No no, cosa andate pensando, non ho salvato nessuno, non ne sarei capace, io vado trovando chi salva a me. Dal punto di vista pratico, ho passato la notte in ospedale a fianco di un mio amico carissimo, diciamo pure uno dei miei maestri, e come quasi sempre mi accade con le cose pratiche non sono riuscito a rendermi neanche un granché utile, come ha sottolineato il dottore che è passato stamattina con il suo “ma voi qua che ci state a fare se non date la pillola per la pressione al vostro amico”. Dite che avrei potuto obiettare che delle pillole dovrebbero occuparsi loro? O anche che avrei potuto giustificarmi dicendo che io neanche lo sapevo che il mio amico prendeva le pillole per la pressione? E a pro di che! Io mica stavo lì per fare polemiche. Mi sono scusato. E ho dato la pillola per la pressione al mio amico.
Per fortuna però una notte con un amico in ospedale non è fatta solo di cose pratiche, ma anche di pensieri, e io coi pensieri ci prendo sicuramente di più. Anzi, sapete che faccio, un pò dei miei pensieri li racconto anche a voi. Lo faccio così, come mi sono venuti, un pò alla rinfusa, tanto sto così rintronato che se anche volessi raccontarveli per bene non ci riuscirei.
Primo pensiero: bisognerebbe liberalizzare i nomi di battesimo.
Cosa voglio dire? Che il fatto, per fare un esempio, che i miei genitori mi hanno chiamato Vincenzo non vuol dire che tutti devono essere obbligati a chiamarmi Vincenzo. Dite che io oggi non sto stanco, sono completamente taroccato? Niente affatto. Innazitutto perché accade già con i dimunuitivi e con i soprannomi (contranomi). Poi perché da ragazzo lo facevo e riusciva benissimo – ricordo di un Nicola che decisi doveva chiamarsi Pasquale, cominciai a chiamarlo così e in capo a un mese tutto lo chiamavamo Pasquale, in capo a due anche lui si presentava come Pasquale. E infine perchè è accaduto anche ieri sera, quando il compagno di stanza del mio amico ha deciso che io mi chiamavo Salvatore e ha continuato a chiamarmi Salvatore per tutta la notte, aiutato dal fatto che dopo la decima volta che gli ho detto “mi chiamo Vincenzo” mi sono ricordato della vicenda di Nicola Pasquale che ho appena ricordato e mi sono trovato benissimo come Salvatore, persino stamattina quando ci siamo salutati.
Secondo pensiero: una volta era obbligatorio il servizio di leva, e mio padre diceva che con il militare si diventa uomini, adesso renderei obbligatoria una settimana di notte in ospedale, secondo me si diventa uomini, e donne, non ci vuole un anno e più come con il militare.
Io in una sola notte ho ripassato (sì, lo sapevo già) che è bellissimo poter andare in bagno da soli, scendere dal letto se ne hai voglia, camminare, bere se hai sete e mangiare se hai fame, insomma essere autonomi, veder riconosciuta la propria dignità, saper alzare lo sguardo al di là del muro dei nostri piccoli grandi problemi quotidiani.
Terzo pensiero: ho sempre voluto bene alle persone che hanno bisogno di fare di più per fare, diciamo per avere un’idea le persone come Lucia R.. In giornate come queste voglio bene loro ancora di più.
Punto. Ma potete continuare voi.
Vincè (ma io personalmente trovo che ti calzi di più Salvatore, e se fai un po’ mente locale forse arrivi anche tu a capire perchè), quello solo tu ci mancavi ed eccoti qua, puntuale come il mal di testa che non se ne va più manco con una vagonata di pillole, tant’è che ho smesso di prenderle. Mi hai fatto ricordare uno per uno i cinque anni che ho passato al fianco di mamma, in ospedale e non, durante tutto il percorso della nostra malattia (non ho sbagliato, lo so che la malata era lei ma io l’ho sempre considerata la nostra malattia, al punto che poi mi sono ammalata anche io, ma questa è altra storia). Ci ricoveravamo e ci dimettevamo insieme, combattavamo insieme, ridevamo e piangevamo insieme (veramente piangevo solo io lei, il mio capitano coraggioso, non lo ha mai fatto, mai quando c’ero io almeno). E ricordo che dicevo anche io la stessa cosa, cioè che la gente dovrebbe avere l’obbligo dalla legge di passare un po’ di tempo in ospedale, in un ospedale oncologico, per poco, non ci vuole tanto per capire. Io dopo quell’esperienza sono cambiata, molto cambiata. La prima fase è stata un terrmoto, la rabbia il dolore sono diventati un demone incontrollabile, subdolo, infimo, nessuno lo sapeva, nessuno se ne accorgeva ma quello stava là e si era totalmente impossessato di me. Poi, pian piano, metabolizzando, prendendo il tempo che era necessario prendere, mi sono ritrovata diversa, molto. Ancora più diretta, senza impalcature inutili, dritta al centro, al cuore, niente ipocrisie niente scemità, niente fronzoli. E mi è venuta una forza e un coraggio che non avrei mai nemmeno immaginato, ma ci stanno, stanno qua. Insomma senza falsa modestia (nata cosa che non sopporto proprio) oggi mi piaccio, tanto, nu poco sgorbutica, capa tosta quanto basta ma sempre sempre leale e decisamente senza peli sulla lingua.