Il disegno con il suo faccione sta sempre lì, proprio davanti a me, sulla scrivania. In qualche modo continua a guardarmi, anche se naturalmente in maniera diversa da come ci “guardava” lui, che anche dopo che abbiamo trovato lavoro e abbiamo messo su famiglia e abbiamo avuto le nostre vite con le nostre gioie e i nostri casini doveva mettere naso e bocca in tutto quello che facevamo, aveva sempre qualche cosa da ridere, aveva sempre un modo, il suo, per fare meglio le cose.
Lui era così, improbabile, prepotente, straordinario. Quando è nato Luca, lo voglio dire anche se mio fratello Antonio si arrabbia, che se avessi avuto la “capa” di adesso l’avrei chiamato Pasquale, lui non appena l’ha visto l’ha preso in braccio raggiante e ha chiesto “perché gli avete messo un nome da femmina?”. Devo avergli detto una cosa tipo “pà, Luco non esiste, Luca è un nome da maschio” e lui come se fosse la cosa più normale del mondo mi ha risposto “ah, ho capito, se era femmina si chiamava Luchessa”.
Sì, lo avevano disegnato così, abbiamo avuto un padre che ci ha amato in maniera esagerata e in questo, in questo caso parlo naturalmente solo per me, resterà per sempre ineguagliabile, proprio non ce la posso proprio fare a superarlo.
Volete sapere una cosa?, a me non “mi” dispiace, se lo merita di non essere superato, lui se avesse potuto studiare sarebbe stato ineguagliabile anche in altri campi e invece lì già con la prima media ce lo siamo lasciato alle spalle.
E adesso sta lì a farmi compagnia, con quel suo faccione appeso alla parete, con quel sorriso che era proprio il suo e che neanche nel ritratto quello finito, con i colori e la cornice e tutto il resto è venuto così bene, con quei suoi occhi buoni che certe volte se non ci fosse il vetro lo riempirei di baci e lo prenderei pure a morsi per la felicità.
No che non accade sempre, solo ogni tanto, accade per i fatti suoi, come ad esempio stamattina che invece di guardarlo soltanto, come succede di solito, l’ho visto, l’ho sentito dentro, gli ho detto mi manchi, mi mancherai sempre “mannaggia ‘a capa toja”, proprio così gli ho detto, poi ciao pà, e poi basta.
Anzi no, dentro di me, sul lato sinistro in alto ho cliccato sul pulsante “mi piace” e mi sono detto adesso lo racconto ai miei amici di piazza Enakapata, credo che gli farà piacere, c’è un sacco di bella gente, ma sì, adesso lo faccio. L’ho fatto e la giornata si è messa meglio, nonostante la pioggia battente e le tremila cosa che anche oggi ho da fare.
Ciao pà, e non ti preoccupare, che anche se facciamo vite complicate le principali le abbiamo imparate e questo aiuta, aiuta tanto.
Mò non ti arrabbiare, certo che sei stato tu ad insegnarcele, ma non sei stato solo tu, anche mamma, le nostre esperienze, insomma la vita che abbiamo fatto.
Dici che però se non era per te …? Vabbuò, lassa fa ‘a te, ci stai solo tu, e non essere esagerato come al solito, fosse ‘na vota ca dicisse “hai ragione tu”. Vabbuò, vabbuò, a ragione se la pigliano i fessi, e ti pareva che non tenevi pronta la “chiusura”.
Pà, te posso dicere ‘na cosa? Tu si ‘na cosa grande, ti voglio bene, sei stato il padre più meraviglioso del mondo.
Lo so che lo sai che dico sul serio, è la verità, il fatto è che tu sei insopportabile, non ti stai zitto neanche quando qualcuno vuole parlare a tuo favore.
Vabbuò, mo non cominciamo un’altra volta che tengo un mare di cose da fare.
Ciao pà. Ti saluto. E grazie, anche a nome di Antonio, Gaetano e Nunzia.
Mio padre, no mio padre non se n’è andato per sempre. Lo sento intorno e quando non lo vedo lo cerco e lo vedo vivo e presente nei ricordi. Non ho voluto né foto né ritratti che mi dicessero continuamente” ti sbagli, era così ma oggi non c’è più”. Percepisco il suo sguardi di approvazione o di rimprovero, la sua risata, la sua felicità nel vederci nella casa che lui ha costruito, così solida da sfidare il tempo, intorno a mia madre nelle feste. nelle decisioni importanti, senti le sue parole , sempre assennate, che consigliano senza mai imporre. Che belli, che grandi i nostri papà
e quando finalmente il velo si è squarciato, quando in conclusione hai capito tutto, ti accorgi che è passata ogni cosa, ed è mancato il tempo di poterglielo dire. per me è stato così. nn è un rimpianto il mio, o meglio, cerco di nn viverlo in queso modo. la morte è un termine che nn consente tregua, nn concede protrazioni: rien ne va plus, les jeux sont faits. nn ho sue foto sparse per casa e una sorta di timida compostezza mi vieta di parlare di lui anche con mio fratello. ne parlo fra me e me, ossia fra me e lui, con negli occhi quella foto dove io bimbetta mi affido giuliva alla sua mano protrettrice; di quel concreto istante che avrei voluto nn fosse finito mai, che nn è terminato, anzi è immortale, perchè accompagna silenzioso il mio quotidiano oggi divenuto sereno. grazie papo per essere stato proprio tu il mio grande papà 🙂
p.s.: grazie vincenzo, per aver evocato in me ricordi di struggente tenerezza 🙂