Si lo che ormai vi siete abituati ai miei ti abbracico invece di ti abbraccio, ma vi assicuro che questa volta non ho sbagliato. Era scritto proprio in bella evidenza: detto lo scognato. Dov’era scritto? Ah, già scusate, sull’avviso mortuario. La dicitura in alto quella in versione sobria: E’ venuto a mancare all’affetto dei suoi cari all’età di 52 anni; sotto il nome e cognome; più sotto ancora detto lo scognato.
Da voi come lo chiamate?, il soprannome, il contronome, insomma il modo in cui per tutta la vita uno viene chiamato.
Immagino che adesso vi state domandando da dove viene scognato. Lasciate stare i dizionari di italiano e di napoletano. Scognato, scugnato, significa senza denti. Vedete, se foste stati di Secondigliano l’aveste saputo, perché da quelle parti a tutti è stata data l’opportunità, almeno una volta nella vita, di prendere in giro qualcuno cantilenando “scugnato, senza diente, vase ‘nculo, a zì Vicienzo“.
State pensando che davanti alla morte ci vuole più rispetto? Non sono d’accordo, perché non si tratta di mancanza di rispetto. C’è innanzitutto una questione pratica. Solo con il nome e cognome sul manifesto al funerale non ci viene nessuno, perché nessuno capisce chi è morto. E poi c’è una questione di identità. Si proprio quella cosa strana ma importante che ci permette di riconoscerci con gli altri nel tempo.
Voi dite e allora il Partito Comunista? La Democrazia Cristiana? Il Partito Socialista? Potrei rispondervi appunto, guardate come stiamo combinati. Che naturalmente chi doveva essere arrestato andava arrestato, e anche qualcuno di più, ma non si doveva buttare il bambino insieme all’acqua sporca. Preferisco “nuje simme gente seria, appartinimme ‘a morte“. Si, meglio lo Scognato, con l’aiuto di Totò.
Certo che leggervi così di seguito è come srotolare immagini di personaggi che si accalcano borbottando i loro soprannomi con foga per farsi ricordare e per sorridere insieme della propria appartenenza.
Forse il soprannome serve per rinforzare un’identità, per dargli più possibilità di essere menzionati anche dopo essere passati… mi piace questa rappresentazione “artigianale” e ricca di umorismo.
Mia suocera era Iolanda “‘i Gambillo” poichè suo padre rientrando nottetempo ubriaco da una giornata di lavoro nel vigneto , a cui seguiva come compenso un pasto abbondantemente annaffiato di buon vino, camminava con le gambe curve come ” u gambillo” – manufatto di legno arcuato, usato per appendere il maiale e farlo frollare , prima della lavorazione-.
Da allora la famiglia fu nominata così.
Da bambina alcuni soprannomi, purtroppo oramai perduti, mi divertivano,
come quando mi dicevano di andare a casa di ‘zi Pascalina ‘i cacanterra, oppure dai ” vrusciavigna” o da ” pizzulastrunzi”
L’estate scorsa è morta a “daziaria,” a mugliera du daziario” pochi sapevano che si chiamava Graziella,
oppure che ‘Amanuella” era Franca, moglie di Emanuele , l’orologiaio… ( volti del mio paese calabro )
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“Dar Zagaja” sono capitata varie volte nelle estati passate; quel pugno di sabbia e dune fra capocotta e ostia che ospita il famoso chiosco di gaspare, per amici e conoscenti e per tutta la movida di un tempo ora andato, “er zagaja”, appunto. la sua è una balbuzie appena accennata, se intona una canzone nemmeno incespica più, ma nel dialetto romanesco, come già riferito da Adriano, il nomignolo affibbiato a chi farfuglia nel parlare è questo. se cerchi di gaspare lungo la litoranea che da ostia va di cancello in cancello – così si chiamano qui gli accessi alla spiaggia – fin quasi a torvajanica, è sicuro che nessuno te lo saprebbe indicare, ma se dici: ” ‘ndo lo trovo er zagaja?” tutti sapranno indicarti quel posto di ristoro dove si mangiano i più divini spaghetti alle vongole veraci della storia culinaria marinaresca. e “Dar Bujaccaro?” hehe, chi è di roma nn può nn conoscerlo. furgone ambulante con ogni sorta di “porcherie”, dai panini con la porchetta d’ariccia, alle verdurine sott’olio, ai sott’aceto, ai filetti di pollo impanati, ai peperoni grigliati straunti d’olio, famosissimo già dalla fine degli anni ’70, parcheggiato da sempre al foro italico. per bujaccaro a roma si intende una trattoria – o come in queso caso un furgone alimentare – dove l’igiene è davvero un optional e anche la qualità degli avventori nn è proprio a cinque stelle. del tipo in questione, er bujaccaro, altrimenti detto anche “er panza” per una grande somiglianza con maurizio costanzo, baffi compresi, nn ho mai saputo il nome, ma in casi come questi è assolutamente ininfluente; potrebbe chiamarsi antonio o giuseppe o clodomiro e nn lo ravviserebbe nessuno, ma appena dici er bujaccaro der foro italico, ecco che tutti siam pronti a fornirvi le sue coordinate logistiche. fra i miei compagni di liceo ho avuto er nasone, giggi er matto, ‘a bella, er secco, er buscia, e io stessa facevo parte del triumviro delle “tre grazie” assieme alle inseparabili anna e paola, senza aver mai scoperto, nei cinque anni di ciclo scolastico, a quale delle tre [grazie] facessi capo. :))) dunque, evviva i soprannomi, che contraddistinguono da sempre molto più del nome anagrafico, le persone che ne vengono investite.
P.S.: Pipino il breve, secondo voi era il suo vero nome, o… :)))))) un abbraccio virtuale a tutti.
Qui, dove un tempo c’era un’antica zona contadina – siamo in Brianza Lecchese – il soprannome è quello delle antiche famiglie, e ancora adesso spesso ci si riferisce con questo al posto del cognome. È chiaro che sono gli anziani ad utilizzarlo e a tramandarne l’uso. Non sto a mettere i termini dialettali, altrimenti vi verrebbe il mal di testa con gli accenti e con le vocali con i puntini sopra. Comunque, io sono degli “Spada”, poi ci sono i “Benedetti”, i “Lisciatori”, i “Tacconi”, i “Picchiapietra”, i “Pieri”, gli “Spini”. Tutti soprannomi che si perdono nel corso dei secoli e nessuno ha connessione alcuna con il cognome segnato all’anagrafe. È un casato, una stirpe da cui si discende. E quando mi dicono che sono degli Spada, non so perché, mi inorgoglisco.
Mio marito è nato nel Cilento. Il fratello di mio suocero era il parroco del paese. A tutti i compaesani, ancora oggi, mio marito è noto come ” Vicenzino ru preutu”:
Ok. La mia nonna materna Raffaela (non ho sbagliato si scrive così) Esposito era detta ‘a patanara. Lo credete offensivo? Manco per niente! Nonna e nonno erano una coppia “moderna” si dividevano equamente i compiti: nonno, che si chiamava Stanislao, ma che nonna chiamava Daddà trovandone il nome impronunciabile. (poi vi racconterò di quando nonna provò a fare un documento per il marito senza saperne pronunciare il nome) faceve tutte le guerre che c’erano da fare (prigionie e confini compresi) e nonna tirava avanti la famiglia (dieci figli, otto femmine). Nonna aveva un “posto” di frutta e verdure al borgo di Sant’Antuono da qui il soprannome che ha coinvolto tutta la stirpe perchè poi tutti sono diventati rispettivamente i figli e i nipoti da’ patanara. Altra storia. Mamma era zazza’ a figlia da patanara perchè era la festa di Piedigrotta e dal palco “qualcuno” intonava “Dove stà Zazzà” quando si accorsero che mamma, ancora in fasce, era stata sottratta alla nonna da un conoscente innoquo ma che non ci stava tanto con la testa. Lieto fine: si era persa Vincenza (mamma) e si era trovata Zazza’. Papà ve lo racconto un’altra volta.
Forse non tutti sanno che esiste un solo luogo in Italia, dove i soprannomi di famiglia, sono ufficiali e registrati all’anagrafe: Chioggia (provincia di Venezia).
In questa graziosa cittadina, in cui si parla un dialetto, con una cadenza vistosamente diversa dal resto della Provincia, quasi tutti si chiamano o Boscolo o Tiozzo. Ebbene le famiglie sono divise per soprannomi, chiamati “detti”: Brasiola (braciola), Caccarella (mi sembra chiaro), Bielo (non traducibile), Caenasso (catenaccio), Palo…
Può capitare, insegnando a Chioggia, di avere una classe dove metà si chiama con un cognome, l’altra metà con l’altro…l’unico modo è di chiamarli con i “detti”…
C’è, ad esempio, una barzelletta sui sette nani di Chioggia, che si chiamano Boscolo, Boscolo, Boscolo…non c’è scelta!!!
E’ stupenda questa storia, non la cnonoscevo. Certo che vedersi pubblicato nel registro anagrafico Pinco Pallo detto Caccarella…:-)
Ho avuto modo di accedere agli Archivi di Stato per una ricerca personale e ho letto le schede del casellario politico dove oltre al nome cognome e paternità era spesso riportato anche il soprannome che è evidente ricopre una funzione identificativa importantissima. Anche nel corso dei processi nei trubunali si sente spesso citare l’uso del soprannome per meglio identificare una persona
Davvero incredibile questa cosa della trascrizione dei soprannomi persino all’anagrafe e rende ottimamente l’idea di quanto questi appellativi abbiano una funzione sociale di non poco conto… Diventa un fatto identitario, sei qualcuno all’interno del tuo microcosmo, qualcuno di veramente riconoscibile e spesso con una funzione specifica…
Mi è venuto in mente che mia nonna, si porta dietro un soprannome “affettivo”: nel quartiere di Napoli, dove è nata e dove tutt’ora vive (nella casa dove erano vissuti i genitori prima di lei) è conosciuta come Zi’ Zi’ (tradotto è orrendo, sarebbe zia zia) perché, essendo l’ultima figlia di una famiglia molto numerosa, aveva nipoti praticamente coetanei e mentre gli altri fratelli erano zia Tittina, zia Ciro ecc… lei era semplicemente zi’ zi’… e anche adesso è zi’ zi’ per tutto il quartiere (parenti di qualunque grado e non…)
Er Duca – “che hai visto er duca? Er duca chi? Er du capelli” – due capelli soprannome per calvi che si abbina anche a “Belli Capelli” e a “Maiolica”
Er Pomata – tipo che si unge i capelli con la gelatina, (mitico er Pomata / Monetsano nel film Febbre da Cavallo, dove Gigi Proietti è Mandrake e il macellaio è chiamato Manzotin)
Gnagnarella o Zagaja – sono i balbuzienti
Er Caciotta – amante della campagna (spesso nei romanzi di Pasolini)
Er Patata – persona dal viso tondo, paffuto
Pallesecche – chi ha pochi rapporti con le donne
Er Ventresca – persona con stomaco molto dilatato
Quattrocchi – chi porta gli occhiali
Er Ciavatta – persona sciatta
Er Sola – uno che non mantiene mai quello che promette
Er Cicalone – uno che parla sempre
Sono tantissimi…………………….
La storia del sopranomme della mia famiglia (solo da parte di madre però) è riconducibile ad uno strano rito di mio nonno in gioventù..
Quando lui era giovane (ma sposato già) le lire in casa ce ne erano sempre pochissime e di sfizi se ne potevano togliere davvero pochi, l’unica cosa che però non doveva mai mancare era il vino (il nonno diceva: u vin fa sang). Non avendo ancora un vigneto tutto suo doveva, per forza di cose, rivolgersi alla cantina del paese.
Ogni volta che andava dal “cantinaro” diceva: Zi Vitù ramme nu poc e vin. Zi Vitucc chiedeva: nu litr va buon? il nonno ci pensava su (se ne avesse comprato un litro l’indomani con cosa comprava il pane?? e poi rispondeva: no facimm e men stu viaggio e il cantinaro ribatteva: allora miezz litr o nu quart?!?! il nonno ci pensava ancora su e ripensava che all’indomani i figli doveno andare a scuola e infine rispondeva con la classica battuta: no vabbuò, rammen miezz quart ca si no m ‘mbriac e chi a vo sent a muglierma quann torn.
Con il passare del tempo è stato soprannominato NININ MEZZAQUARTA
Bhè alloro lo dico anche io. Abito a Bacoli dove il contronome è un obbligo.
la famiglia di papà è detta Saletta , non chiedetemi perchè, non lo so , ma domani lo giuro cercherò di scoprirne l’origine. La famiglia del mio ex marito era detta ” e mazzun ” dal grande sedere della loro nonna! Quando morì mio suocero e trovai il contronome sotto il manifesto volevo sparire. Solo dopo tempo ne ho capito il senso vero. Essere riconosciuto come ” stirpe”. Ancora, per anni ho creduto che il cognome di un lontano parente fosse ” bisonte” fin quando l’ho chiamato così e………sto ancora nascondendomi quando lo vedo!
O’ Scangianomm (soprannome qui a Campagna in prov. di SA) è utile per riconoscere i paesani ma può far incappare in grosse figuracce chi vien da fuori…
Ve ne racconto una a proposito della morte di mio nonno…
Quando a settembre scorso è morto mio nonno Gustavo nel paesino si è saputo da li a poche ore. La voce che fece il giro del paese fu pressapoco questa: Ninin Mezzaquarta nun c’è cchiù!
Nel frattempo noi chiamiamo il prete per comunicare la notizia (per le pratiche) e lui appunta il nome di mio nonno: Gustavo Santiago.
Come di rito suona la classica campana funebre e le vecchiette del vicinato corrono dal prete e chiedono: Don Salvatò ma evit saput pur vuj cà Ninin Mezzaquarta è muort?
Il prete sgrana gli occhi e dice: Oh maronna, duje muort inda a stessa jurnata?
Giustamente lui non sapeva che Gustavo e Ninin Mezzaquarta erano la medesima persona….(meno male che glielo fecero notare di li a breve).
O’ Scangianomm diventa un vessillo per l’intera famiglia appena muore il capostipite. E purtroppo alla mia famiglia (da parte di mia madre) è toccato “I Mezzaquarta”.
Allora mi disinibisco…..scusandomi per come scrivo in dialetto!
Antonio mezza palla, Gigino o’ nziste, cazz miei (altro mediatore ma della zona alta), e barracc, pallino o fotografo.
Vabbè qualcuno si può dire heheeheh
ad esempio, alcune famiglie di “fuochisti” (a Mugnano c’è una grande tradizione pirotecnica) prendono il nome di “‘e mballaccat”
allora diventa: Totonno ‘o maballaccat, oppure Peppin ‘o figlio do mballaccat ecc…
A proposito di soprannomi irripetibili, ho un episodio molto divertente che vede protagonista mia madre.
Quando ci siamo trasferiti da Napoli a Vico Equense abbiamo preso una casa in fitto e, nel frattempo, andavamo a vederne altre per stabilirci definitivamente. A Vico Equense le persone vengono spesso riconosciute dal “contrannome”. Chiedendo in giro venimmo a sapere di una casa in vendita e ci fu detto di recarci in piazza per cercare il mediatore, tale “Cap e vacca”! A questo, mia madre, inorridita dal fatto di doversi rivolgere ad una persona con questo appellativo temendo di risultare offensiva, cercò in tutti i modi di sapere il suo vero nome ma senza risultato! Una volta sul posto le provò tutte per non pronunciare quel nome, chiese del signore che aveva qualcosa a che fare con le mucche, del mediatore, del signore che vendeva case con la testa un pò grossa…niente! Tra le mie risate finalmente trovò il coraggio e trovammo “cap e vacca” !
Invece nel mio paese (provincia Napoletana) è ancora diffusissimo e i figli ereditano il soprannome del padre (da piccoli sono ” ‘o figlio ‘e…” e poi alla morte del genitore ereditano il soprannome in toto, diciamo che da grandi si viene promossi, ecco…)
e quindi non è affatto raro trovare questi stravaganti appellativi anche sui manifesti mortuari… altrmenti al funerale non ci andrebbe nessuno, non riconoscendo, di fatto, la persona…
nei paesi perdura ancora, nelle città ,almeno qui, invece viene visto come una cosa un po’ villana. Mi tornano in mente tanti personaggi menzionati dai miei con i loro soprannomi, che spesso si riferivano o al loro mestiere o a quella della loro famiglia di origine.
alcuni molto pittoreschi…ma irripetibili…
Come dice Daniele, l’appellativo “era molto piu comune prima”. Ed infatti, il soprannome viene da molto lontano. Adesso spero di non sbagliare ma già in eta repubblicana per il Romani il “cognomen”, così come anche lo “agnomen” erano appunto dei soprannomi che derivavano da caratteristiche fisiche, personali o da attività svolte. Ad esempio Caligola era il soprannome-cognomen di Caio Giulio Cesare Germanico, detto appunto Caligola che viene da piccola caliga, il calzare usato dai legionari. Traiano ad esempio, dopo la conquista della Dacia fu chiamato Dacius, soprannome che oggi è un perfetto nick da chat 🙂
L’appellativo era molto più comune prima che il terziario avanzasse e ci trasformasse tutti. Spesso era la professione dell’artigiano e molto spesso accanto c’era anche il diminutivo del nome; sembra che nessuno un tempo si chiamasse Antonio o Giuseppe o Luigia, erano tutti Toni, Peppe, Gina. Mio nonno, per esempio si chiamava Antonio, ma tutti lo conoscevano come Tógn Legnamée (Tonio il falegname). Se qualche volta mi chiamano Dani, a me sembra una novità…
Ed è vero: ti accorgi dagli annunci mortuari che una persona che conoscevi da una vita con un nome in realtà all’anagrafe risultava completamente diversa. Capita ancora di leggere sotto il nome del defunto un nomignolo e meravigliarsi: ma guarda un po’, Nino si chiamava Ermenegildo! Rastelli di cognome faceva Cazzaniga! Per tutta una vita quel nome è come una maschera: un paravento dietro cui nascondersi, dietro il quale si è costretti a vivere. Come lo “scognato”.
Quanto ai partiti, sì: forse la storia non andava buttata. Ma ormai è fatta e questo ci è rimasto in eredità. Come in un sequel di cattiva qualità, i personaggi si sono evoluti e hanno cambiato casa, o semplicemente nome…