Giampiero Assumma: ritratto di un fotografo

La fotografia è sempre un incontro con l’imprevisto. Quello che dà senso all’immagine che ti porti dentro. Che ti fa chiudere gli occhi. E scattare.
Giampiero Assumma è stato a lungo un ircocervo. Metà laureato e metà artista. Il lavoro di odontoiatra che gli permetteva di comprare rullini e attrezzature, viaggiare, conservare una certa indipendenza nella scelta di temi e soggetti. Tre anni fa la scelta. Alle spalle Napoli, la professione, la sicurezza economica, le vite parallele. Davanti a sé Parigi. E la fotografia.

La deindustrializzazione di Bagnoli, i viaggi della speranza a Lourdes, le feste religiose siciliane, il mondo dei bodybuilders, la caccia al pescespada, la condizione (dis)umana negli ospedali psichiatrici giudiziari italiani, le collaborazioni come fotografo di scena (per “Il regista di matrimoni” di Marco Bellocchio ha vinto il premio Cliciak Ciak d’oro – ritratto d’autore 2007) sono alcune tappe della sua ricerca intorno alle relazioni tra gli uomini e il territorio, la religione, la follia.

Se gli chiedi quando e perché è cominciato, ti risponde che il ricordo è sbiadito. Ti racconta della madre “costretta” a girare per casa tenendolo in braccio per fargli vedere e rivedere i quadri che amava. Della scomparsa prematura del padre. Dei tramonti di settembre. Del paesaggio che lentamente si rivestiva della nostalgia della perdita. Della ricerca di risposte per lui troppo grandi. Della voglia di fissare momenti di cui forse un giorno avrebbe colto il significato.
La fotografia – ti dice – permette di chiudere un cerchio magico, di recuperare un senso alle cose, di annullarsi nella scena che si presenta allo sguardo.

Se gli chiedi cosa lo ha portato da Napoli a Parigi ti risponde che considera Napoli e il Sud un luogo “visivamente” assai formativo. Che non c’è però chi organizza la fase di “postproduzione”. Che il lavoro artistico deve fare i conti con percorsi sempre troppo lunghi, tortuosi, devianti. Che in Italia la cultura non ha ancora il posto che merita.
Sarebbe stato sbagliato ritardare ancora – conclude -. Nel mondo là fuori ci sono tante cose che vale la pena raccontare.

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