Raféle

by Matteo Arfanotti
by Matteo Arfanotti

Se venite stasera, Raféle lo incontrate a via Toledo, lato Banco di Napoli, seduto sul gradino di un negozio chiuso, tra una ventina di ventagli multicolori di poco prezzo e di altrettanta qualità che si venderebbero da soli se non fosse che con un caldo così  è troppo anche roteare avanti e indietro il polso della mano.

Però stasera è, diciamo un’eccezione, come mi ha spiegato lui una volta c’è un amico che ogni tanto gli lascia il posto, e lui ne approfitta per farsi un bagno nell’alta nobilità – perché Vicié, t’ho giuro, qua è tutta un’altra gente rispetto ’a Ferrovia, là ce stanno solo muorte ‘e famme e mariuoli, e io mica pozz vennere ‘e ventaglie, solo accendini e qualche pazziella pé criature -.

Dite ma come faccio a riconoscere Raféle, che se Napoli se ne cade la mantengono le migliaia di Rafele di tutti i colori sparsi in ogni angolo della città? Avete ragione. Io stesso avrei difficoltà se non fosse che Rafele – che scemo, non ve l’ho detto -, è mio cugino carnale, il figlio di una delle sorelle di papà.

Sì, Raféle è mio cugino, e aggiungo che sono onorato di averlo come cugino anche se il motivo dell’onore ve lo spiego dopo, adesso vi devo dire che io per molti anni, diciamo 20, forse 25, neanche l’ho saputo che papà avesse un’altra sorella, anzi due, e di conseguenza non sapevo nemmeno dell’esistenza di questi cugini.

Per la verità una volta era successa una cosa, avrò avuto 12 anni, stavamo al mercato io e papà quando una signora che assomigliava molto a zia Maria si avvicina e dice : “Pascà, chisto é Enzuccio?”. Con mia grande meraviglia, papà, che vi assicuro era di un’educazione adamantina, non solo non risponde alla ma mi dice “s’é fatto tardi, è ora ‘e turnà ’a casa” e mi tira via.
Papà, ma chi era quella signora – gli chiedo -, Nisciuna – risponde, un “nisciuna” con incorporato “non chiedere altro che ti piglio a schiaffi”.

Verso i 25 anni ho saputo, credo. Pare che il papà di Raféle avese lasciato la mamma per andare a vivere con la sorella (della mamma e di papà) e questo  era bastato per condannare alla damnatio memoriae le due sorelle e tutto quel ramo del parentado.

Io non so se la vita di stenti a cui sono stati condannati le mie due zie e i loro figli sia dipesa anche da questo, forse no, in fondo neanche noi non ce la siamo passata un gran che bene, però tra noi ci aiutavamo, il cappottino rivoltato, i  pantaloni del cugino più grande a quello più piccolo, insomma una sorta di mercato equo e solidale formato famiglia, e poi l’affetto, vuoi mettere l’affetto, lo scambio dei giornaletti (i fumetti allora li chiamavamo così), l’organizzazione delle prime feste, tutte cose che con Raféle e i suoi fratelli non abbiamo potuto condividere.

Stasera quando sono passato Raféle mi ha chiamato, come le altre volte. Mi sono avvicinato, ci siamo salutati, ha scelto il suo ventaglio più bello e me l’ha dato. Ho cercato in tutti i modi di dirgli di no, non c’è stato verso. A pagarglielo non ci ho provato neanche, l’avrei offeso inutilmente. Mi ha sorriso con quel suo sorriso stanco, dolce, disarmato. Mi ha detto portalo a tua moglie. L’ho abbracciato. Gli ho detto grazie. L’ho salutato. Ho pensato che davvero è più facile che un povero sia generoso piuttosto che un ricco passi nella cruna di un ago (dite che quello era un cammello? è che io a volte vorrei che ci passassero certi ricchi, non tutti per carità, una buona parte).

Ecco, ve l’ho detto, considero un grande onore essere il cugino di Raféle. Ha un cuore grande  grande e un animo nobile, e questo nessuna miseria materiale e nessun pregiudizio umano potrà toglierglielo.

7 pensieri riguardo “Raféle”

  1. Vincè mi si è impresso quel fotogramma di tuo padre che scandendo con determinazione “Nisciuna” dopo l’incontro fortuito della sorella, dà lo spessore del disconoscimento. Penso a quante famiglie si sono smembrate dolorosamente nel mantener fede a quel senso dell’onorabilità legata a vicende di amori non santificati dal vincolo del matrimonio. Quelle rigidità, in quel momento valori alti e insormontabili ,hanno messo a tacere gli slanci emotivi e le ragioni del cuore, se succedeva uno ” sbaglio” era d’obbligo l’oblio, mentre l’onta del danno lanciava ombre su tutta la discendenza familiare.
    Penso all ‘umiliazione di tua zia e al dispiacere taciuto di tuo padre e a quanti sacrifici han dovuto sopportare i bambini nati da quell’unione. Soprattutto è mancato quello scambio affettivo forte che dà rifugio e consola dal non- avere beni materiali. Anzi i bambini di allora ci inventavamo strategie incredibili di giochi – avventurosi e persino pericolosi…fieri di essere uniti, di sentire lo sguardo amorevole di tutti. Tu e Rafèle nel tempo vi siete riconosciuti e ritrovati, intatti nell’affetto allora sconosciuto e che oggi può svincolarsi da pregiudizi e consuetudini e compiere lunghi passi di libertà,Un abbraccio ai cugini ritrovati!

  2. Quando ero al liceo, il mio professore amava ricordarci che nella vita non bisogna fare come “l’ospite calabro” il quale offriva al suo ospite delle pere, aggiungendo di prenderne nella quantità desiderata, tanto sarebbero andate ai porci. Il dono è un vero dono quando privarsene è sacrificio ma nello stesso tempo gioia per aver dato.
    L’amore per gli altri risiede nei cuori nobili e non vi è ricchezza più grande di questa.
    Fortunato Vincenzo ma anche Rafele per l’affetto sincero che vi lega.

  3. Praticamente Rafèle non fa che rispettare ciò che dice il grande Principe de Curtis… “Signori si nasce .. e io modestamente lo naqui!!.”
    Sicuramente come dice VIviana si è SIGNORI dentro non è l’ essere ricchi che ti qualifica.
    Mai come in questi anni che in scuola abbiamo a che fare con etnie diverse mi rendo conto di quanto la signorilità alberghi nell’animo di persone semplici, umili, ma rispettose educate, attente.. in poche parole Signori.

  4. Mia madre mi racconta spesso di quando è venuta a vivere a Napoli, da Amalfi, il suo paese di origine. Era molto piccola e veniva da una famiglia modesta. L’ultima di 8 figli. I genitori la mandarono a Napoli, da uno zio acquisito, all’epoca ricchissimo. Un costruttore che a cavallo con la fine della guerra aveva fatto la sua fortuna, con impegno, bravura ed onestà. E per questa immensa onestà e dirittura morale perse tutto nei primi anni ’60, quando nei grossi affari entrò la politica, il malaffare. Perse tutto, ma tutto veramente. Aveva interi palazzi, la macchina con l’autista (nei primi anni 50), cuochi, camerieri, maggiordomi… e perse ogni cosa, tanto da non avere più da mangiare. Ma mia madre dice che non si pentì nemmeno un solo giorno di non aver ceduto ai ricatti, di non essersi piegato. Forse fu anche molto ingenuo da non voler credere a quel che accadeva. In ogni caso questa cosa mi fa pensare che non si tratta di avere i soldi o di non averli. Si tratta di essere persone perbene, ricchi, poveri, bianchi, neri, alti bassi… queste sono solo etichette, sono solo categorie che la società di affibbia perché ha bisogno di inquadrarti, di incasellarti. Ma nessuna di queste “marche” fa quello che sei veramente.

  5. C’è ricchezza e ricchezza… Quella materiale, che tutti si affannano a mettere da parte, devo dire che un po’ la spregio (non sono ipocrita, provo a metterla da parte anch’io, come assicurazione per l’avvenire). Ma questa ricchezza morale, puramente di cuore, la ammiro davvero tanto e mi chiedo “ne sono capace anch’io”? La risposta, come nella canzone di Bob Dylan, fluttua nel vento… Una notazione linguistica sul cammello, che probabilmente già conoscete: nella traduzione dal greco al latino del testo evangelico la “gomena” (kamilos) è diventata un “cammello” (kamelos). Una vocale presa per un’altra ha donato alla parabola un’assurdità che l’ha resa ancora più viva. Provate comunque lo stesso a far passare una gomena in una cruna d’ago…

  6. Rafèle racchiude l’essenza della vita, quella vera, senza artefatti, tosta ma dignitosa, ricca di umanità e di semplicità, si la semplicità che, spesso può sembrare scontata, ma che in realtà è una virtù ormai rara.
    Rafèle è “n’omm over”!…

  7. Essere uomini vuol dire essere in grado di suscitare emozioni.
    Dignità e fierezza rendono gli uomini ricchi.
    E ricchi sono coloro che amano e rispettano.

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