
non so se ti ricordi di me perché è passato un po’ di tempo dalla piacevolissima discussione fatta insieme ai nostri ragazzi al bar di Piazza Vanvitelli.
Ti scrivo perché, reduce dalla lettura del tuo ultimo lavoro, volevo trasmetterti la mia gratitudine per le emozioni e le idee che ha catalizzato.
Le emozioni, per le magnifiche storie di persone che sento più che mai vicine e che so non essere delle eccezioni. Si sono inserite in un momento della mia vita in cui, tra mille dubbi e lacerazioni, sto chiedendo alla mia azienda di rimandarmi a Napoli dopo ventisette anni qui a Berlino. So per certo che tra le mille difficoltà che ciò potrà comportare ci sono almeno due buoni motivi per farlo, avvicinarmi ai miei due figli e ritrovare le dodici (cento, mille) persone di Bella Napoli.
Le idee. Qui la faccenda si complica. Sai quella sensazione che si prova quando senti di essere vicino a qualcosa, qualche concetto, ma non riesci ad esprimerlo in maniera chiara. Emergono frammenti da organizzare in un disegno.
Le singolarità che Napoli riesce ad esprimere sono enormi; alcune persone, nel fare quello che fanno, nel lavoro come nella vita, ci mettono quel qualcosa in più che gli viene dall’essere nate e vissute li. Un mix incredibile di fantasia, passione, capacità, spirito di sopravvivenza e amore. Ma tutto ciò nasce dal caos, dal disordine e produce effetti mediamente bassi lasciati nel contesto che li ha generati, talvolta eccellenti se inseriti in un contesto organizzato.
In altri paesi e culture prima si definisce l’obiettivo, poi se ne fa un progetto, si organizzano i processi e poi si chiamano le persone che meglio si attagliano ai rispettivi ruoli. Quindi tutti si sentono a proprio agio, danno il meglio e faticano meno. Ma chi nasce in questa organizzazione delle vita non ha nessuna necessità di sviluppare capacità in più. Questo concetto è un po’ la trasposizione sociologica dei quanto espresso ne “il caso e la necessità” di J. Monod per la biologia. E quindi? Non so di preciso … Ma se provassimo a fregare il meccanismo?
Una volta nel mio lavoro mi è capitato di “fregare il Sistema” per riuscire a realizzare un progetto che altrimenti mi sarebbe stato negato. Non mi sarebbe venuto dietro nessuno se fosse stato esplicito; ho dovuto agire nei meandri dell’organizzazione per creare una cosa in sordina e poi dare la visibilità una volta che la cosa ha avuto successo. Se non avessi fatto in quesot modo l’nvidia, la prevalenza dell’interesse personale rispetto a quello del team, chiusura mentale, ne avrebbero impedito la realizzazione così come successo mille altre volte in mille altre realtà.
La cosa fu paradossale ma estremamente educativa; forse si potrebbe cercare di fare lo stesso, ma a Napoli i Sistemi da fregare sono almeno due: il Sistema sociale e quello politico-malavitoso.
Per il primo bisognerebbe lasciare che le singolarità continuino a svilupparsi per effetto del processo naturale ed ambientale della città, per poi inserirle in un meccanismo virtuoso di interazione con altre culture, con un progetto di sviluppo organizzato ma non palese: una sorta di incubatore interculturale che si aggreghi intorno alle nostre singolarità (pensa gente che viene a Napoli da ogni parte del mondo per creare cose e fatti nuovi). Mi viene in mente quello che fa la natura con i sistemi, agendo in modo da massimizzare l’entropia. L’uomo con la sua opera agisce mettendo ordine, quindi abbassando l’entropia, ma è solo questione di tempo e la natura si impone creando disordine, quindi aumento di entropia. Se i nostri concittadini li trapiantiamo altrove, in un sistema organizzato, tempo una generazione e diventano come gli altri. Se li lasciamo “fermentare” nello stesso brodo culturale che li ha generati e li mettiamo a contatto con altri magari si sviluppano bacini di eccellenza. Bisogna ragionarci ma non è impossibile.
Per il secondo non saprei come fare ma bisognerebbe evitare che politica e malavita si accorgano che Napoli ed i napoletani possono cambiare la realtà delle cose e creare sviluppo altrimenti è fatale che il tutto viene bloccato. D’altra parte sono consapevole che il potere economico è esattamente in quelle mani e quindi ogni cosa passa da li. Ma continua a venirmi in mente la mia esperienza di prima: io i soldi me li sono fatti dare dall’azienda ma non si sono accorti di cosa stavo facendo fino in fondo; dopo, a cosa fatta, sapessi in quanti sono stati pronti a prendersene merito.
I soldi, anche se non molti, sono certo che circolano e tra fondi della comunità e quelli di investitori privati potrebbero essere sufficienti a lanciare il “modello fantasma ad entropia massima”, per provarne l’efficacia o quanto meno la possibilità.
Mi scuso per le mie farneticazioni ma te le ho trasferite tal quali mi sono venute in mente leggendo il libro e ti ringrazio ancora molto per ciò che rappresenta questo tuo lavoro.
Un abbraccio.
Federico P.
Con questo post vorrei rispondere a Deborah.
Deborah 3/4 delle cose che hai detto sono vere e ti assicuro che le ho sperimentate in prima persona.
Napoli è così, la Campania è così e la restante parte del Sud Italia probabilmente è ancora peggio in termini di occupazione.
A volte davvero, vorrei ripopolare la Campania ma fortunatamente penso questo solo in momenti in cui mi capita di scontrarmi con il “sistema malato” di cui parla Federico nel post.
Allora che fare? Deborah devi sclerare! Ti devi arrabbiare con tutto e con tutti e devi cercare di sfogare questa rabbia in qualcosa di costruttivo!
Credimi, anche io sono stanca ma credo che solo tu puoi decidere del tuo destino.
Se hai provato a cercare un’occupazione stabile a Napoli e non ci sei riuscita a che serve avvilirsi?
Il problema è che tu stai provando una sola strada e non ti rendi conto che la soluzione non è mai a pochi passi. Al mondo esistono migliaia di vite differenti e tu stai cercando di viverne una soltanto!
Io credo che se lo volessi davvero potresti sperimentare modi di vivere diversi siccome, non è detto che tutti dobbiamo per forza avere “il posto fisso” o “vivere a Napoli” se la condizione che vivi ti rende infelice prova almeno una volta a cambiarla, interrogati su cosa avviene nel mondo e smettila di pensare a come le persone ottengono lavoro a Napoli. Non è una novità che qui non esiste meritocrazia ma è un dato di fatto, accettalo e agisci di conseguenza! Scegli tu cosa essere e dove esserlo e sicuramente riuscirai.
Con Affetto
Antonella
Dalle mie parti si dice “Cu nesci , rinesce”
che vuol dire chi esce riesce, nel senso che chi va fuori dal proprio ambiente realizza il suo progetto.
I proverbi hanno sempre un fondo di verità, forse perchè fuori di “casa” siamo più stimolati a far meglio, e non si viene condizionati dall’ambiente conosciuto.
Il “sistema” è difficilissimo da fregare, perchè gli altri sono tanti, e in questa situazione di caos perenne chi non si comporta bene ci sguazza, e non ha nessun interesse a far funzionare le cose, Bufalino diceva che la mafia sarà sconfitta da un esercito di maestri elementari, si deve cominciare dai piccoli.
Questa faccenda della scuola come luogo di “rivoluzione” e cambiamento è una delle mie fissazioni, e lavorandoci da 30 anni, ho visto ragazzi , ambienti e situzioni diverse, ma il sistema più bloccato lo sto vedendo adesso in un liceo. I ragazzi di ambienti più diffili erano più “tosti” ma anche più curiosi, aperti , con la voglia di venirne fuori, in “Bella Napoli” ho letto qualche storia del genere, qui in un liceo del centro, qualcuno va in tilt per un otto al posto di un nove, e la cosa più incredibile è che qualche genitore gli va dietro…
In una classe della mia scuola tre ragazzini di primo anno hanno chiesto il nulla osta per cambiare scuola, perchè nella pagella del 1° quadrimestre avevano un paio di cinque!!!!
Una cosa è certa “riuscire” qui al sud è più difficile, troppa gente rema contro, ma chi ha deciso di restarci o di tornarci non può girare la testa dall’altra parte, ha il dovere di crederci e di fare funzionare bene più cose possibili
Concetta credo abbia centrato pienamente il problema,condivido tutto ciò che afferma,indubbiamente nella scuola vanno risolti i problemi,ed è nella scuola che vanno ristabiliti equilibri culturali che a me sembra si stiano disgregando,ancora di più rispetto agli anni passati,dove forse qualche forma di alternativa culturale veniva in qualche modo offerta,almeno negli anni 70/80,quando eravamo tutti dentro un sistema che spingendo dal basso anelava a profondi cambiamenti.Oggi invece che si hanno più strumenti a disposizione anche dal punto di vista tecnologico, mancano i contenuti,mancano le prospettive e mancano i sogni,ed è anche questo il motivo che un giovane si fossilizza su un voto basso,come se fosse un reale fallimento.Manca la riflessione sull’esistenza,ecco perchè io credo che riuscire a fondere alcuni elementi insieme, possa rappresentare se non una svolta,almeno un tentativo costruttivo, magari in grado di generarne altri,la fattibilità e la realizzazione di un idea è connessa ai progetti che riesce a costruire,e Napoli può rinascere proprio da piccoli progetti,magari in ambiti,come quelli culturali e artistici,che essendo poco e per niente sviluppati,sono anche poco gestiti dalla camorra,adesso io non so se partendo da questi due presupposti si possano creare progetti lavorativi, però penso di si.
Si Angela, mancano i sogni…
e si vive di apparenze,è meglio avere un nove oggi che realizzare un sogno domani, purtroppo!!!
A Deborah vorrei raccontare quello che mi disse il segretario della scuola media di Nogara (VR).Avevo fatto il concorso a Verona, visto che a Catania non c’erano cattedre, era il 1985,ce la misi tutta, insegnavo di mattina studiavo di pomeriggio, mi chiamano, parto. Prendo servizio a 1200 km da casa, bello ma non facile.Non ero la sola meridionale, tra l’altro il Preside ci apprezzava moltissimo diceva a tutti che noi lavoravamo con più impegno, il segretario mi disse un giorno ” Vi ammiro molto, fate scelte difficili pur di lavorare, uno di noi non si sposterebbe così lontano da casa per andare a lavorare!!”
Ma c’è un ma, spostarsi a 27 anni è dura ma si può fare, dopo no, non si può nemmeno chiedere!!!!DeboraH hai tutta il mio appoggio, hai tutto il diritto di “arrabbiart”!!!
Qualche giorno fa ho sentito che è meno costoso spostare le persone piuttosto che il lavoro!!!!Troppo comodo!
Sarà perché sono credente, sarà perché il Vangelo mi piace, ogni sera ne leggo una pagina, prima di addormentarmi, anche se mi sembra di conoscerle a memoria. Il contenuto di questa lettera sembra dirci le stesse cose della parabola del lievito. Forse non sono solo farneticazioni ma potrebbe davvero funzionare.
Vincenzo,volevo dirti, ma lo avrai già capito,che purtroppo non ho letto il tuo libro,e che in realtà il mondo del lavoro è qualcosa con cui non sono mai entrata in relazione,faccio parte di quella schiera tagliata fuori sul nascere,di quelli che non hanno saputo cercarlo il lavoro,e neanche chiederlo alle persone giuste,perchè è così che funzionava e funziona ancora qui da noi,praticamente faccio parte di quella schiera di emigranti in casa propria,gli esuli dal niente verso il niente.Purtroppo oggi le persone valide con le competenze giuste devono fuggire da qui,ed è vero che Napoli che è ricchissima di energie corre il rischio di rimanere completamente tagliata fuori,proprio come è accaduto a tanti di noi.Inoltre credo che ci sia un enorme problema nella scuola,perchè le competenze si creano nell’arco di tutta la vita scolastica e non solo nella scelta universitaria,invece questo non accade, i nostri ragazzi arrivano in preda a profondi frustrazioni alla scelta finale,perchè la loro esperienza scolastica non ne ha curato nè la personalità ne le inclinazioni,anzi.In ogni caso volevo ringraziarti per avermi coinvolto nella discussione.
Ti auguro una buona giornata.
Una lettera come questa,dedicata a un libro cme quello di Vincenzo, è un’altra boccata d’aria pulita in questi giorni di esalazioni mefitiche. Esalazioni da munnezza, da campagne elettorali fasulle e degenerate, da senso di impotenza, da…aggiornamento delle graduatorie in fatto di scuola. Quella di Federico è un’altra storia da “Bella Napoli” e davvero leggendola ho condiviso aspetti che mi sono ritroavataa d apporvare con entusiasmo anche nel testo di Vincenzo. Ma…c’è un “ma” grande come una casa, ed è quello di Deborah. Bisogna fare la “raccolta punti” per cercare di distinguersi, in molti settori. E bisogna formarsi, formarsi…e studiare, studiare…Anche quando i neuroni minacciano agitazioni sindacali.Per poi ritrovarsi, spesso e (non) volentieri, alle spalle di qualcuno che è stato semplicemente più furbo, o a svolgere mansioni “altre” rispetto alle proprie aspirazioni. E subentra la rabbia, accompagnata dal desiderio-forte- di mandare tutto a quel paese. In questi momenti, allora, bisogna correre a “respirare” qualche bella storia…per sperare, nonostante tutto. E per non lasciarsi andare allo sconforto.
Per la verità mi sento un pò una voce fuori campo in questo contesto;ma questa lettera la trovo entusiasmante,mi sembra che abbia toccato dei punti fondamentali;sicuramente il progetto è complesso,però mi sembra anche un modo unico e innovativo ,per rendere creativo il caos,entrarci dentro e ristabile gli equilibri in modo da non perderne nè la forza nè la passione;ma allo stesso tempo rafforzare il potenziale evitandone la dispersione,mi piace molto perchè potrebbe rivelarsi quell’innovazione di cui si ha senza dubbio bisogno;credo però che non ci sia alcun progetto che possa essere realmente attuato se non parte da un sogno collettivo.Forse l’entropia un pò serve a costruirli questi sogni?”Fregare il meccanismo”è come spostare la prospettiva in modo che chi gestisce il potere resti indietro e spiazzato,non è quello che dovrebbe accadere per un reale cambiamento?A me sembra di si.
Io Bella Napoli non l’ho letto, Apposta. (E non per far dispetto a Vincenzo a cui voglio bene assai). L’ho visto, la sua copertina è vivace e ti prende, l’ho annusato perchè amo il profumo della pagina fresca di stampa e poi, l’ho rimesso a posto. So che dentro avrei trovato storie di successi, di fatica e di ottimismo ma, adesso, a me quelle storie fanno male. Studio per l’ennesimo corso, ha ragione Antonella, l’istruzione è una soluzione ma sono stanca anche di quello. Ormai ho investito tempo e, soprattutto soldi in questo nuovo titolo da conservare insieme agli altri, lo devo finire e, come al solito, cerco di dare il meglio.
Ma sono stanca. Di studiare, di cambiare lavoro, di organizzare, di finire e poi di ricominciare. Non vedo orizzonti, non voglio più andare da nessuna parte. I sogni li seppellisco sotto il mattone di Lucia, adesso sono un po’ vecchia e non c’è più tempo di immaginare. La cosa più triste è che tutto questo non dipende direttamente da me, io non voglio andare a comizi elettorali, non voglio promettere voti a chi non sopporto in cambio di qualcosa. Io sono intelligente e se non sono preparata, mi impegnerò di più e lo sarò. Dite che se mi arrendo non concludo niente? Non lo so, ma adesso nella bella Napoli io non ci sono.
Federico sono felice per te. L’entropia del mio “sistema” mi ha dato soltanto tanta incertezza.
giusto oggi parlavo, si a voce vis a vis di come sapendo dove cercare si possano realizzare certi progetti. sogni che si concretizzano.
poi ti arriva una bolletta e ti cade il mondo, prima il bilancio di casa poi quello che vorresti. da giovane hai le idee ora tra un po siamo vecchi e non sappiamo se tenere il mattone sotto cui si nascondeva i soldi o se tirarlo! 🙂
E’ bello vedere che prima o poi qualcuno ritorna e mi fa piacere che tu creda che dal caos e dal disordine possa nascere qualcosa di costruttivo.
Troppo spesso mi capita di parlare con persone che dopo il trasferimento non immaginano neanche lontanamente di ritornare in Italia e per giunta a Napoli, molti lo intendono come un “passo indietro”, un errore dal quale tenersi alla larga.
Per il discorso sull’entropia è bello ma non riesco a capire come lo si possa attuare in concreto. Anche io ho sempre pensato che le stesse persone, cresciute in ambienti diversi, possano avere evoluzioni differenti. Ma in questo caso, l’unica soluzione per me è l’istruzione. Avvicinare interi quartieri alla scuola, allontanare molti dalla strada e portarli sulla retta via fin da piccoli “trapiantarli” per me vuol dire soprattutto questo.
Vincenzo, quando ho ricevuto notizia di questa “Lettera su Bella Napoli” stavo preparando un post per il mio blog, e naturalmente si parla di una poesia. La coincidenza strana, empatica direi, è questa: la poesia parla di emigrazione e della necessità di integrarsi. È del poeta vicentino Antonio Barolini, trasferitosi negli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale, e cade a pennello su questa discussione, anche perché io non sono un sociologo né un esperto di organizzazione del lavoro, ma un appassionato di poesia. Ne trascrivo un brano, così da meditarci sopra, perché è davvero profonda nella sua semplicità:
(…)
non essere
sterile petalo
o barbaglio di luce
che si dissolve nell’aria,
ma, come polline, dove cadi,
affonda la nuova radice
e cresci nuova speranza
e virgulti e nuove foglie
(…)