Il Piccolo Principe

Questa storia comincia alle 6.20 a.m. di una mattina di gennaio, o forse di febbraio, no gennaio, ma poi gennaio o febbraio cosa importa? Nel bar ci sono Luciano, il proprietario, alla cassa, la moglie, al banco dei cornetti, il mitico Gabriele, il barista, al proprio posto di combattimento, l’uomo sotto ai 40, anni,  che mangia un cornetto, uno sgabello di quelli alti modello saloon che sovrasta, di più, sommerge,  ancora di più, travasa tra le braccia del ragazzetto di 7 max 8 anni che non lo lascia fino a che non  è davanti al banco  del caffé. Passa la mano sul sedile, ci si arrampica sopra, chiede una cannuccia, beve avidamente il suo cappuccino. Il padre, l’uomo sotto ai 40, ha l’aria di chi ha rinunciato da un pezzo a dirgli di fare le cose con calma.
Sorrido. Il bimbo ha gli occhi belli e svegli, della serie da queste parti o cresci in fretta o cresci in fretta, e la risposta pronta, della serie anche alla mia età non mi faccio passare la mosca sotto il naso.
Sorrido mentre mangio con più lentezza del solito il mio cornetto.  Come sempre sono in anticipo, l’autobus per Fisciano parte alle 7.15 e da qui  alla fermata a piedi ci vogliono al massimo 20 minuti. E poi curioso sono curioso,  però curioso della curiosità buona, perché la curiosità è come il colesterolo, c’è quella buona, quella che ti fa fare domande, ti fa cercare risposte, ti fa capire, imparare, migliorare,  e c’è quella cattiva, quella che ti porta ad essere pettegolo, come si dice, trasiticcio. Aspetto dunque che padre e figlio escano  e chiedo a Gabriele cosa ci fa un ragazzino così piccolo a quell’ora per strada.
“Che ci fa per strada?, e provateci voi a tenerlo a letto, quello la mattina se non esce con il padre fa il pazzo. Le hanno provate tutte, la migliore è questa: la mattina vengono qui, fanno colazione, aprono l’oficina, poi lui alle 8 prende la cartella e se ne va a scuola”. “Tutte le mattine?” “Tutte le mattine.” Mah.
Ci siamo incrociati altre 6-7 volte fino a quando, due settimane fa, ho chiesto al padre se il ragazzino studiava con profitto. “Sì sì, mi ha risposto, è bravissimo, le maestre ne dicono un gran bene, non ci sono proprio problemi”.
Mentre facevo i miei soliti 20 minuti a piedi mi è venuta l’idea, e il giorno dopo ne ho parlato a Gabriele.
Avrei pensato di regalare un libro al ragazzino, “secondo te se lo faccio il padre si offende?”
“Assolutamente no, anzi, è una bravissima persona, un gran lavoratore, non ci sono problemi”.
Nei giorni successivi, durante uno dei miei ricorrenti pellegrinaggi alla Feltrinelli ho comprato Il Piccolo Principe, quello con la copertina di cartone, con i disegni colorati e la carta più bella. A voi lo posso dire, ci tenevo tanto che il libro piacesse al ragazzo.
Ieri finalmente l’ho portato, sono passato apposta prima, l’ho lasciato a Gabriele, che a me queste cose, sarò perché sono grande e grosso, mi imbarazzano in modo incredibile.
Stamattina invece li ho incontrati, ma solo perché loro erano in ritardo. Appena sono entrato Gabriele ha fatto segno al padre che mi ha detto “grazie, prufessò” e prima che riuscissi a impedirglielo ha fatto segno al figlio che prima che il padre gli dicesse qualche cosa mi ha detto grazie, ma non un grazie normale, ma un grazie così bello, con degli occhi così belli, che vi giuro un grazie così tanto bello l’ho sentito poche altre volte nella mia vita. Gli ho detto “per me è stato un grande piacere”. Lui mi ha detto “grazie”. Domani non mi devo scordare. Devo chiedere a Gabriele il ragazzetto come si chiama.

21 pensieri riguardo “Il Piccolo Principe”

  1. La scena si ripeteva quotidianamente: la nonna impegnata a bussare alla porta del bagno intimando ai suoi nipoti, ovvero a me e a mio fratello Luca, di non occupare indebitamente quella stanza per leggere.
    Invece, noi sciagurati, appoggiati i teneri sederini su water, facevamo ruotare il portabiancheria Girmi davanti a noi e, grazie al suo coperchio inclinato, lo trasformavamo in un perfetto leggio.
    Le letture erano per lo più quelle dei fumetti di Topolino, il Corriere dei Piccoli; le strisce di Jacovitti e le avventure di Asterix…
    Sostituito il portabiancheria, nessuno ha più letto in bagno e la nonna ha finito i suoi giorni contenta.
    Se queste sono state le mie prime letture, il primo libro che mi è stato regalato in maniera ufficiale è il “Il Mirto e la Rosa” avuto per mano di Michele come dichiarazione del suo amore assoluto, pronto a sublimarsi per non essere sporcato da nulla.
    Lo conservo con tenerezza e a scriverne mi viene anche un po’ di malinconia.
    Per quegli anni in cui conoscevamo solo il bianco e il nero; per Michele che ha dato spessore a quei valori attraverso la sua divisa di alpino, in tutto il mondo.

  2. Il mio primo libro, ce l’ho ancora, fu un estratto dei “Miserabili” la storia di Cosetta, in edizione per ragazzi, con le illustrazioni.
    La piccola Cosetta maltrattata , l’incontro con Mario, gli appuntamenti di nascosto ai giardini, le barricate, gli atti di eroismo, il sacrificio di Jean Valjean …..
    Inutile dire che mi innamorai di Mario pure io!
    Non riuscivo a smettere, ricordo ancora mia madre “….è pronto….!!!! a tavola..!!!”
    Quando poi ho letto “I miserabili” in edizione integrale, ho ritrovato la stessa magia di allora.
    Ed è rimasto uno dei libri che amo di più, è proprio vero, il primo amore non si scorda mai !!!

  3. Non so quale libro mi fu regalato per primo. So che ogni tanto me ne arrivava uno tra le mani ed erano libri per ragazzi. Uno si intitolava “L’aquila della X legione” e non era un’apologia del fascismo come può far pensare il titolo, ma un romanzo ambientato negli ultimi anni dell’Impero romano. Un’altro era una storia di eroismo in montagna, “I giorni delle valanghe”. Gli immancabili “Pattini d’argento”, “Il piccolo Lord”. Detto tra noi, robaccia… Mio padre invece mi regalò un bel numero dei tascabili Einaudi per ragazzi, quelli con la riga rossa: Marcovaldo, Il barone rampante, La ragazza di Bube, Lessico famigliare, Il giorno della civetta, la scoperta di Troia… Quelli li apprezzavo, anche se sospettavo che ne venissero tagliate delle parti – ed è vero, ho fatto il confronto con un’edizione non purgata del Barone rampante.

    Finché non arrivarono i libri tascabili all’Esselunga dove accompagnavo mia madre a fare la spesa. E ogni volta uno finiva nel carrello. Il primo, lo so perché è il numero 1 della mia biblioteca (eh sì, li ho numerati tutti, sono nato sotto il segno della Vergine…) fu “Il sergente nella neve” di Mario Rigoni Stern. È forse quello cui sono più affezionato, insieme a un introvabile manuale donatomi ancora una volta da mio padre: “Il mondo sulle scatole dei fiammiferi”.

  4. A Napoli può succedere che un cappuccino straborda in un sorriso.
    Quante sensazioni sono passate dentro quel sorriso al bancone di un bar… si sovrappongono in un carosello di immagini fluide e concentriche.. un gesto inatteso, inusuale..eppure semplice, come può essere la spontaneità generosa di chi sa Guardare le persone intorno e intravederne la storia.
    La Grandezza del gesto, del dare senza il frastuono assordante dell’applauso, con questo misto di pudore e di attenzione alle reazioni di chi riceve— disvela un atto comunicativo coraggioso e racchiude tutta la pedagogia dell’ascolto -attivo, premessa di tanti futuri dialoghi simmetrici.
    Che bello incontrare il tuo sguardo Vincenzo! Il richiamo a figure straordinarie come Danilo Dolci e don Milani non è un azzardo, sfiorare la vita degli altri e coglierne l’essenza è il bello di questa avventura educativa.
    Non solo, spesso quell’essenza illumina le nostre zone d’ombra e ci restituisce sensazioni benefiche che tendono a pacificare il passato.
    Mi commuove quel bimbo al bar- è come se fosse Vincenzo piccino, mi proietto dentro quel dono tanto desiderato… un libro! e che libro! L’essenza! Mi piace troppo… scoprirò cosa c’è dentro quel cappello..o è un boa..oh no forse un elefante… intanto mi godo il sorriso che va oltre la zona d’ombra…oltre il bordo dove avvengono strani e immediati incontri- desideranti- quel sorriso che si evolve nell’alunno ormai sposo.. e che si stempera, a volte, in nostalgia per non poter accendere il sorriso di molti bimbi che si perdono nei gorghi.
    Grazie Vincenzo!

  5. una volta anche i libri si ereditavano dai cugini più grandi,come i vestiti.Fu così che ereditai da una mia cugina più grande,perchè mia zia era in vena di grandi pulizie,molti libri:piccole donne,piccole donne crescono,i figli di jo,ed altri che non sto qui ad elencare,tanto li conoscete anche voi,ed anche dei bellissimi libri della mondadori sulle abitudini degli animali,e mi incuriosì molto uno dal titolo “musti il candido”,raccontava la vita di un ermellino ne con tante figure,……………ci misi quasi due settimane a leggerlo,avevo 8 anni,ma ancora ricordo la soddisfazione di aver letto un libro ,perchè era segno di essere grande!

  6. Con il primo libro c’entra poco, ma con un sorriso che dice “grazie” …tanto!
    Matteo era un mio alunno di terza media , di studiare Scienze..non ne voleva sentire, ma restò affascinato dall’esperimento con l’elettroscopio, una delle poche cose che aveva appreso con gioia.
    E non era il solo…tutti agli esami volevano parlare di questo benedetto esperimento. Avevamo concordato: un argomento a loro scelta, per rompere il ghiaccio e uno lo avrei chiesto io.
    Arriva il giorno dell’esame, arriva il turno di Matteo. Spaventatissimo.
    Inizia l’esame di Scienze, espone barcollando, è spaventato, tocca a me, facendo finta di scegliere tra tante cose…gli chiedo, come se mi fosse venuto in mente in quel momento , ” Matteo…..perchè non ci esponi l’esperimento dell’elettroscopio…”
    Gli occhi azzurri diventano due fari sorridenti, tra un po’ spuntavano i lucciconi, racconta con entusiasmo, fa un figurone, e continua a guardarmi con quel sorriso …che non dimentico.

  7. mà, me lo compri?
    no, ti ho già comprato Topolino e Tex
    e dai compramelo
    ma cos’è? ma vuoi sta cavolata? Rimettilio a posto!
    no, per favore lo voglio, dai compramelo
    basta, hai i giornaletti
    allora poso i giornaletti e mi compri questo libro

    E siccome i giornaletti li leggeva anche lei, alla fine, dopo aver fatto il diavolo a quattro dentro il negozio della giornalaia amica di mia madre, lei cedette e me lo comprò. Questo è il primo libro che mi feci regalare a 11 anni, è ancora nella mia libreria.

    http://www.adrianoparracciani.it/primolibro

  8. All’età di otto anni ero molto curioso e vivace. Leggevo molti fumetti: da topolino, ai fotoromanzi per signore, passando per tex willer, zagor, capitan america ecc. I miei fratelli mi prendevano in giro dicendomi che ero come “zì Giuvann a’ cell” (non so perchè lo chiamassero così), un anziano contadino che abitava di fronte ai miei nonni e che leggeva di tutto, ma proprio di tutto, perfino fogli e giornali pubblicitari che a volte raccoglieva per strada.
    Tuttavia fino all’età di 12-13 anni i miei unici libri erano quelli di scuola, già usati da mio fratello maggiore (allora, alle elementari e alle medie, non era necessario comprare ogni anno lo stesso libro solo perchè era uscita una nuova edizione in cui era stata variata solo l’introduzione o la bibliografia).
    Un giorno d’estate, avevo 13 anni, “zì’ Giuvann a cell” mi chama : vieni ho una cosa per te! Corro, forse qualche frutto che lui raccoglieva nella sua campagna e che ogni tanto distribuiva ai ragazzi del cortile. “Tuo nonno mi ha detto che ti piace leggere. Tieni questo e per te”. Non era frutta, ma un mattoncino di circa 450 pagine dal titolo “Il tredicesimo apostolo” di Eugene Vale. Ringraziai, non con lo stesso sguardo del ragazzino di Moretti, e un pò deluso ritornai dai nonni dove lasciai quel mio primo libro “non scolastico”.
    Un paio di settimane dopo, in una giornata afosa che mi costringeva in casa, mi capitò sottomano quel libro e iniziai prima a sfogliarlo, poi a leggerlo svogliatamente e via via con sempre maggior interesse. Una vicenda semplice, quale l’incontro fra un oscuro funzionario consolare di una città costiera sudamericana e un suo strano compatriota, nonchè del viaggio sulle tracce di quest’ultimo e delle riflessioni che tale viaggio infondeva nel funzionario. Lo lessi in 5 giorni. Non era il piccolo principe, ne una fiaba era un vero e proprio libro che stimolò la mia fantasia e la mia curiosità accellerando l’interesse per la lettura. Il piccolo principe l’ho letto solo all’età di 22 anni. Grazie “zi Giuvà”!

  9. sono venuta a leggere gli aggiornamenti di enakapata, la curiosità stavolta era forte e poi ho un tarlo: non ricordo il titolo del primo libro ma ricordo che rileggevo senza sosta un racconto strano e brutto,pagine ingiallite e copertina rossa rigida. anche mia madre non capiva questa fissazione ma, almeno una volta al giorno dovevo leggerlo.
    ricordo ancora in quale posto della libreria si trovi e, anche chiamando mia madre e chiedendole di leggere il titolo mi direbbe poi te lo cerchi … ma è possibile che quando capito a casa mi segua sospettosa temendo rubi un libro?
    e quante lavate di capo quando dicevo esco, allora non avevo il cellulare e ho temuto più di una volta che telefonasse intimando che casa non era un albergo e che si rispettano le ore dei pasti.
    tornando al valore dei libri quando ero piccola era il regalo perfetto e,mi è rimasta impressa ai tempi di baby sitter quando a natale mi regalarono profumo, io e lei eravamo caratteri opposti e solo parlando di quel libro ci sorridevamo.
    poi … grazie ad una citazione da un libro del cuore (inteso che dopo averlo letto lo sento mio) ho trovato su fb nuove amicizie fortuite e dense di sorprese e piacere.
    si vincenzo quel regalo quel giorno … incommensurabile.

  10. Comincio col dire a Vincenzo che lui quel bambino con quel dono lo ha vaccinato, vaccinato contro tutte le cose brutte che gli capiterà di incontrare, io la vedo così, ricevendo quel libro questo bambino ha imparato che c’è e ci sarà sempre qualcuno che a lui ci tiene , che in lui ha fiducia, e certo crescendo non vorrà tradire tutto ciò. La visione o previsione di Daniele mi ha colpito anche per questo.
    Ad Adriano rispondo dicendo che ,è vero che la felicità non si può insegnare, ma la fiducia e l’amore si.
    Mi affascina il rapporto padre-figlio che qui è solo accennato, questo bambino ha un “legame” speciale con il padre , pur di stare con lui si alza all’alba, lo stesso legame lo sto riscontrando dentro “Enakapata”, ecco io sono convinta, e non credo di sbagliare, che questo rapporto quando è sano e forte fa crescere uomini migliori, che a loro volta diventeranno padri migliori.
    Certe cose si “imparano ” a casa.
    Forse chi ha questa fortuna non riesce a vederla, ma non è sempre così, non tutti i padri sanno “fare” i padri ,forse perchè non gli è stato insegnato da nessuno.
    Mi sono fatta prendere la mano…psicologia spicciola? no, ammirazione.

  11. Se devo essere sincera, non ho memoria del primo libro ricevuto. Della prima infanzia io rammento soprattutto dei bellissimi libri di fiabe, acquistati in fascicoli, in edicola, e poi rilegati da abili mani di artigiani. Le fiabe erano occidentali ed orientali e mi piacevamo moltissimo. Le leggevo da sola, soprattutto durante le lunghe degenze delle malattie esantematiche, che affliggono i bambini. I miei genitori lavoravano entrambi, non avevo fratelli e sorelle, per cui rimanevo intere giornate da sola, con un termos di tè, le figurine, i libri di fiabe. Queste storie mi sono rimaste dentro per tutta la vita.

  12. Nel mentre che il professore se la pensa torno all’argomento della discussione: il mio primo libro.

    Alle elementari andai un po’ “grandicello”: avevo sei anni e mezzo e non avevo fatto la “primina”. Allora i libri “di testo” erano, se non ricordo male, solo due e comprati, rigorosamente, di seconda, o forse terza, mano. Assieme ai libri avevo anche due quaderni: uno a righe ed uno a quadrettoni con la copertina rigorosamente nera (sicuramente risalivano ad una fornitura del “periodo” politico precedente), una matita con gommetta incorporata ed una stilografica un po’ spuntata.
    Ma quelli per me non erano “libri”, erano “strumenti di tortura”.
    Il MIO primo libro, nel vero senso della parola, lo “acquisii” poco prime di fare dieci anni.
    Me lo regalò un vecchio prete canossiano e il titolo era (udite! udite!): STORIA DELLA BOMBA ATOMICA di Leandro Castellani e Luciano Gigante – casa editrice Vallecchi (Firenze), pagine 480, con illustrazioni e fotografie in bianco e nero.
    Ci misi sei mesi a leggerlo comprendendone solamente la trentesima parte.
    Dopo questa lettura “lunga e travagliata” il libro andò nel “dimenticatoio”.
    Lo “rispolverai” nel luglio del 1969 quando “andammo sulla luna”.
    Circa un anno fa, rovistando fra la mia “roba da scapolo”, l’ho riesumato e messo in evidenza in mezzo agli altri duemila libri che “nel mentre” ho “acquisito” (uso questo termine per evitare di dire: comprati, ricevuti in regalo, mai restituiti, estorti agli amici scrittori…. a proposito …. da qualche mese ne sto aspettando uno da un amico partenopeo,…….. etc. etc.).

    Ma VOI professore, non l’avete un libro da farmi “acquisire”?

  13. Volevo postare qualcosa sul primo libro che ho letto però mi è sorto un atroce dubbio:

    Scusate professore, ma a VOI vi devo dare del TU oppure del LEI ?

    Il “tu telematico” e la “netiquette”.
    Sono andato sul WEB e ho scoperto, meglio tardi che mai, la “netiquette”.
    La “netiquette”, parola derivata dalla sincrasi del vocabolo inglese net (rete) e quello di lingua francese étiquette (buona educazione), è un insieme di regole che disciplinano il comportamento di un utente di Internet nel rapportarsi agli altri utenti attraverso risorse quali newsgroup, mailing list, forum, blog o e-mail in genere.
    Un problema di netiquette che non esiste in inglese è l’uso del TU.
    Sembra che non ci sia, in Italia, una “prassi” del tutto “consolidata”.
    La tendenza prevalente è l’uso del TU in tutti i messaggi in rete, cui non sempre segue automaticamente la stessa forma amichevole quando ci si incontra di persona. La maggior parte delle persone tende a trasferire il TU anche nell’incontro “fisico” o telefonico; alcuni invece, specialmente se lo scambio è professionale e non personale, quando passano al colloquio “a voce” usano il LEI.
    Ci sono, specialmente fra i “nuovi arrivati”, persone che usano il LEI anche in rete. Si può immaginare che l’uso del TU sia più frequente fra i giovani, ma non è sempre così. Più che dall’età dipende dalle abitudini personali e dal tipo di relazione.
    In sostanza, l’uso prevalente rimane il TU ma ogni persona è libera di scegliere il modo che preferisce; e anche in questo è bene non “imporre” il proprio stile ma tener conto del comportamento delle altre persone.

    VOI, caro professore, come la pensate?

  14. 1965, era di febbraio; Roma quella mattina si svegliò sotto il manto copioso, ovattato e candido della neve, la prima nevicata della mia vita, avevo allora 8 anni. Ero affascinata, eccitata, emozionata da quello spettacolo che solo la neve riesce ad offrire e che prima di allora avevo visto solo a cinema e in qualche foto o cartolina che giravano per casa. All’epoca soffrivo di estenuanti tonsilliti frequenti e febbrili, e per l’appunto erano quattro giorni che il termometro nn scendeva sotto i 38°. Non ci furono santi, mia mamma – soprannominata dal parentado “il sergente di ferro” – nn sentì ragioni; a nulla valsero le mie suppliche e i miei buoni proponimenti per convincerla a farmi scendere giù in giardino a giocare con gli amichetti del condominio che già si rotolavano fra la neve. Insistere, fu inutile sofferenza; il sergente nn avrebbe mai acconsentito che io scendessi così febbricitante, anzi, minacciò ulteriore dose di “spennellature” alla tintura di iodio – un vero e proprio martirio – se avessi seguitato. Pigiamino a schacchi bianco e blue di flanella, vestaglietta e sciarpona al collo, muso col broncio rassegnato e triste, accomodai la poltrona preferita di papà davanti alla porta-finestra della terrazza, intenzionata ad ammirare almeno da dietro i vetri quei soffici fiocchi che continuavano a scendere guarnendo come d’organzino di seta i tetti e le vie di Roma. Che incanto la neve, e che sconfortante rabbia sentire le voci ridanciane dei miei compagni che giocavano divertiti, mentre io ero lì, acciambellata sulla grande poltrona di cuoio capitonè, malaticcia e incompresa. Non so quanto tempo passai in contemplazione del paesaggio così agghindato, così nuovo per me, quando lo sguardo mi cadde sulla vicina libreria. I libri sono stati da subito la mia passione e già molte altre volte ero ricorsa a rifugiarmi nella lettura per stemperare le mie inquietudini di bimba. Mi colpì la costa di un piccolo libro con la copertina di pelle bianca e la scritta in oro: “I Canti” di Leopardi e fu proprio quel giorno nevoso di febbraio che mi innamorai perdutamente di Giacomo. Il libro era di mio padre e al suo interno portava una piccola dedica di inchiostro nero e in bella calligrafia: 1938 a Gianni, tuo padre – mio nonno – Aprii il libro a caso, la prima poesia che lessi fu “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” quasi a metà delle pagine; voi direte – cosa avrà mai potuto capirci una bimba di 8 anni delle spiegazioni filosofiche leopardiane sulla condizione umana? – Oh, vi sembrerà strano, eppure io a mio modo capii. Capii, ed ero il pastore che si rivolge alla luna, quella luna muta e meravigliosa che nn da risposte superflue perchè l’essenza del mistero è già nel cuore del pastore e nn serve altro. Bella la nevicata del ’65 a Roma.

  15. Il piccolo principe è stato il primo libro che ho “passato” a mia madre. Dico il primo, perché fino a quel momento era stata sempre lei a passarli a me. Anche adesso facciamo così, se una delle due legge un libro bello, lo passa all’altra. E poi l’aspetta ansiosa, per poterlo commentare. E’ una cosa che è cominciata mentre ero ancora nella sua pancia, già allora condivideva con me i suoi libri, me li leggeva ad alta voce. Quando eravamo ancora sotto lo stesso tetto, non potevamo fare a meno di chiederci “allora, a che sei arrivata?”… e via a commentare e a chiacchierare fino a notte fonda. E adesso che viviamo in case diverse, mi manca molto questa complicità.
    Il piccolo principe gliel’ho passato io e poi ne abbiamo parlato a lungo, sotto voce, nel silenzio notturno. L’abbiamo amato molto, perché spiega la complessità in modo così semplice da commuovere.

  16. Questa tua storia caro Vincenzo, sarebbe un grande insegnamento se la felicità si potesse insegnare (e qui parte un dibattito senza fine con morti e feriti). Sicuramente è un indicatore del tuo stato, del tuo percorso. Non tanto e non solo per il gesto verso il ragazzo, ma per la felicità che ti ha dato. Non è cosa da poco. Riuscire a vivere dei momenti di felicità, intendo quella vera, dove entra in gioco la chimica, riuscire a vivere questa emozione per una cosa apparentemente banale come un sorriso di un bambino, io la considero una grande capacità, ed anche un grande insegnamento, ripeto, se applicabile; tanto grande quanto difficile da seguire. Perché bisogna essere attrezzati per godere di una cosa “banale”; si deve essere opportunamente configurati. Non è retorica; sembra facile adesso, mentre leggiamo la tua storia, mentre leggete questa mio post, sembra facile essere d’accordo, anzi qualcuno starà pensando che è una ovvietà. Eppure per buona parte del genere umano che vedo in giro non è così. Parlo di quella parte che chiama felicità la paccottiglia di orpelli e di stile di vita conformisti e consumistici a cui ambisce e che invece nasconde solo un enorme senso d’insicurezza. L’opportunità di momenti felici ci è sempre vicina ma non è mai di fronte; basterebbe saper guadare ai lati o in qualche piccola piega per vederla e tentare di coglierla. Tentare, perché in realtà la felicità è un tuo stato interiore, la cogli solo se sei pronto; è come la storia del viaggio: vero Vincenzo?

  17. La prima volta che mi sono seduta in un banco avevo solo 4 anni. Mia sorella Chiara frequentava la prima elementare ed aveva una maestra dolcissima e buona come nessuna. Tutte le mattine, insieme a mia madre, accompagnavo mia sorella Chiara a scuola e, non appena entrava in classe, cominciavo a piangere e a singhiozzare. Dopo alcuni giorni di queste scene, la maestra, dispiaciuta per me, disse a mia madre di lasciarmi entrare con Chiara in classe ed assistere alla lezione. Ricordo la mia gioia nel sedermi in quel banco di legno, quelli di una volta, neri con il foro per il calamaio. I quadernini avevano anche la carta assorbente per assorbire le eventuali macchie di inchiostro. Sulla cattedra una bacchetta di legno. La maestra la usava raramente per bacchettare sulle mani le alunne chiacchierone ed impertinenti.Un giorno è venuta con un regalo per me: un libro di favole ” Il ciuco del pentolaio”. E’ il libro più caro che conservo nella mia libreria e che ho letto a soli cinque anni.

  18. io ho passato quasi tutta la prima elementare confondendo le sillabe, leggevo a fatica, pesava pure il dito sulla pagina. la maestra nonostante fosse una santa dovette dirlo a mia madre che rischiavo la bocciatura. allora lei, con la scusa del cucito e altre cose iniziava un libro e poi triste mi diceva di proseguire che era curiosa ma io sapevo che erano i libri che leggeva da piccola.
    alla fine non resistevo prendevo di nascosto il libro e, leggendo con gli occhi continuavo, anche di notte nascondendolo sotto al cuscino insieme alla pila.
    diventarono come cibo, come un’ombra.
    un giorno poi …mi portò alla fiera del libro usato:banchi lunghi come autostrade con montagne di libri dai tanti colori, odori e simboli. tuffavo le mani come il mare e … colpo di fulmine! un nuovo amico (minimo) doveva venire a casa o iniziavo a piangere disperata. dopo un po, all’ennesimo imbarcarsi della liberia mia madre sconsolata diceva basta. trovai la soluzione: amanti passeggeri mediante il prestito bibliotecario. ai vizi si cede.

  19. STOCCOLMA, Premio Nobel per la Letteratura 2082, dalla Prolusione del vincitore

    Era un giorno di gennaio, o forse di febbraio di tanti anni fa – avrò avuto sette o otto anni – quando un signore alto alto che ogni tanto vedevo sorbirsi un cappuccino nel bar dove mi portava mio papà, mi regalò un libro, anzi me lo fece avere dal barista perché aveva un cuore talmente grande che non voleva neppure godere per sé del bene che faceva. Quel libro era Il piccolo principe ed è ancora nella mia libreria. Leggendolo decisi di diventare anch’io scrittore, per raccontare le storie che mi piacevano in quello stesso modo, appassionare la gente, renderla se non felice, almeno un po’ serena. Da “Il professore”, uscito nel 2022, è cominciata questa meravigliosa avventura che mi ha condotto qui oggi davanti a voi, illustri accademici di Svezia. Scusate un attimo, metto a posto il frac…

  20. Mi hai fatto ricordare di una cosa accaduta…bè un po’ di tempo fa diciamo. Avevo più o meno l’età di quel ragazzetto e ho ricevuto in regalo il mio primo libro Piccole Donne (che da qualche parte conservo ancora ). Il Papà di una mia amichetta, Don Antonio Gargiulo, era un’ambulate, vendeva libri. Quando tornava dal lavoro gli toccava scaricare l’automobile per liberarla dai pesanti e ingombranti scatoloni colmi di libri. C’erano sempre una marea di bambinetti disposti a dare una mano a quell’ometto che ricordo gentile ed educato, sempre cortese con i suoi grazie e i suoi per piacere. Io ero tra questi bambinetti e, nel corso degli anni, mi ha regalato più di un volumetto ma Piccole Donne lo ricordo con una gioia particolare. Il mio primo libro. Una passione, la lettura, che non avrei più abbandonato e che mi avrebbe accompagnato per tutta la vita. Auguro al tuo ragazzetto che Il Piccolo Principe possa essere per lui la chiave che gli aprirà mondi sconosciuti e fantastici come Piccole Donne è stato per me.

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