì, in quella stanza di 12 metri quadri, in quei 16 umani pronti a tutto. Da una parte Felicia, Adriano, Anna, Carmela, Cinzia, Maria Maddalena, Sabato, Viviana. Dall’altra Daniele, Deborah, Dora, Maria, Paola, Stefania, Tina, Vincenzo. Lei, l’applet più giovane creata dai Soft Machine, in mezzo. La posta in gioco? Il ritorno nel real world. Come si vince? Eliminando tutti gli avversari, of course. Niente armi. Soltanto perfidia. E inganno. Per degli umani non dovrebbe essere difficile.

S2-7 | Dora Amendola

Il fuso orario mi ha decisamente stordito, credo che mi ci vorranno un paio di giorni per riprendermi del tutto!…già, ma per riconnettermi con il mondo dovrei dormire, e mi sa che in questo buco di stanza sarà un po’ difficile, soprattutto considerando che il futon ha le dimensioni della cuccia di Cocco Bil, il mio adorato chiwawa. Ma mentre già pregusto una “splendida” notte in bianco, Luca sembra un grillo, non sta fermo un istante…

S2-8 | Paola Bonomi

Ne approfitto per fare buio dentro di me: con movimenti precisi e sinuosi decido di lasciare quest’utero partenopeo e rinascere. Domani, riposato dalla spossatezza di questo parto, muoverò i primi passi in un mondo nuovo. Allargherò i miei pori per recepire quello che mi verrà offerto, quello che saprò andare a cercare. E prendendomi forte per mano, crescerò. Ancora.

s2-9 | Maria Paraggio
Domani, si ma bisogna arrivare a domani. Questa notte sarà interminabile. Il letto è così stretto e corto che , se mi rannicchio, rischio di cadere, se stendo le gambe, i piedi escono fuori dalla sponda. Ma chi me l’ha fatto fare. Poi mi metto buono e buono e dico a me stesso ” Chi va per questo mare, questi pesci prende” e rassegnato, lascio che il sonno abbia la meglio sul mio disagio.

Piccole Storie Crescono | s1-7

INCIPIT
Visita al Ueno koen, uno dei parchi più antichi di Tokyo, inaugurato nel 1873, pochi anni dopo che la restaurazione dell’Imperatore Meiji mettesse fine al dominio politico e militare dello shogunato Tokugawa, dinastia di signori feudali che dal 1603 al 1868 governarono il Giappone.

Storia 7
2. Bruno Patrì

Il quartiere più vicino all’albergo era quello di Ueno. Il suo grande parco ci appariva come incantato sotto il caldo sole estivo. L’umidità saliva e avvolgeva, trasformava la vista degli alti toori. Ecco il primo tempio, dal classico colore rosso acceso.
Saliamo le ampie scale e giunti all’ingresso veniamo accolti da un anziano giapponese che in uno stentato inglese inizia un lungo monologo.
Diamo cenno di gradire il suo intervento, inchiniamo il capo più volte in segno di ringraziamento…… ma lui imperterrito continua con la sua cantilena sbiascicata.
Riusciamo a “fuggire” ……. e continuiamo a visitare il resto del parco. Attraversiamo ampi “corridoi” tra i curatissimi alberi, passiamo sotto agli splendidi toori e giungiamo ad un altro piccolo tempio contornato da antiche strutture incastonate nella vegetazione del parco.

3. Daniele Riva

Lì, con uno dei miei piedi misura extralarge colpisco inavvertitamente una pietra circolare, che rotola di lato e va a colpire con un toc sordo qualcosa in un cespuglio fiorito. È una borsa! E l’anziano giapponese aveva ripetuto spesso nel suo discorso sconclusionato la parola “bag”. Vuoi vedere che?
La curiosità è tanta. Che fare? Aprirla? Chiamare una guardia? Certo, poi quella non spiaccica una parola di inglese e finisce che passiamo la notte al commissariato, come Totò e Peppino…

4. La Musa
“Dopotutto”, mi dico, “è assoluamente lecito aprire una borsa rinvenuta fra i cespugli” del resto se nn l’aprissi nn potrei mai sapere a chi sia appartenuta. mi accingo a farlo, ma qualcosa mi frena e mi colpisce; la foggia della borsa è inusuale e anche il pellame di cui è fatta. sembra proprio una vecchia borsa da medico condotto. cerco l’anziano giapponese, ho bisogno della sua approvazione anche solo fatta di sguardi, ma davanti a me soltanto la distesa dei ciliegi odorosi e di lui nemmeno l’ombra. la borsa è lì, ai miei piedi, un velo spesso di polvere antica ne nasconde la finezza della fattura, la cerniera in metallo sembra ossidata. prendo ancora qualche minuto per decidere, in fondo sono ospite di una nazione molto lontana dal mio modo così occidentale di pensare, nn vorrei trovarmi nei guai…

5. Vincenzo Moretti
Va bé, alla fine se sto qua tutta la notte a pensarci diventa come trascorrere la notte al commissariato. Io la apro. No. Si. Dentro tre monete antiche. Con il buco in mezzo. Uguali uguali a quelle usate al posto degli steli di foglie per interorgare l’I-Ching, il più antico testo di saggezza cinese. No, non sono uguali uguali. Sono proprio loro.

6. La Musa
Ora che ho aperto, davanti a quelle monete antiche mi risuonano alla mente le lezioni del prof. di storia del liceo: un gruppo di transfughi cinesi riparati in giappone portarono con loro alcune cose indispensabili per nn morire di nostalgia: i bonsai, i bamboo e le monete divinatorie de I-Ching. “che meraviglia!” penso fra me e me, “a chi saranno appartenute queste preziose monete e come mai nella borsa da medico nascosta fra i cespugli di acero?” intanto, con le monete fra le mani, vado pulendole per guardarle meglio. il rame così sfregato a poco a poco mi rimanda i suoi rossi bagliori. ecco, ora le vedo bene, due sono sul lato “testa” – lo yang – e una sul lato “croce” – lo yin.

7. Deborah Capasso de Angelis
Morte e vita, ombra e luce, giorno e notte, perfetto equilibrio, interdipendenza, maschio e femmina, destra e sinistra…simboli antichi di una saggia cultura.
Sono inquieto, che faccio? Chiedo consiglio a Luca.
Fa un’espressione da “scugnizzo”. – Papà, comme se dice, ogni lasciata è persa! Piglia ‘a borsa e fuimmo!!! Po’ c’e pensamme!!! -.
Seguo all’istante il suo consiglio!

8. Daniele Riva
Rientrati in albergo, ci attacchiamo a Internet (Luca si attacca a Internet, io lo guardo da dietro le spalle, cosa che lo fa incavolare abbastanza) e troviamo un po’ di informazioni sull’I-Ching. C’è anche un sito che fa le divinazioni. Per gioco inseriamo la frase “Che cosa significano queste monete nella borsa?” e ci risponde: “Cielo e terra si incontrano: la pace”.

9. Adriano Parracciani
E’ una prima risposta. Ma adesso dobbiamo sapere di più su queste monete tonde con un foro quadrato al centro. La ricerca su internet si fa difficlle; non abbiamo idea di come orientarci in questo mondo sconosciuto ed immenso della numismatica. La depressione ci sta raggiungendo quando improvvisamente dal mio hard disk cerebrale spunta fuori il ricordo che serve. – Ma certo, – dico a luca – Alberto! Ti ricordi che è un appassionato di monete? Forse ci può aiutare –  Luca scatta delle foto con il suo iPhone e mandiamo tutto per email all’amico di Roma con la speranza che possa dirci qualcosa di più. Dopo un’ora arriva la risposta – Non m’intendo molto di monetazione cinese ma qualcosa posso dirvi. Innazitutto il foro quadrato centrale, che serviva per agevolare il trasporto infilandole in un laccio,  rappresenta la Terra avvolta dal Cielo del cerchio. Secondo il mio catalogo Krause le vostre monete sono dei Cash della dinastia Song più o meno databili intorno al 1200. Adesso non
vorrei illudervi ma se ho azzeccato l’identificazione siete incappati in  monete qualificate come R5 ossia rarissime, battute in soli tre, dico tre, esemplari !!! Quotazione?? 150.000$ l’una !!!

10. Deborah Capasso de Angelis

Alla faccia del bicarbonato di sodio!!! In casi come questo Totò è d’obbligo!
Continuiamo a fissare la cifra sul monitor ed io ho bisogno di sedermi.
– Papà, ma tu hai realizzato? Ti rendi conto di quello che abbiamo per le mani?-
– Si, Luca. Ma adesso dobbiamo restare calmi e pensare a cosa fare -.
L’anziano signore! Cerco di ricordare le sue parole….bag, peace, danger, end, earth wind and fire…mannaggia a me e l’inglese!

11. Maria Paraggio
Ancora incredulo e adirato con me stesso per non ricordare esattamente le parole, decido che per il momento è meglio pensare ad altro. Se son rose fioriranno! E’ meglio dormirci sopra e non perdere di vista il vero motivo del nostro viaggio in Giappone. Luca conviene con me che è ora di andare a letto. Ci siamo appena coricati, quando sentiamo strani rumori venire dalla porta d’ingresso.

12. Carmela Talamo
Ci alziamo e facciamo una “capatina” fuori dalla porta: turisti, non giapponesi  of course! Mannaggia! Di dormire non se ne parla. Troppa adrenalina, troppe emozioini, troppo di tutto. Ritorno a pensare inevitabilmente alle “nostre” (nostre?) monete, a cosa ci potremmo fare. Ai miei @mici di face, finalmente potrei realizzare il sogno di riunire la big band, stringere le mani di chi ancora non conosco, frugare tra i loro sguardi, respirare le loro emozioni. Ma mi tornano in mente anche gli articoli e le opinioni intrecciate con loro su rispetto, legalità, regole “E allora”, mi chiedo “forse che ciascuno è onesto solo fino a che non si presenta l’occasione?”… “Pa’”  mi interrompre Luca quasi a leggermi nel pensiero”. “Hai deciso?” “Si”… Ci rivestiamo e ci incamminiamo insieme verso la più vicina stazione di polizia.

13. La Musa
Avevo letto qualcosa sulla polizia giapponese: nè particolarmente preparata, nè particolarmente severa, ma una cosa è certa, si avvale di strumenti normativi e mezzi tecnici molto efficienti e chi è ritenuto colpevole paga, e paga severamente fino all’ultimo giorno di carcere duro. “non abbiamo nulla da temere”, mi dico, siamo degli onesti cittadini e come tali ci tratteranno. Il portiere dell’albergo ci indica il più vicino commissariato di polizia che è a due isolati dal nostro albergo, siamo nel grande quariere di Shibuya, sì proprio dove c’è la statua di Hachikō. L’edificio è a due piani, pulito e ordinato come tutto in giappone. Luca spiega brevemente a un agente, nel suo impeccabile inglese, il nostro problema. Questi annuisce e ci indirizza verso una porta in fondo al luminoso corridoio. sulla porta una targa: lost and found. Bussiamo.

14. Adriano Parracciani

Luca inzia a spiegare in giapponese la situazione ma, fortunatamente per me, l’agente lo invita ad usare l’inglese.
– Abbiamo trovato questa valigia nel parco – spiega Luca
L’agente prende la borsa, la osserva e poi la apre. Guarda all’interno con attenzione, infila la mano ma la ritrae stranamente vuota
– Non c’era nulla all’interno?
– Non so dirle, signore – risponde Luca da navigato attore – noi non l’abbiamo proprio aperta
Lo guardo cercando di dissimulare lo stupore mentre sento che sta per venirmi un infarto.

15. La Musa
Ho tirato su un novello Laurence Olivier, altro che ricercatore esperto nipponico! Sorrido, Luca nn finirà mai di stupirmi e intanto penso che quelle tre piccole monete stiano ballando allegramente nella tasca dei suoi pantaloni. Ma sì, dopotutto le cose sono di chi le trova, chi le perde è evidente, non meritava di averle – filosofia nippopartenopea – Usciamo dal commissariato senza scambiarci una parola, la nostra intesa d’intenti va ben oltre. Shibuya è un brulicare di gente, l’aria è fresca e il profumo dei ciliegi in fiore sarà il bouquet che ci accompagnerà per tutta la nostra permanenza a Tokyo. Passiamo sulla piazzetta davanti alla statua di Hachikō, il cane di bronzo, col suo sguardo fiero sembra darci la sua approvazione. Dopotutto i ragazzi meno fortunati di Secondigliano, di Scampia, di Barra, di Ponticelli, hanno bisogno di tutto e quelle monete potranno coprire una parte dei loro desideri, dei loro bisogni. Ci guardiamo io e Luca, il Giappone è davvero la terra dei miracoli.

16. Vincenzo Moretti

Miracoli. San Gennaro. Giuro che lo sto solo pensando. Luca mi guarda e mi fa: “Voglio pigliare tutta ‘a gente di Forcella, della Sanità e del Pallonetto e la voglio trasferire sopra al Vomero, al sole don Vincé, che nei bassi non ci batte mai. Un grande quartiere residenziale per i poveri, pulito comme ‘a Svizzera. Tutta gente onesta, che paga puntualmente, e chi non paga lo caccio via”. Comincio a ridere come un pazzo. Lui mi segue a ruota. Ebbene sì. Nel ruolo di Dudù e don Vincenzo in Operazione San Gennaro ci stiamo a pennello.

17. Deborah Capasso de Angelis
– Moretti san!-. La voce ci giunge quasi ovattata, io e Luca ci giriamo di scatto, impallidendo.
Stavolta San Gennaro lo invoco disperato! Sono quasi sicuro che sono i poliziotti venuti a reclamare le monete ma in giro non ci sono agenti.
– Moretti san! – stavolta la voce è più vicina e Luca si dirige verso la statua di Hachikō. Con gran stupore si trova davanti l’anziano signore incontrato nel parco di Ueno qualche giorno prima. Raggiungo Luca e, dopo una serie di veloci inchini, l’anziano inizia a parlare: – I’m your light. Now you’ve the keys. The young teachs, the old thinks….now you can -. Il tempo di guardarci con aria interrogativa nel tentativo di comprendere l’ermetico messaggio e l’anziano…..

18. Maria Paraggio

Una cosa però era chiara. Il vecchio ci aveva visti “trafugare” la borsa ed era anche a conoscenza del suo contenuto. Oggetti antichi, giovane insegnante, senz’altro faceva riferimento a Luca e alle monete antiche.

19. Daniele Riva
– “Salvatore, ma che stai facendo? Sono  ore che giochi a ‘stu videogghéim”
– “Nenti, pa’ mi ha presu. Ce stanno du’ napulitani che devono risolvere un enigma co’ tre monete. Sto quasi per passà al prossimo livello”.
– “Salvato’, t’ho detto tante volte che prima devi studià. Vai, vai a studiare di là”.
(Salvatore esce sbuffando, il padre si siede davanti alla consolle)
“Munete, ecche so’ ste munete bucate?”

Piccole Storie Crescono | s1-1

INCIPIT
Visita al Ueno koen, uno dei parchi più antichi di Tokyo, inaugurato nel 1873, pochi anni dopo che la restaurazione dell’Imperatore Meiji mettesse fine al dominio politico e militare dello shogunato Tokugawa, dinastia di signori feudali che dal 1603 al 1868 governarono il Giappone.

STORIA 1
2. Deborah Capasso de Angelis

Entriamo nel tempio di Benten-do sull’isoletta al centro del lago. Luca respira profondamente, quasi volesse farsi penetrare dal delicato odore dei fiori. Io lo guardo e lo riscopro, un uomo che tocca con mano quello che finora aveva sognato. Sorride e chiude gli occhi, è felice.

3. Lucia Rosas
Come Saigo Takamori: con l’aria fiera di chi guarda al domani e io nel ruolo del cane fedele mi chiedo cosa accadrà. Non mi stupirei se per cena proponesse di indossare il kimono. Troppe sensazioni a pelle.

4. Anna Aquilone
Ogni volta che visito un paese straniero è la stessa storia,insieme alla gioia della nuova esperienza si accompagna una stana malinconia, un formicolio nello stomaco, simile all’innamoramento. Gli odori , i sapori e i colori che sto metabolizzando lentamente, diventano  parte di me ,fino a quando, improvvisamente riconosco luoghi e situazioni…  . Li chiamano déja-vu !

5. Sabato Aliberti
Luca mi spiega che il tempio di Benten-do è dedicato alla patrona degli innamorati, della ricchezza e delle arti. Mi viene in mente la nostra festa di S.Valentino. Il contrasto tra spiritualità e matrialismo.

6. Dora Amendola
Ma l’atmosfera quasi mistica, che nello splendido luogo aleggiava leggera e che dolcemente aveva rapito Luca e me, all’improvviso fu rotta dall’insistente e quanto mai inopportuno squillo del telefonino. Acciderbolina! Avevo dimenticato di spegnere l’infernale aggeggio! “Papà, ma fai sempre questo!” tuonò Luca con uno sguardo di benevolo biasimo.

7. Lucia Rosas

Stavo replicando che omaggiavo questa terra usando un loro prodotto di punta quando lo sguardo di pietra di un signore anziano mi ricordò che eravamo lì per il piacere della compagnia e spegnerlo non mi avrebbe fatto male.

8. Stefania Bertelli
Prima di spegnerlo, però, non rinunciai a darci una sbirciatina. Diamine, avrebbe potuto telefonare chiunque: qualche parente che stava male, un amico che non sentivo da tempo, qualcuno che mi offriva un lavoro nuovo e interessante. Non potevo certo, in nome della spiritualità, rinunciare, a cuor leggero, a quella che sarebbe potuta essere la chiamata più importante della mia vita!

9. Lucia Rosas
La curiosità uccise il gatto. e lo fece anche stavolta. Era dall’Italia e non era in memoria. Ormai la chiamata era persa  e la mia fantasia galoppava, chi aveva avuto quel numero? Sapeva che stavo dall’altra parte del mondo? Deciso, avrei richiamato in albergo, uno strano brivido lungo la schiena mi diceva di farlo.

10. La Musa
Il tempo di una doccia veloce, mettermi comodo ed eccomi pronto; compongo il numero e resto in paziente attesa, che ore sono? qui in Giappone sono le 11.55 p.m. in italia siamo intorno alle 8 di mattina, “menomale” mi dico, è un’orario decente per chiamare. dopo una lunghissima attesa di tuuuuu tu tuuuuuuuu, la voce metallica del disco mi dice che il numero nn è raggiungibile. e vabbuò, sono stanco e nn insisto, una buona salutare dormita mi rinfrancherà dalle fatiche e le emozioni della giornata appena conclusa. chiamerò appena mi sveglio, orario permettendo.

11. Carmela Talamo
Storia 1.11 Infatti, alle 2.30 (ora locale) il trillo del cellulare mi catapulta letteralmente giù dal letto. A malapena riesco a farfugliare un pronto che se lo avessi pronunciato in giapponese sarebbe stato più comprensibile. Dall’altro capo del mondo mi arriva uno “Ciao Vincè” fresco e pimpante “Volevo essere sicuro di non disturbare e ho chiamato prima di pranzo” Ma chist chi è?

12. Lucia Rosas
Una cosa è certa: non è una delle mie solite frequentazioni. Cerco di ascoltare il suone della voce, l’inflessione ma non mi sovviene niente. Oddio panico! Fa che non sia una rimpatriata scolastica, ho fatto una fatica immane a ritagliare questa vacanza. Ma così non ascolto cosa dice.

13. Viviana Graniero
… ma una frase mi riporta alla realtà ” Vince’ ma che hai combinato”… ma sì, adesso lo so, questa voce la conosco! e finalmente ascolto quello che mi si dice dall’altra parte “Vincé, sono Salvatore… ma che hai combinato???? e dove stai???? è venuta a cercarti la polizia!”

14. Carmela Talamo

“Vincè ma mi senti? Mi pare che stai dormendo”. Ancora Salva… Gaetano!! D’un tratto la faccia di mio fratello si materializza davanti ai miei occhi. “Gaetà ma lo sai che ore sono?” “Sarà ‘a mezza, ma perchè stai mangiando?” “Gaetà sono le 2,30” “Allora ‘e mangiato già?” “Di notte Gaetà. Sto A Tokyo” “Tokyo? ma non era il mese prossimo? WOW! e mò che fai?” “Dormo Gaetà, dormo, con il permesso tuo e di Salvatore”.

15. Adriano Parracciani
Ma come? Vai in Giappone e dormi? Io nun dormisse mai. Vabbuo’, comunque ti ha cercato la polizia, dice che c’è un problema con il tuo passaporto e che non puoi espatriare. Oh, ma mo comme faje se sei già espatriato?

Piccole storie crescono | Numero Zero

Incipit
Scrivo a Piero per dirgli dell’idea di portare con me, naturalmente a mie spese e trovandogli una sistemazione autonoma, mio figlio Luca, che ha 25 anni, studia lingua e cultura giapponese e ogni tanto cucina anche giapponese.

Storia 1
2. Deborah Capasso de Angelis

Aspetto con ansia la risposta sperando che mi dica di non preoccuparmi per Luca. Sarà anche lui un gradito ospite!

3. Daniele Riva
In fondo i giapponesi sono noti per la loro maniacale precisione, per l’accanita ostinazione nell’osservare le regole e per la loro squisita ospitalità. Piero non dovrebbe avere difficoltà a convincerli.

4, Vincenzo Moretti
Purtroppo mi sbagliavo. Naturalmente non su Piero e neanche sull’ospitalità giapponese. E’ che ragioni di forza maggiore impongono di annullare ogni viaggio verso il Giappone. La delusione è tanta. Propongo a Luca di tornare a Sydney. Non me lo fa dire due volte.

5. Viviana Graniero
Tutto sommato, dice Luca, un nuovo viaggio avventuroso non è poi una cattiva idea e c’è sempre tempo per il lontano Oriente…
Surf, natura salvaggia e la grande città… ma sì, partiamo!

6. Anna Aquilone
Partiamo?  Ma quanto tempo ci vuole per arrivare dall’altra parte del modo ? Non voglio nemmeno pensarci…anzi …ci penso proprio, tutto quel tempo senza cellulare che squilla, solo con i miei pensieri e con…quanti libri riuscirò a leggermi durante il volo ?! Un sorriso si allarga sulla mia faccia. Partiamo !

7. Dora Amendola
In realtà Luca è un patito del mare e della tintarella e visto che in questo periodo in Australia è estate, il ritorno a Sidney non gli è per nulla dispiaciuto. Certo il Giappone ha il suo fascino, ma non importa perché sarà sicuramente la meta del nostro prossimo viaggio.

8. Viviana Graniero
Australia arriviamo! In aereo Luca mi elenca tutti i posti da vedere, tutto quello che assolutamente non possiamo perdere… mi ha comprato anche uno di quei costumi che sembrano pantaloni da rapper, non ho avuto il coraggio di dirgli che sarei stato più a mio agio persino con un costume alla tarzan che con uno di quei cosi… pazienza, mi adatterò anche a questo…

Storia 2
2. Stefania Bertelli

E’ la prima volta che facciamo un viaggio noi due, da soli. Sono un po’ preoccupato, perché non so come andrà, ma anche molto eccitato. Mio figlio è diventato un uomo e quasi non me ne sono accorto: le sue competenze rappresentano per me una sfida. Il suo amore per la cultura giapponese mi aiuterà a conoscere meglio quel paese.

3. Vincenzo Moretti
Adesso che non si può, cosa darei per fare un viaggio da solo con mio padre. Certo che è strana la vita, al tempo avrei inventato chissà quali scuse per evitarlo. Era testone, prepotente, voleva avere sempre ragione lui. Proprio così, era un uomo straordinario.

4. Daniele Riva
Chissà cosa avrebbe pensato di questi grattacieli, della monorotaia veloce, della monnezza che vengono a prendere a casa. Avrebbe borbottato qualcosa del tipo “Chisto è tutto n’atu munno! Però Napule tene ‘o sole!”

5. Cinzia Massa
Ah, papà. Grande filosofo della quotidianità. Mi assale un moto di tristezza interrotto quasi bruscamente da Luca che mi dice: “senti pà con il gruppo stiamo pensando ad un concerto di inizio primavera…” “oddio – penso – non gli ho ancora detto nulla del Giappone!”

6. Tina De Simone
Un concerto??? questa primavera??? No, devo parlargli subito, non posso più rimandare… deve sapere!! Omai è un uomo, il bambino capriccioso che era da piccolo è cresciuto. Gli dirò della visita e della brutta notizia che mi ha dato il medico. Questo viaggio con lui è troppo importante ora!

7. Vincenzo Moretti
Per essere brutta, la notizia è brutta. Però come tutte le volte in cui non puoi farci più niente, è inutile stare a piangerci sopra. E poi quante volte i medici si sono sbagliati. Ho cambiato idea, a Luca non dico nulla, deve decidere se venire con me senza condizionamenti.

Storia 3

2. Cinzia Massa

Bhè, diciamola tutta, per Luca sarebbe una gran bella esperienza, per me, che sono negato a fare cose pratiche e parlo poco l’inglese, una grande compagnia.

3. Viviana Graniero
Ci divideremo le valigie: i miei maglioni misti alla sue T-shirt, i suoi cd misti ai miei… i nostri libri… quegli stessi che ho letto io e che ora ritrovo sul suo comodino e mi danno uno strano senso di malinconia e insieme di orgoglio.

4. Vincenzo Moretti
Assurdo. Luca mi ha detto che lo hanno preso a lavorare alla Feltrinelli. Lo so che il lavoro è importante, ma adesso io come faccio? Rimandare non posso. Andare da solo non mi va. Mi sa che intanto me ne vado a Procida da Salvatore. Sono il luogo e la persona ideale per rilassarsi e pensare.

5. Viviana Graniero
E mentre scelgo qualche libro da portare con me a Procida mi arriva una mail… “Ehi, ma per quel caffé poi???? bacio, Carla.”
Ecco giusto lei ci mancava ad incasinare la mia vita… che faccio, parto o resto?

6. Maria Maddalena Fea
Detesto dover scegliere, quando entrambe le situazioni mi interessano.
Sono ancora arrabbiato con Carla, ma leggendo la sua mail ho avvertito le farfalle nello stomaco, è una sensazione che mi piace nonostante tutti i problemi che comporta…e ne comporta sempre tanti avere a che fare con lei…

7. Viviana Graniero
E’ una persona particolare e il mio buon senso mi dice di starle alla larga, ma poi la guardo sorridere e si apre un mondo… ha quel sorriso infantile, che ti strega e ti fa abbassare le difese… ma sì… infondo si tratta solo di un caffé, che male c’è?

8. Maria Maddalena Fea
Prima però telefono a Salvatore e gli confermo che domani nel primo pomeriggio sarò da lui, così mi metto al riparo  da un eventuale colpo di testa nel caso in cui il sorriso di Carla stasera fosse più ammaliante del solito…e poi le scrivo proponendole un aperitivo al solito posto, quello dove abbiamo litigato l’ultima volta…ripartire da lì per ricostruire una parvenza di rapporto mi pare una scelta sensata…
La sua risposta arriva immediata “non posso aspettare fino a stasera. Mi stanno succedendo cose strane, devo vederti SUBITO”

9. Stefania Bertelli
Le avventure di Carla non rappresentano per me una novità. Quando la conobbi, era la persona più incasinata del mondo. Non sapeva decidersi tra due lavori e neppure tra due fidanzati. In quel marasma mi ero infilato io. Forse mi piaceva proprio per quello: nessuna certezza, nessuna stabilità, nessun impegno (da parte mia).

10. Maria Maddalena Fea
La giornata trascorre veloce. Preparo la valigia e mi rilasso nel silenzio di questa casa che ha il potere di rigenerarmi, tra un disco di Coltrane e un paio di caffè con inevitabile sigaretta. Puntualmente alle sette mi trovo all’appuntamento, preparato a non indispormi per il classico quarto d’ora di ritardo che senz’altro, come al solito, avrà Carla. E invece no. Me la trovo davanti appena varco la soglia del bar. Mi fermo interdetto a guardarla, seduta ad un tavolino in fondo alla sala. Avvicinandomi mi rendo conto che qualcosa non va veramente, in lei.

11. Tina De Simone
“Carla” le dico quasi bisbigliando. La luce nei suoi occhi è fioca e nel sorriso accennato non c’è spensieratezza infantile, ma una tristezza raggelante!!!
“Siediti” mi dice ed io paralizzato da tanta serietà, sto su quella scomoda sedia.

12. Viviana Graniero
“Sono Incinta” mi dice seria, buttando rapidamente giù un intero bicchiere d’acqua, “me l’ha confermato il medico qualche ora fa…”

13. Adriano Parracciani
Cavolo, non so cosa dire in queste situazioni. Non ho mai la casella pronta per la situazione giusta, come diceva il grande Giorgio Gaber in una delle sue canzoni. Provo a buttarla sul gioioso – ma è una notizia fantastica – le dico impostando il miglior sorriso del mio armamentario – E cosa ci sarebbe di fantastico, scusa? – replica lei secca – Ma come? Stai per diventare mamma, non lo trovi fantastico? – Mi guarda dritto negli occhi ed intuisco che sta per dirmi qualcosa di eccezionale – Bene, allora troverai sicuramente fantastico che tu stia per diventare nonno ! –

14. Cinzia Massa
Nonno?!! Trasecolo, sbando, mi si accappona la pelle. Carla è li che mi guarda. La guardo. E’ bella, allegra, coinvolgente, è giovane. Si è vero ho sempre pensato che prima o poi tutto sarebbe finito. Del resto non ha nemmeno trent’ anni, ed io ……Ma Luca no!!!! Con mio figlio no!!

15. Maria Paraggio
Che stupido che sono stato! Come ho fatto a non accorgermi di niente! Penso tra me. Mi sento un cretino. Non so cosa rispondere. Mi sento doppiamente tradito. Mi alzo, le tendo la mano salutandola e le dico ” Vi auguro di essere felici e buoni genitori”. Devo uscire in fretta, ho bisogno di aria.

16. Maria Maddelena Fea
Ripenso affannosamente ai colloqui con Luca avuti ultimamente. E’ vero, mi aveva accennato ad una nuova presenza femminile nella sua vita, ma non ci avevo fatto molto caso, lui è così, si infiamma facilmente e la settimana dopo con nonchalance mi comunica che no, era un falso allarme, già tutto finito, la prossima sarà di sicuro quella giusta e avanti così…

17. Felicia Moscato
Volevo andare da Salvatore per rilassarmi e pensare ma credo che Procida non sia più la soluzione giusta. In questo momento ho più confusione in testa io che quella che generò il Big Bang. Devo fermarmi un attimo, ripensare al mio obiettivo e fare delle scelte. Deciso: metterò in atto un veloce processo decisionale per arrivare alla scelta meno sbagliata. Parto con Riccardo o rinuncio a Tokyo?

Storia 4
2. Cinzia Massa

Bhè, diciamola tutta, per Luca sarebbe una gran bella esperienza, per me, che sono negato a fare cose pratiche e parlo poco l’inglese, una grande compagnia.

3. Maria Paraggio
Magari Piero mi prenderà in giro , ricordando il film ” In viaggio con papà”. L’abbiamo visto insieme, nel 1982. Eravamo giovani e pieni di sogni, progetti, ambizioni proprio come il mio Luca. Sognavamo l’America, grandi città, successo e soldi. Chi l’avrebbe mai detto che la sorte ci avrebbe diviso e destinati a luoghi così distanti geograficamente e culturalmente!

4. Deborah Capasso de Angelis
Chissà che impressione faremo ai giapponesi! Due “giganti buoni”! Magari ci ripenso, lascio a casa Luca e chiedo ad Adriano di accompagnarmi!

5. Adriano Parracciani

E così vedrebbero un “gigante” ed un “genio”. Uhm, no; Adriano sarà pure geniale ma di lingua e cultura giapponese ne sa meno di un pastore sardo, con tutto il rispetto. Absolutely, meglio Luca, no doubt.

Storia 5
2. Cinzia Massa

Bhè, diciamola tutta, per Luca sarebbe una gran bella esperienza, per me, che sono negato a fare cose pratiche e parlo poco l’inglese, una grande compagnia.

3. Adriano Parracciani
Però, per dirla veramente tutta manca ancora qualcosa: che ho una gran voglia di fare questo viaggio con lui; padre e figlio soli per il mondo.

4. Maria Maddalena Fea
La risposta di Piero arriva il giorno dopo. Fisso sconcertato lo schermo e rileggo la mail più volte…ma come è possibile?!?

5. Carmela Talamo
Piero mi scrive che, conoscendomi, era sicuro che avrei voluto condividere questa avventura. Ha già organizzato tutto per due. Gli mancava solo di sapere il nome del mio accompagnatore.

Storia 6
2. Paola Bonomi

E Luca sarebbe un perfetto interprete, non tanto del mio “partenopeo english”, quanto di quella sciolta parlata con le mani e con il corpo, di quell’eccesso d’affettività verbale che potrebbe fare insorgere incomprensioni con i cari amici giapponesi. Già mi vedo e sorrido.

3. Daniele Riva
Che poi, magari, mi scappa un gesto – che so? di allargare le braccia in segno di rassegnazione – e quel gesto in Giappone vuol dire tutt’altra cosa. Anche perché, mi hanno detto, ci sono gesti per gli uomini e gesti per le donne. E se faccio quello da donna, che figura ci faccio? Luca potrebbe salvarmi.

4. Stefania Bertelli
Mi viene in mente, a questo proposito, che Luca ed io, una volta, abbiamo visto insieme un film, si chiamava “Lost in traslation”, proprio ambientato a Tokio, dove il protagonista faticava a mettersi in contatto con i giapponesi, quanto abbiamo riso! Mi ero identificato in quell’attore molto alto, di cui non ricordavo il nome, ” ma è Bill Murray, papà, quello di Ghostbusters”.

Storia 7
2. Carmela Talamo

Luca. All’improvviso la tenerezza dei ricordi si confonde con la speranza per il futuro. Lo rivedo tentennante che muove i primi passi e lo immagino sicuro che mi guida per la sconosciuta metropoli e…poff…è arrivata la mail di Piero.

3. Paola Bonomi

La risposta è positiva al punto che ha già pianificato il nostro viaggio. Quindi abbandono subito la nuvola dei ricordi che mi aveva assalito e cedo totalmente anima e corpo a nuove sensazioni: paura, eccitazione, curiosità. In una parola (anzi due): Giappone, arrivo!!!

4. Vincenzo Moretti
Ancora l’avviso di ricevimento mail. Ancora Piero. Mi dice che si è scordato di dirmi che dovrei fargli un favore: portare in Giappone il suo vecchio cane. Portare in Giappone un cane? Ma si può fare? Come si fa? E chi glielo dice a Luca?

5. Viviana Graniero

Ed eccomi il giorno dopo a girovagare su internet per cercare qualche informazione su come far viaggiare gli animali… e mentre spulcio, trovo questo stranissimo sito… un’illuminazione!

6. Maria Paraggio
Così scopro che per portare in Giappone un cane è necessario un controllo sanitario. Inoltre deve essere dotato di Microchip (discernimento di individuo), 2 vaccinazioni contro l’idrofobia, esame del sangue,180 giorni di quarantena in Italia, dichiarazione di importazione al Servizio Quarantena Animali giapponese entro 40 giorni prima dall’entrata in Giappone. Insomma, un dirottatore salirebbe su un aereo più facilmente di un cane!

7. Paola Bonomi
E poi parliamone di questa idea di cane: pesa poco più di due etti, se lo nascondo in una tasca della giacca scompare ed è di una marca che non riesco nemmeno a pronunciare…ciuaua  ci che?

8. Adriano Parracciani
Mentre mi affanno ansiosamente alla ricerca di una soluzione, arriva una nuova email di Piero, dalla quale scopro il suo l’animo burlone che ignoravo. Mi scrive che il suo “vecchio cane” è in realtà un quadro di uno sconosciuto pittore fiammingo, antico regalo di una sua ex a cui è tanto affezionato.

9. Tina De Simone
Ma quanto sarà grande questo quadro??? Come dovrò imballarlo?? Come lo imbarco sull’aereo? Dovrò mica portarlo su come bagaglio a mano??? entrerà dal portellone? Preferivo il cane …. il ciuaua almeno lo nascondevo in tasca!!!

Storia 8
2. La Musa

La risposta non si fa attendere, Piero ha dato il suo benestare. Me lo comunica via mail, una domenica mattina, il viaggio è prefissato per il mercoledì successivo; giusto il tempo di stivare due trolley e si parte. Napoli-Roma-Milano-Tokyo: 13 ore e spicci con voli diretti, Dio ci scampi da eventuali subbugli aeroportuali. Luca non sta nella pelle e io come lui. La terra degli Shōgun ci attende; mi torna alla mente Itto Ogami – al quale peraltro assomiglio un po’ – e suo figlio Daigoro, un bel connubio di amore paterno/filiale e complicità.

3. Vincenzo Moretti
Tra pochi minuti comincieremo a sorvolare la Russia, Luca mi parla di quando siamo tornati dall’Australia mentre io sono alle prese con il tavolino che nn riesco a far uscire dal bracciolo.
Le parole sono rassicuranti, il tono di voce no. Luca che mi spiega che faremo uno scalo non previsto all’aeroporto di Mosca. Perché? Per quanto tempo? Ho una paura matta, ma faccio finta di niente.

4. La Musa
Attimi, frammenti di tempo che sembrano interminabili quando è la paura a farla da protagonista; respiro lungo, scrollo la testa per spostare ‘sti pensieri molesti, non voglio assolutamente trasmettere a mio figlio quest’ansia che mi sta pervadendo e ci riesco. L’aereo, fra un beccheggio e un altro, è entrato nei fasci di luce della pista d’atterraggio: Sheremetyevo Airport, voli internazionali. tutto sommato, assomiglia un pò all’aeroporto di Perth del viaggio australiano. la paura è scemata, Luca è sorridente; siamo consapevoli che ci attende una lunga fila per gli inflessibili rigidi controlli, finiti i quali ci indirizzeremo verso un albergo sulla Moskova, temperatura: -7°

Storia 9

2. Sabato Aliberti

Con la precisione che lo caratterizza, Piero mi risponde in giornata dicendomi che non ci sono problemi e che, anzi gli fa piacere. E poi è curioso di assaggiare una prelibatezza nippopartenopea.

3. Anna Aquilone
Sushi ? Saschimi ? Ma non lo sa Piero che anche noi campani siamo maestri con il pesce ? Avete presente quelle alicette crude marinate, che fanno , per esempio, a Capri ? Luca ifatti, sa preparare un piatto fatto proprio con alici marinate e…riso !

4. Viviana Graniero
Questa cosa deve averla ereditata dalla madre, la passione per la cucina… che poi è come la passione per i viaggi: è lo scoprire i sapori e gli odori, è il miscelare, l’integrare e poi assaggiare quello che non si conosce o che si conosce pure, ma che alla fine è sempre diverso.

5. Anna Aquilone
Si, voglio tentare di mischiarmi ai colori ed agli odori di questo paese,tentare, per il tempo che sarò qui,di assumere il loro punto di vista, di pensare all’orientale. Per prima cosa, sfidando le risate di Luca e Pietro, vado a comprarmi un bel kimono!

6. Carmela Talamo
Già, comprare un Kimono! Avete idea di quale sia l’altezza media di un giapponese? Posso solo dirvi che è molto, ma molto lontana dalla mia. Comunque non sarà certo qualche centimetro ad interrompere il mio processo di integrazione.

7. Viviana Graniero
E infatti quando rientro a casa col mio Kimono-minigonna, Luca mi prende in giro e ride come un matto… ma io non mi smuovo di un passo e ficco il mio nuovo acquisto in valigia. Ne sono ogoglioso e niente e nessuno mi farà cambiare idea.

8. Paola Bonomi
In kimono, calzini e mocassini, sarò protagonista e portavoce di una cultura occidentale curiosa di confrontarsi con il vasto mondo a Oriente.
Eh, sì! Proprio una grande occasione: crescere ancora.

Storia 10
2. Adriano Parracciani

La fissa del Giappone gli venne sin da piccolo, a forza di guardare quei bruttissimi cartoni animati manga. Non che avvessi un pregiudizio ideologico, ma francamente non riuscivo a vedere in Ken il Guerriero l’evoluzione di una Pantera Rosa o di Wile Coyote e Beep Beep.

3. Felicia Moscato
La stessa fissa continuò a maturare in lui quando per il suo 15°compleanno gli regalai un bel bonsai di acero rosso giapponese. Pensai che, data la sua passione per il Giappone, un bonsai poteva essere un’ottima sostituzione del classico”cucciolo da appartamento”.

Storia 11
2. Cinzia Massa

Bhè, diciamola tutta, per Luca sarebbe una gran bella esperienza, per me, che sono negato a fare cose pratiche e parlo poco l’inglese, una grande compagnia.

3. Adriano Parracciani
Però, per dirla veramente tutta manca ancora qualcosa: che ho una gran voglia di fare questo viaggio con lui; padre e figlio soli per il mondo.

4. Stefania Bertelli
Accidenti agli smemorati! Mi sono dimenticato di chiedere a Piero dove io sarò alloggiato; mi ero raccomandato di trovare un luogo, il più possibile familiare ed accogliente, vista la mia contrarietà verso gli alberghi modernissimi e anonimi . Invio perciò una seconda mail.

5. Tina De Simone
Ricevo il letto al mio scritto … la seconda mail è arrivata. Vediamo cosa risponde …
Ancora “Invia-ricevi” e arrivano le notizie da Piero:
Caro amico mio, visto che cercavi un posticino accogliente e poco moderno, ti ho trovato una camera presso una tradizionalissima famiglia giapponese, spero gradirai lo sforzo che ho fatto per te! Io invece starò in un’altra stanza, proprio in uno di quei modernissimi alberghi che tu odi, ma ci vedremo, stai tranquillo.

Storia 12
2. Paola Bonomi

E Luca sarebbe un perfetto interprete, non tanto del mio “partenopeo english”, quanto di quella sciolta parlata con le mani e con il corpo, di quell’eccesso d’affettività verbale che potrebbe fare insorgere incomprensioni con i cari amici giapponesi. Già mi vedo e sorrido.

3. Tina De Simone
Viene da ridere anche a me!!!
Siamo sicuri che Luca potrebbe davvero spiegare ai cari amici giapponesi come mai davanti a del pesce crudo, un uomo può brontolare tanto???
“ma chisto nun è magnà!!! … a chi o’ vulite dà!!
Il cameriere giapponese corre al tavolo a chiedere cosa c’è che non va …
Luca, imbarazzatissimo, scuote il capo a destra e sinistra nervosamente, continua a ripetere … 何もない (nulla … nulla) e si alza imbarazzatissimo … cerca con lo sguardo la cassa per poter pagare .. vuole solo allontanarsi!!!
Mi prende sotto il braccio e mi ritrovo all’uscita … con cinque giapponesi che mi fissano e mi ripetono: ARIGATO’ .. ARIGATO’!!!
Ed io: “Luca, addò vaie … chiste hanno capito che ie vulevo a PASTA!!!”

4. Vincenzo Moretti
Per carità. Se gli combino uno scherzo simile Luca sta una settimana senza parlarmi. Di Più. Se ne torna a Napoli. Ancora di più. Mi porta in un posto sperduto di Tokyo e mi lascia lì, sapendo che non sarei capace di tornare neanche in taxi. L’unica sarebbe la polizia, ma sai che figura. No no, su queste cose non si scherza.