Allora, prima che cominciate a malignare, è bene precisare che la “toccata” in questione è un modo per dire che ieri ho incontrato per la la prima volta “vivo live” Adriano Parracciani e oggi Deborah Capasso de Angelis. Ho stretto loro la mano, li ho guardati negli occhi, ho sentito le loro voci (per la verità con Adriano ci eravamo già parlati via Skype, ma comunque non è proprio del tutto la stessa cosa), abbiamo preso un caffé, abbiamo gesticolato, ci siamo detti che ci rivedremo. Sperando che abbiate finito di malignare, prima che cominciate a preoccuparvi pensando che io voglia riprendere la discussione sull’amicizia al tempo dei social network, rilassatevi, perché lo farò, ma la prossima settimana e su Nòva Review.
Perché allora vi sto raccontando tutto questo? Perché la “toccata” ha una versione secondiglianese, della Secondigliano dei miei 13-14 anni (il primo che dice che anno era lo fucilo). Avevamo la testa nel futuro (Kerouac, Ginsberg, Dylan, Genesis), i piedi nel presente (pregiudizi, maschilismo, omofobia e compagnia cantando) e una voglia senza fine di prenderci in giro, di sfotterci, di divertirci con quello che avevamo, cioé poco o nulla. E tra il poco o nulla c’era anche la “toccata”.
Di cosa si trattava? Presto detto. Di un tocco furtivo tra le natiche, meglio se eri piegato per prendere qualcosa che era stato fatto artatamente cadere per terra. Se al momento del tocco sobbalzavi, ti scansavi, saltellavi voleva dire che tenevi la “toccata”, nel senso che non eri un maschio a denominazione di origine controllata, avevi tendenze omosessuali.
Dite che è impossibile non sobbalzare se all’improvviso qualcuno ti mette una mano lì? Diciamo quasi, nel senso che era possibile se capivi il gioco per tempo e facevi finta di non essertene accorto.
Dite che non capite dove sta il divertimento? Mi dispiace, ma non ci posso fare niente. Vi assicuro però che quando si trovava il “soggetto” adatto ci si poteva passare in allegria una serata intera. Un poco più triste è il fatto che noi ci siamo fatti grandi e ce ne siamo andati. E troppi di quelli rimasti hanno cominciato, per scelta per necessità e per caso, a giocare con le pistole.
Grazie Paola.
e poi le chiamano amicizie virtuali….
quando si hanno affinità comuni non ci sono limiti che tengono…….
Paola Bonomi su Facebook, Domenica 7 Febbraio 2010
Ma che belle le parole di Deborah : “la cosa che mi piace di più in assoluto sono le persone.
E quando hai la fortuna incontrarne una come Vincenzo si rafforza la voglia di non chiuderti al mondo, di percorrere nuove strade, di vedere le cose da altre mille angolazioni.”
Condivido perchè mi fa bene al cuore. E alla testa.
Quando ho incontrato Vincenzo sapevo del suo hardware da “vecchio mainframe”, perchà l’avevo letto nel libro, a pagina 65. Si tratta di un hardware da primordi dell’informatica dove dominavano colossi di rame e silicio. Un dotazione che evidentemente è ereditaria visto che è adottata anche da Luca
L’appuntamento era a Piazza della Repubblica (per i romani ancora Piazza Esedra); appena arrivo con il mio hardware da 166 cm prendo a scansionare la piazza, e subito vedo dirigersi verso di me una torta pasqualina esageratamente lievitata, praticamente un babà di quasi 200 cm: è lui, il grande Vincenzo, un napoletano alto quanto quattro nani della favola a cavacecio*.
Vederci vicini penso sia uno spasso; lui un mainframe IBM S/370, io un Netbook. Tanto distanti dal punto di vista hardware quanto vicini per quanto riguarda il software installato. Che bella chiccherata analogica che ci siamo fatti…Ma torniano sul punto.
Vincenzo insiste sul tema dell’altezza e a pagina 74 di Enakapata scrive:
“Per fortuna che l’altezza è mezza bellezza, perchè io l’altra metà non l’ho mai conosciuta”
Ah si? L’altezza è mezza bellezza? E allora beccati questo rovesciamento narrativo:
“Sfortunatamente la bassezza è tutta bellezza ed io questa cosa l’ho sempre saputa”
Ma quanto ci divertiamo, caro Vincenzo.
Grazie a te ed al tuo Enakapata fonte di tanta insirazione anche goliardica 🙂
*in romancesco significa a cavalcioni sulle spalle
Ed io ho toccato Vincenzo e Cinzia.
Tornata a casa ho provato a raccontare il nostro incontro a mio marito ma mi sono accorta che gran parte della conversazione è rimansta chiusa nel mio spazio emozionale. Ho raccontato solo una piccola parte delle parole dette, il resto si è tramutato in sensazioni, in percezioni, in alchimia. Davanti ad un caffè abbiamo percorso storie di una pazzetto di vita vissuto nello stesso luogo in modo parellelo, senza mai incontrarci. Le parole fluivano ed i miei orizzonti di significato si ampliavano. Ci siamo conosciuti, ho detto cosa mi piace e cosa non preferisco ma ho omesso di dire che la cosa che mi piace di più in assoluto sono le persone.
E quando hai la fortuna incontrarne una come Vincenzo si rafforza la voglia di non chiuderti al mondo, di percorrere nuove strade, di vedere le cose da altre mille angolazioni.
Vincenzo rientra nella mia personalissima categoria di persone che “vedono la faccia della luna”, quelle più affini a me, quelle che non ti giudicano ma ti scoprono. E nel loro scoprirti permettono di conoscerti di più.
Ci siamo toccati, non fisicamente, ma a me il tocco è arrivato forte.
Sono stati bei momenti, ci siamo abbrcciati senza toccarci.