Si lo so che discutere con le giovani generazioni è sempre una bella esperienza, ma vi assicuro che le iniziative di inizio mese tra Messina e Gioiosa Marea con Guglielmo Sidoti (Consulta Provinciale degli Studenti di Messina) e Teodoro Lamonica (Associazione Un’Altra Storia) sono state particolarmente belle. Vi state chiedendo perché? Presto detto. Per il tema, la legalità come bene pubblico, come rispetto delle regole. Per la partecipazione, numerosa, consapevole, attiva. Per i “pubblici” differenti, ragazze e ragazzi di 15-18 anni a Messina e di 11-13 anni a Gioiosa Marea. Per l’impegno a trovare e usare le parole giuste, quelle che meglio potessero parlare alle loro teste e ai loro cuori.
Io è da un pò di anni che ho imparato che se vuoi parlare veramente con i ragazzi devi partire da loro, da ciò che per loro è importante, da ciò che per loro vale. Per la verità non vale solo con i ragazzi, diciamo che con loro vale di più. Fatto il primo passo, poi il secondo, quello che porta loro a provare interesse per quello che dici tu, viene molto più facile.
Dite che non si capisce? Allora vi faccio un esempio. In questo periodo all’Università siamo alla prese con Weick e il suo magnifico volume, Senso e significato nell’organizzazione. Ad un certo punto l’Autore fa dire ad uno dei suoi personaggi, l’arbitro, che le regole del gioco “non sono nulla sino a che io non le chiamo”. Mi è venuto in mente Boskov, l’allenatore della Sampdoria di Mancini e Vialli, quella della scudetto, e il suo: “Rigore è quando arbitro fischia”.
Non ci crederete, ma l’idea che le regole esistono solo se qualcuno le chiama ha funzionato alla grande; anche le ragazze e i ragazzi più piccoli hanno capito benissimo che quello che nella partita di calcio fa l’arbitro nella vita di tutti i giorni lo dobbiamo fare noi cittadini.
Proprio così, non basta che a chiamare le regole siano le istituzioni, i magistrati, i poliziotti. Occorre che tutti noi, ogni volta che vediamo una regola infranta, un diritto calpestato, reclamiamo il suo rispetto, insomma la chiamiamo.
Sì, perché come sottolinea Varchetta nella prefazione a Weick, il punto non è la posizione di “potere” dell’arbitro, ma quella di “responsabilità nei confronti di una realtà che ha contribuito a creare e di cui può e deve rispondere. Sono infatti le nostre azioni che fanno la differenza”.
Altro che arbitro. Funziona ancora meglio nel caso dei cittadini.