Oggi avevo pensato di passare da Gerardo e Anna. Compagnia ottima, siamo amici da una vita e anche più, pranzo altrettanto, Anna è una eccellente cuoca e invece ho desistito, proprio come nella mitica scena di Totò in Miseria e Nobiltà. Perché l’ho fatto è presto detto: in primis, perché questa settimana l’ho trascorsa da vagamondo che più vagabondo non si può (mammà, come mi piacciono questi improbabili giochini con le parole); in secondis, perché le caccavelle appicciate ‘ncoppa ‘o ffuoco (lasciate perdere la traduzione letterale, sta per le cose da fare) sono in questo periodo talmente tante che l’idea di starmene a casa da solo a lavorare m’è sembrata perfino una buona idea.
A proposito di caccavelle e di fuoco, intorno alle 11.00 a.m. ho realizzato che mangiare avrei dovuto mangiare comunque, così ho chiamato Beppe e abbiamo deciso che l’avrei raggiunto in bottega intorno alla 1.30 p.m. (penso che già ve l’ho detto, ma comunque preferisco avere una martellata sulle dita piuttosto che mangiare da solo, soprattutto fuori casa).
Ho preso una funicolare che parte alla 1.20 p.m., alla 1.40 p.m. sono arrivato in vico Acitillo, poco dopo le 2.00 p.m. eravamo a tavola.
Acqua. Liscia e a temperatura ambiente. Tubettoni, seppie e piselli per me. Tubettoni, seppie e piselli per Beppe. Siamo ancora alle prese con le chiacchiere quando sui due schermi musicali – ormai sono diventati obbligatori per legge, come il divieto di fumare – compaiono cinque ragazze in bikini che si dimenano e cantano nella cella di un carcere, almeno così mi pare. Ve l’ho detto che io le televisioni che mentre mangi trasmettono musica, film, notiziari, programmi di intrattenimento, dibattiti e tutto quello che vi pare io non le sopporto, quasi come non sopporto le sigarette? Nel caso, ve l’ho detto adesso. Eppure questo video ha qualcosa di diverso. No, non le ragazze in bikini, che quelle le trovi dappertutto, è come è fatto, come si muovono, quello che ti dicono anche se non capisco bene cosa ti dicono.
Il video sta per finire quando riconosco, mi sembra, Madonna. Chiedo conferma a Beppe. Ricevo conferma. Gli dico che Madonna riesce a fare sempre qualcosa di speciale. Mi dice che Madonna “è” speciale, non “fa” cose speciali. Gli chiedo se ha visto Kill Bill. Mi dice di no. Gli racconto di Bill che spiega a Beatrix la differenza tra Superman e gli altri supereroi. Gli dico di Wayne e Parker che si svegliano al mattino e devono indossare il costume per diventare Batman o Spiderman mentre Superman si sveglia al mattino ed è già Superman. Mi dice che questo è uno degli scopi fondamentali delle nostre vite, riuscire a svegliarci la mattina ed essere quello che siamo, senza cercare ogni volta di mettere un costume per sembrare diversi. Sta per aggiungere qualcosa quando irrompe Agostina con il suo “Beppe, i vostri tubettoni, seppie e piselli, buon appetito.”
Per carità, non c’è Madonna o Batman che tenga. Buon appetito.
Buongiorno a tutti. Permettete che mi presenti: sono Enrico, Enrico IV. Sono nato a Goslar nel 1050 e tanti dicono che sono morto a Liegi il 7 agosto del 1106 ma non date retta a queste malelingue …. se sto scrivendo vuol dire che sono vivo ….. (facendo i debiti scongiuri anche se da un po’ di tempo il mal di testa non mi da tregua ed ogni tanto la cicatrice sulla fronte mi frigge come un totano nell’olio bollente).
Mio padre, Enrico III, mi diede la corona di Germania nel 1054 ma dovetti aspettare ancora due anni per diventare orfano di padre e regnante unico anche se sotto la reggenza di mia madre Agnese di Poitiers.
La mia vita, che sarebbe durata (secondo le malelingue) appena 56 anni, fu una vita molto turbolenta a causa di alcuni papi che mi mettevano i bastoni fra le ruote (addirittura uno lo dovetti andare a cercare a Canossa) e i figli che mi si rivoltarono contro (sti figli e’ zoc…).
Da un po’ di tempo faccio dei sogni strani: credo di essere un ricco patrizio romano e credo di trovarmi in Umbria e non nella reggia di Goslar. Sogno di andare a cavallo …. in mezzo ai boschi ….. poi tutto si fa confuso …… e poi mi viene questo terribile mal di testa. Spesso viene a farmi visita mia moglie, mia moglie ….. come si chiama, come si chiama ….. ? Io la chiamo tesoro, amore mio, anima mia, luce dei miei occhi, anche perché ho dimenticato come si chiama. E’ sempre in compagnia di un “mio” amico o forse del “suo” amico per essere più precisi.
E poi torna ricorrente la figura di un siciliano, un agrigentino di nome Luigi ….. che mi dice di togliermi la maschera, la maschera, la maschera ………..
E poi mi ritrovo solo, mi sento nessuno in mezzo a centomila…..
“ne vogliamo parlare? e parliamone!”…..anzi, parlarne più che mai adesso, quando facilmente si slitta nel buon uso di una parola che rimbomba. EROE. Dama Galadriel ne “Il signore degli anelli” diceva che anche la persona più piccola può cambiare il corso del futuro. lasciando un attimo da parte paperinik e batman, possiamo alzarla una bandiera bianca con tre segni rossi? “E” come Eroi o come Emergency. da pensarci su.
“I nostri eroi”. L’intervento di Diego Cugia alla manifestazione per Emergency
da diegocugia.com
Mi chiamo Diego Cugia, detto Jack Folla, facevo l’autore, lo facevo alla radio e alla Tv, fondai un movimento, “Gli invisibili”, talmente invisibili che se ne vedono pochissimi, parlo di me al passato, sono estinto come le foche monache o le betulle nane, da più di tre anni non posso mettere piede in una radio o in una televisione di questo Reame, sono estinto perché qualcuno ha usato l’estintore, infatti certe parole bruciano, lasciano ustioni sulla coscienza e le ustioni son brutte da vedere, e allora bisogna spegnerle le parole, come si fa per estinguere le fiamme.
Estintore e silenziatore sono gli strumenti della dittatura mediatica, di questo fascismo sottile, i nuovi pompieri del potere hanno sostituito manganello e olio di ricino, oggi non serve spedire i dissidenti al confino, da noi basta e avanza un clic, una lucetta rossa che si spegne, uno studio radiofonico vuoto, buio, un microfono col cappuccio, non sei più in onda, così sei isolato, sei zombie. E “Zombie” è stato il titolo del mio ultimo programma alla radio, Radio24, perché a Radiorai mi avevano già estinto, adesso sono definitivamente scomparso, amen. Io non sono un eroe, né un martire, ero solo un italiano che parlava con sincerità.
Da bambino mio nonno alla domenica mi portava lassù, sulla terrazza del Pincio. Mi portava a vedere il teatrino di Pulcinella. Pulcinella veniva preso a manganellate in testa dal carabiniere e moriva. E da morto strillava: “A carabiniè!” Dio mio quanto mi piaceva questa battuta. Allora il carabiniere gli diceva: “Zitto, sei morto, e i morti non parlano.” E Pulcinella rispondeva: “E io voglio parlà!” Ecco, oggi Gino Strada mi ha risorto e io voglio parlà. Ma non di me, chi se ne fotte di me, l’io fa schifo, io-io-io il raglio dell’asino, no, voglio parlare delle parole, che in Italia non sono più quelle di una volta, come mio nonno diceva delle stagioni. Per esempio proprio queste: le parole martire o eroe.
Un mercenario armato fino ai denti, con un elevato ingaggio economico, che veniva ucciso in zona di guerra, un tempo era un soldato professionista morto nell’espletamento del suo dovere. Che nel caso di un soldato è il dovere di uccidere. Un mestiere (per questo li pagano tanto) che mette in conto l’eventualità contraria, quella di essere ucciso. Da noi, invece, oggi un mercenario morto in guerra armato fino ai denti è un eroe.
Ai tempi in cui nonno mi portava a vedere Pulcinella, -mio nonno era siciliano- mi educava al concetto che i mafiosi erano gentaccia, mala pianta, delinquenti. Oggi il genitore politico di tutti noi italiani, il presidente del consiglio, ci educa al concetto che un mafioso di nome Mangano è un eroe.
Ma da qualche giorno, in Italia, è accaduto qualcosa di clamoroso, qualcosa che ha scombinato definitivamente il mio sistema di valori, tanto che mi sto rivoltando nella tomba. (Tra parentesi sono sepolto qui a Roma, se volete portarmi un fiore sto in via Salaria, a Villa Ada, la prima panchina a destra). Che vi stavo dicendo? Ah si. Il fatto clamoroso. Prima però devo fare una doverosa premessa. Come tutti gli scrittori io ero un narcisista di merda. E’ brutto, è puzzolente essere narcisisti, e ci sono cascato anche stavolta, da resuscitato, porca pupazza l’ho rifatto, vi ho parlato di me, di mio nonno, di Pulcinella e di quella cosa perduta che amo più di una donna perduta: la radio. Ma proprio perché ho questo difetto…proprio perché sono un narcisista, un egoista… io amo chi ama gli altri. Io amo chi si dona. Chi rischia la propria vita per salvare quella degli altri, ecco, quello per me è un eroe. Un faro, un esempio, un modello da imitare.
E per tutta la vita mi sono schiaffeggiato dicendo “Impara da questi, scordati del tuo stupido te stesso, donati, datti agli altri e poi dimenticalo.”
C’è un bellissimo verso di un poeta francese, René Char, dedicato agli scrittori, che dice “Affrettati a trasmettere la tua parte di meraviglioso, di ribellione, di amore, e poi disperditi con la polvere. Nessuno saprà la vostra unione.”
Fine della premessa. Allora cos’è successo di nuovo, di clamoroso in Italia? Quale altra parola ha mutato radicalmente senso? Una delle nostre più belle parole, una di quelle che gli italiani dovrebbero lucidare come l’argenteria di casa: volontario. Volontario: il contrario del narcisista.
Fra i miei ricordi di zombie ce n’è uno che mi è particolarmente caro. Quand’ero Jack Folla una ragazza chiese d’incontrarmi prima di partire da volontaria per un Paese africano. Venne a trovarmi qui a Roma. Aveva appena 19 anni, dei sandali da frate, una gonnellina a fiori, e degli occhi così azzurri che il cielo stesso, a guardarli, si sarebbe dovuto vergognare. Stava partendo per andare a dare una mano in un ospedale dei padri comboniani. “Ma vai così, a Fiumicino, adesso, da sola?” Questa piccola infermiera fece la faccia di chi scende un momento da casa per prendere il latte. “Certo. Perché?” E’ morta di Ebola pochi mesi dopo. E in Italia lo sappiamo in tre: il suo ragazzo, sua mamma e io.
Anche per questo, da allora, sono amico di Emergency. Perché stimo queste persone nate per donarsi che poi si sperdono con la polvere, in un’unione di fuoco. E non c’è estintore che tenga. Le loro vite sono grandi notizie accese eternamente che la televisione non ci dà, ma che ci colmano di senso la vita. Perché sono le loro vite che ci danno forza. A me per esempio, da’ forza che esista Gino Strada, e migliaia e migliaia di volontari di Emergency e che ci siate tutti voi, per loro, in questa piazza. Ho dunque appreso dalla televisione italiana che anche questa parola, volontario, nel loro nuovo vocabolario, è cambiata. Ho sentito un ministro, appena saputa la notizia dei tre operatori di Emergency portati via dai servizi segreti afghani (perché, secondo loro, stavano ordendo un attentato), un ministro che ha detto, qualora la notizia si fosse rivelata vera, che si sarebbe vergognato di essere italiano, laddove non si era affatto vergognato di proclamare eroe un mercenario armato fino ai denti. La novità di oggi, quindi, il nuovo sinonimo italiano, è che i volontari sono “terroristi”. I mafiosi eroi di cui vantarsi, i mercenari martiri di cui andare orgogliosi, e i volontari di Emergency terroristi di cui vergognarsi. Neanche Pulcinella l’avrebbe sparata così grossa. Ma in Tv l’hanno confermata: “I tre volontari hanno confessato! HANNO CONFESSATO!”. Chirurghi bombaroli. Non ci si crede. Anche le cazzate non sono più quelle di una volta.
L’altra sera, ad Annozero c’era coso, non mi ricordo mai il nome, quello che si chiama come il burro danese che ho in frigorifero: Lutpak. Ah, no, Luttwak. Ecco Luttwak- faccia- da- burro ha dichiarato che tutte le Ong, le organizzazioni non governative che sfamano le popolazioni in fuga dalle zone di guerra, sono colpevoli di prolungare la guerra. In sostanza il concetto era il seguente: se tu li sfami, invece di lasciarli morire, (che la guerra finirebbe per mancanza di gente da ammazzare), tu, si proprio tu, buona e brava organizzazione umanitaria, sei una guerrafondaia! Se noi paesi occidentali siamo costretti a prolungare la guerra, che adesso si chiama missione di pace, la colpa è tua che ci sfami le nostre vittime e ce le rinvigorisci! Erano mezzi zombie, e tu che mi combini? tu me li fai risorgere davanti così io sono costretto a sparargli di nuovo per colpa tua. Cristo!
E’ proprio vero, caro nonno: le parole non sono più quelle di una volta. Noi sì. Invecchiati, ingrassati, mezzivivi e mezzi morti, noi continuiamo a pensarla con la spietata, celeste franchezza di quando eravamo bambini.
Da adulto, i miei Tremal-Naik, Nembo Kid e Flash Gordon, i miei eroi, sono diventati quelli di Emergency, gli uomini che si danno nell’anonimato, i non narcisisti, quelli che si donano agli altri, salvano la loro vita e si disperdono con la polvere. E io sto con loro. Sono loro i miei eroi, i miei monumenti di polvere che nessuno vede. Non hanno medaglie, né funerali di Stato. I politici li detestano perché questi medici custodiscono la più atroce delle verità: in guerra muoiono più bambini che soldati. E questa è una di quelle notizie che non deve mai arrivare alla pancia degli italiani che si informano in Tv. La loro pancia dev’essere piena di burro Luttwak. Di eroi a rovescio. Di parole tradite. Di guerre chiamate pace per cui nessuno deve vederne il sangue. Perciò fuori dalle palle i giornalisti, le telecamere, i fotoreporter, i volontari e adesso anche i chirurghi che ricuciono quel che noi, missionari di pace, abbiamo fatto a brandelli. Se lo dici, se parli, sei isolato, sei morto. Statevi tutti zitti e buoni davanti alla Tv. Vi diremo noi, a cose fatte, chi era il buono e chi era il cattivo.
Io non sto zitto, voglio parlare da morto come Pulcinella, non sto buono, non mangio il burro cattivo, e non guardo la Tv. Io sto con Emergency.
(17 aprile 2010)
ma come fa un poeta dei pixel (vedi video postato stamani) ad amare batman?
come possono tante voci cantare le loro canzoni nonostante la burrasca alle spalle? meglio la poesia la musica o un romanzo?
certe domande non si fanno!
ogni uomo è una storia,una maschera un personaggio un attore, non puoi amarli tutti,non puoi accettarli tutti ma se hai la fortuna di sfiorarli è come un buon pasto: scalda stomaco e cuore.
comunque w batman. tiè
(ogni riferimento NON è casuale!)
Quello che vedo, che sento, che vorrei urlare, riesco a farlo solo attraverso la poesia. Nella vita di tutti i giorni cerco sempre di non dare fastidi, dispiaceri a chi mi vuol bene o semplicemente a chi, per un motivo o per un altro, mi sta accanto. Non è indossare una maschera o essere altro da me stessa, fa proprio parte di me essere una presenza discreta, rispettosa dell’altrui persone e delle loro scelte, che , a volte, feriscono e, proprio per questo, nel mio agire cerco di non essere causa di sofferenza. Non è un assecondare o un adulare . Scelgo, spesso, la strada del silenzio per dissentire mentre avrei voglia di urlare e lo faccio, poi, a modo mio.
“Nuova Parte
Mendica di azzurro
rovisto tra frammenti di cieli infranti.
Delusa e dolente,
spengo le luci nella sala dell’anima.
Proietto sullo schermo passati amori, presenti dolori.
Attrice protagonista, sul palcoscenico tagliente di vetri rotti
intravedo gemme impolverate, tesori dimenticati.
Splendenti riflettori!
Ciak, si gira!
Son pronta a recitare la nuova parte.”
Maria Paraggio
essere chi siamo? Lo ho detto Stefania: ma lo sappiamo chi siamo? Mah. Per me i costumi non bastano mai:
Tiger Jack l’amico di Tex Willer, Paperoga il cugino di Paperino, Willy coyote, Pantera Rosa, Kriminal, Alan Ford, Nick carter, e poi Ranxerox, La Linea, Le Sturmtruppen, fino ai recenti Nathan Never, Martin Mystere e quelli di Universo Alpha. Quelli di Batman e Robin però no, non mi sono mai piaciuti; li lascio volentieri a Vincenzo e Lucia 🙂
I miei supereroi preferiti sono due sfigati: Pippo e Paperino. Tipi comuni, assolutamente insignificanti, sempre sull’orlo della stupidità e della sfortuna. Niente a che vedere con il borioso Topolino – lui sì che ha sempre addosso la maschera, non sbaglia mai ed è perfetto, risolve i casi del Commissario Basettoni, senza fatica ricava dalle sue meningi la soluzione a ogni cosa.
Pippo e Paperino però ogni tanto si trasformano, e diventano Superpippo e Paperinik. Superpippo, con un mantello blu e i mutandoni di lana – e quelli che avevamo in dotazione durante il servizio militare venivano appunto chiamati “superpippo” – trasforma la sua goffaggine in superpoteri straordinari grazie alle noccioline americane. Paperino invece indossa una maschera nera e diventa il suo alter ego: non è più il perdente e lo scalognato, ma il grintoso eroe Paperinik che cerca la rivalsa e protegge la città.
Mi piace pensare che tutti possiamo diventare di tanto in tanto eroi, quando lo vogliamo, superando la nostra normalità e trasformandola in una ricerca del bene. Sembra facile, ma volare senza mantello davvero non lo è.
io ho sempre preferito batman, nero altero preparato alla sua missione, e con un mondo dietro che cerca di portarsi dietro. superman è nato così, non è di questa terra, ha le dotazioni di serie. a questo punto rilancio con l’uomo bicentenario, se è il gioco dell’impossibile che possa cambiare i pezzi che si guastano, le idee sbagliate che non fanno migliorare, le brutte abitudini.
io per alcuni anni ho dovuto indossarla davvero la maschera, era una divisa che doveva indicare ordine e rispetto, nonostante la misura fosse sbagliata o lisa.
poi la cronaca racconta quello che vuole, di maschere e di mostri ne crea a proprio beneficio.
chi usa una maschera chiede la libertà di parola sapendo che certe voci non sono mai ben accolte, non tutti possono dire che il re è nudo e restare vivi.
altri perchè non concependo la parola fiducia o il desiderio di essere accettati cercano la via più comoda, sperando che questa come una cerata ripulisca tutto e possano essere “persone” per tutte le stagioni.
e allora? cerchi di catturare un ombra e leggerla o cerchi il sole. quello puoi ancora farlo.
Beati voi, che avete capito chi siete! :-)))))))))
Io non ne sono così sicura. Non credo di essere sempre la stessa, in ogni momento della giornata e con tutte le persone. Ha ragione Concetta nel dire che il nostro è un lavoro particolare; lo è soprattutto perché ci mette a nudo: non si può mentire con i ragazzi! Ma con i colleghi? Ce ne sono alcuni che non sopporto, con loro sono musona e taciturna, con altri sono allegra e ciarliera. Se una persona mi è antipatica, io non riesco neppure a parlarle. Per la strada elargisco saluti e sorrisi ai conoscenti di mio gradimento, mugugni e musi duri a coloro che non lo sono.
Io cerco di dire sempre quello che penso, ma se so che una cosa infastidisce o dispiace, taccio. Non mi arrabbio quasi mai, ma non per paura, ma perché non amo lo scontro. Devo essere in armonia con tutti: così sono serena. Ogni tanto mio marito mi sommerge con i suoi problemi di lavoro: lo ascolto. Le mie figlie mi scaricano le loro preoccupazioni: conto fino a dieci prima di rispondere.
Le maschere possono aiutare a vivere meglio, perché sempre con la lancia in resta? Credo che le vere difficoltà siano difficili da superare…per tutto il resto mi faccio una risata…e se anche dovessi, perciò, mettermi la maschera di arlecchino…pazienza!
Non ho letto i commenti precedenti per non farmi influenzare, li leggerò dopo.
Questa volta non scrivo di getto , ho voluto pensarci su, questa faccenda della maschera da indossare mi ha colpito.
Faccio un lavoro che mi mette a contatto con i ragazzi e “il mostrarsi” mi ha sempre fatto pensare.
Quando ero io al liceo non sopportavo quei prof piagnoni che si portavano dietro i loro problemi personali e pensavo se un giorno dovessi fare questo lavoro io non sarò così.
Detto ,fatto.
E’ stato meno difficile di quanto credessi, non perchè mi riesce facile nascondermi o essere ipocrita , ma proprio perchè amo il lavoro che faccio, ci entro dentro, mi perdo, mi faccio coinvolgere completamente, mi dimentico di quello che c’è fuori.
E di momenti diffili, come tutti , ne ho avuti…
Diversa è la questione se invece considero questa cosa nel rapporto con “gli altri” in genere.
Lì si che mi sono posta seriamente il quesito, ci sono delle cose di me che non mi piacciono o credo non possano piacere, così me le tengo per me, cerco di non mostrarle, viceversa mostro la parte migliore o quella che ritengo tale.
Ma adesso mi sono chiesta il perchè, forse perchè un po’ tutti abbiamo bisogno di conferme, dell’approvazione degli altri, per sentirci un po’ più bravi o più buoni o più intelligenti e mitigare le nostre debolezze.
Ecco, se questo vuol dire indossare una maschera si, credo di non essere immune, ma se invece si intende rinnegare la propria personalità ed abbandonarsi totalmente al piacere agli altri ad ogni costo no, assolutamente no!
Quante volte , forse troppe, parlo in modo troppo schietto senza reticenze , e se c’è da esporre le cose e le idee in cui credo…aiuto….
Se poi considero la stessa questione nel rapporto con gli amici e le persone che amo allora nessun filtro, sono “io” e se non va bene pazienza…prendere o lasciare….
Ci sono ben poche cose che anelo di più che svegliarmi al mattino ed essere solo me stessa, semplicemente, ed essere sicura che è la cosa più giusta. Senza pensare a far felici gli altri, a non annoiarli, a ciò che comunque va fatto perché va fatto. Mi piacerebbe anche urlare qualche volta, farmi sentire di più.
E poi ci sono mattine come questa, che mi alzo, prendo una vecchia federa di un cuscino, un pennarello rosso e traccio un segno indelebile. Risoluta faccio qualche buco alla federa e appendo al balcone lo striscione, poi esco e compro 2 biglietti del treno. E sono davvero me stessa. Urlo metaforicamente e mi faccio sentire. Anche se è l’unico nel quartiere, non mi importa. Se domani ne vedrò anche solo un altro forse sarò un po’ come superman. Niente maschere, niente paure, niente convenzioni. Solo quello che dentro sento giusto.
Quante “mascherine” in giro per le strade! No, non è Carnevale e non sono nemmeno supereroi. Sono uomini e donne con poco coraggio. Si perchè ad essere se stessi ci vuole coraggio. In un mondo fatto di apparenza l’essenza cede il passo. La fatica quotidiana dei più è quella di nascondere, mascherare, mostrare una realtà che poche volte corrisponde alla verità. Una fatica immane per me, oltre che insensata. E’ per questo che ho scelto la verità. Non proprio per virtù. Magari più per… pigrizia. La verità è più semplice, non la devi studiare, non te la devi ricordare è così e, se la adotti, se la usi in ogni occasione, è la stessa per ciascuno dei tuoi interlocutori. Ma i peggiori sono i “mentitori seriali” quelli per cui la finzione è una filosofia di vita al punto che le menzogne se le raccontato tanto bene che finiscono col crederci davvero. Quante belle mascherine smascherate.